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Autore: Gravirei    08/03/2014    8 recensioni
Dalla storia: "Cominciò come una normale giornata di sole a Dressrosa." Ma come può, per uno come Doflamingo, una giornata essere normale? Questa in particolare si evolverà in un modo del tutto inaspettato, come un fulmine a ciel sereno. Ed ecco che il nostro fenicottero preferito si ritroverà ad affrontare, dopo cinque anni, un passato a cui aveva cercato di scappare. Imparerà che dalle proprie responsabilità non si può scappare?
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donquijote Doflamingo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Uhm…forse…forse era questo qui.»
Un ditino tutto appiccicoso si incollò sulla pagina di un libro, indicando una foto.
Doflamingo alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Hai già detto la stessa cosa di altri cinque che abbiamo visto! Proprio non ti ricordi com’era il frutto che hai mangiato?»
Hachi scosse la testolina, mortificata.
«No…mi ricordo solo che sapeva di pupù. Può servire?»
«Sanno tutti di pupù! Quindi non mi aiuta!»
L’Enciclopedia dei frutti del Diavolo giaceva aperta davanti a loro ormai da mezz’ora, ma non c’era verso: Hachi non si ricordava proprio quale di tutti quei cosi colorati avesse morso.
Lei lo aveva morso e basta, mica gli aveva chiesto come si chiamava!
Chinò la testa da un lato. «Davvero hanno tutti quel saporaccio? E allora perché tutti ne vogliono uno?»
«Te l’ho già spiegato cento volte! Perché danno poteri speciali, ecco perché!»
«E quindi tutti sono pronti a mangiare la cacca per avere qualche superpotere? Schifo…»
Lo guardò con gli occhietti brillanti. «Tu l’hai mangiata la cacca?»
Gli si avvicinò con fare cospiratorio.
«Me lo dici che sapore ha?»
Silenzio glaciale.
«Dai…» Gli si avvicinò ancora.
«Giuro che non lo dico a nessuno!», sussurrò poi.
Doflamingo avvertì forte la necessità di appenderla fuori sul balcone.
«Sa di cervello di bambina, ecco di cosa sa!»
«Ooh! Quindi l’hai assaggiata!»
L’uomo assunse un delicato color pistacchio avariato.
Io questa la strozzo.
Trasse un profondissimo respiro, mettendo da parte gli istinti infanticidi che lo avevano appena assalito.
“Calmo, Don. Calmo. Ricorda cosa ti ha detto il fisioterapista. Lo stress ti fa venire i capelli bianchi e le rughe. Ragioniamo. Al nano erano spuntate le ali, no? Quindi dovrebbe essere un frutto di tipo Zoan…”
Seguendo il suo pensiero, voltò velocemente le pagine sino alla sezione degli Zoan.
«Piantala di fare la scema e guarda bene. Potrebbe essere uno di questi?»
Hachi sbuffò e tornò a scrutare le immagini di quel librone così noioso.
«Ma non mi ricordo, uffa…ora posso fare merenda?»
«No.»
«Ma-»
«Ho detto no.»
«…se riconosco la cacca che ho mangiato, posso farmela preparare?»
Doflamingo si mise le mani tra i capelli. «Sì! Ma ora piantala e concentrati almeno per cinque secondi di seguito, per la miseria!»
Hachi osservò attentamente le foto. Aggrottò la fronte. Girò un paio di pagine.
Poi si illuminò di colpo.
Cacciò uno strillo ultrasonico, perforando i timpani di suo padre. «Eccolo! Eccolo! L’ho trovato! È quello lì!», urlò saltellando su e giù sul divano, indicando un’immagine.
Cercando vanamente di ignorare tutto quel casino, spostò lo sguardo sulla pagina.
“Avis Avis. Modello Colibrì.”
Beh, si spiegavano quelle alette ridicolmente piccole.
Il presunto colpevole aveva la vaga forma di un kiwi, era riccioluto e di un acceso color verde smeraldo. Aveva sparse per tutta la buccia macchie bianche e vermiglie, come se lo avesse contagiato una brutta malattia tropicale.
Sicuramente nulla che lui avrebbe avuto il coraggio di mangiare.
A differenza di quella selvaggia.
Che a proposito era sparita al di fuori del suo campo visivo.
Male, molto male.
«SIGNORE!! SIGNORE, È TERRIBILE!!»
Uno degli uomini incaricati di pattugliare l’isola, appartenente ad una specie di polizia da lui istituita, entrò nel suo salotto praticamente sfondando la porta per la fretta.
«Spero per il tuo bene che sia di importanza nazionale!», ringhiò Doflamingo, chiudendo il libro che aveva ancora in mano con uno schiocco irritato.
«Beh, mi sembra di sì, ecco…» Il poveretto rabbrividì sotto l’occhiata malevola del principe. Poi si fece coraggio. «Nel quartiere di Acacia, una donna impazzita sta seminando il panico! È armata e pericolosa, non riusciamo a contrastarla con i normali spiegamenti di forze!»
L’uomo aggrottò la fronte, perplesso. «Come sarebbe, non ci riuscite?»
Questo sì che era bizzarro. Una persona da sola che riesce a contrastare le sue guardie scelte.
Una donna, tra l’altro.
Scrollò le spalle. «Comunque non ritengo ci sia da preoccuparsi. Sarà uno dei soliti casi di tradimento. Una volta trovato l’uomo che cerca dovrebbe calmarsi…»
«Ma, Signore, non è del posto. È una straniera, arrivata da chissà dove poco fa!»
«E cosa volete che vi dica? Non è un mio problema. È compito vostro, no? Occupatevene!»
«Ma Sig-»
Sbam!
«SIGNORE!! SIGNORE, È TERRIBILE!!»
«Oh, ma insomma! Se avete intenzione di abbattere la porta di casa mia ditelo subito!», berciò irritato il Principe.
Il soldato entrato proprio in quel momento arretrò, intimorito. «Chiedo scusa, Signore! Volevo informarla che la donna in questione ha distrutto il molo, fracassato delle panchine, ferito quattro civili e fatto a pezzi parte della strada principale, Signore!»
L’uomo si passò una mano tra i capelli.
«La situazione sembra più grave di quanto pensassi. Sarà meglio che chiediate alle guardie sparse per l’isola di farvi da supporto.»
«Ma Signore», intervenne il primo soldato, «è proprio questo che cercavo di dirle prima! Ci stanno già facendo da supporto tutte le forze semplici di Dressrosa!»
«Cosa? E ancora non bastano?»
«Volevamo chiederle il permesso per avvalerci del supporto di un membro della Family, Signore!»
Doflamingo rise sguaiatamente. «E poi cosa faremo? Chiameremo un Buster Call per un’invasione di cavallette? Hah! Ridicolo! Se non riuscite a fare nulla è solo perché siete un branco di incapac-»
«SIGNORE! SIGN-»
Sbam.
«Ops. Chiedo scusa.»
“Oddio, la mia porta intagliata a mano del nonmiricordopiùquale secolo.”
«Cosa c’è ancora?», gemette esasperato, cercando di constatare i danni al suo povero portone .
Non gli serviva di certo un artigiano per capire che era un caso perso.
Così come non gli serviva di certo uno psichiatra per capire che le persone che lo circondavano erano un ammasso di anatre decerebrate.
«Ecco…il soggetto ha teso un agguato alle forze speciali e…ha aggredito i soldati all’arma bianca. Abbiamo sette feriti gravi, un morto e tredici in fuga verso il porto. Temo che il nemico ci abbia sopraffatti, Signore.»
Doflamingo sprofondò ancora di più nella sua poltrona, biascicando.
«Ma non è possibile…non è po…»
Altro che stress. Altro che rughe e capelli bianchi.
Era sul punto di rischiare un crollo emotivo.
Magari anche nervoso.
Il terzo soldato lo guardò con aria di compatimento. Forse non avrebbe più dovuto dire nulla…
«Signore…purtroppo c’è dell’altro. E temo che sia la cosa peggiore di tutte.»
«Peggio? Come fa ad esserci di peggio? Che c’è di peggio dell’annientamento dell’arma di Dressrosa??»
 
