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Autore: aniasolary    07/03/2014    4 recensioni
(Storia da revisionare)
Young Adult con elementi sovrannaturali e di Mistero.
In un pomeriggio assolato, le urla di una bambina oscurano il cielo; lei è un'arma, lei non potrà mai vivere, lei non può fare altro che nascondersi.
Anni dopo, un ragazzo trova la sua fotografia fra i documenti di suo padre. Un padre assente, troppo lontano da tutto e da tutti, così preso dai documenti fra cui c'è quella fotografia.
Sei appena venuto a conoscenza della presenza di un burrone. Vai a vederlo. Non ti aspetti che ci cadrai dentro.
Quella ragazza.
Quell'arma.
Quel ragazzo.
Il suo mondo.
Sogni spezzati.
L'amore difficile.
Vite in sospeso.
Amicizie distanti.
Vite rimaste indietro.
Vite in pericolo.
Buio.
Speranza.
Ed un uomo nell'ombra.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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until 27

until

Illustrazione di presa da Google.

Grafica dell'immagine a cura di Honey Essentials.

Ne è vietato il riutilizzo. Tutti i diritti riservati.

25. 

Sogni bruciati

Hans

 

Quando apro gli occhi è ancora notte. La mia mente è vuota... non ho niente, qui dentro. Niente, a parte un fastidio allo stomaco. 

Mi tocco la pancia e trovo una benda, premo, mi mordo la lingua perché fa ancora male. E mi chiedo perché sono qui.

Poi volto la testa.

Yvonne dorme; con le gambe lunghe tese, le mani unite sullo schienale ad appoggiarci il mento, i capelli biondi a sfiorarle il viso. È così buio, eppure riesco a vederla. Di sicuro per la macchina che le sta accanto, quella che prende il battito del mio cuore con flash verdi. Si vede la radice scura dei suoi capelli… avrà ancora i riflessi rossi? Un giorno la vedrò al sole, e me ne accorgerò. 

Alzo il braccio per passarmi una mano fra i capelli e mi chiedo da quanto tempo sono rimasto addormentato. Mi chiedo se ho avuto paura di morire, prima di perdere i sensi, perché non ricordo. Mi chiedo se qualcuno si è fatto male oltre a me. Mi chiedo se Sarah…

Yvonne ha le labbra piene, socchiuse.

"Come fai a dormire con la bocca aperta, eh, Hans?" Avevamo nove anni, quando mi addormentai sul tappeto della sala dei giochi con il libro della giungla sotto la testa riccia.

"E tu sei rimasta qui ad osservarmi?"

"Con quella faccia stramba."

"Ti sognavo, Vonnie."

"Hai sempre una faccia stramba."

"Ti sogno sempre, anche quando non dormo."

Fa male dappertutto, fa male tutto quello che non c’è più. Fanno male i ricordi che ritornano. Noi bambini. Noi cresciuti. Noi che camminiamo mano nella mano. Noi che capiamo che non possiamo farlo più perché tutti ridono. Lei che mi saluta con la mano, il trolley ai suoi piedi, un padre adottivo ad aspettarla. Lei che mi promette che tornerà a trovarmi. Lei che non torna più. Io che cerco di dimenticarla, ma la cosa migliore che riesco a fare è trasformarla in memoria. Ora lei con i capelli biondi, bellissima, stanca. Lei che ama con tutto il cuore un uomo che le ha sputato indietro solo veleno. Lei che ama quell’uomo perché da quel giorno è la sua famiglia, è una possibilità. Tutto vano. Forse una volta era quella la speranza, ma lei ci ha sempre creduto. 

E poi quella speranza ha cercato di uccidermi.

In cosa credi, Yvonne?

Continuo a guardarla.

Crederai ancora in qualcosa?

E poi apre gli occhi.

Lo fa in quel modo in cui lo fanno i bambini, con le ciglia castane che le sfiorano la pelle sotto gli occhi per quanto sono lunghe. Lo fa senza vedere, con quegli occhi d’ ambra liquida che sono il sole al tramonto, minerali brillanti di roccia.

Sbadiglia. Si mette la mano davanti alla bocca quando è tardi.

Da quanto tempo sei qui?

Il macchinario accanto a lei mostra il modo indecente in cui il battito del mio cuore aumenta.

«Hans.» La sua voce si espande nella stanza, con quella tonalità di sorpresa, di gioia, e il cuore mi scoppia perché lei sorride. Da quelli che sembrano milioni di anni, lei sorride. «Stai… come ti senti?» mi chiede.

