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Autore: PeaceS    08/03/2014    10 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo ventiquattresimo –
Death




Hermione Granger aveva visto così tanto nella vita... aveva subito così dolore che le sembrava di avere ottanta e passa anni ed essere arrivata al capolinea.
A trentanove anni aveva già combattuto una guerra, perso i suoi genitori e tanti amici – divorziato e ora si ritrovava di nuovo al centro di tutto ciò; ora era una spia ed era in pericolo di morte ventiquattro ore su ventiquattro, senza nemmeno preoccuparsi di poter lasciare soli i suoi bambini.
Le sembrava passato un secolo da quando aveva messo alla luce Rose e Hugo e quello, ne era certa, era stato il periodo più bello della sua vita; la gioia di stringere quei corpicini, essere chiamata mamma e tornare a sperare in qualcosa di migliore.
Tornare a sperare di poter essere migliore. Ma Hermione l'aveva sempre saputo, lei non era stata creata per starsene chiusa in casa – a sperare che qualcuno cambiasse il mondo; lei doveva stare in prima linea. Lei doveva assicurarsi di poter garantire di cambiare il mondo con le proprie forze.
“Visto che se ne stanno chiusi in quel buco di Ministero dalla mattina alla sera, saremo noi ad andare lì” iniziò Diamond, guardandoli ad uno ad uno con una determinazione nello sguardo che fece rabbrividire i presenti.
Hermione, in un certo senso, sapeva di essere arrivata al capolinea. Lo percepì. Gli serpeggiò sotto la pelle come mille serpenti che si muovevano all'unisono e per quel motivo che socchiuse gli occhi e sorrise.
Ah, Diamond credeva davvero che fosse così stupida? Così stupida da non accorgersi che lui aveva intuito qualcosa? O così stupida da lasciare che lui la uccidesse così – come nulla fosse?
Nexus, pensò Hermione, concentrandosi mentalmente e chiudendo le dita attorno la bacchetta.
Nexus, continuò a ripetere nel suo cervello, rilassando i muscoli e cercando di far affluire tutta la sua magia lì... dov'era sempre stata. Nella sua testa.
Ah, Diamond. Credeva davvero di poter mettere nel sacco lei, la strega migliore del suo secolo?
Nexus, e la magia avvenne.
Hermione Granger non aprì gli occhi, ma li tenne socchiusi: nessuno poté vedere l'iride diventare completamente e indissolubilmente nera, come la sclera e la pupilla.
“Attaccheremo tra un mese esatto: porteremo con noi il necessario e faremo ritornare il nostro Oscuro Signore” disse senza maschera sul volto, facendo scintillare gli occhi chiari e storcendo la bocca in un sogghigno.
Urla, ovazioni, bacchette che si incrociavano... e il suo sguardo che si posò su di lei.
“Ma qualcuno non potrà dirlo in giro, non è vero?” cinguettò maligno, strappandole una risatina e zittendo tutti quanti.
Quella stanza che li conteneva tremò: le pareti di pietra quasi si sgretolarono sotto la rabbia di Diamond e le fiammelle sui candelabri di ferro si spensero, lasciandoli alla luce del lampadario di cristallo sulle loro teste; dalle vetrate – alla destra di Hermione – penetrò la luce della luna appena sorta.
“Ho fatto troppo presto a fidarmi, non è vero, Hermione?
Avrei dovuto saperlo che chi nasce Auror... beh, muore Auror, anche dopo tutto ciò che ha subito” mormorò Diamond, alzandosi dalla sedia su cui era seduto e continuando a fissarla come un gatto osserva un topo.
Lei continuava a non muoversi.
“O semplicemente voi Mezzosangue siete troppo stupidi per capire l'importanza del potere!” urlò Diamond, fiondandosi su di lei come un falco.
Hermione cadde all'indietro – rovesciando la sedia su cui era stata seduta fino a quel momento e sbattendo la schiena sulla pietra rude: lui era a cavalcioni su di lei e teneva le mani alla sua gola.
“Noi Mezzosangue saremo anche stupidi, ma anche voi Purosangue non scherzate” soffiò Hermione, ma la sua voce era strana – diversa, cupa.
Diamond non l'ascoltò, non pensò: ah, se solo si fosse accorto che lei evitava il suo sguardo e non per paura. Se solo l'avesse costretta a guardarlo negli occhi avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava.
“Crucio” mormorò Diamond, evitando di sporcarsi le mani e alzandosi prima che dalla bacchetta scaturisse quella luce rossa.
L'incantesimo s'infranse sulla sua pelle pallida, stanca – e la straziò, ma non la portò né ad urlare né ad implorarlo.
