Libri > I Miserabili
Segui la storia  |       
Autore: thecitysmith    06/03/2014    3 recensioni
"In un mondo dove le città sono personficate, la Città di Parigi non si vede da secoli, allontanata dagli orrori della guerra e da tutto il peggio che l'umanità le ha sempre offerto di sé.
Enjolras sogna di incontrare Parigi, e di condurre la Città verso un domani migliore.
Quello che non sa é che adesso Parigi é un cinico ubriacone che si fa chiamare Grantaire."

| traduzione dell'omonima storia su ao3 di barricadeuse e piuma_rosaEbianca |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PB 6

Doveva scappare.


Era l’unico pensiero coerente nella testa di Grantaire, mentre correva. Ritornò come un fulmine nella sua soffitta e per un momento rimase lì immobile, tremando, ancora incapace di processare quello che era successo.


Era stato scoperto. Come era potuto accadere? Nessuno aveva mai capito chi fosse per secoli, non da quando aveva perfezionato l’arte di scivolare via dalle vite delle persone, inosservato, inutile, perché se un ubriacone smetteva di farsi vedere in una taverna allora tutti sapevano che era morto in un canale, e nessuno sospettava che si stesse invece rifacendo una vita e un nome da un’altra parte, in modo che non si notasse che non invecchiava.


Con tutti gli anni che erano passati, non era mai stato preso. Ci era andato vicino quando Napoleone aveva scandagliato ogni strada di Parigi per cercarlo, quell’uomo reso pericoloso dalla sua vanità ferita quando la sua Città non si era presentata a lui spontaneamente. Aveva rivoltato i bassifondi da cima a fondo e inseguito le voci che parlavano di un uomo che si era trasferito da poco e che diceva di essere il figlio del precedente proprietario, nonostante questo proprietario fosse stato giovane e senza eredi, e nonostante la fin troppo strana somiglianza tra i due. Grantaire era rimasto nascosto tra le travi del soffitto mentre l’ometto vagava furibondo sotto di lui, prendendo a calci pennelli e tele. Aveva trattenuto il respiro finché Napoleone non se n’era andato, dichiarando, «La mia Parigi» (Mia!) «non si abbasserebbe mai a vivere in mezzo a tutto questo sporco.»


Quando si era allontanato Grantaire era saltato a terra e si era inchinato in direzione della porta, un sorriso di presa in giro sul volto. «Desolato di deludere l’Empereur, ma non tutti abbiamo manie di grandezza.»


E adesso si era fatto scoprire da un ragazzo poco più che adolescente, che non ci aveva neanche provato seriamente, che l’aveva reso stupido e lento con appena uno sguardo. Un ragazzo che l’aveva fatto ustionare. Un ragazzo che era pericoloso, pericoloso per Parigi, pericoloso per i suoi figli e- qualcosa di oscuro cominciò a sussurrare dentro la sua mente.


La parte antica di lui, schiacciata sotto il Cristianesimo e la colonizzazione e quella finta civilizzazione, cominciò a ridestarsi, e a cantare in Gallico. Gli era mancata la lingua di sua madre, si ricordava mentre gliela sussurrava quando era bambino, e gli parlava di piacere e violenza e-


-era un solo testimone. Facile da far sparire. La Senna non lasciava scampo, l’acqua era profonda e le catacombe silenziose. Perché era una Città, e una Città deve proteggere i suoi figli.


Spessi tatuaggi blu e verdi colorarono la sua pelle come lividi, scendendo in spirali sui suoi fianchi, linee curve che parlavano della caccia. Una buona caccia, che avrebbe ribaltato i ruoli per inseguire quel lampo d’oro, il ragazzo avrebbe lottato, ovviamente, non era abituato ad essere la preda ma alla fine avrebbe avuto paura e avrebbe corso e allora si sarebbero ritrovati nella foresta delle strade ma Parigi le conosceva e l’avrebbe intrappolato e immobilizzato e gli avrebbe morso il collo mentre lo costringeva a terra e-


-Grantaire ritornò bruscamente in sé stesso, così velocemente che per poco non cadde. I tatuaggi svanirono, ma il suo battito non accennò a diminuire. Non aveva sentito i tamburi da più di un millennio. La situazione doveva essere davvero disperata se il vecchio mondo riusciva a chiamarlo con così tanta facilità.


