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Autore: emotjon    08/03/2014    8 recensioni
[SOSPESA MOMENTANEAMENTE]
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Lei, Andromeda Tomlinson, per tutti Andie.
Classe 1993. Capelli castani, occhi celesti.
Sorella minore di Louis. Ex ragazza di Liam Payne.
Migliore amica di Harry Styles.
Genitori ricchi sfondati... Ma che bloccano le carte di credito ai fratelli Tomlinson.
La soluzione? Un coinquilino.
E chi meglio di Zayn Jawaad Malik?
Ma soprattutto... Andie, la ragazza acida con la corazza d'acciaio, riuscirà a resistere al fascino del tenebroso quanto sexy e dolce coinquilino?? Sta a voi scoprirlo. E se leggete lasciate una recensione, vero? Vero.
xx Fede.
Accenni Larry. Niente di sconcio, solo due ragazzi innamorati, giuro.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*crepo male. avevo messo il capitolo e mi si è chiuso internet.
ma okay, ce la posso fare. scusate il ritardo di quasi tre mesi.
mi spiace troppo non essere riuscita ad aggiornare prima.
tanto che a questo punto spero ci sia ancora qualcuno a seguirla...
comunque, ci siamo. capitolo leggermente di svolta.
e non so quanti ne mancano alla fine, lol.
quindi, per il momento è questo. e spero di riuscire ad aggiornare presto...
ah, ho un nuovo profilo twitter, se volete seguirmi, ve lo lascio in fondo con gli altri contatti.
alla prossima ragazze :) e buona festa della donna, awww.
- emotjon.*


21. Another love.


ANDROMEDA’S POINT OF VIEW.