Hermione Granger, dopo essere stata torturata da Bellatrix Lestrange, aveva giurato che non avrebbe mai più supplicato il nemico... anche a costo di farlo arrabbiare di più – anche a costo di morire.
“Crucio!” urlò con più rabbia, facendo sbalzare quel corpo sul pavimento ripetutamente, in preda alle convulsioni più violente. In preda ad un dolore che la portò a dilatare le pupille e perdere la connessione che aveva stabilito.
Ma era stata brava: aveva cercato quell'incantesimo in lungo e in largo – ovunque – e quando l'aveva finalmente trovato non ci aveva messo molto ad impararlo; Nexus, così la sua mente si sarebbe connessa con quella della persona stabilita.
Nexus, e Lily Potter era entrata nella sua testa per il nesso di tempo che Diamond aveva proclamato la data dell'attacco.
“Idiota” ridacchiò Hermione, rantolando e riprendendo fiato quando lui abbassò il braccio – nero di rabbia per la sua impassibilità.
“Vediamo se hai ancora voglia di scherzare” sibilò furioso, ripuntando la bacchetta su di lei e sorridendo sadico.
Hermione non aveva mai creduto in Dio, nemmeno quando si era trovata faccia a faccia con la morte a diciassette anni; non aveva mai pregato né tanto meno si era preoccupata di incolpare qualcuno delle disgrazie che le succedevano ogni giorno.
Ma in quel momento si ritrovò a fissare il soffitto e schiuse le labbra, sentendo gli occhi inumidirsi allo sfrecciare delle immagini del viso dei suoi bambini nella sua mente.
“Fractus” bisbigliò Diamond ed Hermione sentì la gamba destra – dove lui aveva puntato la punta della bacchetta – spezzarsi completamente: le ossa scricchiolarono fino a sgretolarsi completamente.
Salva almeno loro, pensò con un singhiozzo fermato a fondo gola.
Non le importava di se stessa. Non le importava un cazzo di salvarsi o sopravvivere, voleva solo che i suoi bambini stessero bene e si costruissero una vita lontana dalla guerra – dal dolore e fossero finalmente felici.
Salva almeno loro, ripeté mentalmente, pensando alla gioia che le avevano dato Rose e Hugo.
“Fractus!” strillò ancora Diamond e questa volta la bacchetta vigeva verso il suo bacino. Hermione non riuscì a non urlare e arcuò le dita sulla pietra, ignorando il dolore che le procurarono le unghia quando saltarono uno dopo l'altro.
E lui. Oh sì. Perché Dio, chiunque fosse – ovunque fosse – doveva salvare anche Malfoy o sarebbe andata lì su e si sarebbe fatta valere.
Lei aveva lottato per tenere il culo di Malfoy ben vivo e ora non poteva andare tutto all'aria: Draco doveva sopravvivere e ritornare con Astoria. Hermione lo aveva stabilito da tempo, da quando aveva solo diciassette anni.
“Va all'inferno, stronzo” sputò con la bocca insanguinata, rantolando per il dolore.
Faceva fatica a respirare e sapeva... sapeva che la fine era lì, così vicina da poterla odorare. Così vicina da poter sentire le mani gelide della morte sfiorarla.
“Tu ci verrai con me” sussurrò Diamond, drizzando le spalle e sorridendo incattivito.


Quella sera Hermione Granger non tornò a casa e Draco Malfoy, guardando gli occhi vuoti di Lily, capì che probabilmente non sarebbe tornata mai più.
***


È strano, davvero: un giorno ti svegli e capisci che la tua vita non ha più un senso. Capisci che quel petto – così pieno di emozioni, sensazioni, ricordi – ora è vuoto e tu non puoi farci niente. Tu non puoi fare altro che lasciarlo così, svuotato da ogni cosa.
“Rosie...”
È strano, davvero: un giorno ti svegli e tutto sembra normale, come sempre e magari – anche se hai il cuore che ti batte nel petto come un forsennato – cerchi anche di convincertene. Poi ti sbattono in faccia la verità e tu sai di non poterla rifiutare... sai di doverla accettare per forza, perché è lì e non può essere contestata. È lì e tu non puoi scappare o fare finta di nulla, perché nel mentre ti ha già annullata.
“Tesoro” la chiamò ancora una volta suo padre, con un magone alla gola che quasi gli impediva di respirare.
Rose non rispose, di nuovo, e si limitò a lasciare cadere le braccia lungo i fianchi.