«Gli altri?» riesco a chiedere io. Tuo padre mi ha sparato, gli voui ancora bene? Vorrei che fosse importante, vorrei imparare ad odiare di più... ma non posso odiare proprio te. «Gli altri sono qui? Sono…»

«La polizia è arrivata e i medici sono intervenuti appena in tempo.»

«E Sarah? »

«Dopo aver fatto quella cosa assurda con quella... roba che ha nel cuore è svenuta, deve ancora svegliarsi. Così come deve ancora svegliarsi mio pa… volevo dire, Joe.» Sospiro. E penso a Sarah e improvvisamente non riesco a non immaginarla come la prima volta in cui le mi sono avvicinato. Aveva i capelli lunghi tutti da un lato, così magra, così impaurita… ma l’ultima volta non era così. L’ultima volta era ancora magra e sembrava fragile ma ha fatto qualcosa per cui le sarebbe servita la forza di tutti noi. Yvonne si stringe nelle spalle, i suoi occhi sono ancora lucidi, è stanca morta quando io potevo essere soltanto morto. Ma lei mi ha seguito, perché ora mi appare in un’immagine sbiadita lei che si china su di me, lei che ha le mani sporche del mio sangue, lei che chiama il mio nome ed io riesco a sentirla. L’ultima cosa che faccio prima di perdere i sensi è sentirla. «Hai dormito per cinque giorni. L’operazione è andata bene ma devi stare ancora a letto per un po’.»

«Anche tu dovresti startene a letto per un po’, una notte per esempio. Perché sei rimasta qui?»

«Mica sono stata l’unica, è venuto anche Phil.» Parla veloce, come se l’avessi affrontata.

Sospiro, sorrido. Penso a come si sarà sentito Phil, a quanto mi avrà odiato per questo. 

«Ma Phil è il mio migliore amico.»

«Lo so.» Ha un tono più alto, scocciato, la sto infastidendo. Sembra la bambina che perdeva quando giocavamo a nascondino.

«Tu…»

«Stai dicendo delle cavolate, chiudi gli occhi e dormi.»

Sembra la bambina che mi guardava dormire e poi crollava vicino a me, la notte, sul tappeto dei giochi.

«Tu non te ne sei dimenticata.»

«Non capisco.»

Sento un dolore al cuore, qualcosa che non posso spiegare come la maggior parte delle cose della mia vita. «I giochi all’aperto, il memory, gli ovetti di cioccolata nascosti nella credenza che mangiavamo sotto il tavolo, la neve in giardino…» Si alza in piedi, si passa le mani sul viso e poi fra i capelli, quei capelli lunghissimi… «E i tuoi capelli castani.» 

Resta in silenzio. La sento respirare, avverto il dolore allo stomaco più profondo ma non mi lamento, sono troppo concentrato su di lei. Lei che torna a sedersi, con il capo basso, e non parla. Ma poi, dopo un attimo, dice: «Non sei cambiato per niente.»

Mi viene da ridere.

«Perché?»

«Dormi ancora con la bocca aperta.»

«Nemmeno tu sei cambiata.»

«Perché?»

«Perché continui a guardarmi.»

 

Sarah

Mi sono svegliata in ospedale dopo sei giorni dallo svenimento, stordita, ma abbastanza lucida da ricordare tutto nei dettagli come se non fosse davvero un ricordo. Ogni cosa accaduta e legata a quello che so fare, quando chiudo gli occhi mi pare succedere di nuovo in un mondo a parte, ancora nel presente.

Ma «È passato, Sarah. Finalmente è passato tutto.» della nonna mi ha rassicurato del contrario. Mi ha abbracciato, lei forte, io inferma, lei forte, poi finalmente forte anch’io, a stringere con un braccio lei e con un braccio il nonno, che piangeva per noi.

Ricorderò per sempre anche questo.

«La storia delle pietre nere è antica come il mondo, è nata con il mondo.» La voce di Joseph Scott in realtà Sullivan è tranquilla anche se grave. Martin l’ha sempre creduto suo padre, Martin l’ha creduto l’artefice di tutti i nostri problemi quando lui, ancora prima di noi, pensava a risolverli. A trovare la chiave. A disattivare il congegno. Mi mostra dei vecchi fogli ingialliti con parole dall'inchiostro sbavato e sbiadito, disegni antichi. Il volto di una donna dagli occhi azzurri e i capelli neri. «Lei, Alisia, è nata con quello che Joshua ha fatto a te, portando la giustizia e la grazia. Oltre a quella del suo cuore, è stata custode delle cento pietre nere rimaste. Diventata anziana, le ha spartite alle famiglie nobili del suo villaggio: gli Harvey, i Tyger, i Powell, i Jenkins e i Silvers, che avevano il compito di mantenere l'esistenza delle pietre assolutamente segreta. Nel corso dei secoli, le pietre sono state usate, e ogni famiglia controllava l'altra in modo che esse fossero usate per buoni scopi. In modo che le pietre fossero sempre conservate nello scrigno dell'argento di luna, per equilibrare bene e male. Ma come sai, a un certo punto qualcuno ha fatto un errore e quell'errore... Tutto questo, Sarah, deve restare segreto come lo è sempre stato. Ormai tu sei l'ultima, e l'ultima pietra nera è dentro di te.»

