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Autore: MarcoMatalo    07/03/2014    1 recensioni
non ballerò su tombe rosse di sangue;
non suonerò con petali argentei;
non canterò di giganti addormentati;
perché la guerra non va evocata.
Genere: Comico, Fantasy, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ballerò su tombe rosse di sangue;
Non suonerò con petali argentei;
Non canterò di giganti addormentati;
Perché la guerra non va evocata.



“Siamo arrivati?”
“No, la strada è ancora lunga e impervia prima di giungere alla meta”, così rispose Falgot Senzascudo, un uomo dallo sguardo tanto cupo quanto autoritario, i capelli che con la luna brillavano ormai di un bianco lucente come i fendenti nati dalla sua spada gli incorniciavano il volto ormai segnato dall’età, dai troppi anni, dalle troppe battaglie, dai volti di nemici uccisi per un Mondo destinato a cadere. Eppure la forza in lui non cedeva, resisteva quasi alla pari di cinquant’anni prima quando combatté nell’ultima Grande Guerra per il dominio di Maailman, che vide protagonisti le razze di tutta la regione contro i Draghi Dominatori, i tiranni che regnavano indiscussi tra violenza e terrore.
Tutte le razze della regione, elfi, nani e uomini si unirono in un’alleanza  per rovesciare il Trono Antico simbolo di potere dei draghi. Molti anni sono passati da quella guerra, un periodo di pace regna su questa terra…o forse no? Ma cominciamo dall’inizio.




CAPITOLO I
TROVARE E PERDERE

Era ormai sera, una sera arrivata troppo presto per un giorno d’estate. Sulle cime del Windy Hill la notte  piombava con un abbraccio gelido, folate di vento freddo colpivano la compagnia ormai fermatasi per la notte. Gli alberi sembravano spezzarsi grido dopo grido, le stelle non ebbero il coraggio di mostrare la loro luce. Una fredda morsa gelava il sangue, neanche il dolce calore del fuoco servì a molto, esso, infatti, tremava come un fanciullo spaventato dinanzi al lupo nero, l’unica fonte di sostegno furono i racconti narrati a turno dai componenti del gruppo.
La notte passò e un’alba pallida schiariva le vette circostanti e il sole, anche se basso, illuminava la meta del viaggio, Torre Alta, innalzata in tempi ormai dimenticati anche dagli elfi. Essa era ormai vicina, forse mezza giornata di viaggio. Falgot ci svegliò.
“Avanti pivelli, svegliatevi, sognerete le gambe delle vostre donne serrarsi ai vostri fianchi la notte prossima.”  Il vecchio non ebbe risposta però, per cui alzò la voce “Svegliatevi!”, la sua voce rimbombò sino al cielo, gli uccelli presero il volo. Il gruppo saltò al in piedi, quasi sull’attenti. Con la voce divenuta di nuovo bassa simile, ad un padre autoritario disse “Bene, ora che siete svegli, prendete le vostre cose e rimettiamoci in marcia, Torre Alta non è lontana”.
“Perché arrivare a Torre Alta solo per dei banditi?” domandò Jilik, un guerriero dalla città di Red River. “Perché? Perché ti sei unito a questa spedizione Signor Panc?” risposi io che provenivo da Autumn Leaves, la città elfica più a occidente, sorta a Red Woods, da dove venivano reclutati i migliori ranger e arcieri di tutta la regione.
“Per trovare oro e fortuna, mio caro amico, per cos’altro altrimenti?” Rise Jilik.
“Per l’onore o per salvaguardare la pace nel regno magari!” Risposi con voce dura.
“Onore? Pace? Non lo capisci che la pace non esiste in queste terre, è solo una favola per i fanciulli che vivono ancora nei mondi dei sogni. Finché ci saranno spade e uomini per impugnarle, la pace sarà solo un miraggio in un deserto di follia! E l’onore?” Rise per un attimo “L’onore non è nulla, è solo un invenzione di chi non ha il coraggio di aprire le cosce di una donna senza un boccale di birra in gola!”
“Adesso basta!” Sguainai la spada puntandogliela dritta alla gola, il gruppo si arrestò, nessuno aveva il coraggio di muovere un dito.
“Abbassa la lama, Elfo.” Intervenne  Falgot “Le liti fra compagni di viaggio sono come due uccelli che litigano per lo stesso nido in pieno inverno, alla fine, moriranno entrambi di freddo…” Riposi l’arma, tutto il gruppo rimase in silenzio; un silenzio spezzato solo dall’ondulare dei pini che formavano un colonnato lungo il sentiero. Allora il buon padre disse “Ora c’è troppo silenzio però.” Guardò Nerisi, l’unico del gruppo a saper suonare, egli amava la musica come la propria vita, sapeva suonare qualsiasi strumento, nato a Down Fall, vicino a Grand’Albero, apprese l’arte della musica da Yilmaret Voce d’oro, il bardo più conosciuto di tutta Maailman, egli decise di intraprendere il viaggio per  terre mai viste, per narrarle e farle scoprire a chi aveva orecchio per ascoltarle. “Nerisi, suonaci qualcosa, così forse gli animi dei nostri compagni saranno più lieti, e i loro piedi più leggeri.”
“C-chi…i-io? V-va bene…” Disse con voce leggera e tremante. Jilik scoppiò a ridere.
“Quindi parli, ma con quella voce non credo tu sappia cantare.” Noi tutti cominciammo a ridere, tranne Falgot che si girò verso Nerisi e gli fece un cenno con la testa. Così fatto, egli cominciò a cantare. La sua voce balbettante si trasformò in una dolce melodia, anche il più bel usignolo perdeva la sua grazia vicino a lui.

