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Autore: Kaho    28/06/2008    9 recensioni
- Hai degli occhi che non ti ho visto mai.
E poi
- Se solo tu lo volessi, potresti salvarti.
(“Oceano Mare” di Alessandro Baricco)
La Hyuuga sospirò e si lisciò i capelli con lentezza, intrecciandoli tra le dita scarne.
<< Neji… ti chiedo perdono. >>
Lui non rispose, limitandosi a inclinare il capo di lato e sedersi accanto al letto, in perfetto silenzio.
Hinata sorrise lievemente, lieta che Neji non gli avesse chiesto ‘perché’.
Tra poco, tanto, lo avrebbe scoperto.
E sarebbero stati tutti liberi da quella prigione di fili trasparenti, di cerimoniali da rispettare, onore da mantenere.
Basta.
O sarebbe impazzita davvero.
[Family Hyuuga-centric] [Neji/Hinata platonica]
Possibile e, forse, poco credibile Non-sense. I personaggi, soprattutto Hinata, sono OOC.
!Seconda Classificata ex Equo al concorso Hyuugacest indetto da Killer Queen 7!
Genere: Drammatico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Neji Hyuuga
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Hai degli occhi che non ti ho visto mai.

E poi

- Se solo tu lo volessi, potresti salvarti.

[…]

Scivola via da sotto il mantello e si alza, Elisewin. Con il suo corpo da ragazzina, nudo, e addosso il tepore di tutta una notte. Raccoglie i suoi vestiti e si avvicina ai vetri. Il mondo di fuori è sempre là. Puoi fare qualsiasi cosa ma stai certo che te lo ritrovi al suo posto, sempre.

 

da “Oceano Mare” di Alessandro Baricco.

 

 

 

 

 

 

Still a little bit delirious

 

 

 

Forse non sai quel che darei

Perché tu sia felice

Piangi lacrime di aria

Lacrime invisibili

Che solamente gli angeli

San portar via

Ma cambierà stagione

Ci saranno nuove rose

 

 

Hiashi Hyuuga misurava la stanza con sguardo indecifrabile, spostando gli occhi bianchi a destra e a sinistra, continuamente.

Era nervoso, e questo Neji poteva dedurlo dal modo in cui le dita si contraevano sulle braccia, creando pieghe irregolari nel kimono chiaro, e da una minuscola, quasi invisibile, ruga tra le sopracciglia, che gli scavava appena la fronte.

Hanabi, invece, faceva trapelare il suo disprezzo, incapace di nasconderlo.

Non era mai stata brava a celare i suoi sentimenti, la stizza, l’invidia.

Era una ragazzina cresciuta precocemente, senza maschere, non per naturale indole di sincerità ma per crudeltà. Un gesto, un atteggiamento, un’espressione, gli occhi stessi potevano essere fatali senza bisogno di parole e, sapendolo, Hanabi digrignava la bocca e sputava silenziosamente le sue sentenze nefaste su tutto il (loro) mondo (costruito su scivoloso candore).

Attendevano tutti e tre il ritorno dell’Hokage, ciascuno in modi differenti. Hiashi compostamente seduto dietro la scrivania bianca, Hanabi in piedi vicino al padre, il peso caricato sul braccio destro poggiato sul tavolo.

Neji aveva scelto di rimanere in piedi vicino all’uscio, impeccabilmente ritto accanto alla porta, il mento alto e gli occhi illeggibili, appena appannati di stanchezza. Era da un’ora ormai, che si trovava eretto rigidamente con la compagnia silenziosa dei due Hyuuga, e le gambe intorpidite cominciavano a dolergli.

Ma non si sarebbe mosso mai da lì, per orgoglio e sfida.

(Non chinerò mai il capo. Non mostrerò mai a loro i miei sentimenti. Mai.)

Il rumore del pannello di carta di riso lo ridestò dai suoi pensieri e si concesse di abbassare appena il volto, scorgendo il profilo asettico e flemmatico del nuovo Hokage invadere la stanza bianca, colorandola con i crini dorati che dondolavano, divisi in due, sul seno sproporzionato.

