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Autore: Crow17    06/03/2014    1 recensioni
Mi accasciai lentamente a terra, sempre ad occhi chiusi, persa nei miei pensieri annebbiati dal sonno. Presi il cellulare dalla tasca del cappotto con una mano infreddolita. Nessun messaggio. Nessun segno di lui.
Prima di cedere al dolce tepore dell’incoscienza, un pensiero mi balenò nella mente.
“E se mi avesse mentito? Se fosse tutto uno scherzo crudele? E se…”
Una lacrima gelata cadde dai miei occhi stanchi, quasi ad indicare la fine.
Morii.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai di buonumore quella mattina. Era domenica, il mio giorno preferito. La passeggiata nel bosco della sera prima mi aveva tranquillizzata abbastanza da poter finalmente dormire. Scesi di corsa a fare colazione. Mamma era già sveglia da un pezzo, aveva un quadro da finire che la ossessionava da un po’. Papà era probabilmente già uscito per andare a vedere una partita di basket con gli amici. Preparai il mio spuntino, un bicchiere di succo di arancia e un muffin, e corsi di nuovo in camera mia.
Avevo ancora un paio d’ore prima che Matt, Alan e Christine venissero a casa mia per il progetto di inglese. C’era stata una lotta incredibile per decidere il luogo d’incontro, durante le lezioni, e alla fine venne deciso che fosse casa mia. Mia madre sarebbe uscita, quindi non ci sarebbe stato nessuno a disturbarci.
Mi vestii con una felpa grigia e pantaloni della tuta, e tornai in cucina per preparare il pranzo.
“Tesoro! Non ti dispiace se esco un po’ prima, vero?”
“Certo che no, mamma!”. Ero stupita da quella domanda. “Perché, dovrebbe dispiacermi?”
“Era solo per chiedere.” Mi rivolse un caldo sorriso, prima di ritornare a dipingere.
“Tra quanto te ne vai?”
Ci pensò su, prima di rispondermi. “Tra circa un quarto d’ora, forse venti minuti.”
“Quindi non pranzi con me..”. Cercai di nasconderle il mio sguardo deluso. Non volevo che evitasse di uscire per colpa mia. “Divertiti!”.
Mi preparai un pasto misero. Mi era passata la fame, quando avevo aperto il frigo.
“Allora io vado, tesoro. Buona fortuna con la vostra ricerca!”.
Non aspettò nemmeno la mia risposta. Stava tornando tutto come prima che accadesse il mio incidente.
Uno schifo.
Mentre mi crogiolavo nei miei tristi pensieri, suonò il telefono.
“Ciao dolcezza!”. Era Christine.
“Ciao Chris! A che ora vieni, oggi pomeriggio?”. Avevo un sospetto sul perché avesse chiamato.
“Ecco… È proprio di questo che volevo parlarti. Vedi… I miei mi hanno costretta ad andare a casa di mia nonna, a Seattle, per un paio di giorni. Quindi… Ehm… Oggi non posso venire!”.
I miei sospetti erano fondati, dunque. Sospirai mentalmente.
“Oh… Beh non preoccuparti, faremo noi la ricerca e poi ti daremo gli appunti.”
“Grazie! Sei proprio un amore!”.
Passò così I restanti minuti della telefonata, a ringraziarmi di continuo e dirmi che mi doveva un favore.
Riattaccai. Questa volta sospirai rumorosamente. Odiavo quando mi dava buca così. Cercai di non pensarci e mi distesi sul divano a guardare il televisore, in attesa. Due ore dopo qualcuno suonò il campanello. Erano Matt e Alan.
“Benvenuti! Prego, accomodatevi!”. Li portai in soggiorno.
Matt fu il primo a parlare. Avevano entrambi delle facce strane. Incuriosite? Sospettose?
“Ho portato una torta, pensavo ti avrebbe fatto piacere.”
Lo ringraziai e portai la torta in cucina.
Sarà un lungo, lunghissimo pomeriggio.
Dopo aver offerto loro la torta e qualcosa da bere iniziammo a lavorare.
La ricerca era da fare su un autore inglese di poesie o racconti brevi. Vita, opere… Insomma, il solito. A noi era stato assegnato William Shakespeare. Scontato, ma era stato ad estrazione, quindi non avevamo scelta.
