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Autore: Vella    07/03/2014    9 recensioni
Una famiglia. Una contea. Una residenza.
Jenkins. Buckinghamshire. Winslow Hall. Anno 1896.
Tre storie apparentemente scollegate fra loro. Tre mondi. Tre amori. Tre, il numero perfetto.
Daniel Shaw è un poeta profondamente enigmatico, strano, seducente, romantico. Cerca la sua musa ispiratrice, trovandola d'improvviso in Wendy, una ragazza benestante e solare, con un segreto. Così nasce un amore sconfinato, senza vie, dal sapore della proibizione e dello sbagliato. Un amore fatto di sguardi e di intensi contatti umani.
Viktor Mitchell, uomo di ventotto anni, rude, agognato, senza alcuna forma di desiderio. Veterano di guerra. Ed ora divenuto professore per l'istruzione di famiglie d'alto rango. Un uomo davvero, forse troppo, sbagliato e pieno di peccati. S'innamora perdutamente di Katherine, una ragazza di diciassette anni, giovane, ribelle, forte, eppure la sua unica alunna.
E infine Gerard Collins, ventiduenne, senza tetto, soldi o famiglia. Un gigolò in cerca di amore tra persone che non lo completano. Per questo quando incontra Henry il tumulto di sentimenti che si forma nel suo cuore, lo confonde.
Henry, Wendy e Katherine sono fratelli. Sono la famiglia Jenkins. Sono sbagliati perché non seguono le convenzionali etichette ma lo struggente filo conduttore dell'amore più remoto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, L'Ottocento
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L'ira funesta

Il cuore le batteva forte, sentiva la testa pesante ed ogni muscolo del corpo indolenzito. Gli occhi le brillavano ed un fiotto d'energia scorreva nelle vene. Era seduta in modo sciatto sulla poltrona del grande salotto di casa e guardava al di là della finestra, in cerca di qualcosa che non fosse la pioggia, l'erba bagnata o l'insistente fruscio del vento; cercava qualcosa che richiedesse la comparsa delle sue doti civettuole. Erano passati un paio di giorni da quando aveva ricevuto la notizia del viaggio e, da quando George le aveva categoricamente impedito di fare le valigie. Il suo animo si sentiva svuotato ed era in attesa che quelle feste passassero, in attesa che il ballo di Natale ed il Capodanno riuscissero a trascorrere nel modo più piacevole e fulmineo.
Gli occhi di Elizabeth si posarono sul bordo della vetrata ed iniziarono ad osservare una formica in difficoltà a causa delle grosse gocce piovane. Sospirò, ricordando che la prima volta in cui l'aveva incontrato, nel cielo risplendeva il sole e gli scoiattoli si nascondevano, e le formiche morivano sotto i suoi piedi scalzi e... ed il caldo di quel giorno d'agosto era apprezzato più delle altre volte.
-
In tutta la sua breve esistenza, solamente una volta il fratello l'aveva portata con sé nella contea del Buckinghamshire. E fu davvero un'esperienza magnifica. Ricordava ancora i lunghi tramonti ombrati da nuvole scure e quella pioggia di mezza estate che scombussolava i progetti del giorno. Ricordava ancora quando si era fermata davanti all'entrata di Winslow Hall e George le aveva presentato Wendy, una ragazza così timida ed impacciata, giovane e sciocca. O comunque così le era apparsa. Elizabeth aveva passato interi pomeriggi a giocare con la dama insieme alla madama se non prossima cognata; ed a primo impatto Wendy non era garbata alla sorella del Conte. Ma il fratello era davvero ammaliato dal suo portamento, dalla sua castità e purezza da non aver avuto altra scelta se non quella di accettarla anche lei. La sorella minore Katherine, invece, l'aveva intravista poche volte e, almeno un componente doveva provocarle irritazione, non l'aveva pressappoco degnata di uno sguardo o di atti benevoli nelle due settimane di soggiorno.