«Mi sta chiedendo di mantenere segreto quello che io ho sempre voluto nascondere, non cambia molto da quello che ho sempre fatto.» Joseph, i capelli cortissimi e neri, il naso sottile e gli occhi gentili, mi sorride paziente. Non gli ho fatto alcuna domanda; Martin non ha ancora avuto modo di parlare con lui, e non voglio fare domande che non sono mie. È una cosa che appartiene a Martin e non a me, anche se ci sono cose di noi che si appartengono le une con le altre.

«Senza, però, crederlo una condanna.»

Abbasso gli occhi. «Mi ha condannato…»

«La disgrazia che ci ha colpiti ti ha dato un dono e tutti i grandi doni condannano, sempre, chi li possiede. Il tuo è oltre l’umano, oltre il possibile. E per questo ti abbiamo sempre protetta.» Resto senza fiato, incapace di formulare una risposta in pochi secondi. Quando parlo, viene fuori qualcosa di balbettato, incomprensibile anche per me stessa.

«Come… come…»

«Joseph?» Qualcuno bussa alla porta.

«Entra pure, Patrick.»

La porta si apre e un uomo alto e robusto entra nella stanza. Ha una barba folta e bruna, occhiali che andavano di moda una ventina d’anni fa e un sorriso gentile. E lo conosco già.

«L’autista del bus,» sussurro incredula.

«Sì, proprio io. Sono contento che stai bene.» Mi porge la mano ed io gliela stringo, incapace di trattenere un sorriso gioioso. Il signor Patrick mi chiedeva sempre come andava la mia giornata, si accontentava dei miei mugugni, delle mie parole a metà. 

E mi ha vista sedermi vicino a Martin tanto tempo fa.

Mi ha vista ridere insieme a lui.

«Grazie,» riesco a dire.

«Guido quel bus da quando eri piccolina.» Lascia la mia mano. 

«Quindi lei…»

«Sono diventato autista per necessità, per aiutare Joseph e tutti gli agenti a tenere le cose sotto controllo. Prima mi occupavo di paracadutismo, ero anche l’istruttore di Marlene.»

Joseph annuisce, il sorriso non scompare dal suo viso. «Marlene,» dice il suo nome con lentezza, come se lo stesse accarezzando con le labbra. «Adorava volare.»

«Era nata per volare. E prima o poi tutti spiccano il volo,» dice Patrick.

Joseph si alza ed apre la porta, io lo seguo in corridoio insieme a Patrick.

«Ci vedremo fra una settimana per il processo,» continua Joseph. «Ci serve una copertura per i giornali. Hans e Cameron hanno denunciato la scomparsa tua e di Martin, i telegiornali hanno parlato di voi e…»

«Che genere di copertura?» domando. Mi si contorce lo stomaco al pensiero di altri giornalisti, altre domande, di flash che acceca gli occhi.

«Ci sarà il processo e tu dovrai testimoniare contro Joshua,» mi rivela Joseph. «Dovrai raccontare del rapimento, omettendo ovviamente le sue ragioni. Lui è accusato dell'omicidio dei poliziotti che si trovavano con i tuoi genitori, delle minacce a tutti gli ospedali della città per non farti alcuna risonanza elettromagnetica in modo da non farti scoprire che cosa ti aveva fatto. E verrà processato per omicidio, quello di Marlene…» Gli si rompe la voce, un foglio strappato in un pomeriggio di sole di tanto tempo fa. «… di Louis e dell’infermiera che stava per visitarti quel giorno.»

«Ora Joshua appartiene alla legge. E la legge lo giudicherà,» continua Patrick.

Joshua è già stato il giudice della sua vita.

«Si sarebbe consegnato lo stesso.»

«Tu dici, Sarah? »

«Ho sentito tutto.»