Oddio.
Certo che c’era, che domande.
La gente urlava e correva in tutte le direzioni; donne con in braccio i loro figli, uomini che prendevano in spalla gli anziani.
Un’enorme pila di quelli che da lontano sembravano cadaveri –ma che grazie a Dio erano solo i soldati feriti- era ammassata davanti al suo cancello.
Sembrava di avere davanti la scena finale di un film catastrofico.
O la presa di Troia.
In piedi sulla sua porta, l’uomo osservava basito quello scenario apocalittico.
Ma non era certo quello a preoccuparlo.
Oh, no.
Non era Acacia fatta quasi totalmente a pezzi.
Non la gente che correva in tutte le direzioni, come formiche che stavano per essere schiacciate da qualcosa di immensamente più grande di loro.
Nemmeno la pila di gente semi morta a due passi dal suo bellissimo giardino lo disturbava più di tanto.
Neanche sua figlia che era sbucata dal nulla interamente spalmata di cioccolata («Avevi detto che potevo fare merenda, no?») con tanto di panino in mano, che usava per fare la scarpetta sulla sua stessa faccia.
Ma quella donna.
Quella donna minuta, snella, che lo guardava con l’espressione con cui una persona guarda uno scarafaggio che zampetta sulla sua cena dall’alto della pila di corpi, che nella mano destra brandiva un’accetta.
Due occhi neri.
Capelli corti e ricciuti.
Hachi lasciò cadere il panino che stringeva nelle manine impiastricciate. «MAMI!»

Dulcinela era arrivata.
E sembrava molto, molto poco incline a stipulare un trattato di pace.
 
«DONQUIJOTE DOFLAMINGO! SONO QUI…PER RIPRENDERMI MIA FIGLIA!

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Angolo dell'autrice: 
...non mi guardate. Mi faccio schifio da sola. Sono in ritardo con tuttotutto.
*lancia il capitolo più corto che abbia mai scritto alla gente e torna a nascondersi nella caverna in cui abita*
La vostra dispersa,
Gravirei
  
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