Elizabeth non arrossiva facilmente, non era neanche un tipo che rispondeva prontamente e doveva pensarci su per almeno un paio di minuti prima di una risposta sensata, ma quando aveva incontrato il primogenito Henry nella grande biblioteca della famiglia Jenkins, qualcosa era scattato nella mente della giovane. Non si poteva definire un amore platonico o non corrisposto, eppure la corte spietata di Elizabeth fu davvero una catastrofe ed Henry, col passare dei giorni, si allontanava sempre più. Lei! Lei così bella e nel pieno della gioventù! Come poteva essere rifiutata? Elizabeth, infatti, non l'aveva ancora capito. Lei non capiva. L'ultima sera di quella vacanza si recò nel grande giardino della tenuta, si sedette ai piedi di un salice piangente ed iniziò ad osservare quel tramonto famoso e cupo.
―Mss Elizabeth!― la voce di Henry le apparve avere un'inclinazione di dolcezza. La ragazza si alzò immediatamente indossando al momento le calzature sul prato umido.
―Oh, Henry...―sorrise, ― ...che bello che mi siete venuto a far compagnia!― altro sorriso da parte del giovane.
―Cosa stavate facendo?― gli offrì il braccio ed iniziarono a camminare amabilmente attorno agli alberi potati.
―Non ci crederete mai eppure vi stavo aspettando!― Elizabeth posò la sua mano pallida sul petto di Henry e con un gesto spontaneo si strusciò sulla sua giacca blu.
Lui soffocò una risata.
―Oh, mia cara! Ma come devo fare con voi? Siete così... ― le afferrò la mano e la spostò. Elizabeth si fermò ed appoggiò delicatamente la testa sul suo torace.
―Questo è il mio ultimo giorno qui, Henry.― sospirò.
―Lo so, mia cara. Il viaggio di ritorno sarà faticoso, immagino―. Faticoso è allontanarmi da voi!, pensò lei.
―Sentirete la mia mancanza?― Disse invece.
―No, non temete. Il mio animo sopprimerà ciò che prova nella speranza di un vostro ritorno―.”

-
Ed ora Elizabeth gongolava senza trovare conforto in nulla. Il tramonto ormai, insieme alla pioggia, aveva portato con sé un buio beffardo. Chiuse le palpebre e trattenne una lacrime calda non ancora pronta a caderle sul viso; e l'unica cosa che riusciva a pensare era l'animo di Henry, nella speranza che non avesse dimenticato l'amore che univa lei a lui.



Katherine era furiosa. Le pieghe del suo abito svolazzavano da una parte all'altra mentre il ticchettio dei suoi passi riecheggiava nell'intera tenuta. Aveva le braccia lungo la schiena e tentava in qualunque modo di non stringere le dita a pugno chiuso. Gli occhi erano lo specchio dei suoi pensieri mentre si dirigeva fuori da quel luogo; sentiva la gola secca e la testa fattasi pesante, vide di sottecchi la prosperosa gonna di Sheila nella veranda: stava scopando il pavimento pieno di foglie secche e a col tempo attizzava la stufetta per riscaldare la stanza semiaperta. La giovane ragazza si fermò un attimo prima di scendere le scale, si trovava nell'atrio e dalla finestra poteva scorgere ogni movimento della domestica. Questa volta, almeno, ebbe il buon senso di indossare uno scialle di pelliccia un po' stravagante e fuori moda; Sheila, dal canto suo, l'aveva subito notata e con uno scatto veloce si affrettò nel raggiungerla.
―Signorina! Cosa state facendo? Com'è andata la lezione? E... perché indossate quella robaccia? Dove...? Signorina!― le domande, come aveva previsto la ragazza, erano diventate innumerevoli e senza premurarsi di risponderle aveva raggiunto l'esterno del giardino, ma Sheila non aveva affatto intenzione di lasciarla scappare senza un minimo di spiegazioni soprattutto dopo aver scorto tanta indignazione e rabbia sul suo volto.
―Perché siete così arrossata, signorina?―
―È il freddo!― il tono acido di Katherine esasperò la vecchia che indispettita smise di seguirla, anche perché non era più giovane come un tempo e la sua padroncina aveva lunghe gambe.
―Per l'amor del cielo, Katherine! Fermatevi!―
―Non ora, Sheila! Non ora!―
Di nuovo quella sensazione di umidiccio sotto i piedi le pervase il corpo, la testa smise di gravarle sul collo e nel gelo dell'inverno chiuse gli occhi smettendo di osservare ciò che la circondava. Sentì solamente la pelle farsi sempre più fredda e quindi, automaticamente, perdere calore e sensibilità. Aveva le labbra screpolate, e le palpebre pesanti seppur fossero chiuse.