Non c’era altra soluzione, allora: doveva scappare. Grantaire afferrò una vecchia valigia e cominciò a riempirla con i suoi pennelli e colori. Non aveva altri vestiti a parte quelli che indossava, e per quanto riguardava le bottiglie disseminate per la stanza, bé, le avrebbe bevute prima di andare via. E una volta che l’avrebbe fatto, nessuno l’avrebbe più trovato. Soprattutto non un gruppetto di giovani uomini dalle buone intenzioni ma senza troppo potere.


Non poteva lasciare i confini della città. Quello, ovviamente, gli era fisicamente impossibile. Ma poteva nascondersi, c’erano una miriade di angoli e crepe sparsi per tutta la città. A dirla tutta, se fosse stato davvero disperato sarebbe potuto andare a bussare alle porte del Palazzo Reale, e il Re non l’avrebbe mandato via una volta vista la sua vera identità. (un immagine della faccia di Enjolras quando l’avrebbe saputo, dipinta di un dolore che non era normale per lui, e no, Grantaire non era così disperato.)


Bussarono alla porta.


O forse lo era, disperato. Grantaire si guardò intorno in preda al panico, e per un solo, isterico attimo, valutò la possibilità di nascondersi sotto al letto.


I colpi alla porta divennero più insistenti, quasi frenetici. Grantaire chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e, in una voce di almeno un’ottava più alta per colpa dell’ansia, chiese, «Chi é?»


Sentì un’imprecazione sottovoce e poi Enjolras spalancò la porta di forza. Era senza fiato, con i capelli che gli coprivano il viso, e si immobilizzò non appena vide Grantaire. Per un momento si guardarono l’un l’altro.


«Potresti chiudere la porta?», chiese Grantaire, con una calma esagerata. Forse era tutto un sogno dovuto al fumo dell’incendio. Forse Enjolras non ne avrebbe parlato.


«Tu sei Parigi.»


O forse no.


Era quasi un’accusa. Grantaire non era molto bravo nei confronti faccia a faccia, quindi fece l’unica cosa che sapeva fare quando si trovava all’angolo.


«Non ho idea di cosa tu stia parlando.», ci fu una pausa mentre entrambi cercavano di processare l’enormità di quella bugia. Enjolras lo guardò sbalordito.


«C’é una linea retta tra la tua soffitta e le case bruciate, e tu l’hai percorsa in una manciata di secondi.»


«E’ sempre stata lì, e non é proprio colpa mia se non l’hai mai notata.»


«Attraversa degli edifici.», la porta si chiuse sbattendo e Enjolras cominciò ad avvicinarsi. Grantaire indietreggiò. «Ti ho visto toglierti di dosso dei detriti che avrebbero ucciso un uomo normale.»


«Hai respirato molto fumo e hai anche sbattuto la testa, non é che vuoi che chiamo Joly?», si ritrovò con la schiena attaccata alla scrivania ed Enjolras continuava ad avanzare.


«Hai risposto al tuo nome.»


«L’hai urlato nel bel mezzo della strada e io ero solo stupito. Non puoi incolparmi di essere sorpreso se cominci a blaterare della tua amata Patria quando siamo a un passo dall’essere morti entrambi.»


Enjolras sbatté le mani ai lati di Grantaire, circondandolo e afferrando il tavolo con una stretta terribilmente salda. Il suo viso era a pochi centimetri di distanza da quello di Grantaire, che si inclinò indietro il più possibile, nonostante la tentazione che erano quelle due labbra rosse. Gli occhi del suo Apollo fiammeggiavano e avere tutta quell’attenzione rivolta a lui era terrificante.


«Qual é il tuo nome?»


«…Grantaire.»


«Qual é il tuo nome?»


«Grantaire!»


«Quello é un cognome, qual é il tuo nome di battesimo?», Grantaire divenne di ghiaccio e Enjolras continuò ad incalzarlo. «Come si chiama tuo padre? E qual era il cognome da nubile di tua madre? Dov’é che avevi detto che lavori? Dove sei cresciuto? Perché il tuo accento é così strano? Perché so così poco di te?»


«Perché non mi hai mai chiesto nulla!» scattò Grantaire. «Ti sei reso conto che questa é la più lunga conversazione senza insulti che abbiamo mai avuto? Non sai niente di me perché non te ne é mai importato abbastanza da chiedere!»


Enjolras fece un passo indietro. Prese un respiro profondo, come quando era nel bel mezzo di un dibattito e decideva la miglior risposta da dare, e Grantaire si preparò per un assalto verbale in piena regola, ma il suo Apollo disse solo, «Hai ragione.»


Grantaire lo guardò a bocca aperta, sbalordito.