È strano come da un momento all'altro il tuo cervello si blocchi e ti lasci lì – immobile, a cercare una via d'uscita dal buio; Rose sbatté ripetutamente le palpebre, cercando di scacciarlo, di rimanere lucida, calma, viva, ma il buio rimase lì – perché lei lo sapeva, in quel momento era l'unica soluzione. Era l'unico conforto che potesse accettare.
“Mi dispiace così tanto” singhiozzò suo padre, fissandola con gli occhi azzurri intrisi di lacrime.
L'unica volta che Rose l'aveva visto piangere era stato da piccola, all'anniversario della morte di zio Fred. E ora la guardava distrutto, perso, solo come e quanto lei.
Lo studio della Mcgranitt non era mai stato così silenzioso – nemmeno alla notizia della morte di Molly; i quadri non fiatavano, non osavano muoversi e Rose giurò di aver visto Silente asciugarsi qualche lacrima dal suo posto privilegiato alle spalle della preside.
“Mi dispiace di non essere stato in grado di proteggerla” gemette ancora Ron, passandosi una mano tra i capelli rossi, pronto ad auto-distruggersi.
Tom, alle sue spalle, tremò: non sapeva nemmeno perché, quando la Mcgranitt l'aveva chiamata nel suo ufficio, lui l'aveva seguita; non riusciva a concepire perché ora fosse alle sue spalle e... la stesse abbracciando delicatamente, stringendola tra le braccia e ignorando che a pochi passi da loro ci fosse suo padre.
“Cristo” mormorò Tom, soffocando il volto sulla sua spalla e quasi imprimendosela contro tanto era la forza che usava per tenerla legata a sé.
Suo fratello Hugo aveva i capelli rossi sugli occhi e la faccia pallida – come se fosse vicino al collasso. Il suo piccolo e dolcissimo fratellino, che stava abbracciando zia Ginny come un naufrago.
Sembrava così piccolo, ora, tra quelle braccia esili e materne.
Sembrava così disperato, ora, con quello sguardo angosciato e le guance bagnate dalle lacrime.
“Scusa” mormorò ancora suo padre, abbracciandosi da solo.
“Piangi, sfogati... Cristo, Rose, era tua madre!” mormorò Tom al suo orecchio, cercando di farla rinsavire.
Rose non era come sua cugina Lily, lei non era fatta di ferro; non era forte come sua cugina Roxanne, che sapeva trattenere le lacrime fino all'inverosimile e rimanere impassibile in qualsiasi situazione.
Rose era fatta di carne e sentimenti e – in quel preciso istante – si sciolse dalla presa di Tom e si fiondò tra le braccia di suo padre, come quando era piccola e si sbucciava il ginocchio. Lui allora la prendeva tra le braccia e le dava un bacio delicato, curandola e dicendole che era una bambina forte a saper trattenere le lacrime con così tanta caparbietà.
“Non è colpa tua. Non è colpa tua” singhiozzò sulla sua spalla, affondando il viso nella sua divisa Auror e abbracciandolo stretto. E abbracciandolo così tanto fino a diradare di poco quel buio immenso, doloroso.
E suo padre, quell'Auror forzuto – caparbio – e tenerone, scoppiò a piangere insieme a lei.
Ah, se il dolore avesse avuto un volto qualcuno avrebbe fotografato quella scena, Harry ne era sicuro; solo quando aveva visto suo figlio su quella barella e sua figlia in fin di vita aveva provato quel dolore ed era sicuro che non sarebbe mai più andato via.
Era come rimanere sospesi tra la non accettazione e la consapevolezza che se un pezzo del proprio cuore era stato strappato così barbaramente, non sarebbe mai più tornato indietro.
Quella bambina che da quando aveva undici anni non lo aveva mai abbandonato – quando qualche volta l'aveva fatto persino Ron – ora non c'era più; quella donna che aveva amato come una madre, una sorella, come la sua anima gemella, ora non c'era più e lui non poteva compiangere nemmeno un corpo. Nemmeno le ceneri.
“Sala meeting, Ministero – reparto Auror” mormorò con un sussurro, entrando nel camino e buttando la polvere volante sui ciocchi spenti del fuoco che era arso fino a poco prima.
I Mangiamorte non avevano restituito il corpo e Lily sembrava così spenta quando aveva dichiarato che avevano scoperto il suo doppio gioco. Sua figlia li aveva sentiti torturarla e quando Hermione era arrivata al limite, il loro contatto mentale si era spento. Eppure non era ritornata a casa ed Hermione non aveva detto loro dove si trovava per correre a salvarla.
“So che in questo momento l'unica cosa che vorresti fare è andare lì e fare una strage, ma tua zia si è sacrificata per dirci quella data, Lils.