La sua mente vagava da un pensiero ad un altro e già una seconda vendetta prendeva forma nel suo animo maligno e presuntuoso.
Era arrivata al punto di crollare sulle ginocchia quando una nuova voce l'allontanò dalla sua collera.
―Kath!― Maschile, suadente, un sorriso beffardo, lo struscio dei pantaloni e i capelli tirati all'indietro perfettamente: Henry raggiunse la sorella afferrandola appena in tempo.
―Ehi! Non credevo di farti questo effetto, sai?― rise, Katherine si appoggiò a lui ed indicò le radici di un albero dove sedersi ed ammirare lo strato gelato il quale era terreno.
―Orsù, sediamoci. Ne ho bisogno―. Sospirò. Henry le fu accanto sotto l'albero e squadrò il suo viso rattristato ed imbronciato. Era la sua sorella preferita anche se mai l'avrebbe ammesso. Forse perché gli assomigliava, forse perché lei era più combattiva, sveglia e perspicace della dolce Wendy. Ma neanche quest'ultima cosa avrebbe mai ammesso. E tutti rimanevano convinti che Wendy fosse la figlia perfetta e amata, la sorella venerata e lodata.
―Cosa succede, rosellina?― Un soprannome che personalmente Katherine aveva sempre odiato eppure lo accettava, era un segno d'affetto, un modo per sentire il fratello più vicino al suo cuor.
―Il nuovo precettore è un uomo. Te ne rendi conto, Henry? Un uomo!― fiatò la giovane adirata.
―Cosa c'è di sbagliato?― rispose perplesso.
―Non lo so. È proprio questo il problema! Né tu, né Wendy avete avuto un uomo come insegnante. Ed ora? Ora che lei ha fermato i suoi studi, io vengo assegnata ad una persona aspra
e limitata di mente!―
―Addirittura?― rise Henry.
―Oh, fratello, non immagini neanche! Papà la pagherà, la pagherà cara!― inveì ancora la giovane.
―Non credi che abbia già fatto un gran sacrificio? Ora dovrà accontentarsi solo del bordello!― rise ancora.
―Appunto, Henry. Perché rinunciare alle sottane delle mie insegnanti?―
―Non ne sei felice? In effetti odiavi quelle donne. Perché tanto astio, ora che hai ottenuto ciò che bramavi da tempo?―
Katherine sospirò ed appoggiò la testa sui palmi delle mani e i gomiti sui ginocchi. Si morse le labbra e sentì subito il sangue fluire sulla lingua dalla spaccatura.
―Ne sapevi qualcosa, Henry?― disse d'un tratto la giovane guardando il viso del fratello che non rispose subito e si limitò ad una tirata di spalle, ―Henry!― sbottò, ―perché non me l'hai detto?―
―Perché ti conosco, Kath. Non sei affatto una ragazza diplomatica, sei così irascibile ed istintiva che avresti avuto proprio questa reazione. Non ho ragione, per caso?―
―La verità è che volevi accontentare ed assecondare tuo padre!―
―Come se non fosse anche il tuo. Senti, ragazza, ascoltami: è inutile che continui questa messinscena, il signor Mitchell è un uomo adatto alla tua istruzione―.
―Come fai a saperlo, eh? ― sputò tra i denti Katherine mentre si alzava dalle lunghe radici e cercava di non far incrociare i suoi occhi con quelli di Henry.
―Sei così ostinata―. Sospirò.
Nel frattempo una figura conosciuta e quiete si aggirava nel giardino, il cappotto era abbottonato fin sotto al mento e la sciarpa nera, che si intravedeva sul collo, riusciva a donargli un ulteriore classe. Viktor Mitchell aveva tempo da perdere, la lezione era finita da meno di mezz'ora e la Berlina sarebbe giunta a momenti. Il sorriso furbetto che aveva dipinto in volto voleva significar solo una cosa: divertimento. Provava gusto nel vedere Katherine ed il suo giovane fratello parlottare, anche perché i sentimenti che provavano li si leggevano negli occhi, nelle labbra contorte, nelle rughette sulla fronte e nei muscoli irrigiditi.
Non aveva ascoltato la conversazione e sinceramente non lo avrebbe fatto neanche se ne avesse avuto l'occasione perché ne era totalmente disinteressato.
