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Autore: sweetnoir    05/12/2004    2 recensioni
Non aveva chiesto lui di nascere Malfoy.
Tuttavia, era inutile rimuginare su fatti a cui non aveva potuto mai apportare modifiche,e , tra le altre cose, piangersi addosso per un destino che non condivideva neanche un po’, era da stolti e da sentimentali e mai e poi mai si sarebbe dimostrato così tanto poco ardito da cadere in quel simile tranello.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Unintended Cohabitation

Capitolo IX – The day that we first met

Hagrid le aveva lasciato libera la modesta abitazione dai toni rustici e arcigni, rassicurandola fosse il luogo più sicuro per non essere molestati. Quel suo moto da subito così tanto protettivo non poteva che farla sorridere: era veramente dolcissimo.

Passeggiò ancora un po’, costeggiando il muro della stanza e prestando particolare interesse all’incredibile varietà di attempato ciarpame che il proprietario pretendeva di far passare come arredamento. Si meravigliò, infatti, di come, in un tale disordine di utensili per la caccia e la cura dei giardini, potessero essere presenti elementi raffinati proprio come quello che colpì la sua attenzione nell’attimo stesso in cui mise piede nel piccolo capanno. L'omone, prendendo atto della curiosità piuttosto vistosa della ragazza, le raccontò con fierezza la storia di quello specchio che pareva essere quasi una reliquia data l’ammirabile cura con la quale era custodito. Quello per Hagrid era l‘unico ricordo che restava di sua madre. Gli era stato fatto recapitare moltissimi anni prima, quando, purtroppo, questa venne a mancare con il resto della famiglia. Per il giovane mago era stato un colpo terribile. L’allegria che regnava sovrana nelle sue scintillanti iridi scure, s’era assopita in un lampo.

E l’espulsione dalla scuola non poteva che gravare come un macigno su quella ormai fragile tempra.

In un certo senso, molto a modo suo, poteva comprendere la smisurata pertinacia emotiva che legava l’uomo a quell’oggetto. Anche mentre lo guardava uscire dalla porta, poteva giurare d’aver visto, seppur offuscatamente, gli occhi dell’uomo ancorarsi intensamente a quell’angolo della stanza sospirando con fare remissivo e accasciato.

Doveva soffrire tuttora. Non solo non era stato presente negli ultimi istanti di vita della sua tanto amata famiglia, era anche stato cacciato via; il suo futuro bruciato insieme alla speranza di diventare mago.

Sentenziò la fine di quel corso di pensieri che le stava rubando troppo del poco tempo che ancora disponeva. Dal baule marrone, issato sopra al lettone mastodontico, tirò fuori una nuovissima divisa scolastica stirata di tutto punto. Era certa che le sarebbe stata bene, eppure temeva che le aspettative che si era auto-imposta non venissero adeguatamente soddisfatte dalla sua magra struttura. Non c’era niente da fare: si sentiva particolarmente insipida, se non proprio sgraziata. Non voleva essere giudicata male dagli altri ragazzi, non voleva assolutamente fare la figura dell’idiota. Trattenne il respiro già troppo affannato e tenne le iridi verdi chiuse fino a quando non ebbe il coraggio di contemplarsi allo specchio. L'immagine che la vecchia superficie traslucida rimandò ai suoi occhi le provocò una strana sensazione. La divisa nera la faceva sembrare più bella, slanciando la sua esile figura e conferendole un'aria intrigante che decisamente non sembrava esserle mai appartenuta. Fece un paio di giri su se stessa cercando di trovare anche il più insignificante difetto, tuttavia, inaspettatamente, al suo spirito forse troppo critico non risultò la minima imperfezione. Era effettivamente impeccabile.

La cosa le apparve anormale nel modo più esagerato possibile, tanto che ebbe motivo di pensare fosse stato fatto chissà quale incantesimo su quello specchio che, per questa ragione, o mostrava il falso o il desiderio delle persone che vi si riflettevano.

Sospirò stancamente voltandosi con un’ultima giravolta e si lasciò cadere sul letto senza opporre resistenza. L’attesa la stava praticamente uccidendo: non vedeva proprio l’ora di sentire Hagrid chiamarla da dietro la pesante porta di legno per cominciare finalmente a vivere nel modo giusto la sua vita proprio così come avrebbe dovuto essere sin dall’inizio. Era del tutto ignara di quello che, vivere a Hogwarts, le avrebbe presto comportato sia positivamente che negativamente, come quando si lancia una moneta per aria e non si sa mai quale faccia della medaglia si rivelerà, o almeno finché non la si vede davanti ai propri occhi e se ne diventa pienamente consapevoli.

Il trio di grifondoro rimase di sasso. In che modo era anche solo un po’ plausibile che una babbana si trovasse nel castello quando non doveva nemmeno essere a conoscenza del regno magico? Era assurdo!