Mi torturo una ciocca di capelli fra le dita, mentre lascio scorrere i ricordi della vita di quell’uomo, una pedina del male. Ho visto tutto. Con Julia, la prima volta, ho sentito dolore. Con Hans, la seconda volta, ho visto un ragazzino che, rannicchiato in un angolo buio, sognava i giochi che non poteva avere. Con quel cane, la terza volta, l’agonia mi ha travolta insieme ad immagini indistinte, prive di colore. Con Joshia Silvers – è quello il nome del suo cuore – ho assistito alla distruzione della sua vita.

Alla distruzione della nostra.

Ma puoi restare vivo anche quando la tua vita è distrutta. E allora spetta a te scegliere: morire fra le tue rovine o andare via con i cocci fra le mani. Cocci che ti ricordano chi sei, chi eri una volta.

Per rinascere.

Per ricostruire.

Odiare Joshua Silvers, volere la sua morte e il suo male, mi si presenta come un diritto. L'odio mi ha travolta quando Joe mi ha tenuta rinchiusa. Mi ha travolta quando mi ha spiegato cosa intendeva fare. Mi ha travolta mentre svenivo per lo sforzo di far smettere, smettere per sempre, quel teatro di orrore. Ma ora che so che il vero Joshua ha fatto solo un errore, quello di dimenticare di proteggersi, sbaglio ad odiarlo? È una reazione naturale, come sarebbe quella di aggrapparmi al cornicione se qualcuno mi spingesse via per farmi precipitare... è uno dei tanti modi per non morire, per far vivere la mamma e il papà. 

Non mi fanno altre domande. Semplicemente, mi salutano e mi lasciano camminare per il corridoio da sola, verso l’uscita.

***

È un bel pomeriggio, questo; soleggiato, inebriato di profumi, con un venticello piacevole che accarezza la pelle, un’aria fresca che passa dai vetri aperti.

«Dai, forza,» la incito.

Julia, i capelli rossi disordinati sulla camicia da notte azzurrina, si morde le labbra in un’espressione pensierosa, che non può raggiungermi perché mi ha già superato.

«Cameron è già arrivato?»

«Ehm…» Mi alzo dalla sedia, mi avvicino a lei e metto le braccia conserte. «Sarà in strada, penso. Ci facciamo trovare nel cortile, che ne dici? Almeno prendi un po’ d’aria.»

Finalmente i suoi occhi marroni incontrano i miei. Sono dolci, vispi.

«Nah.»

Si stende sul letto e si rigira fra le coperte.

«Ju…»

«No.» 

Le poso una mano sulla spalla. E' magra, Julia, sento le ossa attraverso il tessuto in cotone del camice. Sarà bellissimo quando tornerà a fare le gare, e vincerà e a volte perderà, ma noi saremo sempre lì a tifare per lei.

«Dai, è un pomeriggio bellissimo.»

«Sarah…»

«Coraggio…»

«Mi fa ancora male.»

Lascio ricadere la mano sul fianco. Sospiro e resto in silenzio, aspetto che il vortice di emozioni che mi travolge mi ricongiunga in una leggera folata di vento, la stessa che adesso mi muove leggermente i capelli. Il senso di colpa. Julia ed Hans in un letto di ospedale. Julia ed Hans in pericolo a causa mia. Ed anche Martin, Cameron, la madre di Martin…

«Sarah…» Julia si volta di nuovo a guardarmi, il viso bianco e ovale, le labbra rosa e un po’ screpolate per le medicine distorte in una linea incerta. «A cosa pensi? »

«Mi dispiace… che ti fa ancora male la testa per...»

«Non fare quella faccia.»

«Quale faccia?»

«Quella triste. Quella che fai quando pensi che è tutta colpa tua.» Scuote la testa, i capelli rossi e ricci sul cuscino bianco. «Sei proprio una a cui bisogna mettere le cose sotto il naso, per fartele vedere.» Sorride e poi si mette seduta. «Tutto è nato da un unico, piccolo sbaglio che si è ingigantito e ha travolto i tuoi genitori e poi te e poi noi. Ma tu, nella paura, ci hai salvato. Ci hai salvato la prima volta, quando pensavi di ucciderci. Ci hai salvato per sempre quando Joshua mi ha colpito, quando Hans è stato sparato: il nostro corpo ci ha protetto perché tu, un giorno, ci hai dato la possibilità di scegliere se meritavamo di vivere, e quella possibilità è stata eterna. Lo hanno detto i dottori. Da bambina ti ho odiata, ma poi ho odiato ancora di più me. Sei un po' una frana con le relazioni sociali e le battute divertenti ma... Tu sei speciale, Sarah, e non solo per quello che Joe ti ha messo nel cuore. Perché hai salvato anche Martin senza fare niente di quello che hai fatto a me e ad Hans. Hai salvato Martin perché lui aveva bisogno di te e tu c’eri. Ti abbiamo aiutato e tu ci hai salvati per sempre

Mi mordo l’interno della guancia in quella strana abitudine di coprire con un po’ di dolore fisico l’emozione di quello che ho appena sentito, come ho sempre fatto quando mi sono trovata ad essere perplessa, interdetta, incapace di dire qualcosa che avesse un senso. Hai salvato tutti, Sarah. Sembra un sogno, un sogno appena costruito, venuto al mondo senza essere spezzato, contaminato, spazzato via. Ci hai salvato per sempre.