Per due ore scrivemmo senza sosta, aiutati da internet e vari libri di scuola.
Eravamo tutti di poche parole, quindi nessuno parlò per un po’.
Finito il tutto mi accasciai sulla sedia. Non sopportavo le ricerche, ai miei occhi erano inutili. Matt e Alan fecero lo stesso.
“Vi va qualcos’altro da bere, ragazzi?”. Matt mi rivolse uno sguardo riconoscente, e Alan annuì, in silenzio.
Quel ragazzo proprio non riuscivo a capirlo.
Mi diressi in cucina, e preparai del succo e dei panini. Sicuramente avevano fame. Quando tornai in soggiorno stavano parlottando tra di loro in modo concitato e a bassa voce, ma appena entrai nella stanza si bloccarono subito.
“Ho fatto qualche panino, immagino abbiate fame…”. Mi sentivo a disagio. L’atmosfera era cambiata.
“Grazie, ero proprio affamato!”. Mi rivolse un sorriso, cercando di mitigare il clima di tensione che si era creato.
Presero il cibo in silenzio. Le loro espressioni non mi convincevano. Sembravano preoccupati e, allo stesso tempo, pronti a combattere.
Molto strano.
Diedi un morso al mio panino, cercando di evitare i loro sguardi.
L’aria era sempre più pesante, e la nausea che provavo per il cibo nelle mie mani sempre più forte.
Appoggiai il panino e bevvi un sorso di coca.  Matt e Alan mi guardavano di sottecchi, pensando che io non me ne fossi accorta.
Ero sempre più tesa. Avevo i nervi a fior di pelle per chi sa quale motivo. Eppure ero lì, con le gambe e le braccia rigide come marmo, aspettando qualcosa.
Cercai di distrarmi guardando in giro per la cucina. Ciò che attirò la mia attenzione fu un piccolo foglio di carta quadrato, proprio al centro del tavolo. Non lo avevo notato prima, durante la ricerca.
 Rimasi incantata a fissarlo. Non era vuoto, c’era un disegno al suo interno che non avevo mai visto.
Quasi non mi accorsi che i ragazzi mi stavano osservando apertamente, senza nasconderlo. Ero troppo presa da quei simboli sul foglio. Allungai il braccio, senza pensarci. Era come se ilo mio corpo si muovesse da solo. Lo presi in mano, molto delicatamente, come se potesse sparire da un momento all’altro.
Matt e Alan erano rimasti in silenzio, fino a quel momento. Matt mi chiamò, più e più volte, ma io non risposi.
Improvvisamente il foglietto prese fuoco. Gridai per lo spavento, alzandomi dalla sedia di colpo.
I due ragazzi non sembravano sorpresi dell’accaduto. Mi guardavano con una strana espressione sul volto, la loro preoccupazione era evidente.
Mi guardai le dita bruciate. Il contatto col fuoco non era stato molto lungo, eppure sembrava che avessi messo le mani sul fornello. Enormi chiazze rosse erano comparse non solo sulle dita, ma anche sui polsi e sui palmi. Non capivo cosa stesse succedendo, il dolore era così intenso da annebbiarmi la mente.
Matt si alzò per primo, seguito a ruota da Alan. Presero la loro roba e si avviarono verso la porta.
Prima di uscire, Matt mi salutò.
“Noi ce ne andiamo, Ophelia. Fai attenzione.”
“Andate… Sì…” Ero ancora troppo scossa per formulare una frase coerente. Stavo ancora fissano le bruciature.
Cos’è successo?  
Andai lentamente a sedermi sul divano della cucina, senza mai distogliere lo sguardo dalle mie mani.
I segni stavano già scomparendo, eppure il dolore era ancora fortemente presente.
Rimasi lì per un paio d’ore, con lo sguardo perso, fino al ritorno di mia madre. Quando mi vide i quello stato venne ad abbracciarmi di corsa, preoccupata.
“Tesoro, che è successo? Stai bene?” Era talmente agitata che tremava.
“Bene… Sto bene…” Cercai di rassicurarla, ma non fu sufficiente.