Hermione strinse gli occhi riducendoli a due fessure fini e taglienti, diede una gomitata a Ron e guardò di sbieco Harry, successivamente, fece cenno a Colin di sedersi con loro lungo la tavolata e di raccontare tutto nei minimi particolari.

-“Adesso ci devi spiegare…come può essere? Sei sicuro di quello che hai visto? Probabilmente era solo uno studente vestito con abiti babbani…”disse senza smettere di sgranare gli occhi addosso al ragazzo.

-“Hermione non ha tutti i torti Colin. Potresti aver congetturato chissà che mentre invece…”concordò Harry, che, come sempre, non cessava mai di stupirsi del sofistico acume raziocinante della ragazza.

-“Vi dico che è così!Stava nel cortile vicino alla capanna del guardiacaccia, l’ho vista con questi occhi” replicò il biondino spazientito…ma perché nessuno gli credeva mai?

-“Chi stava nel cortile vicino alla capanna del guardiacaccia, nanerottolo?” chiese sarcasticamente una voce dietro le sue spalle. A Colin non servì neppure voltarsi per rendersi conto a chi appartenesse quella cadenza irritante e grondante sarcasmo…il serpeverde che più odiava…Draco Malfoy…

Il serpeverde non a caso era tornato nella Sala Grande.

In effetti, dopo la conversazione poco piacevole avuta con Blaise, in cui si era stizzito per il semplice fatto che il suo amico aveva apertamente svelato la verità che agognava tener nascosta agli occhi degli altri e alla sua stessa coscienza, aveva sentito una tale rabbia crescergli in corpo che doveva per forza di cose sfogarsi su qualcuno.

Dato che, poi, non aveva trovato niente di meglio da fare nei cupi ipogei della sua casata, aveva pensato che tormentare il suo nemico giurato potesse, in qualche modo, risollevargli il morale.

Quando aveva sentito quell’inetto di Canon blaterare circa qualcosa di misterioso nei pressi del tugurio malandato di quell’idiota di Hagrid, la sua spiccata curiosità non poteva rimanere indifferente.

Sfoggiando un ghigno malefico accompagnato da quel suo cipiglio poco cortese, Draco iniziava a compiacersi dello spettacolo pietoso che si mostrava davanti a lui.

Il biondo grifondoro, se possibile più ossuto nella sua gracilità, quasi come pietrificato, aveva a fatica ruotato a sufficienza la testa per guardarlo in volto, per poi, subito dopo, abbassare lo sguardo e mandar giù pesantemente il groppo che gli annodava la gola improvvisamente troppo secca.

Suscitava sempre quelle reazioni nei ragazzini più piccoli di lui, e ciò non poteva che fargli provare il piacere di un brivido fugace di potere lungo tutta la schiena.

-“Avanti, ti sei forse morso la lingua? O te l’ha mangiata il gattaccio della mezzosangue?” rincalò Draco sfidando con dileggio la mezzosangue alla sua sinistra. Ron scattò in piedi, ma Harry lo afferrò per il pastrano bloccando ogni sua possibile incoscienza.

Colin era visibilmente in difficoltà; non voleva rivelare il segreto della sua scoperta a quel viscido mostro, ma, neppure, poteva rimanersene zitto come uno stupido e dargliela vinta ancora per una volta. Voleva rintracciare con lo sguardo un appiglio di sicurezza nelle iridi dei suoi compagni di casata, eppure loro lo guardavano senza concedergli quella sensazione di difesa. Era come se volessero che scegliesse lui solo come comportarsi con Malfoy, che scovasse l’ardimento di tutelarsi senza contare sull’aiuto di nessun’altro, soltanto sulle sue limitate capacità.

Il rintocco vigoroso dell’orologio della sala grande preannunciava la fine della colazione.

Un sommesso brusio di sedie e di passi, che faceva da contro-canto al chiacchiericcio degli studenti, si innalzò fino al soffitto magico costituito da tenui tinte d’azzurro pastello e nuvole bianchissime, eccezionalmente vaporose e simili a panna montata. In solo colpo, tutte le varie stoviglie sparse sul tavolo e gli avanzi del pasto mattutino si dissolsero con un piccolo “plick”, lasciando il legno scuro lucente e pulito. Colin emise un sospiro di sgravio. Poteva, per il momento, ritenersi fuori pericolo.

Draco Malfoy, al contrario, era furente, incredibilmente seccato.

Non bastava che quel ragazzino avesse acceso in lui il desiderio di conoscere, ma, tra le altre cose, era riuscito a salvarsi all’ultimo momento con un inaspettato colpo di fortuna.

