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Autore: Phyro    05/03/2014    0 recensioni
"Tre sono le ossessioni: La bellezza, la musica ed il fuoco"
Un progetto che molti definirebbero raccapricciante se non deviato e spaventoso.
~
"Le chiamava pietre quando parlava di lui. Una verde come lo smeraldo infatti, quella destra, e l’altra rossa come il rubino, incastonate in quel volto giovanile che parrebbe quasi affabile, se non fosse per quel sorriso malsano."
Specchio mutevole su un anima macchiata dal sangue e dal desiderio.
~
"Vorrei anch'io saper creare qualcosa di magico, senza usare la magia."
Un'apprendista capace di cambiare il corso naturale degli eventi.
~
"Che rumore fa un corpo che cade?"
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~IV~

 

 

«Sono pronta.»
Disse Eridie, facendo capolino con il viso dalla porta della stanza del Pontefice che, scuro in volto, si apprestava a completare gli ultimi preparativi per quell'inaspettato quanto sgradito viaggio.

Era vestito di tutto punto, il cilindro sul capo e la sua giacca cremisi indosso a sovrastare una camicia nera gli donavano un aspetto elegante e pulito. Si era addirittura fatto la barba.

«Dove si va quindi?» Aggiunse la bambina decidendo finalmente di fare il suo ingresso nella stanza.

«Graham.» Rispose secco il rosso, infilandosi dei guanti bianchi di splendida fattura.

«La città commerciale?»

«Quante altre ne conosci?»

Phyro era visibilmente agitato e per Eridie non ci volle molto per capirlo e preferì non fare altre domande, attendendo semplicemente il momento in cui sarebbe stato lui per primo ad aprir bocca e, lei sperava, gli avrebbe rivelato il perché di tutti quei preparativi e nervosismo.

In silenzio si diressero verso le scale che portavano alla grande sala comune ormai vuota, la sera era calata già da un'ora ed il via vai solito degli arcanisti intenti a spostarsi da una parte all'altra del covo era calato fino quasi ad annullarsi.

Si posero uno di fianco all'altra nell'esatto centro della sala, fissando il pavimento dove sapevano avrebbero trovato il sigillo: un marchio scavato nella pietra formato da un cerchio e vari motivi geometrici che andavano a formare una figura non semplice da ricreare da una mano diversa da quella ideatrice, senza l'adeguato studio e pratica.

«Useremo il portale.»
Finalmente il Pontefice decise di rompere quel silenzio gravido di ansia che si era andato a formare fra lui e la bambina.

«Credo sia la cosa migliore...»
Aggiunse semplice a mezza bocca, ancora osservando distrattamente quell'articolato disegno ai suoi piedi.

Eridie lo studiava di sottecchi, era seriamente preoccupata per quella situazione poiché mai aveva visto il suo maestro così in tensione e preoccupato per l'incontro con qualcuno.

Erano passate diverse ore da quando, seduti nel corridoio degli alloggi, avevano avuto quella strana conversazione finita poi con una confessione che portò grave angoscia in lui e curiosità e preoccupazione in lei, sentimenti che non andarono affievolendosi nell'attesa della partenza ma che anzi, erano andati a gonfiarsi sempre più, sfociando in congetture e teorie che la mente della bambina partoriva senza freno, immaginandosi tutti i possibili oscuri passati del suo maestro, tuttavia, scartandoli sempre quasi subito, sicura che qualsiasi cosa fosse non sarebbe riuscita ad indovinarla.

D'un tratto poi, Phyro afferrò con la mano guantata il ciondolo che pendeva dal suo collo che subito irradiò la sala di una luce rossastra, tipica di quell'oggetto, e subito davanti a loro si andò a creare una densa nube di fumo verde che pareva scaturire da quella piccola incisione sul pavimento. Entrambi i maghi la osservavano seri, in attesa che essa si trasformasse nel portale, e non ci volle molto prima che questo accadesse: il fumo era arrivato ormai a circa tre metri d'altezza e due di larghezza: una imponente colonna che non rispettava le leggi della fisica, rimanendo immobile senza moti e non soggetta alle correnti d'aria di cui la sala era pervasa.

La piccola apprendista attendeva che accadesse ciò ch'ella aveva studiato giorni addietro: quel particolare incantesimo era chiamato appunto “il portale” e permetteva a chi sapeva evocarlo di spostarsi da un posto ad un altro semplicemente facendo un passo al suo interno, ritrovandosi poi esattamente dove egli voleva. Aveva tuttavia delle limitazioni, il posto in questione infatti doveva non solo essere già stato visitato dall'arcanista, ma doveva anche avere lo stesso simbolo che aveva usato per richiamarlo e la bambina stava già studiando come riprodurlo, su ordine del suo maestro che, così facendo, la stava avvantaggiando per lo studio degli incatesimi superiori che un giorno la piccola sarebbe andata ad affrontare.