Tua zia è morta per fare in modo che il piano andasse come stabilito”
Harry si bloccò alle spalle della statua grottesca accanto al camino, guardando le due figure stagliate contro la porta di mogano scuro della Sala meeting.
“Lily, io so che fa male. Io lo so, ma tu sei forte.
Tu sei la mia soldatessa d'acciaio, piccola” mormorò Scorpius, accarezzando i capelli della sua bambina con una dolcezza che nemmeno si adduceva ad un Malfoy.
Lily appoggiò la guancia sulla sua mano e lo guardò con gli occhi meno neri, meno arrabbiati; sembrava che quella morte l'avesse completamente distrutta, anche se non l'aveva portata al suo stato originario. Ora era meno grottesca – più umana.
“La mia piccola soldatessa d'acciaio” ripeté Scorpius, avvolgendole la vita con le braccia e cullandola.
Oramai lo sapevano anche i muri che la sua bambina era una guerriera e che sarebbe stata capace di distruggere anche l'inferno, se avesse voluto.
“La cosa che mi tormenta di più sai qual'è?” sussurrò una voce, facendolo sobbalzare.
Harry voltò gli occhi verdi alla sua sinistra, dove, seduto al tavolo di mogano, Draco Malfoy osservava del liquido ambrato roteare nel bicchiere di cristallo tra le sue dita.
“Cosa?” bisbigliò Potter, raggiungendolo lentamente.
Draco scoppiò a ridere amaramente e la sua risata, oltre che isterica, sembrò il suono di uno specchio che va in frantumi.
“Che le avranno fatto patire le pene dell'inferno prima di ucciderla come un cane” soffiò Malfoy, affondando una mano nei capelli biondi come l'oro.
Harry si sedette al suo fianco e si versò una dose abbondante di whiskey incendiario, cercando di trattenersi dal distruggere ogni cosa – persino se stesso.
“Lo so” mormorò l'uomo con la cicatrice, socchiudendo lo sguardo.
Draco strinse i denti e tracannò un sorso di quella bevanda: si sentiva così stupido ad ubriacarsi per una donna che aveva avuto solo nei suoi sogni.
Si sentiva così stupido a stare così male per la morte di chi, che idiota era stato, pensava non potesse morire mai.
“Che fai, piangi?” singhiozzò Draco, fissando Harry con gli occhi così lucidi da rassomigliare a due lastre di ghiaccio.
“Anche tu stai piangendo, Malfoy”
Draco scosse il capo e nascose il viso tra le mani, lasciando che alcune ciocche di capelli gli coprissero le guance bagnate.
“Io non piango” mormorò a voce bassa, ridendo di se stesso.
Se la Mezzosangue lo avesse visto in quelle condizioni, probabilmente avrebbe fotografato l'evento per immortalarlo e farlo rimanere immemore nella storia.
Harry si asciugò le guance con la manica della divisa d'Auror che indossava e tirando su con il naso scosse il capo.
“Hermione aveva proprio ragione... sei umano come tutti noi. Hai solo paura ad esternare i tuoi sentimenti” mormorò, socchiudendo gli occhi per il dolore sordo che stava sentendo al petto.
E così fa anche più male, aveva aggiunto poi.
Perché essere consapevole di essere un essere umano fatto di carne e ossa, sangue e sentimenti era un conto, ma tenere rinchiuse le emozioni – i sentimenti – per troppo tempo faceva male. Poi tutto ammuffiva e dopo diventava doloroso persino respirare.
“Va all'inferno, Potter”
Due esili braccia circondarono il collo dei due uomini, che si ritrovarono chiusi in un abbraccio che sapeva di rose e margherite. Draco alzò lo sguardo e incontrò quello azzurro di Asteria.
“Mi dispiace così tanto” disse, stringendoli come Ron aveva stretto Rose pochi attimi prima.
Sembrava una madre che consola i propri bambini e li cullò proprio come avrebbe fatto la Granger – tenendoli integri, sani, interi.
Almeno in apparenza.
“Lei vi amava così tanto” continuò con la sua voce calma, pacata e Draco la guardò ad occhi spalancati, chiedendosi di cosa diavolo stesse parlando.
“Hermione era forte, un leone e sono sicura che sia morta guardando i suoi nemici negli occhi; lei lo ha fatto per fare in modo che ci costruissimo un futuro migliore, per fare in modo che non dovessimo più lottare anche solo per sopravvivere” continuò, ma oramai Draco era rimasto bloccato sulla frase che aveva pronunciato pochi secondi prima.
Lei vi amava così tanto.