-“Salvato in extremis, Canon” assentì serrando la mascella fino a far digrignare i denti, poi, con studiata indolenza, aggiunse, facendo a turno una ronda con lo sguardo sui membri del trio

“State pur certi che non finisce qui…tutto questo, è solo l’inizio!!” e detto questo, voltò loro le spalle fino a svanire tra la moltitudine di mantelli.

Un lento e soffice bussare, lontano come a mille miglia di distanza, la face riscuotere dallo stato di dormiveglia in cui era caduta. Doveva essersi addormentata per le molteplici tensioni accumulate rimuginando sull’imminente giornata scolastica. Hagrid, da dietro il portale pesante, la chiamò per nome schiarendosi, di tanto in tanto, la vociona dissonante, ma, tuttavia, piacevole.

-“Kristen, stai ancora lì? Vieni, su, sbrigati. Ti stanno aspettando tutti nella presidenza.

Saltò in piedi di scatto. Senza nemmeno rendersene conto, era nel panico più completo.

Inutile la velleità di calmarsi, vana quella di stare ferma e ragionare: in men che non si dica, aveva cominciato a misurare a grandi passi la stanza avanti e indietro senza sosta.

-“ Hey, Kristen, vieni fuori! Non è il momento di giocare!” insistette Hagrid elevando di poco il tono. Ma chi aveva intenzione di scherzare e di giocare…sarebbe stato impossibile ed esattamente contraddittorio pensava la giovane. Finalmente, però, si decise a parlare.

-“Eccomi Hagrid, sto uscendo.”

Una volta fuori dalla capanna la ragazza dovette portarsi una mano dinnanzi agli occhi: il sole era così abbagliante, anche attraverso le foglie verdi degli alberi, che la stava accecando.

Hagrid, ancora avvolto in quel suo cappotto bruno rattoppato e sciupato, iniziò a spiegarle dettagliatamente la strada per arrivare alla presidenza senza correre il rischio di perdersi.

-“Dunque, è tutto chiaro? Devi proseguire dritto fino alle scale, poi girare a destra alla prima scalinata, poi ancora a destra sulla seconda, prendere il corridoio di mezzo e salire sulla scalinata di sinistra, devi sorpassare l’arco di pietra e continuare fino a che non ti trovi davanti a una statua di una fenice. Lì ci sarà qualcuno ad aspettarti” dichiarò come se fosse la cosa più facile del mondo.

A Kristen veniva da ridere. Di una risata nervosa che tradiva la sua insicurezza. Ma per che diavolo non l’accompagnava lui fino alla presidenza? Si sarebbe di certo persa, e come sperare il contrario? Con tutte quelle girate e scalinate, che figura avrebbe fatto incappando nella strada sbagliata? Insomma, non voleva fare figuracce proprio il primo giorno. Comunque, si sforzò di sorridere in modo naturale annuendo lievemente con la testa in cenno affermativo.

Detto questo l’omone si scansò per farla passare e la seguì con lo sguardo fino a che non la vide sparire nell’ingresso del castello.

Se la facciata esterna era bellissima, gli interni sembravano da favola. C’erano corridoi ampi e luminosi, sormontati da archi decisamente elevati, decorati con ghirigori e cuspidi di varie forme.

Il pavimento era antico, un po’ grezzo, ciò nonostante, si intonava perfettamente con la levigatezza delle colonne rigate di ordine corinzio. Sparsi sui muri vi erano quadri e arazzi pregiati, i quali parevano seguire con gli occhi i passanti. Tipico di un posto del genere pensò la ragazza.

Con immenso stupore si ritrovò davanti ad una scala gigantesca. Troneggiava l’ingresso con i suoi gradoni larghi, contornata da una balaustra di marmo niveo ingente e limato.

Fino a quel momento sembrava un castello disabitato: non c’era praticamente nessuno.

Stringendosi le braccia intorno al suo mantello corvino tentò di ricordare le indicazioni che il guardiacaccia le aveva gentilmente riferito, ma che sapeva non avrebbe ricordato.

-“Dunque, sali le scale e vai a destra…mi pare avesse detto così…”

Innalzandosi i primi gradini si sentiva un po’ meglio, in fin dei conti cosa avrebbe potuto esserci di male nel sbagliare strada? Dopotutto nemmeno ci era mai stata in luogo del genere.

Arrivata alla sommità, si ritrovò davanti a due diramazioni.

-“ E ora? Dove vado…forse è a destra, ma non sono sicura.. uhm…proviamo a sinistra…”

Le decorazioni delle colonne e dei quadri cambiavano andando avanti nella mediazione.

Il lungo corridoio sembrava quasi senza fine e le venne da pensare che forse avrebbe dovuto confidare meglio nell’istinto di procedere nell’altra direzione.

Giunta di fronte ad una grande trifora si fermò un secondo.