Il Brasile mi era sempre piaciuto. L’avevo sempre considerato uno di quei Paesi dai quali avrei potuto ricominciare da capo, se mi fosse successo qualcosa. Ed eravamo a Rio da un paio di giorni, tempo che mi era bastato e avanzato per amare quel posto anche più di prima, più di quanto fosse possibile, forse.
Mi ero ripresa dal viaggio, in quei giorni. Ma mi ero rifiutata di mandare giù più di quanto mi servisse. Saltavo un pasto dopo l’altro, fino ad arrivare ad un millimetro dallo svenimento. Allora Carmen, o Charlotte, mi vedevano più pallida del solito e mi costringevano a mangiare. Nonostante non volessi.
Mangiare non aveva senso, senza di lui.
Respirare, non aveva senso.
«Tesoro, devi mangiare qualcosa», mi riprese mia sorella per l’ennesima volta, provando ad accarezzarmi i capelli. Mi ritrassi, quasi come fosse automatico per il mio corpo allontanarmi da lei. Semplicemente perché lei non era lui. «Andie… lo so che stai male…».
Quello, poi, era anche peggio.
Lei non sapeva niente. Non sapeva come stavo, come mi sentivo. O perché mi rifiutassi di mangiare. Non sapeva perché avevo sempre gli occhi gonfi dalle lacrime trattenute, come non sapeva che continuassi a sognare Zayn tutte le notti, da due settimane. Non sapeva niente, inutile che provasse a convincermi del contrario.
«No, non lo sai», riuscii a dire, con voce roca, asciugandomi velocemente una guancia. Ma non volevo piangere, non davanti a lei. Io dovevo essere forte. Per me. Per Zayn. Per entrambi. «Non sai come si sta quando la persona che ami di più al mondo è chissà dove…». Con la sua ex. Ma niente, non riuscii nemmeno a finire la frase, bloccata dai singhiozzi.
Mi accorsi appena delle lacrime e dei singhiozzi. E chiusi gli occhi, pur di non vedere il viso preoccupato di mia sorella, annebbiato e confuso. Mi accorsi appena di Carmen, entrata qualche istante dopo in cucina. Come mi accorsi appena di mia sorella, che prese Gabriel per mano e lo portò via dalla cucina, lontano da me.
Non mi resi conto di niente, se non dell’abbraccio della bellissima donna che avevo di fronte. Lasciai che mi accarezzasse i capelli, che mi stringesse a sé. Lasciai che mi facesse sfogare come volevo. Come avevo bisogno, più che altro. «Io lo so come ti senti, Andie… sono stata innamorata di tuo padre per così tanto…».
Annuii, a quel sussurro. Cercando poi di ritrovare un minimo di controllo. Lasciai che mi asciugasse le lacrime, delicatamente. Da mamma, quasi. Quasi come fosse mia madre. Come la mia vera madre non aveva mai fatto, però. Impressionante. Impressionanti la dolcezza, l’amore, e la tenerezza, che Carmen mise in quel gesto.
«Io senza di lui non sono niente…».
Ed era vero. Lo pensavo veramente. Io, senza Zayn, ero come una notte senza stelle e senza luna. E magari può sembrare smielato. Ma è terribilmente vero. Lui era come un bicchiere d’acqua nel deserto, o la luce nella notte. Lui mi teneva in vita. Lui mi dava la speranza che mi serviva per andare avanti, per non farla finita da un momento all’altro.
Lui era il mio tutto.
E senza di lui, letteralmente, non sarei stata che una briciola di me stessa. Senza Zayn, avrei fatto riemergere le vecchie paure, le vecchie barriere, la vecchia acidità. La vecchia me. La parte brutta e cattiva di me, quella che non volevo ritirare fuori.
«Perché ti ha mandata qui?», mi chiese dopo una manciata di secondi, aiutandomi a sedere su uno sgabello e avvicinandomi una fragola alla bocca. Cercai di cacciare indietro le lacrime, al pensare alla labbra di Zayn, che sapevano anche di fragole.
E le raccontai tutto.