<< Allora? >> domandò subito Hiashi, le mani intrecciate sotto il mento e la bocca chiusa in un’espressione austera, arrogante.

Tsunade lo ignorò per un po’ e, dopo aver letto un’altra volta gli appunti che portava tra le braccia scoperte, allungò il plico di fogli scritti con una grafia sottile alla sua assistente, Shizune, apparsa qualche secondo dopo dietro la maestra, il capo chinato in segno di rispetto. Nessuno degli Hyuuga presenti si premurò di risponderle.

Le dita di Hiashi si contrassero, altro segno di nervosismo.

(Non mi importerà mai nulla al di fuori dell’onore del clan. Non mi lascerò mai mettere sotto da niente e nessuno. Mai.)

Il sopracciglio scuro di Neji si alzò verso l’alto e le labbra si strinsero impercettibilmente, mentre immaginava le invettive contro l’Hokage del capoclan a cena e l’orrore dei servi, che sarebbero stati disprezzati e strumento di sfogo per l’ira repressa di Hiashi.

<< Allora, Hokage-sama? Ha scoperto qualcosa? >>

La donna alzò gli occhi color caramello e si scontrò con il byakugan vuoto di Hiashi.

<< Nulla. >> confessò infine, con lentezza.

Neji avvertì l’aria farsi così fredda che respirandola gli doleva il petto, ma non fece commenti, limitandosi a guardare Hiashi, sempre più criptico in volto, e con la coda dell’occhio Hanabi, che aveva le labbra piegate all’insù in un sorriso: un’espressione inconsueta e strana per lei, che stonava incredibilmente sul suo viso duro e la faceva apparire grottesca.

Sembrava che avesse assaggiato una mela acidula.

(La rappresentazione della Discordia.)

<< Si spieghi meglio, Hokage. >>

Tsunade non distolse lo sguardo, nemmeno un attimo.

<< Non ho trovato una cura. Non è un malore che si possa curare con il chakra, Hyuuga-san. Mi spiace dirvelo, ma non sono di nessuno aiuto per vostra figlia Hinata. La sua guarigione dipende solo da lei. >>

La risata perforante di Hanabi rimbalzò sulle pareti immacolate e rimbombò nelle orecchie dei presenti, che si irrigidirono di colpo.

<< Hinata non ha mai lottato per nulla! >> ululava, con disprezzo e ilarità. << Mai, mai! >>

(Non la perdonerò mai per essere così infima. Non sarà mai degna di essere mia sorella. Mai.)

Tsunade fece schioccare la lingua sul palato, con disapprovazione, e Shizune dietro di lei strinse i fogli al petto con turbamento evidente in volto.

<< Tsunade-sama…? >>

<< Un attimo e ce ne andiamo da questa casa, Shizune. >> la tranquillizzò l’Hokage con tono zuccherino, rassicurante come quello di una madre. << Hyuuga-san… voglio che monitori sua figlia e mi faccia un rapporto del suo comportamento. >>

Hiashi abbassò lo sguardo sulle carte e, prendendo tra le dita un pennino, appoggiò la punta di metallo sulla carta e l’inchiostro si allargò nelle venature della carta capillarmente.

<< Quella non è mia figlia, non voglio averci nulla a che fare. >>

La risata di Hanabi, meno scrosciante ma ugualmente invadente, fu soffocata dalla mano candida della ragazzina che coprì la bocca socchiusa, ma non gli occhi bianchi che scintillavano crudeli.

Tsunade non batté ciglio davanti a quell’affermazione.

<< Allora ti ordino di farlo, come Hokage. >>

Hiashi tentò di ferire la donna con un’occhiata carica di odio, ma Tsunade non cedette, inflessibile.

<< Ricorda che come ninja della Foglia mi devi obbedienza. >> gli rammentò con durezza.

Hiashi contrasse le dita, ancora, e la risata di Hanabi, nello stesso istante, si fermò in un ghigno saccente.