Eridie sapeva che ogni congregazione che si dilettava di magia aveva un suo simbolo specifico per l'utilizzo di quell'incantesimo che, strano a dirsi, era forse l'unico che davvero regalasse a tutte le congregazioni un qualcosa in comune diverso dall'uso stesso della magia.

«Graahm...»
Con un soffio di voce pronunciò Phyro, socchiudendo gli occhi, e con un lampo di luce verde la grande colonna di fumo ebbe come un collasso: nel suo centro perfetto infatti, come se qualcosa stesse risucchiando da dietro la colonna una grande quantità d'aria, si creò un piccolo mulinello d'aria che velocemente inghiottì tutta la coltre, regalando agli occhi uno spettacolo strabiliante: davanti a loro infatti non vi era più quella colonna di denso fumo verde, ma un perfetto rettangolo delle stesse dimensioni che sembrava quasi un'incisione, fatta da mani sapienti nella realtà, che dava su un muro diverso da quello della sala comune, scuro e puntellato di muffa.

Entrambi gli arcanisti si mossero per oltrepassare il portale e arrivare così dall'altra parte.

Una volta superatolo, quell'uscio etereo si dissolse dietro di loro, lasciando solo per qualche istante una vaga nuvoletta di fumo verde che si dissolse nel giro di un attimo.

Eridie rabbrividì, erano palesemente arrivati dove volevano, nella città di Graham al nord del paese, ed il cambio di temperatura si fece sentire come tanti spilli acuminati felici di entrare nella carne.

«Visto?»Soggiunse Phyro.

«Alla fine ti ci ho portata.»Un sorriso amaro si dipinse sul volto del rosso.

Eridie si guardò attorno e per come prima cosa notò su una pietra della strada accanto ai suoi piedi il sigillo gemello di quello inciso sul pavimento della sala comune del covo, per seconda poi, e con non poco disappunto, notò di non essere nella piazza principale della città, ma in un vicolo umido e sudicio, dal quale solo in lontananza poteva sentire il brusio della vera città commerciale.

«Perchè qui? Perchè non al centro come fanno tutti?»

«Ancora un poco di pazienza Eridie, le precauzioni non sono mai troppe. Vedi, preferisco non far in modo che chi bazzica questo posto possa facilmente ricordarsi la mia faccia. Non dimenticarti che questa è la fonte principale per le ricerche dei pezzi che andranno a creare l'essere perfetto.»

Eridie annuì e, nel tentativo di osservare meglio l'origine del brusio e quindi la famosa vita della città di Graham, cominciò ad allontanarsi, uscendo dal vicolo nel quale erano arrivati e facendo capolino in un'immensa distesa di pietra che le fece sgranare gli occhi: l'enorme piazza principale della città, famosa per le sue bancarelle di qualsiasi merce sotto i portici e del frenetico via vai, si stagliava davanti a lei per decine e decine di metri, farcita di creature di qualsiasi forma e colore, vestiario e lingua. Il brusio era assordante ma la piccola non ci fece quasi caso, rapita com'era da quella pittoresca vista. Tutt'attorno alla piazza vi erano alti palazzi di cinque e anche sei piani, costruiti con massicce pietre rettangolari, alcune intarsiate finemente, spesso nei pressi di finestre e feritoie, palazzi che sembravano circondare il piazzale e creare l'illusione che fosse quasi incassato, un buco nella schiera possente delle costruzioni e delle case tutt'intorno.

Eridie non sapeva bene dove guardare, tutto l'affascinava, dalle bancarelle di carne speziata e sotto sale fino ai grandi banchi di armi e armature che luccicavano alla fievole luce della luna.

La piccola arcanista si sorprese a domandarsi del perché, anche se il sole era ormai tramontato, ci fosse tutta quella gente per le strade quasi fosse stata mattina. Quella domanda tuttavia non ebbe risposta, poiché ella non fece in tempo quasi a porsela che subito la sua attenzione venne rubata da un qualcosa del quale aveva sempre e solo sentito parlare e che anche dai racconti l'aveva sempre affascinata: di tanto in tanto fra la folla, piccole nubi colorate si alzavano dalla pavimentazione per poi inondare tutt'attorno di una luce che richiamava il colore del fumo, facendone poi fuoriuscire coloro che l'avevano evocate.

Eridie non poteva crederci, era finalmente al cospetto della piazza dei portali.