Del messaggio a Danielle. Dei soldi che tenevo nascosti da mesi nel doppio fondo dell’armadio. Degli orfanotrofi. Delle fotografie. Della mostra che volevo far allestire una volta creato il tutto. «Ha detto che ti avrebbe chiamata… e venendo in Brasile io sarei stata occupata con il mio progetto», aggiunsi scuotendo la testa e addentando una seconda fragola.
In fondo, avevo più fame di quanto non pensassi.
«Non ho mai visto una persona amare qualcuno come Zayn ama te, piccola», mi disse in un soffio, prendendomi il mento con due dita e avvicinandosi per darmi un bacio leggero sulla fronte. Bacio che mi ricordò di lui, ancora una volta. Ma cercai di non darlo troppo a vedere. Cercai di non essere debole, una volta tanto. «C’è un orfanotrofio in fondo alla strada, che sta andando in malora… se vuoi ti accompagno e vediamo cosa poter fare».
Sorrisi. Davvero. E per una volta, senza il sorriso di Zayn Malik a martellarmi il cervello. E mangiai una terza fragola, quasi senza rendermene conto. Cacciai le lacrime al loro posto. Sorrisi, ancora, per poi darmi una sistemata e rendermi presentabile.
Dovevo aiutare quei bambini. E distrarmi dal pensiero di Zayn, era l’unico modo. L’unico che avevo trovato. E forse anche l’unico modo possibile, a dirla tutta. Cercai di non pensare a niente che non fosse il mio obiettivo. Niente che non fosse il mio progetto.
Niente Zayn, a quel punto. Niente occhi color cioccolato fondente. Niente sapore delle sue labbra. Niente odore penetrante a scombussolarmi gli ormoni. Niente barba sempre incolta di qualche millimetro. Niente “principessa”. Niente sorriso contagioso. Niente risata fuori dal mondo.
Niente di niente.
«Mi accompagni, Carmen?», le chiesi in un sussurro prendendo la borsa e legandomi i capelli in una treccia mezza sfatta. Un attimo e Gabriel mi corse incontro attaccandosi alla mia gamba. Riuscendo persino a farmi ridere. «Che c’è, piccolo?», gli dissi abbassandomi al suo livello e scostandogli una ciocca di capelli scuri dalla fronte.
A vederlo così da vicino… somigliava fin troppo a mio padre.
«Via?».
Spostai per un attimo lo sguardo dal piccolo davanti a me a sua madre, che intanto si era avvicinata. La vidi mordersi il labbro, e passarsi poi una mano tra i capelli. Ma la ignorai, scuotendo leggermente la testa e tornando a guardare il mio nuovo fratello. «Non vado da nessuna parte, piccolo».
«Ma…».
Lo bloccai posandogli delicatamente le labbra sulla fronte e sorridendo. «Esco con la tua mamma… andiamo ad aiutare dei bimbi come te, che hanno bisogno di me… ti giuro che torno presto, okay?», aggiunsi lasciandogli poi un bacio sulla punta del naso. Lui rise, annuendo pianissimo, ma aveva una luce strana negli occhi. Una luce che avevo già visto. Negli occhi di… Zayn.
L’occhio mezzo lucido. La paura di essere abbandonato. La stessa paura che avevo avuto io negli occhi due settimane prima. La stessa sensazione alla bocca dello stomaco. E certamente non era una bella sensazione. Non l’avrei augurata a nessuno, nemmeno a Michelle.
E riuscii solo ad abbracciarlo, cercando di non scoppiare in lacrime. Ero davvero troppo stufa di piangere. Stufa di sentire la mancanza di Zayn. Basta. Avrei dovuto smetterla di pensare alle cose e alle persone che non potevo o non riuscivo ad avere. E tutto per colpa di un bambino di due anni, poi?
Lasciai che Carmen prendesse suo figlio in braccio e mi lasciai andare sul pavimento, cercando di riprendere fiato, e di togliermi la figura del mio coinquilino – e ragazzo che amavo alla follia – dalla mente. Lasciai che si inginocchiasse al mio fianco e mi tirasse a sé per un abbraccio, di cui avevo bisogno, più di qualsiasi altra cosa.
«Tesoro, non ci pensare… Gabriel ha solo paura di…».
«Perdermi», finii per lei, con un respiro profondo.