<< Lo ricordo bene. >> borbottò infine lo Hyuuga e tornò a compilare le sue carte.

<< Aspetto il rapporto. >>

<< Glielo porterà Neji. >>

<< Bene. Andiamo Shizune, il nostro compito è finito. >>

Mentre le due donne scomparivano, Neji desiderò ardentemente raggiungere le sue stanze, dove non c’era né l’espressione (folle) di Hanabi né l’indifferenza (piena d’ira) di Hiashi.

 

<< Quell’ufficio è di un bianco accecante, sai Neji-niisan? Credo impazzirei, là dentro. >>

 

 

*

 

Vorrei rinascere per te

E ricominciare insieme come se

Non sentissi più dolore

Ma tu hai tessuto sogni di cristallo

Troppo coraggiosi e fragili

Per morire adesso

Solo per un rimpianto

 

 

 

La Casata Cadetta non faceva altro che bisbigliare alle spalle di Hiashi, e ciò lo aveva reso parecchio irritabile e sottilmente più crudele nell’impartire gli ordini.

Nel giro di una settimana dalla visita dell’Hokage, il lavoro per i Cadetti si era triplicato.

Con la scusa della Primavera, Hiashi aveva ordinato il completo restauro e la pulizia dell’intera tenuta, aveva mandato qualche Hyuuga a controllare i loro terreni, catalogare i loro tesori, e una buona parte della Casata Principale si trovava all’estero a commerciare, accompagnata dal proprio servitore.

Ma questo non aveva fermato il cicaleccio.

Neji sentiva i borbottii scontrosi dei compagni, da cui si era distanziato man mano negli anni, preferendo alla collaborazione tra parenti una gloriosa solitudine. Per molto tempo lo avevano insultato, definendolo “Il Privilegiato”, ma in quel momento l’attenzione era rivolta ad altro.

Si attendeva la crisi della Casata Principale, si preparava un’insurrezione.

Neji lo sapeva e fremeva, inebriandosi del profumo fresco della libertà, mai stata così vicina; tuttavia, c’era anche l’odore di sapone di Hinata-sama, delicato e pulito, nelle sue memorie.

Non riusciva a togliersi dalla mente il viso paffuto e dolce, la linea leziosa del collo morbidamente reclinato verso la finestra, gli occhi pieni di luce rivolti al giardino verde, dietro il vetro.

Se non l’avesse vista più volte in presa a crisi nevrotiche, Neji avrebbe detto che Hinata-sama era la creatura più simile ad una ninfa che avesse mai visto.

 

Entrò senza bussare nella stanza.

Giallo girasole, verde-acqua, rosa antico e celeste si alternavano nelle pareti, pitturate con cura quasi maniacale.

Neji aveva assistito a quella trasformazione lenta: ricordava le scorse due settimane passate in quel luogo con Hinata-sama, lei che spalmava i colori accesi con insolita energia – quasi con disperazione –, in piedi con titubanza sulla scala traballante di ferro, che lui tratteneva dal sotto, facendo attenzione che l’erede Hyuuga non cadesse.

I colori caldi con cui era tinta la stanza gli davano uno strano senso di estraneità. Entrare in quella stanza era un po’ come affogare, dopo tutto il bianco di villa Hyuuga.

Però non si stava male; era come un neonato che, entrato in un mondo nuovo, prendeva i primi dolorosi respiri, annaspando per abituarsi all’aria carica di ossigeno – e vita.

Gli trasmetteva una strana sensazione di tranquillità e famigliarità.

(La famiglia è bianca. Bianca.)

Hinata era seduta con la schiena ben ritta davanti ad un pannello di carta ingiallita, ben tirata, e osservava meditabonda la tavolozza di colori che teneva tra le dita.

Esitò per qualche secondo; poi intinse il pennello di peli di bue nella tempera verde pistacchio e appoggiò il colore sulla carta, tracciando una lunga linea che divideva al tela a metà. Mescolò il verde ad una tintura color zafferano, e riempì di chiazze bicolore il quadrato, quasi febbrilmente.