“Non ti sei persa”, cercava di convincersi, pur sapendo di dire un’assurdità, “ Vedrai che continuando troverai quella statua, stai calma..”.

Dei passi la fecero voltare.

Ok, la giornata non stava cominciando bene.

Non solo gli avevano avvelenato l’esistenza con quella punizione infernale, oh no, ci si doveva mettere anche Blaise con il suo comportamento da eterno saccente, il trio dello sfregiato, quella nullità di Colin Canon e la sua fortuna sfacciata, e, per concludere in bellezza, era in ritardo per la lezione di trasfigurazione per cui, conoscendo la professoressa McGranitt, avrebbe perso minimo una decina di punti. Insomma, era una giornata da accantonare nel folto archivio delle giornate no.

Per la fretta non si accorse nemmeno di aver sbagliato corridoio. Merlino come era nervoso.

Tornando indietro lungo l’andito qualcosa attirò la sua attenzione.

Una ragazza castana era affacciata alla finestra.

Si arrestò subito calibrando il suo peso da una gamba all’altra.

“Suvvia Draco, cosa ti può importare di una ragazza appoggiata alla finestra? Niente, no?”

Anche se i suoi pensieri lo facevano interrogare su questi concetti di poco conto, e tentavano di fargli considerare la situazione imminente del ritardo alla lezione, non riusciva a capire perché l’avesse così particolarmente notata: era un po’ strano.

I due si guardarono per alcuni istanti, immobili e silenziosi.

-“Scusami, saresti così gentile da dirmi la strada giusta per la presidenza? Temo di essermi persa…” affermò a fil di voce Kristen senza togliere lo sguardo dal volto del ragazzo. Pallido e serioso, con i capelli tirati indietro e biondissimi, quasi tendenti al bianco, le labbra fini e serrate e gli occhi, intensamente grigi. Grigi come mai ne aveva visti. La affascinavano, ma le mettevano anche inquietudine. Perché la fissava in quel modo? Distolse lo sguardo aspettando la risposta.

Il serpeverde rimase a bocca aperta. Doveva star sognando perché mai nessuno all’interno della scuola aveva mai usato quel tono con lui…insomma, era un ragazzo popolare, tutti lo conoscevano e lo trattavano con importanza, a volte anche con subordinazione.

Avrebbe voluto sbraitare contro quel visino delicato tutta la rabbia che aveva in corpo senza pensare che liberarsi su di lei sarebbe stato ingiustificabile, e che comunque lei non ne era la causa.

Piuttosto si rammentò che stava aspettando una sua risposta. Le parole che acidamente gli venirono alle labbra, si modularono inaspettatamente in un responso privo di emozioni.

-“Si, hai sbagliato strada. Devi prendere quel passaggio laggiù in fondo. Guarda, io devo fare la stessa strada…se ti va, la facciamo insieme per un pezzo.” Nel momento in cui finì di parlare il suo cuore gli si fermò, come raggelato da quello che aveva appena terminato di dire in un tono così palesemente…cortese…Inorridì internamente. Era impazzito o che?

In risposta ricevette un piccolo timido sorriso dalla ragazza.

Patetico…Ma che gli prendeva? Cielo, non si capacitava di un simile comportamento.

Kristen non poteva far a meno di studiarlo. Era consapevole che non era affatto educazione fissare le persone, e soprattutto, quelle che non si conoscevano, eppure guardarlo le era inevitabile.

Più che altro, non riusciva a capire l’impressione che le aveva suscitato: non si rendeva conto se fosse un bravo ragazzo o se nascondesse qualcosa dietro a quel suo modo di fare un po’ strano.

E, sinceramente, quest’alone misterioso che lo circondava la attraeva parecchio.

Erano fianco a fianco, camminando lentamente, scambiandosi occhiatine fugaci, orgogliosi di non mostrarsi interessati l’uno all’altro.

Lei, voleva dire qualcosa, però non si azzardava ad aprire bocca temendo di dire qualcosa di inappropriato e di farlo mettere a ridere di lei e della sua poca arditezza.

Lui, avrebbe voluto solo tornarsene nel suo dormitorio e prendersi a schiaffi per tutta la giornata.

Ben presto furono sul fatidico incrocio. I loro occhi si intrecciarono ancora una volta immergendosi nelle tonalità forti di quelle iridi così diverse. Con un cenno che rivelava agitazione, Draco si passò una mano tra i capelli setosi, per subito dopo, indicarle con un cenno del capo la via.

Kristen si sentiva un’idiota: come aveva preventivato aveva fatto per l’ennesima volta la figura della scema..

Guardando un’ultima volta quel viso lo salutò piano…

-“Grazie…allora ciao…”

-“Ciao…”

E si voltarono entrambi senza più dire una sola parola.

  
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