“Di cosa stai parlando?” sussurrò, fissandola con una strana consapevolezza che gli albergava nel petto.
“Dobbiamo parlare... di tante cose” rispose Asteria, sedendosi alla sua destra e prendendo le sue mani tra le proprie.



E mentre Asteria Greengrass raccontava tutta la verità a suo marito, senza tralasciare alcun particolare che potesse trascurare l'amore e la forza di Hermione Granger, dall'altra parte dell'Inghilterra – ad Hogwarts - c'era chi combatteva contro un'altra guerra.
Ma questa volta non c'era alcun Mangiamorte alle calcagna: solo una lotta infinita contro se stesso, ecco cosa stava combattendo Lysander Scamandro.
“Avanti, tra poco passerà tutto” bisbigliò Alice al suo orecchio, tenendogli la testa sul water mentre vomitava anche l'anima.
Lys si aggrappò con forza alla ceramica, tossendo e cacciando in quel buco anche l'anima; sapeva che non sarebbe passata, oramai non aveva nemmeno più forza di andare a lezione: si limitava a trascinarsi – o farsi trascinare da lei – e presentarsi pallido e con due occhiaie da spavento, tanto da farsi chiedere dai professori se stesse bene.
Ma era di sera che arrivava allo stremo delle sue forze. Di sera si sentiva così stanco, spossato... e demoralizzato da arrivare a torcersi per i dolori alle ossa e la nausea. La tentazione di ritornare a... a rifarsi era forte, ma Alice lo era di più.
Quella donna era di una forza incredibile, un uragano che lo travolgeva interamente, un maremoto distruttivo, ma – nello stesso tempo – un'ancora di salvezza.
“Andiamo Lys, sta passando” lo incoraggiò, bagnandogli la fronte bollente con un fazzolettino bagnato e rinfrescandolo.
Si accasciò all'indietro e lei, prontamente, lo afferrò con le braccia: nonostante fosse esile e piccola per prendersi cura di lui cacciava fuori una forza dal comune.
La guardò e la vide sorridere dolcemente, per poi accarezzargli la guancia sudata con un sospiro.
“Se mi avessero detto, un paio di mesi fa, che mi sarei trovato in questa situazione con te... chiunque sarebbe stato gli avrei scoppiato a ridere in faccia” mormorò Lysander, bevendo dalla bottiglietta d'acqua che lei gli aveva portato alle labbra.
“Io avevo chiesto a Lily Potter di ammansirsi Roxanne per farmi leggere i tuoi fascicoli” confessò con un sogghignò Alice, appoggiandosi con le spalle al muro e continuando a tenerselo in grembo.
Erano notti, oramai, che se ne stavano lì: lui non poteva entrare nel suo dormitorio di notte e lei lo stesso, quindi di comune accordo si chiudevano in uno dei cunicoli dei bagni al terzo piano e a volte si addormentavano nella stessa posizione in cui si trovavano in quel momento.
“E perché?” domandò Lysander, sorpreso – alzando di poco la testa per guardarla meglio negli occhi.
Con le dita piccole e sottile gli accarezzò prima il naso e poi le guance, scendendo verso le labbra e regalandogli un piccolo sorriso.
“Volevo conquistarti in un modo che non mi apparteneva... solo che con te mi riusciva sempre così difficile comportarmi come faccio di solito; non potevo venirti vicino e dirti: tu mi piaci” sbuffò Alice, arrossendo per la vergogna di quella confessione.
Ma non stava mentendo: con Lysander era sempre tutto così diverso.
Tra di loro era un continuo primeggiare, una continua lotta, tranne quando lui aveva avuto bisogno di lei e quest'ultima di lui: solo allora si erano aggrappati l'uno a l'altro con una forza che – insieme – li vedeva una forza della natura.
“Io mi sono innamorato proprio del tuo solito” rispose Lysander con nonchalance, strappandole il respiro.
Lysander Scamandro si era appena dichiarato in un cesso che puzzava di piscio e vomito, con gli occhi infossati dall'astinenza e il volto pallido come quello di un fantasma e Alice si era immaginato quel momento un tantino diverso, ma fu la dichiarazione d'amore più bella che le avessero mai fatto.
“Tu sei pazzo” rise la ragazza, spostandogli la frangia dagli occhi e strofinando il naso contro il suo.
“Il mio pazzo preferito” precisò poi, dandogli un delicato bacio a stampo.
“E il tuo pazzo preferito non merita un bacio per bene?” domandò Lysander, mettendo il broncio.
Alice sogghignò.