“Puoi dirmi che è successo? Quei ragazzi ti hanno fatto male? Se scopro…”
Mi tappai le orecchie, urlando. Mi alzai di scatto, facendole perdere l’equilibrio.
“Troppo rumorosa.” Esplosi. Tutta la calma che avevo era svanita in un battito. C’era solo rabbia dentro di me. Rabbia omicida. Mi avviai verso l’uscita, quell’odio che non si estingueva. Mia madre cercò di fermarmi, ma era troppo sconvolta per provarci davvero. Non mi ero mai comportata così con lei.
Uscii di corsa, senza una meta. Era buio, la luna era nascosta tra le nuvole. Corsi a perdifiato, senza mai fermarmi. Solo quando fui fuori dalla città, mi bloccai.
Qualcuno mi stava seguendo. Erano almeno in quattro.
“Chi siete?” La voce mi tremava.
Uscirono lentamente dall’ombra. Mi accerchiarono, escludendomi ogni via di fuga.
Sono solo in sei.
“Cosa volete da me? Lasciatemi stare!” Il sangue mi ribolliva nelle vene.
La donna che era davanti a me fu la prima a parlare. Aveva uno strano accento.
“Non ti muovere. Se vuoi salva la vita, devi venire con noi.” Fece una pausa per osservarmi. “Non accetteremo un no come risposta.”
Lentamente iniziarono a stringere il cerchio attorno a me. Uno di loro tirò fuori una pistola, e me la puntò addosso.
La mia rabbia, a questo punto, era mista alla paura.
Cosa vogliono da me, queste persone? Devo andare via da qui!
Feci un passo indietro, preparandomi per scappare.
Uno. Due. Tre spari.
Caddi a terra, gridando per il dolore. Tutti e tre i proiettili erano penetrati in vari punti della schiena.
Il dolore era insopportabile. Urlai ancora e ancora, ma quelle persone non batterono ciglio.
La mia testa stava scoppiando. Pensai di morire. Di nuovo.
Il tepore dell’incoscienza stava iniziando a prendere il sopravvento.
No, non di nuovo. Ti prego, non voglio morire ancora!
Chiusi gli occhi, annegando nella paura e nella disperazione.
“Oh, cielo! Ti hanno proprio conciata per le feste, eh?” Una risata.
Riaprii gli occhi, sorpresa. Il dolore era sparito, così come la paura.
Lei era lì, in mezzo a quelle persone, eppure nessuno sembrò accorgersi di lei. Camminava verso di me, con il suo solito ghigno stampato in faccia.
“Cosa ci fai tu, qui?” L’altra me  si era fermata di fronte a me.
“Non essere cattiva! E chiamami Jedis, non ‘l’altra me’. Solo perché sono identica a te non significa che sono altrettanto stupida.” Un’altra risata.
“ Cooooomunque… Sono qui per aiutarti, zuccherino! Tieni!” Mi diede una piccola fiala di vetro.
Non riuscii a riconoscere il liquido al suo interno. Aprii bocca per domandarglielo, ma mi fece segno di tacere.
“Bevi, tesoro. Starai subito meglio e potrai uscire da questa brutta situazione!” Il suo sorriso non mi convinceva molto, ma decisi di ascoltarla. L’alternativa era la morte per mano di quegli individui.
Svuotai la boccetta in un solo sorso. Non avevo tempo di pensare alle conseguenze.
Sul momento non accadde nulla. Quando alzai lo sguardo, Jedis era sparita.
Tornai alla realtà, il dolore al fianco ancora forte. Ma qualcosa era diverso.
Iniziai a tremare. Un calore immenso si diffuse su tutto il mio corpo, mutandolo.
Tutto ciò che provavo in quel momento era calore. Le ferite si richiusero in pochi secondi.
Avevo la vista sfocata, ma cercai di guardarmi attorno. Le persone che prima mi circondavano correvano in modo disordinato. Qualcuno urlava, ma non riuscivo a sentire bene.
Mi alzai in piedi, traballante.
Sono più alta? Mi sento così strana…
Davanti a me la donna che mi aveva parlato tirò fuori una pistola.
Non capii ciò che successe dopo. Avevo perso il controllo del corpo, riuscivo solo a vedere quello che facevo.
Mi lanciai contro la donna, lanciando un urlo acuto.
Poi fu buio.
  
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