Subito spostò lo sguardo verso la pietra alabastrina che ricopriva tutto il perimetro della piazza e che ormai era anche sotto i suoi piedi visto che, una volta arrivata, non aveva fatto altro che guardarsi intorno girovagando senza una meta precisa, muovendo lentamente un piede davanti l'altro nel suo sognante giro turistico, e non ci volle molto prima di notare che tutto era completamente ricoperto di incisioni: neanche un metro faceva eccezione, vi erano sigilli di praticamente tutte le gilde, congregazioni e sette magiche esistenti, con le forme più disparate e articolate, tutti disegnati a neanche un millimetro di distanza, quasi a sovrapporsi. Sentì di essere davvero nel centro nevralgico della magia.

«Bella, eh?»

Eridie si voltò immediatamente all'udire quella voce, era diversa da quella di Phyro eppure le tornava familiare. Notò immediatamente un giovane ragazzo moro, gli occhi neri ed un'espressione compiaciuta sul volto.

«Tresor?»
Lo riconobbe quasi subito, inclinò un poco il capo nell'osservarlo ed alzando un sopracciglio lo scrutò dalla testa ai piedi, per poi soffermarsi nuovamente su quel volto che era sicura fosse ormai un tutt'uno con la terra ed i vermi.

«Pare che anche chi muoia si riveda, piccola strega.»
Il volto del giovane era visibilmente divertito e la fissava dall'alto verso il basso con fare arrogante e superbo, atteggiamento che infastidì e non poco la piccola arcanista che subito cominciò a guardarsi attorno, alla ricerca del suo maestro, indietreggiando lentamente cominciando a temere per quell'essere tornato dall'inferno.

«Phy...»
Non fece in tempo a chiamare quel nome che sentì un colpo sulla fronte, seguito da un'acuta fitta che le fece abbassare il capo e la costrinse a massaggiarsi la parte dolorante, ignorando ancora cosa fosse stato.

«Come osi lurido bast...»
La lingua di Eridie fu come congelata, non riuscendo più a spiccicare parola nell'osservare che l'oggetto che l'aveva colpita non solo era nelle mani di Tresor, ma che oltretutto era il bastone di Phyro, quello con l'impugnatura intarsiata a raffigurare una testa di cobra completamente di metallo.

Il ragazzo davanti a lei strizzò un occhio in sua direzione e tutto divenne chiaro.

«Phyro.»
Il viso della bambina era palesemente adirato.

«Mi hai fatto prendere un colpo.»
Continuò, scostando lo sguardo e portandolo altrove.

«Avresti dovuto vedere la faccia che hai fatto, sembravi aver visto un fantasma!»

«Un fantasma, è esattamente quello ho visto, mentecatto!»
Eridie si voltò verso di lui urlando, destando l'attenzione di non pochi passanti.

«Parla piano, idiota...»
Disse fra i denti il ragazzo moro che subito poggiò un braccio sulla spalla della bambina, cominciando a camminare e sorridendo a chi aveva rivolto loro lo sguardo, nel tentativo di sviare ogni interesse e sottolineare che non ci fosse nulla da vedere.

«Ah, i bambini, a volte possono essere davvero impertinenti.»
Fece il falso moro di rimando ad uno sguardo non gradito, condendolo con un largo sorriso.

Eridie arrossì un poco a quel tocco, lei che non era solita neanche nella grande casa natia ad avere spesso un contatto con altri esseri umani.

«Perchè questa sceneggiata?»
Soggiunse lei guardando davanti a sè, guidata dal braccio del maestro.

«Dobbiamo mantenere l'anonimato, se mi fossi fatto vedere per la città col mio solito aspetto, avrei destato troppa curiosità e attenzione.»

«E io allora?»Ribattè Eridie.

«Sei una bambina, nessuno farà caso a te. Io sono troppo bello per gli standard di questa città, mi ritroverei gli occhi di tutti addosso in un lampo.»

Eridie lo fissò seria, scuotendo il capo in segno di disappunto.

«E inoltre...»Continuò lui.

«Non possiamo permetterci che lui sappia che sono proprio io, o avremmo troppe scocciature.»
Si fece serio in volto il rosso, che quel giorno decise di indossare una maschera, attraverso l'incantesimo col quale riuscì a scovare il vero possessore di quelle sembianze e giustiziarlo.

«Ma si può sapere che gli hai fatto?»

Phyro divenne scuro in volto, volto che lontano era dall'assomigliare al suo, volto sottratto a Tresor.

«È così importante!?»

Continuò infastidito, sospirando profondamente.