“No, hai appena vomitato... se ti lavi i denti, forse farò questo sforzo!” rise, ignorando i lamenti di Mirtilla che chiedeva chi ci fosse chiuso lì dentro.
Lysander l'afferrò per i capelli e la baciò, infilandole la lingua tra le labbra e sorridendo quando lei si staccò disgustato.
“Che schifo, Scamandro!” sbraitò, spingendolo lontano e ridacchiando anche lei alla sua faccia da cucciolo bastonato.
“Oh, insomma, ma due persone quando stanno insieme condividono tutto...” si lamentò con vocetta da bambino, mettendogli il broncio.
“Non l'alito di vomito, tesoro”
***


“Sono corso appena ho saputo”
La voce di Frank aveva un che di balsamico per le ferite interne, questo Roxanne l'aveva constatato negli anni; certe volte lo trovava a balbettare oppure incespicare sulle sue stesse parole, ma era sempre calma – quasi soave e aveva qualcosa che la rendeva piccola, lontana come un eco, ma dolce e rinfrescante.
“Merlino, è una cosa orribile” continuò il ragazzo, raggiungendola dal letto dove si era sdraiata appena aveva saputo di quella morte.
Chissà come facevano i ragazzi a salire le scale del dormitorio femminile, questo era un quesito che Roxanne si era sempre posto, ma che aveva ignorato con una scrollata di spalle.
“Roxie, stai bene?”
No, non stava bene. Si stava chiedendo come facessero i ragazzi ad entrare nei dormitori invece di consolare sua cugina per la morte di sua madre.
Era una vera e propria merda.
“Rose è con la sua famiglia e sa che tu le sei vicina” mormorò Frank, sdraiandosi al suo fianco e accucciandosi accanto a lei.
Mise un braccio sulla sua testa e cominciò a sfiorarle delicatamente i capelli rossicci, poggiando la fronte sulla sua guancia.
“Mi vanto sempre così tanto di essere una persona forte, strafottente, senza sentimenti... e poi non riesco nemmeno a consolare mia cugina” mormorò Roxanne, con gli occhi completamente asciutti – continuando a fissare il soffitto.
Frank scosse il capo e se la strinse ancora di più contro, infondendole quel minimo di calore che stava perdendo sempre di più, con una lentezza estenuante.
“Tu sei forte, Roxanne, ma perché non capisci che va bene se piangi qualche volta.
Va bene se ti lasci andare. Non è male” cercò di scrollarla Frank, afferrandola per il mento e costringendola a guardarlo.
Roxanne scosse il capo e strinse i denti, cercando di sfuggire alla sua presa.
Non poteva piangere o cosa ne sarebbe stato di lei? Chi l'avrebbe tenuta integra quando poi i suoi occhi si sarebbero abituati alle lacrime?
“Ci sono io con te, Roxie” disse deciso, guardandola determinato.
Frank era fragile, piccolo – aveva bisogno di cure, perché con i suoi attacchi d'ansia e panico soffriva molto e più di lei – ma era un leone, ecco perché era stato smistato a Grifondoro.
Lui era sempre stato l'unico a vedere il suo lato debole e non l'aveva mai presa in giro. Aveva tenuto quelle lacrime che Rox gli aveva versato sul maglione come un segreto, senza mai chiedere nulla in cambio.
“Sta crollando tutto, Frank.
Sta crollando di nuovo tutto e noi non possiamo fare nulla per fermarlo, capisci? Questa guerra ha distrutto la nostra famiglia vent'anni fa e sta continuando a distruggerla ora” mormorò, pensando all'espressione che assumeva suo padre quando guardava la fotografia di zio Fred.
Pensava al dolore alla morte di nonna Molly e il volto ferito di nonno Arthur, che non era più lo stesso da allora. Pensava a zia Hermione, a quanti ne avrebbero dovuti perdere ancora per essere finalmente liberi.
“Ho paura” disse ad alta voce, lasciando che s'incrinasse sull'ultima parola.
Frank lo sapeva cosa provava... era lo stesso dolore che aveva provato lui quando sua madre lo aveva portato – per la prima volta – a conoscere i suoi nonni e il dolore che provava tutt'ora a guardare suo padre continuare a distruggersi.
“Lo so, tesoro”
Roxanne sentì gli occhi bruciare e finalmente arrivarono. Quelle lacrime che per anni aveva ricacciato indietro, che per anni si era ripromessa di non cacciare per poter rendere orgoglioso il suo papà, suo fratello e il suo cuore – che veniva messo sempre alla prova – vennero a galla con una prepotenza che le spezzò lo sterno. E il respiro.