«Non ho mai chiesto.» Enjolras mise la mano sulle ustioni del braccio di Grantaire, così attento, e Grantaire non sapeva come comportarsi con lui attento. Era passato troppo tempo e non sapeva come reagire ad un tocco gentile, e cercò di divincolarsi, ma Enjolras non si allontanò. Lo fissò dritto negli occhi. «Ma se lo facessi, adesso. Sarei ancora in tempo?»


Grantaire non riusciva a respirare. Il palmo della mano di Enjolras lo infiammava, fin nel profondo.


«Tu sei Parigi?», e non era più tempo delle bugie. Grantaire voltò la testa. Enjolras abbassò la voce, «Non devi dire di sì, se non vuoi.»


«A nessuno é mai importato di cosa volessi io.», continuava a guardare di lato, come se non stesse succedendo nulla. «Le Città… le Città non possono volere delle cose.»


La presa di Enjolras diventò così stretta da essere quasi dolorosa. Grantaire si voltò e lo vide illuminarsi, trionfante, gli occhi scintillanti, bloccato tra il desiderio di chiedere altro a Grantaire e di sorridere. Sarebbe stato meraviglioso, perfetto per un dipinto, se non per il modo in cui Enjolras lo stava guardando; come se non l’avesse mai visto prima di allora. Nelle viscere di Grantaire si fece strada una sensazione orribile. Per fortuna Enjolras si era allontanato, le mani tra i suoi riccioli biondi, e camminava avanti e indietro. Era perfettamente a suo agio, aveva trovato qualcos’altro su cui discutere e ragionare. I suoi occhi blu non lasciarono Grantaire neanche per un istante. «Come abbiamo fatto a non capire? Sei comparso una sera, e sapevi tutte quelle cose di filosofia, e conoscevi la nostra causa, ma nessuno di noi ha mai sospettato, come abbiamo…»


Ah, questo era terreno familiare, per Grantaire. «Come avreste potuto, quando sono così?». Indicò sé stesso senza entusiasmo. «No, penso che le aspettative generali fossero un po’ più alte.»


Enjolras corrugò la fronte, smettendo di camminare per guardarlo seriamente. «Non era affatto quello che intendevo.»


«Non serve che menti, Apollo, ho visto la tua espressione quando hai capito la verità.» Lui aveva fatto la sua confessione, adesso era il turno di Enjolras. «Eri orripilato, vero? Non che non avessi ragione ad esserlo.»


«Ma certo che no. Hai capito male. Non ero orripilato da te, ma da me. Per il modo in cui ti ho trattato. La Città di Parigi si palesa e mi salva la vita e io cosa faccio? La colpisco dritta in faccia!»


«Lo,» disse Grantaire con calma. I tamburi si accesero nella sua testa. Enjolras era confuso. «Lo, non la. Non sono una cosa


«Io-», non aveva mai visto Enjolras così senza parole, e così tante volte nello stesso giorno. Si chiese se sarebbero riusciti a sbloccare la situazione. Cercò di sorridere, anche se in realtà il suo sorriso sembrava di più una smorfia ringhiante.


«Non preoccuparti. Non importa.»


«Certo che importa!», la discussione stava diventando rapidamente strana e scomoda. «Sei Parigi. Di te si sa così poco, e tutto quello che dici, che pensi di te stesso é importantissimo. Questo cambia tutto, tutto quello per cui abbiamo lottato.»


«Enjolras.», i tamburi erano sempre più forti.


«Sei la ragione primaria per cui ho fondato i Les Amis. Sei l’ideale per il quale abbiamo combattuto, per il quale abbiamo cercato di convincere il popolo.»


«Enjolras.»


«Ho sognato di incontrarti, tutto l’abbiamo fatto, ma per me- Io amavo-»


«Non osare dirmelo.» La diga cedette e tutta la sua disperazione ne uscì come un fiume in piena. «Non potrei sopportarlo. Mi hai odiato prima di sapere chi fossi. E potevo anche accettarlo, potevo capirlo. Ma dire che- dire che mi- no- no, non posso, non voglio.»


Enjolras lo stava guardando di nuovo con orrore, e, peggio ancora, con pietà. «Cosa ti é successo? Chi ti ha reso così?»


«Ha! Nessuno,» e si voltò. Gli serviva qualcosa da bere, gli serviva disperatamente. Enjolras era troppo vicino, la sua presenza gli inondava i sensi e stava diventando difficile distinguersi, Città e cittadino. Grantaire prese una bottiglia mezza vuota e bevve. «E tutti, credo.»