Attorno a lei, poggiati a terra in ordine cromatico, barattoli di tempera vivacizzavano il pavimento coperto da cartone. Sulle pareti, alcuni quadri, altri a terra, accatastati in un angolo.

<< Padre… vorrei acquistare un po’ di tintura. Per… dipingere. >>

<< Cosa? >>

Hinata abbassò il capo e si morse le labbra, ben nascosta dalla frangetta.

<< Vorrei… ci sono i quadri della mamma per casa e io pensavo – >>

<< Non ho bisogno di un’artista in casa. >>

<< Io – >>

<< Non ha sentito? >>

Hiashi la fissò con disgusto, impegnandosi a rendere palese l’odio per quella timida richiesta.

Hanabi sorrise, attorcigliandosi attorno ad un dito una ciocca di capelli scuri, soddisfatta.

Neji sull’uscio era distante e bellissimo, immobile come un kuros greco.

<< Non voglio artisti in casa. Stupidi pazzi sognatori… qui non ne abbiamo bisogno. Sono stato chiaro? >>

La voce di Hinata tremava.

<< S-sì. >>

<< Hinata-sama. >>

Si sforzò di tenere gli occhi bassi, in modo che lei non potesse vedere il Byakugan.

(Nessuno specchio, nessuno spicchio bianco. Nulla.)

Al richiamo, lei girò appena il capo, e Neji osservò con la coda dell’occhio i lunghi crini scuri cadere sulla spalla destra in un movimento lento, quasi libidinoso.

Il petto di Hinata si alzò e il suono di un sospiro gli arrivò alle orecchie.

Leggero come quel respiro affranto. Ecco come si sentiva Neji in quella stanza. E un po’ accaldato. Chissà perché.

(Poteva guardare solo il corpo di Hinata. Era un supplizio – dolce – non poter alzare il capo.)

<< Oh, Neji. >>

Seguì la mano bianca di Hinata mentre appoggiava, in un bicchiere pieno d’acqua, il pennello.

Seguì i piedi piccoli, fasciati da garze ingrigite, appoggiarsi delicatamente sul cartone e camminare verso di lui, le ginocchia piegarsi e il corpo di Hinata ricadere con eleganza a terra, vicino ad una tinozza piena d’acqua.

Si concesse di aprire gli occhi, Neji; sapeva bene che Hinata chiudeva le palpebre per lavarsi, evitando i suoi occhi troppo, troppo bianchi.

<< Eh? Vuoi dire che mia sorella soffre di ‘albo-fobia’? >>

Hanabi rise davanti al viso serio di Neji.

<< Che grandissima stronzata! >>

<< Come sta mio padre? E mia sorella? >>

Glielo chiedeva sempre, con voce esile ma non più balbettante; Neji aveva pensato seriamente che l’avesse persa chissà dove , la voce, e che ora Hinata cercasse di imitare la parlata smarrita, fallendo.

Il suono era totalmente diverso.

Tutto era nuovo, in quella stanza, non vi era nulla di Hyuuga.

Oh, già. Hinata non era una Hyuuga, secondo le parole di Hiashi.

Neji osservò attentamente il volto tondo della ragazza, morbido ma immobile, quasi avesse perso sensibilità. Però gli occhi sotto le palpebre tremavano, appena.

Neji si rilassò impercettibilmente.

(Era ancora più forte di lei.)

<< Hiashi-sama sta rimettendo a posto la Tenuta, vostra sorella invece si allena con me. Questo mi occupa più tempo del previsto, mi spiace del ritardo, Hinata-sama. >>

<< Fa nulla. >> gli rispose, ma deglutì a disagio.

Neji lo notò, non bastava un metro di distanza perché entrambi non vedessero le reazioni dell’altro, o le potessero immaginare.

Erano così assuefatti della reciproca presenza in quel mondo colorato, che potevano capirsi anche solo con un leggero movimento.

Il rumore delle mani intinte nell’acqua riempì il silenzio accomodante.

Hinata ruotò il busto e le gambe, e cominciò a strofinare uno straccio per pulire il pennello. Neji la osservò a lungo, il volto nuovamente chino.