«Grazie. »

Un rumore. Nocche contro legno. Qualcuno bussa alla porta ed io, istintivamente, mi alzo dalla sedia, quasi mi aspettassi di dover essere pronta a scappare… come se volessi correre fra le braccia di qualcuno e nascondere il mio sorriso nel vestito di qualcun altro.

Immagino mia madre con un vestito bianco, non so perché. Un vestito bianco e un profumo di pesco, rose, e immagino le sue mani con la fede alla mano sinistra. La immagino con i miei occhi anche se è bella al limite del divino. Immagino che sia ancora qui con me per dirle che ce l’ho fatta, che sto bene.

«Si può?» Una voce amichevole cattura le mie orecchie. Ha un tono basso, familiare, allo stesso tempo dolce e appartiene al ragazzo che ha appena aperto la porta, anche se giusto il poco per basta per infilarci la testa. Da quella posizione può vedere solo me. Ha il suo solito cappellino con la visiera portato al contrario e un sorriso largo gli attraversa il volto. Ispira simpatia anche nel modo in cui respira. «Oppure stavate…»

«Entra, Cam, » gli dice Julia. Gli occhi le si illuminano. «Anzi, già che ci sei vai alla macchinetta nel reparto pediatrico e prendimi uno yogurt al cocco. »

«Ma…»

«VAI, Cameron.»

Cameron scrolla le spalle, la maglietta rossa che gli si alza un po’, e chiude la porta.

Rido. È una cosa spontanea, una cosa che adesso fa parte della mia vita. «Come lo sfrutti.»

Julia alza le braccia per stiracchiarsi. «Dovrà pur far qualcosa, no? »

«È stato qui giorno e notte ad aspettare che ti svegliassi. »

«Ed io aspettavo di svegliarmi per rivederlo quindi questo è il minimo che può fare.» Annuisce a se stessa, come se avesse detto qualcosa di grande valenza filosofica. Io scuoto la testa, aspetto che lei dica qualcos’altro quando in realtà prende il telecomando, accende la tv e cambia sul canale della musica.

«Non essere troppo dura con lui.»

«Sarah… » Si tocca il polso destro con l’indice dell’altra mano. «È ora! Non avevi un appuntamento?»

«Mi stai cacciando?»

«Sì, Sarah.»

«Ma io… tu…»

«Ti devo un intero pomeriggio di shopping.»

«Julia…»

«Ti voglio bene, Sar.»

«Ti voglio bene anch’io.»

***

Martin, Doreen e Joseph sono già entrati nella sala, i miei nonni mi aspettano. Il processo sta per cominciare ed io mi impongo di non pensare a niente, fino a quando non sarò lì dentro. Fino a quando tutto non sarà finito per davvero.

«Sarah?» Questa voce non appartiene a Joseph, non appartiene a Patrick, non appartiene a nessuna delle persone che mi aspetterei in questo momento. Alzo lo sguardo e vedo, a pochi metri da me, Yvonne. Yvonne, con un livido violaceo sullo zigomo, la bocca semiaperta in segno di aspettativa e gli occhi cerchiati di stanchezza. Eppure, bellissima. Bellissima.

«Sì,» le dico.

I suoi occhi si fanno lucidi.

Una lacrima scende sul volto di Yvonne, taglia in due il suo livido e quasi sembra guarirlo.

«Prima di tutto questo... lui amava tua madre,» sussurro. 

«Che cosa sono, queste?» I suoi occhi sono pieni di lacrime, pieni di rabbia. «Parole di compassione? Cameron mi ha già raccontato tutto ed io non voglio la tua pietà. Testimonierai contro di lui, non è vero?» mi chiede, alzando la voce. Non ce la faccio a mentire e faccio segno di sì con la testa, senza guardarla. «Lo immaginavo. L’hanno chiesto anche a me.» Ride, altre lacrime rigano il suo volto magro. «E si sono sorpresi quando ho detto che non l’avrei fatto! È mio padre, Sarah…» Le tremano le labbra. «Mentirò. Io so che non era davvero lui.» 