“Non devi averne vergogna” mormorò Frank, mentre lei socchiudeva gli occhi e lasciava che le lacrime continuassero a solcarle le guance.
Non si nascose, questa volta. Guardò Paciock dritto in faccia e singhiozzò, affondando le dita nelle sue spalle e tenendosi in biblico da sola, come aveva sempre fatto.
In bilico da sola, ma con lui.
“Sono così orgoglioso di te” proferì a bassa voce, senza mai smettere di fissarla.
Lui continuava a tenerla integra.
E Rox lo fece: lo afferrò per i capelli e lo baciò, lasciandolo di sasso; gli passò le braccia al collo e affondò la bocca sulla sua, anche se sapeva di lacrime e dolore.
Anche se sapeva di insicurezza e dubbi.
Frank le accarezzò una tempia e le prese il viso tra le mani, avvicinandola ancor di più a sé con una dolcezza che le tolse ogni forza.
“Ti proteggerò io da te stessa” bisbigliò ad un soffio da lei.
Oh, Frank sarebbe stato capace di tutto quando si trattava di lei o sua sorella, questo Roxanne lo sapeva... per questo sorrise tra le lacrime.
Roxanne sapeva che lui sarebbe stato l'unico in grado di proteggerla, l'unico che non l'avrebbe ferita nemmeno sotto tortura.
Lui era l'unico che sarebbe stato in grado di amarla, nonostante il suo lato buio.
“E io da tutti gli altri” sussurrò Roxanne, scuotendo il capo per quel cambio di ruoli.
Ma a lei non dispiaceva. Frank era unico nel suo genere e lo era stato fin dal primo anno – quando un Serpeverde gli aveva fatto lo sgambetto e lui era rovinato per le scale, rompendosi gli occhiali.
E Roxanne lo aveva trovato così, con le ginocchia portate al petto e il respiro affannato, in piena crisi nervosa; si era seduto al suo fianco e gli aveva aggiustato gli occhiali con un colpo di bacchetta, dandogli alcune pacche sulla schiena finché non si era calmato.
E lei aveva picchiato quel Serpeverde. E lui le aveva baciato una guancia in segno di ringraziamento.
Frank le baciò la fronte e Roxanne – troppo persa nell'odore del suo abbraccio – non si accorse che la porta della sua camera veniva chiusa lentamente, quasi senza far rumore.
Fred Junior sorrise, scuotendo il capo e scendendo verso le scale, attento a non essere beccato da qualche Caposcuola; scese in Sala Comune e si bloccò accanto il camino dalle fiamme rossastre, tirando un grosso respiro.
Suo padre non avrebbe preso bene quella notizia: aveva scommesso con sua madre – ben cinque anni fa – che Frank non sarebbe mai entrato nelle grazie di Roxanne come fidanzato e aveva miseramente perso cento galeoni e guadagnato una settimana da servo.
Eppure sua madre gliel'aveva detto che sarebbe riuscito a conquistarla.
“Hm, con Frank sarà più interessante fare la prova del fuoco” ridacchiò tra sé e sé, pensando alle risate che si sarebbe fatto quando lui e Rox si sarebbero fidanzati ufficialmente e i maschi di casa Weasley lo avrebbero messo sotto torchio per constatare se fosse degno per lei.
“Perché ridi?”
“Perché pensavo alla tua faccia di cazzo” rispose Fred angelicamente, sbattendo gli occhioni azzurri e fissando il ragazzo alle sue spalle.
Joshua Thomas sospirò e incrociò le braccia al petto: a diciassette anni nella sua vita non aveva mai dovuto lottare per qualcosa, mai.
Aveva vissuto in una famiglia adagiata e amorevole e appena varcate le soglie di Hogwarts aveva continuato a non avere problemi. Aveva ottimi voti, era diventato giocatore di Quidditch al suo secondo anno e aveva un bell'aspetto.
L'unico suo problema era sempre stato lui.
Fred Weasley era indisponente, fastidioso e terribilmente lunatico e lo odiava. E lui ricambiava apertamente – su questo non c'erano dubbi.
“Non mi sembrava ti dispiacesse così tanto la mia faccia di cazzo, alla festa di Baston” proferì Joshua, maligno e Fred sbiancò e arrossì con la stessa velocità con cui lo raggiunse – afferrandolo per un polso e portandolo fuori dal ritratto.
Nonostante Fred non fosse un colosso come lui, che era battitore, riuscì perfettamente a trascinarselo dietro come niente fosse.
“Okay, smettila di parlarne, Baston” sbottò Fred, sbattendolo contro la ringhiera di marmo accanto al ritratto e accertandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi.