Eridie decise di non insistere, sentiva di essersi presa la quantità giornaliera di sgridate e non ne voleva altre da parte del suo scontroso maestro. Vagava con lo sguardo la bambina, mentre accanto a loro sfilavano creature dalle più disparate forme: elfi, umani, nani e altre razze che neanche lei aveva mai visto, vestiti con le uniformi delle congregazioni d'appartenenza dei colori più sgargianti, intenti nel mercanteggiare o semplicemente passeggiando ed osservando in giro esattamente come loro, o meglio, come loro dovevano sembrare intenti a fare.

Phyro abbassò per un momento lo sguardo verso Eridie, per poi alzare gli occhi al cielo e sospirare sonoramente per l'ennesima volta.

«Ho vissuto con lui per circa un anno.»Decise di cominciare a spiegare il mago.

La bambina gli concesse solo uno sguardo fugace, per poi tornare a guardarsi intorno fingendo disinteresse.

«Mi ha insegnato le basi teoriche della magia e come incanalare l'energia per poter poi usare gli incantesimi. Più o meno come io ho fatto con te, piccola ingrata.»

Eridie si voltò ostentando la lingua al di fuori della propria bocca, increspando le labbra, strizzando gli occhi e aggrottando la fronte, per poi tornare a fissare davanti a sè, tornando seria.

«...e poi?»Chiese infine.

«E poi decisi che non era più posto per me, provai ad andarmene con le buone ma lui non voleva saperne, così decisi di fuggire.»

Il Pontefice svoltò in una larga strada circondata ancora dai soliti palazzoni ma che tuttavia pareva meno illuminata e trafficata: i grandi portoni degli ingressi degli edifici erano rinforzati con sbarre di ferro massiccio ed alti almeno tre metri ognuno. Alcuni avevano fregi, altri iscrizioni ed altri ancora rune, tutti simboli che stavano ad indicare la tipologia di botteghe che si potevano trovare all'interno e sui vari piani delle costruzioni.

«Mi voleva tutto per sè, aveva sviluppato un'ossessione morbosa nei miei riguardi, diversa dall'affetto, vedeva in me un oggetto prezioso e la punta di diamante della sua collezione.»

«Alla fine sei riuscito a scappare?»

«No, sto ancora lì, stiamo andando a salvarmi.» Phyro scosse la testa.

«Ma quanto sei simpatico... Come hai fatto?»

«L'ho fatto, punto.»

Il Pontefice svoltò ancora una volta, infilandosi in una via leggermente più stretta della precedente e con ancora meno afflusso di persone e, quelle che vi erano, non erano certo parte dell'elite che avevano incontrato nella piazza principale, esponenti di ogni gilda magica riconosciuta, ma avevano più l'aria di ladri e taglia gole, che li osservavano quasi vedessero un paio di pecore in una gabbia di lupi.

«Il rubino, mettilo nella scollatura.»
Incalzò il falso moro sistemandosi il mantello nero sulle spalle e poggiando a terra ad ogni falcata il suo fido bastone da passeggio.

«Credi possa fare gola a questa gentaglia?»Chiese la bambina.

«No, non è di questi poveracci che devi preoccuparti.» Sentenziò lui.

«Comincia a calarti nella parte: tu sei mia figlia, io sono un povero ricercatore zoppo che sta scrivendo una tesi sulle varie tecniche di creazione e distruzione degli incantesimi.» Le lanciò un rapido sorriso.

«Sei una bambina dolce, semplice, affabile e perchè no, anche un po' ingenua. Insomma devi sembrare innocua.»

«Ha delle guardie?»

«Credo sia molto probabile. Dieci anni fa ne aveva di nemici, e non credo che nel corso degli anni sia diventato così simpatico da farli passare tutti dalla sua parte. Se qualcosa va storto, solo tu potrai usare la magia, quindi occhi aperti, orecchie dritte e soprattutto... Sorriso ammaliante.»

Dopo quelle parole, Eridie si accorse di essersi fermata davanti ad una grande e massiccia porta di legno, non più piccola e né più grande della altre, sulle cui travi erano incisi vari nomi e simboli, guidata dal suo maestro che in tutto quel tempo non aveva mai perso di vista la strada. La bambina rimase perplessa davanti a tutti quei nomi e Phyro glielo lesse subito sul viso.

«Queste non sono abitazioni, qui ogni piano è di uno o più mercanti.»Spiegò lui.

«Lui chi è?»

Phyro indicò con la mano guantata l'iscrizione che riportava “Chreo”.

«A che piano?»

«Indovina.»

Eridie spinse con forza il portone che con qualche lamento si aprì, dando loro la completa visuale dell'androne: era spoglio, all'interno i grossi massi usati per costruire il palazzo erano stati ricoperti alla buona da un sottile strato di intonaco che una volta forse sarebbe stato bianco, ma che in quel momento ricordava molto più il colore della cartapecora. Davanti a loro, a costeggiare il muro, vi era la prima rampa di scale che continuava per tutta l'altezza del palazzo, curvando ogni volta che incontrava un angolo fra i muri.