Come se non avessi più fiato, comincio a respirare affannosamente, incapace di capire. Quel livido sul suo volto, la sua magrezza, le ferite dentro di lei… tutte a causa di Joshua. Mi fa male lo stomaco, per quanto lo odio. Mi pulsano le ossa, per quanto vorrei che non avesse mai incontrato le nostre vite. 

«Se i tuoi genitori fossero ancora vivi, non li rivorresti indietro?» dice ancora, con la voce spezzata. «So che testimonierai, so che dirai quello che dovrai dire ma… per favore, per favore, di' la verità. Di’ che era pazzo, folle, che non sapeva quella che faceva… che non era in sé. Tu lo sai e forse… forse potrebbe salvarlo.»

Guardo Yvonne mentre mente.  Il livido come il segno di un bacio forte, il fondotinta non basta a coprirlo, i capelli biondi sciolti, la sicurezza nella sua voce.

Mente, Yvonne.

«Può andare, grazie,» le dice l'avvocato.

Ma nessuno le crede.

Ha già testimoniato Doreen, poi Joseph, l’ha seguito Martin ed ora…

«Pierce Sarah Agnes.»

Mi alzo in piedi, tremante, gli occhi di tutti sono su di te. Va’ lì e racconta la verità. Giura sulla Bibbia. Guarda Martin da lontano, cerca gli occhi dei tuoi nonni. Pensa ai tuoi genitori.

Fa’ la cosa giusta.

Sono al banco dei testimoni. Ho giurato sulla Bibbia, anche se non dirò tutto il vero. Ho guardato Martin da lontano, ho trovato lo sguardo rassicurante dei miei nonni. Ho pensato alla mamma e al papà, anche se non li ricordo.

Ed ora, i miei occhi incrociano quelli azzurro ghiaccio e provati di Joshua Silvers. L’avevo visto solo di spalle, prima; dopo quel giorno, questa è la prima volta che lo guardo.

I suoi occhi sono tornati quelli del ragazzino che credeva di amare mia madre. 

Sono tornati quelli dell'uomo innamorato di Cassidy Grace.

«Ricorda che cosa successe il cinque aprile sera, signorina Pierce?» mi chiede l’avvocato della difesa, scelto per formalità.

«Sì.» Faccio un respiro profondo. «Stavo aspettando che Martin Scott salisse a casa, e visto che tardava ad arrivare sono scesa. Ho attraversato la strada e sul marciapiede opposto c’era quell’uomo. Prima che potessi cercare di scappare, mi ha preso per il braccio e mi ha messo un fazzoletto imbevuto di narcotico sulla bocca…»

Stanza bianca.

Una cella.

Minacce.

Richieste di riscatto.

Poca verità

E bugie.

Poi il silenzio.

E il cuore che mi batte forte.

Lo sguardo di Joshua Silvers che mi accarezza affranto.

Ha ucciso i tuoi genitori.

«Grazie, può andare.»

Lo sguardo di Yvonne che graffia.

Ha distrutto la tua vita.

Resto ferma.

Gli occhi di Yvonne sono artigli; mi tengono stretta, stanno per ferirmi. Se i tuoi genitori fossero ancora vivi, non li rivorresti indietro? mi chiede il suo sguardo.

Sospiro.

Non è la vendetta, a pagare per le perdite.

Ma la giustizia, che a volte non arriva.

«Joshua Silvers non era in lui,» dico al microfono. «Ho capito subito che era folle, che una persona sana di mente non avrebbe mai agito in quel modo. Parlava, diceva cose senza senso… deve essere pazzo.» Un altro respiro. «Ne sono convinta.»

Tutta la sala sprofonda nel silenzio; passano due, quattro, dieci secondi, poi l’avvocato mi dice: «Può tornare a sedersi».

Perdoni quell’uomo che ti ha portato via tutto? 

Sono stata io a riportarlo indietro. Ora ha i suoi veri occhi, ora batte il suo vero cuore... il nero l'ha portato via per diciassette anni, ma quello che ha portato via non potrà più tornare indietro.

Cammino verso Martin.

Mi fa male lo stomaco, mi pulsano le ossa. Ma non provo più odio, perché non ha senso.

Ho pietà di Joshua Silvers e so cosa c’era nella sua mente, so cosa animava la sua vendetta, so chi era, so cosa ha fatto anche se voleva fermarsi, e l’unica persona che è riuscito a non uccidere – perché l’amore è più forte, l’amore è la colonna eterna che non fa cadere mai il cielo – è stata sua figlia. Joshua Silvers è riuscito a fermare il male, quel giorno dopo anni, davanti a noi, per non farla morire. 