 

***

ZAYN’S POINT OF VIEW.

Mi rigirai il flacone di pillole tra le dita, soprappensiero. Era pieno. Forse ancora sigillato, mai aperto. E non riuscivo a capire. Non capivo niente. Niente di niente. Che Michelle mi avesse mentito? Magari non stava male come avevo creduto. Magari mi aveva solo preso in giro… per fare in modo che lasciassi Andie e scappassi con lei.
Mi passai una mano tra i capelli, che stavano crescendo fin troppo in fretta, e sospirai. Non ce la facevo più a sopportare tutta quella situazione. Mi mancava troppo la mia ragazza. La mia coinquilina. L’amore della mia vita. Mi mancava Andie, più di quanto avrei potuto immaginare.
Mi mancavano i suoi occhi, il suo sorriso, le sue sopracciglia inarcate. Le sue labbra, la sua pelle. Il suo odore. Mi mancava lei, tutta quanta. Acidità compresa. Carattere impossibile compreso.
Guardai per un secondo Michelle scendere le scale fischiettando.
Amavo anche lei.
Ma era un altro tipo di amore, totalmente diverso. E forse, totalmente sbagliato. Un amore da buttare, un amore che più che altro era malessere. Le volevo bene come ad una sorella, era quello l’amore che provavo per lei. E mi venne da piangere, guardando lei e immaginando che fosse… Andie.
Ormai era un pensiero fisso. L’unico pensiero che mi permetteva di fingere tanto bene con la mia ex. Fingevo che lei fosse Andromeda. Fingevo di toccare lei, di baciare lei, di parlare con lei. Immaginavo gli occhi di Andie, e il suo sorriso. Fingevo persino di fare l’amore con lei, quando invece era Michelle.
Come eravamo arrivati a quel punto? Come avevo potuto permettere che la mia ex fuori di testa irrompesse nella mia vita e rovinasse tutto ancora una volta? Ero stato stupido io a fidarmi? O forse stupido a credere di star facendo la cosa giusta, stupido a credere di poterla salvare.
Ed ero stufo di fingere. Stufo che mi mancasse Andie.
«Piccola, mi spieghi?», le chiesi in un soffio stanco, continuando a rigirarmi il flacone tra le dita. La vidi sgranare gli occhi e schiudere le labbra. La vidi sedersi sull’ultimo scalino, prendendosi poi la testa tra le mani. «Non ti posso aiutare se non mi spieghi cosa sta succedendo», aggiunsi avvicinandomi e sedendomi al suo fianco, prendendole le mani e scostandogliele dal viso.
«Ti ho trovato dopo… due settimane che convivevi con lei».
Annuii pianissimo, lasciando che prendesse fiato e si aprisse. Avevo bisogno di sapere. Di capire come mi avesse trovato. Perché volesse trovarmi. E cosa c’entrasse il padre della mia ragazza in tutto quel casino.
«Ero in un bar, a Londra, e ho sentito un uomo parlare al telefono… diceva di aver bloccato le carte di credito ai figli, e che si erano trovati un coinquilino. Allora lui doveva aver fatto le sue indagini, e lo sentii pronunciare il tuo cognome…», continuò voltandosi finalmente per guardarmi negli occhi.
Li aveva lucidi, arrossati, e gonfi di lacrime. Mi fece pena, in un certo senso. Possibile che non volessi vederla soffrire? Quasi come fosse Andie, come fossi ancora innamorato di lei. Ma non era possibile. Lei non era Andie. Michelle era il mio passato. Non avevo bisogno di lei, non in quel senso.
«Vai avanti…».
La vidi prendere un respiro profondo e annuire appena. «Lo avvicinai e gli dissi che ti conoscevo. Gli raccontai cosa era successo tra me e te, e lui… mi chiese se potevo fare qualcosa. Se potevo allontanarti da Andie». Rabbrividii, sentendola pronunciare il suo nome. Era la prima volta che lo diceva. E quel nome riportò a galla la mancanza di lei. La mancanza che avevo cercato di nascondere, stando con Michelle. «Accettai… mi disse che mi avrebbe pagata… e io gli chiesi se poteva procurarmi queste», aggiunse indicando il flacone che tenevo in mano.
«Non ti ha detto perché mi voleva lontano da lei?».
Ignorai il fattore pasticche. Andie era più importante di Michelle. Più importante delle pasticche. Più importante dei suoi problemi. E poi, ero troppo curioso di sapere il perché. Perché il padre di Andie mi volesse lontano da sua figlia, anche senza conoscermi.
«Io… non lo so… forse non ti ritiene degno di stare con lei…». Ma noi non stavamo insieme. Io ed Andie non eravamo niente all’inizio. Solo coinquilini, e ci ignoravamo pure. «Non lo so, Zay… io avevo bisogno delle pillole, e in quel momento lui era l’unico che avrebbe potuto procurarmele senza fare domande», aggiunse lasciandosi andare ad un sospiro stanco.