«Odio te e tutti quelli che nel mondo hanno avuto a che fare con te, lo sai questo?»Disse lei, realizzando di trovarsi solo al piano terra di quella costruzione di sei piani e che, la loro meta, fosse ovviamente all'ultimo piano.

Cominciarono a salire quelle ripide scale un gradino alla volta in rigoroso silenzio. Phyro si appoggiava vistosamente al bastone, ormai calato nel personaggio, ed aveva preso e stretto la mano di Eridie la quale, a quel tocco, si irrigidì un poco, cominciò a sentire le guance roventi e continuava a ripetere nella sua testa che tutto quello facesse parte della messa in scena e che non ci fosse niente di scandaloso.

Ad ogni piano il Pontefice si guardava attorno controllando se tutto fosse come egli l'aveva lasciato: ogni pianerottolo aveva una porta che conduceva ad un'altra ala della costruzione, e su di essa vi sarebbe dovuto essere inciso il nome e i servigi che i nuovi giunti avrebbero trovato una volta varcata. Si fece scuro in volto Phyro quando notò che su nessuna porta che avevano superato vi fossero le suddette incisioni, ma anzi, sembrava che qualcuno si fosse messo d'impegno a sbarrarle per bene con assi di legno e ferro, rimuovendo presumibilmente con una lama lo strato superficiale del legno della porta.

Non fece commenti e si limitò a continuare la scalata il falso moro, zoppicando vistosamente mentre per la gigantesca tromba della scala echeggiava il rumore sordo dello sbattere del proprio bastone sulla nuda pietra.

Non ci volle molto prima di arrivare all'ultimo piano del palazzo, dove ad aspettarli vi era un grosso portone di legno massiccio finemente intarsiato con motivi geometrici morbidi ed aggraziati, impreziosito da borchie di ferro scuro e protetto da un uomo alto quasi come Phyro nella sua forma originale, ma tuttavia almeno due volte più grosso e tre volte più muscoloso, seduto su uno sgabello che pareva tenersi in piedi per miracolo sotto la mole di quell'individuo.

«Oh, buona sera, il padrone è in casa?»Esordì Phyro sfoggiando un largo sorriso poggiando interamente il peso sul bastone.

«Chi lo cerca?»

Fece l'omone mettendosi in piedi, sembrando così ancora più massiccio.

Non sembrava essere un genio e Phyro se ne accorse subito, regalando un appena accennato sorriso ad Eridie.

«Oh, che maleducato. Io io sono Alter, Alter Molat.»Fece il Pontefice inchinandosi leggermente, fingendo di perdere l'equilibrio per poi riportarsi in posizione eretta grazie all'ausilio del suo bastone.

«E questa è la mia piccola delizia, Erumilda.» Indicò Eridie che non fu per nulla contenta del nome scelto per la commedia.

«Sono un ricercatore ed ho bisogno della sapienza spropositata del vostro padrone. Solo lui può aiutarmi nei miei studi, senza il suo aiuto sono perduto...Vi prego buon uomo, lasciateci passare, siamo brava gente, lavoratrice. Arriviamo da molto lontano solo per fare la conoscenza del famoso e celeberrimo...»

«Basta!»Il tono di Phyro era talmente insistente e petulante che l'energumeno non riuscì più a starlo a sentire e lo interruppe, voltandosi verso il massiccio portone.

«Vado a chiedere se il padrone può ricevere visite.»

«Oh, grazie, mio amico troglodita.» Fece il falso moro avvicinandosi a tentoni.

«Trogl...?» Cercava l'omone di pronunciare l'ultima parola ma sentiva la lingua legarglisi in bocca.

«Oh, si, vuol dire...Ehm... Clemente e pieno di grazia.»Un sorriso amichevole si dipinse sul volto del maestro, osservando il golem di muscoli che apriva la porta e svaniva dai loro occhi.

«...Erumilda!?» Fece Eridie a bisbigliando ma visibilmente adirata.

«Mi spieghi che nome è Erumilda!?»

«Tu pensa che ero indeciso fra quello e Teodosia.» Ribattè Phyro senza neanche guardarla, semplimente appoggiando entrambe le mani sul bastone e sorridendo divertito fra sè, un po' per Eridie ed un po' per quella guardia singolare.

«Mi raccomando, rimani nel personaggio.» Non fece in tempo ad aggiungere che ecco che la guardia nerboruta fece il suo ritorno, lasciando l'uscio aperto dietro di sè.

«Il padrone dice che potete entrare se avete i soldi.» Bofonchiò.