Perché non per la mamma, perché non l'hai fatto per papà, Joshua? Perché non per Louis, perché non per Marlene? mi chiedo ancora. E dopo questi anni, dopo aver saputo che la colpa di tutto questo è di qualcosa al di sopra di tutti noi, della pietra nera, del male che ha vinto grazie alla dimenticanza di un ragazzo che aveva solo quattordici anni, dovrei continuare a vivere nel dolore? Ancora odio? Ancora, ancora e ancora?

L'odio non uccide chi si odia ma chi prova quel sentimento, perché porta dolore. 

Ed io ho vissuto nel dolore per troppo tempo.

Per questo, guardando al mio futuro; per questo, guardando al mio passato, io voglio perdonare quel ragazzo di quattordici anni dagli occhi azzurro ghiaccio.

Mi siedo accanto a Martin, che sa già tutto. Intreccia le sue dita alle mie e sto bene. Sto bene così, per ore, mentre aspettiamo il verdetto e Doreen viene accanto a noi ed io me ne sto così, con la testa poggiata sulla spalla di Martin, la mia mano nella sua, e lei mi accarezza il viso come se fossi figlia sua. «Non c’era bisogno che dicessi anche quello, piccola,» mi dice. Scuoto la testa. Dovevo, sentivo che dovevo e volevo farlo anche se non so se è giusto, non so cosa sia la giustizia per davvero.

Per questo, guardando al mio futuro; per questo, guardando al mio passato, io voglio perdonare Joshua Silvers.

Questa è la mia giustizia.

Ma quando rientra il giudice, le sue parole raggiungono le mie orecchie e, per un momento, restano troppo lontane dalla mia comprensione.

Trattengo il respiro. Nella sala risuona la parola, quella parola.

«Condannato.»

E respiro.

Quello che sui documenti è conosciuto come Joshua Stewart, con l’anima di Joshua Silvers, si alza dal suo posto. Tutti si alzano in piedi e presto lo vedo uscire dalla porta seguito dai poliziotti, tranquillo come se stesse per tornare finalmente a casa.

Martin viene richiamato da Doreen e lascio che vada, poi vedo Yvonne e mi si stringe il cuore come se stessi invecchiando tutto in una volta.

Mi alzo, corro. 

«Yvonne,» la chiamo. Fissa i suoi occhi nocciola nei miei, arrossati ma asciutti; non ha più lacrime. «Io ho parlato.»

«Ho sentito,» dice piano.

«Mi dispiace,» dico sinceramente, e avvicino la mano per toccarla in segno di conforto, ma lei si scosta.

«È stata fatta giustizia, lo so che questa è la giustizia. Chi ha fatto del male, paga. Anche se non era lui, non era lui, lui non l’avrebbe mai fatto...» Le si spezza la voce. «E smettila di guardarmi così...» Cerco di dire qualcosa, mentre la rabbia e la tristezza e la delusione si dipingono sul suo viso nello stesso istante, distorcendo la luce del suo volto, anche se la sua espressione resta immobile. È la sua voce, a cambiare. Se i tuoi genitori fossero ancora vivi, non li rivorresti indietro? Suo padre è in vita, ma ora che è salvo dal mostro che era in lui, lei non può averlo. «Dispiace più a me.» 

La sua voce è in frantumi, mille pezzi d’anima.

***

Martin.

Seduto in corridoio, aspetto Sarah, aspetto me. Non riesco a stare fermo. Muovo le gambe, mi passo una mano fra i capelli, guardo l’orologio, passo il cellulare da una mano all’altra. Sto tremando e non riesco a pensare.

«Ciao, Martin.» Si siede accanto a me, quest’uomo. «È finita davvero, stavolta.» Quest’uomo che, per diciassette anni, è stato mio padre. «E non abbiamo ancora parlato, dopo tutto il da fare che c’è stato…»

«Già.» Tossisco. La mia mente, prima vuota, ora si riempie dei momenti più assurdi. Lui e Doreen. Lui, composto e rigido, con il sorriso trattenuto sul volto e Doreen, invece, che gioiva guardandomi crescere.

Come ho fatto a non accorgermene?

« Sai… che non sono tuo padre.» Sospira. «Non lo sono mai stato. »

Lo guardo. Sembra così vecchio: è scomparso l’uomo d’affari sempre impegnato, quello che non aveva nemmeno il tempo di ascoltare una parola, di guardarmi. L’uomo che si è preso cura di mia madre, che si è preso cura di me. Il padre che mi stava lontano per cercare Joshua Silvers, per impedire che mi facesse del male, per impedire che ne facesse a Sarah.