«Io ho bisogno di lei, però», le spiegai stringendole una mano, intrecciando le dita con le sue. La sentii irrigidirsi, come se mi stesse nascondendo qualcosa. Come se ci fosse altro. Come se non volesse dirmelo. «Io sono l’ombra di me stesso, senza Andie… mi capisci?».
Sentivo di avere gli occhi lucidi, ma non mi interessava. Mi stavo aprendo con lei come probabilmente non avevo mai fatto e non avrei dovuto fare. Mi stavo scoprendo, stavo buttando giù un muro. Allora la vidi puntare gli occhi nei miei, e annuire, quasi impercettibilmente.
«Ho accettato di aiutarlo perché mi mancavi», ammise, lasciandomi la mano e alzandosi in piedi, leggermente traballante. «Ho accettato perché senza di te mi sembrava di morire… ma… tu sei innamorato di lei». La vidi sorridere appena, al pronunciare quelle parole. Ed erano le parole più vere che mi avesse detto, forse da quando la conoscevo.
Era una verità, che fossi innamorato di Andie.
«Michelle…».
«Quelle pillole mi servono Zayn… senza quelle vado nel panico, letteralmente». Ascoltai ogni parola col cuore sempre più in gola. Sempre più oppresso dal senso di nausea. Lei stava male, avevo ragione. Erano gli attacchi di panico, ancora ragione. «Ma non posso impedirti di essere felice», aggiunse dopo una manciata di secondi, lasciandomi totalmente a bocca aperta. «Non sono tanto sadica, Malik…».
Eppure io non riuscivo a crederci. Come non riuscivo a muovermi.
«Non vado da nessuna parte finché non ti ho tirata fuori da questo casino», dissi dopo qualche minuto di silenzio, alzandomi in piedi e abbracciandola. La sentii sorridere contro il mio collo, e annuire un attimo dopo, ricambiando l’abbraccio. «Però ti devi fidare di me».
Le lasciai un bacio sui capelli, sentendola annuire.
Sarebbe andato tutto bene. Ora ne ero leggermente più sicuro.
E non restava altro se non chiamare Andie. Feci tutto in automatico, ignorando persino il sorriso da idiota di Michelle. Presi il telefono e feci il numero di Carmen a memoria. Pregando che rispondesse. Pregando che Andie fosse dove le avevo chiesto di andare. Pregando che andasse tutto bene.
«Pronto…».
«Carmen, sono Zayn». Vidi Michelle inarcare un sopracciglio, evidentemente confusa. Ma non me ne curai. Riuscii solo a sentire la mia professoressa di storia dell’arte trattenere il fiato, e poi espirare pesantemente. «Ti prego, dimmi che Andie è con te», mormorai, cercando di trattenere altre lacrime.
Tornai a respirare normalmente solo quando sentii un singhiozzo mal trattenuto e un “passamelo”, appena sussurrato e leggermente balbettato. Sentire il respiro della mia ragazza nell’orecchio mi fece sentire meglio, fin troppo.
«Amore… oddio…».
«Piccola, non piangere», le dissi a voce bassissima, mentre la mia ex spariva al piano di sopra. La sentii prendere un respiro, cercando di obbedirmi, ma senza troppo successo. Continuava a singhiozzare. Mi sembrava quasi di sentire il rumore delle lacrime scivolarle lungo le guance.
«Credevo mi avresti abbandonata, cazzo», riuscì a dire, continuando a piangere. C’era comunque il solito velo di acidità che la accompagnava sempre. Ma non ci feci caso, mentre mi sedevo sugli scalini tirandomi quasi nervosamente una ciocca di capelli. Solo, non c’era da essere nervosi.
E in qualche modo, sorrisi. «Ti avevo detto di fidarti di me, no?».
«Mi fido, piccolo, è solo che… ho avuto paura di…».
«Perdermi», finii per lei, sentendo poi Michelle sedersi al mio fianco e posare la testa sulla mia spalla. La vidi sorridere, con la coda dell’occhio. «Devi continuare a fidarti di me, piccola… devo aiutare Michelle, okay?».
La sentii sospirare pesantemente, tra una lacrima all’altra. E poi, solo silenzio.
Finché… «Tieni presente che se non ti amassi quanto ti amo ti avrei già dimenticato, Malik», mi sentii dire, quasi incredulo. Mi era mancato troppo sentirla pronunciare quelle due parole. Mi era mancata l’inflessione dolcissima della sua voce, mentre le pronunciava. «Solo, non metterci troppo, ti prego».
«E’ un modo carino per dire che ti manco?».
Allora la sentii ridere, mentre ancora piangeva, e seppi che tutto sarebbe andato al proprio posto, in un modo o nell’altro. Bastava soltanto crederci.


 

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