«Oh, ma certo.» Fece il pontefice battendosi su una tasca dalla quale si udì un forte tintinnio.

«Bene, fuori armi, amuleti, tutto quello che possa far male insomma.» Sentenziò l'energumeno.

Phyro aveva creduto di averla scampata e con un sorriso triste si apprestò a sfilarsi dal collo il ciondolo con il rubino, piegandosi leggermente in avanti e lanciando così non visto uno sguardo ad Eridie.

Lo lasciò cadere sul palmo del gigante, sospirando.

«Anche il bastone.» Aggiunse la guardia.

«Ma caro amico, non riesco a camminare senza, volete forse portarmi in braccio fin dal vostro padrone? Volete forse farmi strisciare? Potrei appoggiarmi a mia figlia certo ma non vedete quanto è debole e gracilina? Non è cosa far portare pesi più ingombranti di un fazzolettino ad una signora, anche se così piccola. Ve ne prego, ho avuto un incidente cadendo da un carr...»

«Tienilo, Tienilo!»La tecnica del Pontefice sembrò funzionare quando sentì le parole della guardia che scuoteva la testa e che sembrava pronto a strapparsi le orecchie se l'uomo avesse ricominciato uno dei suoi interminabili e lamentosi monologhi.

«Anche la bambina, fuori tutto.»Continuò la guardia.

Phyro scoppiò in una grossa quanto teatrale risata.

«Ma buon uomo, non vedete quanto è piccina e gracilina? Non saprebbe neanche sbucciarci una mela con un coltello.»

«Io, io... Ho delle lumachine che ho raccolto per strada...Volete anche quelle? Sono pericolose?» Fece Eridie con gli occhi lucidi.

La guardia la fissò un istante, si portò la mano alla nuca e si grattò, confuso.

«Ehm, no... Cioè, penso vada bene così. Avanti.»
Finalmente si decise a farli passare. Avanzò l'omone per primo e Phyro si attardò un istante a seguirlo, guardò Eridie e con il capo abbozzò un piccolo inchino per quell'interpretazione e la bambina rispose strizzando un occhio.

Entrambi poi mossero il passo attraverso un piccolo corridoio buio ed umido che si aprì dopo una decina di metri in una grande sala ricolma di mobilio: poggiate al muro alla rinfusa vi erano decine di librerie e scaffali, piene di fogli e tomi di qualsiasi dimensione ed argomento, spesso anche riposti al contrario o addirittura lasciati aperti su altri libri riposti. In fondo alla sala vi era una scrivania che poggiava su un largo tappeto polveroso ed ingrigito dal tempo e, dietro ad essa, un grande arazzo raffigurante un drago blu, cavalcato da un angelo dai capelli biondi e vestito da cavaliere, era appeso al muro. Sulla sedia dietro il tavolo infine, vi era seduto il padrone dell'intero palazzo: Chreo.

Era un uomo vecchio, panciuto e con una barba corta ed incolta che incorniciava sgraziata un viso rotondo e solcato da rughe. Un piccolo particolare saltò subito all'occhio dei due: il braccio sinistro pareva fatto di vetro, completamente trasparente, ma che tuttavia sembrava muoversi a suo agio come fosse stato percorso da tutte le terminazioni nervose, vene e ossa di un braccio normale.

«Alter Molta, mh?» Esordì Chreo mentre studiava i due nuovi arrivati.

«Sarebbe Molat, mio signore...» Ribattè Phyro, reverente.

«Sì, uguale. Ditemi, cosa vi porta fino alla mia umile dimora, per chiedere il mio sapere, ditemi, sono curioso.» Un lieve sorriso, tutt'altro che affabile, si dipinse sul volto del vecchio.

«Oh si, io e mia figlia abbiamo viaggiato per giorni solo per poter interrogare il vostro infinito sapere magico.»

«Bene, bene.» Fece Chreo lusingato.

«Vedete, io sono un ricercatore, uno studioso per lo più. Nello specifico, sto studiando le varie tecniche di creazione e distruzione degli incantesimi di vario livello.» Spiegò il falso Tresor facendo un paio di passi in avanti fino a quando non incontrò con lo sguardo una lieve incisione sul pavimento, che tagliava perfettamente a metà la stanza. Arrestò il passo barcollante.

«Oh, bene, e dove siete arrivato, se posso impicciarmi?» Chiese il vecchio poggiando i gomiti, sia quello di carne che quello fatto della strana materia, sulla superficie della scrivania, intrecciando le dita e poggiandovi sopra il mento.