«Non avevi tempo di farmi da padre.»

«No, io ho scelto di non esserlo. » Se ne sta con le spalle incurvate, le braccia fra le gambe, come se avesse ricevuto un pugno. Siamo tutti uguali, quando raccontiamo i segreti. Mia madre,  la mamma, la mamma – mentre raccontava tutto, era nella stessa posizione. «Tu sei il figlio di Louis e Doreen. Louis è morto. Eravamo come fratelli ed io… io non ce la facevo, a prendere il suo posto. Non ce la facevo ad essere lui. Anche se, senza Marlene, un posto nella mia vita non ce l’avevo più. Ed ho aiutato te e tua madre, per Marlene, per Louis, per Doreen e poi per te.» Mi guarda, e mi sento scavare dentro, perché anche se non si è mai comportato da padre, per me lo era. Era il motivo per cui non mi impegnavo a scuola, il motivo per cui non pensavo a niente, il motivo per cui fingevo che andasse tutto bene. Era mio padre, ecco quello che sapevo, ed io volevo averlo. «L’ho fatto per te.  La sera, quando tornavo, trovavo un bambino addormentato sul tappeto con Doreen in cucina e mi dicevo, non devi essere tu, tu non sei suo padre, ma poi ti prendevo in braccio e ti portavo a letto; trovavo un ragazzino che russava sul divano, e somigliavi sempre di più a Louis, Louis, il mio migliore amico, e ti coprivo con una coperta. Ti ho sempre voluto bene, Martin. È stato così difficile allontanarmi, controllarmi, non essere Louis quando potevo anche esserlo. Sono rimasto nell’ombra, come se fossi morto anch’io. Io e Doreen ti proteggevamo con una vita costruita, ma la tua vita vera ce l’avevi davanti agli occhi. Eravate tu e tua madre.» Si passa una mano sulla fronte. «Tu e tua madre, io non c’entravo niente. Io non sono nulla. Doreen non è Marlene. Tu sei il figlio di Louis, mio figlio non ha avuto nemmeno il tempo di nascere, di cominciare a vivere. Attaccato alla mia vecchia vita, ho permesso che tu mi odiassi.» Sospira forte, volta la testa. Ti ho odiato. Mi mordo la lingua. Si odiano sempre, le cose che non si riescono a capire davvero. «Non dovevo.»

Silenzio.

Pesa così tanto.

Pesa così tanto lo sguardo di quest’uomo, è mio padre, è così che mi ha voluto bene, anche se un padre non lo è stato mai, ed io non ce la faccio a guardarlo, perché so tutto e non so come fare. Come faccio a fargli capire che non posso che provare gratitudine, adesso? Che se lui non ci fosse stato, chissà quando sarei morto… chissà cosa sarebbe successo a Sarah, chissà come avrebbe fatto la mamma…

«Joseph,» riesco a dire. «Non importa che cosa hai sbagliato, perché… hai fatto delle cose giuste. Ed anche se il mio vero padre è morto, tu sarai sempre un padre per me.»

Pesa così tanto, il dolore. Ma nell’abbraccio forte in cui Joseph mi stringe – come un padre, come se fossi davvero suo figlio – sembra dissiparsi, la nebbia attraverso cui hai imparato a vedere davvero.

*

*

*

*

Ciao a tutti, Untiliani :D (Vi chiamo così, se non vi piace ditemelo xD)

Questo capitolo è importantissimo, e di sicuro capite perché. Spero che vi sia piaciuto e che sia risultato chiaro il percorso psicologico di Sarah per quanto riguarda il suo atteggiamento verso Joshua. Ci sono stati altri chiarimenti sulla pietra nera; ho preferito distribuirli in modo da non riempirvi di informazioni tutte in una volta, spero che vada bene :) Abbiamo visto Sarah e Yvonne interagire nuovamente e, casa che mi sta molto a cuore, il dialogo fra Martin e Joseph Scott in realtà Sullivan. Da un po' sto pubblicando dei capitoli che mi hanno fatta piagnucolare un po', spero davvero di avere la vostra comprensione *^* Che ne pensate di Joseph? :3 E... Hans ed Yvonne? :3

Manca poco alla fine... spero davvero che la storia vi stia piacendo. Ringrazio ancora chi preferisce, ricorda e segue la storia, aumentate sempre di più *-*

I ringraziamenti mirati li avrete alla fine di tutto, per ora sappiate che vi adoro tutti :) 

Un bacio

Vostra Ania :3

p.s se cliccate qui, potrete vedere un piccolo video che ho realizzato per la storia, fatemi sapere se vi piace *-*

   
 
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