La trovò rinchiusa a chiave nello studio.

L’ennesima cattiveria di Hanabi, che in quel momento trotterellava per il giardino, ridendo come un piccolo spirito maligno.

Hiashi non le avrebbe mai detto nulla.

Neji fu costretto a scardinare la porta, dietro cui si sentivano grida strazianti.

Quando entrò nello studiolo, rimase pietrificato da quella visione, così distorta e sbagliata: Hinata si contorceva su se stessa, si graffiava le braccia, completamente nuda, il kimono bianco buttato lontano e stracciato, gridava come una donna in preda le doglie, di vero dolore, e piangeva, Dio, piangeva come se stesse morendo, come se –

Hinata lo fissò negli occhi, e si ammutolì di colpo.

Poi le lacrime le rigarono nuovamente le guance e poi ancora grida, graffi, << Fermatevi Hinata-sama! >>, urla, << E’ tutto bianco Neji, bianco, bianco! >>, piccoli pugni contro il suo petto, la stretta di un abbraccio coraggioso, << E’ il nulla Neji, capisci? Tutto qui è sterile, così sterile! >>, << Shh. State calma. >>, i singhiozzi contro il suo petto, le unghie di Hinata nel collo e Hiashi che li fissava attonito dallo stipite, il viso di Neji che diventava marmo, e Hanabi con gli occhi spalancati, ardenti di invidia e –

Nulla.

Già. Nulla. Solo bianco.

<< È cambiato qualcosa? >>

Neji sbatté le palpebre, e tentò di riprendersi dall’assalto caotico di pensieri, sotto i quali stava soccombendo.

<< Intendo, novità in famiglia? >>

<< No, Hinata-sama. >>

Lei sospirò, e appoggiò un pennello alla sua destra con lentezza.

<< Nulla di nuovo? Nulla? Proprio nulla? >>

Era quasi una richiesta irrequieta.

<< No. >> Neji esitò per un attimo, e poi aggiunse: << Non cambierà mai nulla, Hinata-sama. >>

Un piccolo sorriso triste spezzò l’espressione immobile di Hinata, e le guance si scavarono, morbide, dolci come mele.

(Frutto della Sapienza.)

La tentazione di alzare il capo era tanta. Il mento imberbe di Neji si sollevò appena, incerto se disubbidire o meno all’ordine di Hiashi di tenere sempre gli occhi a terra, con Hinata.

Chissà come appariva in quel momento Hinata.

(Bellissima e invitante, tu lo sai. Se la mangi, saprai tutto, conoscerai. E farà male, ma poi, chissà, magari il paradiso lo conquisti lo stesso, Neji. Magari hai assaggiato solo l’inferno.)

<< Sai quale parola non voglio pronunciare, Neji? >>

Lui non rispose, ma chinò per la prima volta il capo volontariamente, per non guardare Hinata negli occhi d’un bianco febbricitante.

<< ‘Mai’. Non vuoi sapere p-perché? >>

Notò di sfuggita che Hinata aveva ripreso a balbettare.

<< T-te lo d-dico lo s-stesso. ‘Mai’ è una p-parola che s-spezza i s-s-sogni. >>

Fermati.

Il capo di Neji si alzò con lentezza, con un movimento elegante e dosato.

Fermati.

Le sue pupille vuote si scontrarono con le iridi tremanti di Hinata, lucide di lacrime trattenute e pezzi di vetro che erano entrati dentro quegl’occhi speranzosi, rendendoli apatici.*

Fermati, fermati, fermati.

<< E per chi di sogni non ne ha, Hinata-sama? Cos’è il ‘mai’, per loro? >>

Hinata scostò bruscamente il volto e lo porse verso uno dei quadri appesi alla parete, osservando le macchie colorate, così verdi, così rosse, così vive.

Rabbrividiva convulsamente, mentre una lacrima le rotolava lungo la guancia di marmo e, con essa, usciva il pezzo di vetro che le aveva offuscato la mente.