«Agli incantesimi di costrizione. Uno in particolare, in vari scritti che ho consultato sono stato in grado di risalire a come ricrearlo, a tutto ciò che serve e al fatto che siete stato voi il geniale creatore di questa stregoneria tanto arcana quanto affascinante. Tuttavia, leggendo e rileggendo, chiedendo a stregoni, maghi, chiromanti e tutti coloro che mi sono passati sotto le mani, nessuno ha mai avuto l'ardore di conoscere come si potesse spezzare questo incanto. Ho deciso quindi di recarmi alla fonte.»

Chreo diventò scuro in volto.

«Sto parlando delle “Catene Dell'Anima”.»

All'udire quelle parole, il vecchio serrò la mascella e sbattè le mani sul tavolo.

«Se siete venuto per questo, sappiate che porterò nella tomba questo segreto!» Sbottò Chreo.

Eridie lo fissava quasi pietrificata, temendo il peggio.

«Oh, ma mio signore, è un semplice interesse accademico.» Si sbrigò ad aggiungere Phyro.

«Non mi sognerei mai né di lanciarlo, né tantomeno di scioglierne uno. Il vostro segreto sarebbe ben protetto.»

Negli occhi di Chreo ci fu come un bagliore, un'intuizione, e dopo qualche secondo di silenzio, sorrise affabile ai due.

«Avvicinatevi, avvicinatevi di più. Questo povero vecchio non ci sente troppo bene.»

All'udire quel tono, la guardia serrò la porta dietro di loro, parandovisi davanti ed incrociando le braccia.

Phyro deglutì e cominciò ad avvicinarsi alla scrivania molto lentamente, attento che Eridie non rimanesse indietro e che potesse sempre averla sott'occhio. Quando fu non più lontano di una manciata di centimetri da quel solco nel pavimento si fermò, poggiandosi di nuovo su quel bastone che lo aveva accompagnato in tutto il tragitto.

«Siete così gentile a permetterci di addentrarci così profondamente nella vostra dimora, non avete idea di quanto noi ci sentiamo on...»

«Più vicini.» Tagliò corto il vecchio, sorridendo divertito.

Phyro in quel momento capì perfettamente cosa stesse succedendo. Sospirò profondamente e montando sul viso un'espressione completamente diversa da quella affabile e deferente di pochi attimi prima, più simile a un ghigno che ad un sorriso, si apprestò a varcare quel muro immaginario davanti a lui che, ormai, aveva capito non essere poi così immaginario.

Come se stesse attraversando un portale, i contorni del suo corpo si fecero luminosi a contatto con quella parete invisibile e, mentre passava con tutta la sua figura dall'altra parte, il viso di Chreo si fece prima sorpreso, poi impaurito ed in fine completamente devastato dall'ira.

«Non è possibile.»

Phyro aveva capito ogni cosa: quella linea infatti, non era semplicemente una crepa, ma il limite imposto dal suo creatore, di un incantesimo di protezione ed annullamento. Il rosso li conosceva bene, tanto da averne usato uno per ricoprire interamente il perimetro dei vari ingressi al covo sotterraneo dell'Enclave Rubinea.

I suoi capelli, da neri diventarono lentamente rossi, sul capo apparve il cilindro ed il vestiario da semplice e dozzinale, tornò ad essere raffinato e ricercato, rosso come il sangue e perfetto in ogni particolare. Tornò alto come sempre, e sul suo viso vennero di nuovo incastonate quelle pietre dai colori discordanti.

«Vedo che ne hai di paura, eh?»Cominciò il Pontefice, cattivo verso il vecchio.

«Hai svuotato il palazzo, le guardie all'ingresso, ed ora pure una barriera magica per gli incantesimi di protezione e di camuffamento. Stai proprio con l'acqua alla gola, maestro.»

Eridie, nel vedere la figura di Tresor trasformarsi di nuovo in quella del rosso scattò immediatamente al suo fianco, studiando bene la situazione e gettando di tanto in tanto uno sguardo attento all'omone dietro di loro, che se ne stava con la bocca spalancata e gli occhi sgranati.

«Prendilo idiota!»Chreo si alzò in piedi ed urlò verso il suo scagnozzo che a passi lunghi e pesanti, cominciò a correre in direzione del rosso e della bambina.

Come se fosse stata un'ape pronta a pungere, Phyro prese il bastone e impugnando energicamente la testa del serpente con una mano, la superficie di legno con l'altra, estrasse da quel che sembrava un semplice bastone da passeggio una lama che scintillò alla luce delle fiaccole tutt'intorno a loro, portandola poi parallela al suo costato, con la punta rivolta dietro di sè, la impugnò con entrambe le mani e spinse con potenza, incontrando una lieve resistenza.