Si avvicinò con passo deciso mentre il viso diventava un oggetto non interpretabile e gli occhi fissi sull'allieva dalle gote permanentemente arrossate.
―Mr Jenkins! Voi dovete essere Henry, il maggiore―. Disse. Un vago sorriso di compiacimento e poi porse la mano verso il giovane.
Quest'ultimo, dal canto suo, l'aveva notato non appena Katherine aveva smesso di ribattere.
Era la prima volta che lo incontrava e stranamente lo aveva immaginato così come in realtà appariva.
―Quale onore, signor Mitchell. Stavamo giusto parlando di voi―. La sorella si girò di scatto verso i due e non riuscì a trattenere uno sguardo di disapprovazione per l'ingenuo Henry.
―Davvero? Come mai ero al centro dei vostri pensieri? La mia giovane alunna si stava forse lamentando?―
―Oh, assolutamente no Mr Mitchell. In verità mi stava facendo un personale resoconto sulle vostre brillanti capacità oratorie―. La ragazza scosse impercettibilmente la testa chiudendo gli occhi e trattenendo un sospiro: ciò non sfuggì al precettore.
Henry continuava a confabulare senza ricevere risposta da parte di Viktor, quando Katherine aprì gli occhi, si ritrovò ancora una volta lo sguardo dell'uomo su di sé. E decise di intervenire.
―Mr Mitchell aspettate la carrozza?―
―Esatto, signorina―, rispose con tono cantilenante, distogliendo lo sguardo da lei, ora più scocciato, ora più annoiato.
―La Berlina, vero? L'ho intravista stamattina, ottima scelta dire―. Espresse Henry.
―Ritornerò domani alla stessa ora di stamane, signorina. Spero vivamente di trovarvi già nello studio. Avrei preferito dirvelo a fine lezione ma non me l'avete permesso, scappando manco foste un prigioniero in fuga―. Katherine arrossì ed inchinandosi leggermente annuì, ―sarà fatto signore―.
Ci furono alcuni secondi di silenzio dove Henry, ora più distratto, aveva escogitato una vera e propria burla. Adorava la sorella sì, eppure amava anche renderle la vita un inferno.
―Signor Mitchell, non vorrei apparire sfacciato o risultare maleducato, ma perché non si rifocilla prima di intraprendere di nuovo il viaggio?―
Sia Viktor che la ragazza rimasero interdetti ed entrambi guardavano Henry incuriositi: l'uomo era compiaciuto, Katherine era inorridita.
―Sì...― fu la risposta incerta, ―con gran piacere!―continuò entusiasta.
Katherine boccheggiò, scrollò le spalle e con la mano spostò i capelli dinanzi al viso: ―Allora meglio che avvisi Sheila e speriamo che non abbia da ridire―.
―Oh e perché dovrebbe? Gli ospiti sono sempre ben graditi!―
―Certo, non ne dubitavo― digrignò tra i denti mentre con una riverenza formale la giovane padroncina correva verso la governante sbadata ed analfabeta che tanto amava, all'interno della casa.
Se Sheila non avesse trovato nulla di cui lamentarsi, ci avrebbe pensato lei stessa.


Spazio scrittrice:
Aaaah, pure in orario sono! Vedete? Ormai sono diventata bravissima u.u, aggiorno in tempi record, secondo i miei standard x'D.
Prima di far commenti su questo capitolo vorrei ringraziare di gran cuore tutti coloro che hanno recensito questa storia, l'hanno trovata da poco e... beh insomma, mi rendete immensamente felici soprattutto quando mi fate presenti gli errori e cercate di aiutarmi. Davvero. Lo apprezzo molto.
La prima parte vuol farvi capire perché Elizabeth voglia ritornare a Winslow Hall u.u, la seconda parte invece serve per introdurre ciò che al prossimo capitolo sarà fondamentale: la cena.
Praticamente il sesto capitolo è basato sulla cena e... ci saranno dei colpi di scena assai *gnam gnam* :3.
Dopodiché, vi avviso già da adesso, ci sarà una specie di salto temporale... no, no, non pensate male! Ma... vi dico solo che il Ballo Nevoso è più vicino di quanto pensiamo.
Ed ora? u.u Ora vi saluto! Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolino :3.
Un bacione da me e dal mio gatto che è immancabilmente presente.

Ps: il nuovo banner *_______*, sbaviamoci sopra.



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