Bevve a lungo, e quella parte di lui che aveva l’anima malata e corrotta (le puttane e i poveracci e i ladri) si beava dell’espressione sul viso del suo Apollo. Enjolras se ne stava lì, i capelli circondati di luce come un’aureola e Grantaire voleva soltanto afferrarlo, tirarlo giù da quel suo piedistallo e…


«Non posso farne a meno. Voglio aiutarti.»


«Non ho bisogno di essere salvato da nessuno.», e l’alcool la faceva sembrare una frase facile da dire.


«Ovviamente.», il sarcasmo era uno sbaglio, Enjolras se ne rese conto nel momento stesso in cui lo disse. Gli occhi di Grantaire divennero immediatamente di un blu ghiaccio, piatto, mortale (se ne era dimenticato da tempo, ma anche lui era stato capace di essere terribile, una volta).


«Fuori.»


«Grantaire-»


«Questo non cambia niente, perché in tutti il tempo che ho passato ad ascoltarti, non c’é stata una singola volta in cui sono stato d’accordo con te. O te ne sei dimenticato?» Stava rovinando tutto, e lo sapeva. Il marmo di Apollo si stava crepando, rivelando un uomo dal cuore ferito. «Adesso fuori.»


Ed Enjolras se ne andò.


Grantaire radunò le sue bottiglie e bevve, bevve e bevve finché le catacombe dentro la sua anima furono piene, e poi bevve ancora, finché quell’acqua sporca non si chiuse sopra la sua testa.












Note delle traduttrici

Il motivo per cui abbiamo deciso di portare questa storia su EFP é semplice: Paris Burning é un capolavoro che va al di là della semplice fanfiction, é un worldbuilding spettacolare che tutti dovrebbero leggere, anche al di là del fandom di Les Misérables. Entrambe l'abbiamo letta, ci abbiamo pianto lacrime amare, l'abbiamo adorata, e abbiamo deciso di provare a tradurla. Non eguaglieremo mai lo stile dell'autrice, della nostra R (si firma così davvero e afferma che sia solo una fortunata coincidenza), e anzi, se potete, andate anche a leggere l'originale. Noi qui abbiamo il nostro piccolo tentativo

In questo capitolo, Grantaire sente per la prima volta i tamburi. Il concetto dei tamburi é terribilmente affascinante, perché é così geniale che lascia senza parole ogni volta: le Città nascono quando le persone si sentono a casa dentro le loro mura (in realtà é un processo preciso che é spiegato sul tumblr dell'autrice). Sono composte da strati e strati di civilizzazioni diverse, e quelle più antiche, come Londra, Parigi, Roma, e tra le altre italiane anche Torino e Napoli e tutte le città che già prosperavano durante l'impero romano, hanno ancora nel profondo un'idea di paganesimo. E per quelle Celtiche, allora il segno tangibile sono i tatuaggi, che accomunano Parigi, Londra, Edimburgo, Glasgow, almeno nel canon. E insieme a quello ci sono i tamburi, che chiamano alla battaglia e alla guerra: Parigi sente i tamburi celtici, perché sono il primo suono che ha associato al combattimento. L'autrice ha spiegato che le città più giovani, fondate nell'Ottocento, per esempio, sentono i cannoni, o alcune addirittura il fischio dei bombardamenti delle Guerre Mondiali. Ma tutte le Città sentono la guerra, anche se in mondo diverso. Scusate il papiro, ma questo worldbuilding, mioddio.

Per questo capitolo, la traduzione é di barricadeuse e il betaggio di piuma_rosaEbianca. Abbiamo deciso di alternarci un po', per dividerci il lavoro. Per qualsiasi domanda, o annotazione, anche tecnica, non esitate a chiederci. E se avete qualcosa che vi incuriosisce sulle Città, sentitevi liberi di lasciare un messaggio privato.

Abbiamo deciso di pubblicare un capitolo a settimana: ci siamo già portate avanti per non avere problemi o ritardi, quindi possiamo dire con sicurezza che d'ora in poi il giovedì sarà il giorno di Paris Burning. E quindi il giorno dei feels. Ci rivediamo il 13  marzo.

Ringraziamo chi ha commentato e messo Paris Burning tra preferiti e seguiti: continuate a crescere e ad avvicinarvi anche all'originale, cosa di cui siamo contentissime (e anche dopo aver letto quel capolavoro riuscite ancora a farci dei complimenti, siete meravigliosi)

The Cities are still burning,
al prossimo capitolo,
b + c.



  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I Miserabili / Vai alla pagina dell'autore: thecitysmith