Eridie, che era accanto a lui, alla sua sinistra, non fece in tempo a voltarsi verso il gigante a guardia della porta che subito lo notò alle spalle di Phyro, ma ormai era troppo tardi: il suo addome era completamente lacerato e la lama del rosso era fuoriuscita dalla schiena dell' energumeno,accompagnata da un copioso liquido cremisi che andò ad inondare il pavimento creando una pozza che lentamente si avvicinava espandendosi ai piedi dei due arcanisti.

La bambina portò subito lo sguardo sul suo maestro e gli occhi si sgranarono dalla sorpresa nel realizzare quanto egli fosse stato pronto, e sconvolta del fatto ch'ella ignorasse completamente il segreto di quel bastone, così come l'abilità del rosso nell'imbracciare una lama.

Phyro non aveva scostato lo sguardo da Chreo, neanche per assestare il colpo mortale alla guardia dietro di lui, che cadde a terra senza vita con un tonfo sordo.

«Ed il prossimo sarai tu se non mi dici immediatamente come spezzare l'incantesimo.»

Chreo sorrise beffardo.

«Sei tornato alla fine. Eh, Salem?»

«...Salem?»Ripetè Eridie fra sè, interrogativa.

«Non chiamarmi con quel nome, maledetto!» Urlò Phyro puntando il debole della lama insanguinata verso il vecchio sapiente.

«Non costringermi a farti urlare il tuo segreto, lurido vecchio!»

«Non toglierai mai quelle catene, fattene una ragione ragazzo mio.»

«Dimmelo!» Gli occhi del Pontefice si tinsero rapidamente di rosso e le vene sul suo collo cominciarono a pulsare e gonfiarsi per la rabbia.

«Mai!» Sentenziò Chreo.

Il silenzio si impadronì della stanza, uno scambio di sguardi che durò solo per qualche attimo, abbastanza perchè tutto l'odio del cuore del Pontefice potesse passare attraverso i suoi occhi a quelli del vecchio.

«Ma ora, che sei tornato dopo dieci anni, farò ciò che avrei dovuto fare allora. Annullerò la tua mente e ti renderò mio per sempre!» Chreo inclinò un poco di lato il capo.

«A meno che tu non voglia tornare di tua spontanea volontà.»

Phyro sputò verso di lui, prendendo in pieno un tomo posato sulla scrivania.

«Vedo che hai preso la sua decisione.»

Chreo socchiuse gli occhi e congiunse le mani, per poi subito scostarle ed imporle verso il rosso.

Dei piccoli lampi blu circondavano le dita del vecchio mago e vorticavano sempre più freneticamente, fino a quando ogni singolo bagliore non saettò scostandosi dalla sua carne, continuando a vorticare sempre più velocemente intorno ad una sfera invisibile fino a ricoprirla per intero.

Solo quando il Pontefice portò la mano al collo si ricordò di non avere più il cristallo rosso, gioiello che avrebbe dovuto estrarre dalla carcassa stesa a terra, operazione che tuttavia avrebbe richiesto troppo tempo. Realizzò di non essere in grado neanche di balzare così lontano e così velocemente, per puntare alla gola del suo ex maestro. Scosse la testa: tutto era finito.

Tutto accadde in una frazione di secondo: Eridie, ch'era rimasta tutto il tempo in silenzio ad osservare i due uomini, si era posta fra Chreo ed il suo maestro, con entrambe le mani al petto stringendo il rubino che era stata incaricata di nascondere gelosamente, nel tentativo di richiamare tutte le sue forze e tutto il potere che era in grado di incanalare in quella piccola gemma. Tutto intorno a loro poi, una cupola di un rosso scuro andò a disegnarsi ed ella poggiò la schiena contro Phyro, nel tentativo di tenerlo più vicino possibile al centro del primo incantesimo che la bambina imparò: uno schermo di luce rossa che sapeva difendere da attacchi di natura magica. Neanche fece in tempo la sfera a crearsi che subito un raggio di luce bluastra saettò dalle mani di Chreo, dirigendosi repentinamente verso il rosso che, grazie all'intervento della sua apprendista, lo vide infrangersi e circondare la cupola cremisi come l'acqua argina un masso che intralcia il suo cammino.

Il viso di Eridie era visibilmente dilaniato dal dolore nel resistere a quella magia tanto più potente della sua. Proprio nel momento in cui percepiva che non sarebbe più riuscita a resistere, sentì le mani di Phyro sulle proprie spalle. La bambina si voltò ed alzò lo sguardo verso il suo maestro che le stava sorridendo, le stampò un dolce bacio sulla fronte e pronunciò:

«Grazie.»

Dopo un'esplosione ch'ella sentì quasi ovattata, vi fu solo buio.

Eridie non avrebbe mai immaginato che quello che avrebbe visto, le avrebbe cambiato inesorabilmente la vita.

   
 
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