In età lontana,
Dove la guerra era signora;
Dove la morte era sovrana;
Dove la fame era regina;

Un Eroe nacque;
Un Eroe sorse;
Un Eroe mosse;

Una gemma di mille corone,
Di guerra chiamata pace;
Di guerra chiamata rivoluzione;
Di guerra chiamata libertà;

Un Re morì;
Un Re tramontò;
Un Re restò fermo;

Guardando il suo Potere,
Il Trono Antico spoglio;
Il Trono Antico cadere;
Il Trono Antico distrutto;

Un Popolo guardò;
Un Popolo pregò;
Un Popolo gridò;



Di vite perse e mai ritrovate,
Di Morti mai più visti ballare;
Di Morti mai più visti suonare;
Di Morti mai più visti cantare;

Ed Io,
Non ballerò su tombe rosse di sangue;
Non suonerò con petali argentei;
Non canterò di giganti addormentati;
Perché la guerra non va evocata;
Tanto meno cantata, né osannata.


La voce sembrava entrare nelle menti di coloro che lo ascoltavano. Le parole, come un abbraccio di una madre premurosa che accarezza dolcemente il capo del proprio figlio, risuonavano nel sentiero.
“S-spero vi sia piaciuta…” Il gruppo restò senza parole per la straordinaria voce di Nerisi. Egli infatti da quando era cominciato il viaggio non diete mai fiato alle proprie parole, restando sempre in silenzio tra i suoi pensieri, annotando tutto ciò che vedeva e sentiva senza aprire bocca.
Il sole era alto quando arrivammo su un piccolo spiazzo poco roccioso, all’ingresso dell’ultimo tratto di sentiero per giungere a Torre Alta. La vegetazione diminuiva gradualmente, passo dopo passo, facendo posto a rocce e a neve, caduta la notte prima. Decidemmo allora di fare un frugale pranzo, per riprendere le forze prima di rimetterci in marcia. Non fu emessa parola, come sapessimo cosa ci attendesse una volta giunti a destinazione; finalmente, qualcuno spezzò il pesante silenzio.
“Cosa ci attenderà una volta arrivati?” Chiese Koti “Si parlava di banditi, ma non vedo fumo provenienti dalla torre, né rumori che facciano pensare a persone che discutono.”
Falgot lo interruppe “Figliuolo, ciò che ci aspetta li ,  è incerto come il mutare del tempo, non si hanno certezze di ciò che avverrà nel futuro.” Il gruppo rimase nuovamente in silenzio. “L’importante è arrivare.” Rise, “Poi quando ci troveremo davanti al nemico, le nostre azioni verranno dettate dalle ultime di questi.” Un freddo macigno piombò sugli animi di tutti i presenti. “Una cosa è certa però, coloro che moriranno non saremo noi.” Noi tutti sentimmo l’anima più leggero a sentire queste parole, una nuova forza scorreva nelle nostre vene; finito il pranzo, impacchettammo il più velocemente possibile gli zaini e riprendemmo il cammino. Marciavamo spediti per il breve sentiero che ci divideva dalla meta, un lungo ponte di roccia. La neve cominciò ad aumentare, i passi da prima rapidi e leggeri si fecero sempre più pesanti e lenti, superato il ponte si presentarono dinanzi ai nostri occhi due pareti di roccia curve, simili un arco senza chiave di volta, alle sue spalle, come un re seduto sul trono, se ne stava Torre Alta. Nera come la notte più buia, imponente come il drago più anziano, inerte e immutabile come un gigante in un sonno profondo. Al centro di una piazza bianca di neve, circondata dalle grandi mura di roccia scura che formavano i lati e la vetta della montagna. Quasi racchiusa come un bocciolo di rosa troppo prezioso per essere toccato.
Quando arrivammo lì, superammo l’arco, davanti a noi non c’erano né banditi né altro, solo una torre vuota. La porta in pietra, che conduceva all’interno, era distrutta, i frammenti erano sparsi ovunque, profonde crepe creavano disegni su tutta la facciata anteriore, anche il grande stemma sopra l’entrata era diviso in due da una profonda crepa che lo attraversava da parte a parte.
“Cos’è? Uno scherzo?!” Esclamò Koti. “Qui non ci sono banditi.”
“La porta è distrutta, qualcosa deve pure essere accaduto qui.” Dissi.
A un tratto dei rumori provenienti dall’interno della torre cominciarono ad echeggiare nell’aria, rumori sempre più forti. “Cosa diamine sta succedendo?” Sussurrò Jilik.
Il vento smise di soffiare, la tensione poteva essere tagliata con una lama. Un grido squarciò il silenzio.
Un solo colpo gli bastò per distruggere l’arco già in macerie della porta della grande torre. Si presentava dinanzi a noi un troll, creduti ormai estinti, eppure lui era lì, terrificante come una montagna d’inverno, impugnava un tronco come arma, sradicato sicuramente nei boschi ai piedi dei colli minori di Windy Hill. Un altro ruggito pronunciò il mostro e anche la roccia tremò.
“Qui si mette male!” Urlò Jilik.  (Fine prima parte)
  
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