Joshua alzò le braccia al cielo e la sua pelle scura venne illuminata da un paio di fiammelle sui candelabri alla sua destra.
“Cazzo, Weasley” sbottò, guardandolo arrabbiato.
“Cazzo cosa?” sibilò Freddie, chiedendosi perché diavolo dovesse sembrare una ragazzina mestruata.
Merlino, ma che voleva da lui? Erano stati entrambi ubriachi ed erano finiti a letto insieme e lui stesso aveva detto che era stato un errore. Ora che voleva, l'esclusiva?
“Senti, io ero confuso...” mormorò Joshua, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa e guardandolo con espressione dispiaciuta.
Sapeva di essere stato cattivo con lui e cacciarlo dal proprio letto dopo essere stati insieme non era stata un'idea brillante.
“Confuso su cosa? Ho capito che è stata una botta e via – come l'hai chiamata tu – ora mi dici che vuoi?” sbottò Fred, mentre la Signora Grassa ascoltava tutta interessata, guardandosi le unghia come se non avesse le orecchie attaccate al quadro.
“Senti, Weasley, io non sapevo nemmeno di essere gay prima che tu mi...mi... insomma, credevo di avere qualche problema con le donne, visto che non mi attizzavano a dovere, ma sono addirittura un gay passivo!
Mi permetti di avere qualche dubbio?” sbraitò Joshua, strafregandosene di aver informato tutti i quadri di Hogwarts della sua vertenza sessuale.
Respirò a fondo e cercò di ridonare al suo cuore un battito normale e Fred lo fissò con un sopracciglio alzato, trattenendosi dal ridere per la faccia che Baston aveva fatto alla parola gay passivo.
“Si che ti permetto di avere qualche dubbio, ma che vuoi da me?
Non sarò di certo il tuo esperimento” disse scandalizzato, mentre Joshua si chiedeva se l'appellativo super intelligente quando si applica si adducesse a quell'idiota senza cervello.
“Ti sto chiedendo di perdonare la mia imperdonabile testa di cazzo e dimenticare quello che ti ho detto l'altra volta! Non ho bisogno assolutamente di fare esperimenti, visto che...che... beh... che mi è piaciuto.
Oddio, l'ho detto” mormorò a bassa voce, mentre la Signora Grassa scuoteva il capo: tutta quella carne stava andando a male e nessuno poteva sfruttarla.
Che peccato, che peccato! Se avessero vissuto ai suoi tempi, sicuramente quel problema non sarebbe esistito: li avrebbe fatto cambiare idea.
“Ah”
“Eh”
“Etchù” starnutì Lucy Weasley a pochi passi da loro, soffiandosi il naso con un fazzolettino e guardandoli con gli occhi lucidi.
“Stavi spiando?” sbottò Fred, guardandola con le mani sui fianchi e assottigliando gli occhi.
“Siete così carini” piagnucolò Lucy, con i capelli rossi legati nella solita coda.
Joshua si schiaffeggiò la fronte.
“Giuro, i romanzi rosa che leggo di solito non sono niente confronto a voi” disse la ragazza, togliendosi gli occhiali dalla montatura severa solo per asciugarsi gli occhi.
“Perché non ti trovi un ragazzo, invece di spiare gli altri?” domandò Joshua, seccato – strappando una smorfia alla ragazza con il viso lentigginoso.
“Mai sentito parlare di zitellagine acuta?” borbottò Lucy, aggiustandosi i numerosi libri sotto il braccio e facendogli la linguaccia.
Sì, ne aveva sentito parlare e si adduceva perfettamente a lei.
“Beh, ora ho l'ispirazione per il mio libro, quindi sparirò nell'ombra scura della notte, dove nulla ha sens...” cominciò Lucy, sospirando afflitta e melodrammatica e venendo bloccata dallo sbuffò di Fred.
“Cambia nomi e cognomi, almeno” disse con espressione truce, beccandosi un sorrisone scintillante.
“Vedrai che storia verrà fuori: guerra tra bene e male, dove l'amore non ha frontiere né sesso, religione, razza” cinguettò tutta felice, mentre Fred si tratteneva dal ficcarsi due dita in gola e vomitare tutto il mangiare di quel giorno.
“Si, okay, ciao” la salutò il cugino, facendo ciao-ciao con la mano e mandandola mentalmente nel mondo dolce dei vaffanlibro, visto che le piacevano tanto.
“Buona inculata” cinguettò quella perversa, lasciandoli di stucco.
Ma cosa poteva aspettarsi, Fred?
La sua famiglia era un accozzaglia di persone mal assortite, ma così speciali da non poterne fare a meno.
   
 
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