<< A loro non avevo pensato, Neji. >>

Lo sussurrò così piano che lui fece fatica ad ascoltarla, o forse Hinata faceva apposta a mormorare parole che potevano essere ambivalenti.

<< Non ci avevo mai pensato. >>

Il cuore di Neji batteva impazzito nel petto.

(Il ‘mai’ diventava per Hinata una parola disillusa e vuota. Per chi, come loro, non aveva sogni.

No. Impossibile. Non lei.)

<< Vai via per favore… Neji. >>

(Stava piangendo? E le lacrime, dove sono Hinata?)

 

 

 

Il giorno dopo, Hinata chiese all’Hokage una sistemazione nell’ospedale di Konoha.

Nel clan Hyuuga non si parlò d’altro per tutto il giorno, definendo questa decisione: ‘la più insana che potesse prendere l’erede del Clan’.

Hiashi rinnegò ancora una volta Hinata, trattenendo appena l’ira, Hanabi fremette vistosamente di rabbia e invidia.

Neji, invece, rimase nelle sue camere, aggrovigliandosi in una matasse di lenzuola sudate e sogni fatti di occhi bianchi febbricitanti e mani che lo accarezzavano teneramente, come quelle di un neonato che cerca il contatto.

 

 

*

 

Ci sarà

Dentro te e al di là

dell’orizzonte

Una piccola poesia

Ci sarà

O forse esiste già al di là

dell’orizzonte

Una poesia anche per te

 

 

<< - lascerò la mia eredità a Neji, mi ci hai costretto. È colpa tua. >>

<< Sì, padre. >>

<< Devo pensare al bene del Clan, e a chi altri posso darlo se non a Neji? Intelligente, talentuoso, razionale. Sarà un ottimo Capoclan. >>

<< Sì, padre. >> Una pausa, esitante. << E Hanabi? >>

<< Lei non riuscirebbe a gestire tutto… >>

<< Sì, padre. >>

<< Non sei mai stata mia figlia. >>

<< Lo so… padre. >>

Neji si scostò dalla porta e disattivò il Byakugan. Hiashi aprì l’uscio in quell’istante, uscendo dalla stanza di ospedale con un’espressione incolore.

<< Arriverà Hanabi nel pomeriggio, vuole fare visita alla sor- a Hinata. >>

Neji annuì rigidamente.

<< Arrivederci, Neji. >>

<< Sayonara, Hiashi-sama. >>

Attese che l’eco dei passi pesanti di Hiashi fosse soffocato dal silenzio del corridoio dell’ospedale, spezzato occasionalmente da qualche grido dei pazienti o dai passi affrettati delle infermiere; poi entrò a tenere compagnia a Hinata.

Lei guardava come sempre verso la finestra, forse voleva rifuggiva il suo sguardo.

Neji si chiese se era necessario che tenesse basso il capo, ma si obbligò a farlo, ricordando cosa era successo l’ultima volta che aveva guardato Hinata dritto negli occhi.

(E il brivido caldo che gli aveva serrato la bocca dello stomaco.)

La Hyuuga sospirò e si lisciò i capelli con lentezza, intrecciandoli tra le dita scarne.

<< Neji… ti chiedo perdono. >>

Lui non rispose, limitandosi a inclinare il capo di lato e sedersi accanto al letto, in perfetto silenzio.

Hinata sorrise lievemente, lieta che Neji non gli avesse chiesto ‘perché’.

Tra poco, tanto, lo avrebbe scoperto.

E sarebbero stati tutti liberi da quella prigione di fili trasparenti, di cerimoniali da rispettare, onore da mantenere.

Basta.

O sarebbe impazzita davvero.

Tuttavia in quel momento, pur sapendo che c’era una recita da portare avanti per la salvezza, Hinata si ritrovò a guardare il cugino, lo sguardo abbassato verso terra solo per lei.

Desiderò, per un piccolo, fragile istante, abbracciarlo.

Ma non era il tempo.

C’era Hanabi, prima. Sì, c’era Hanabi.

Hanabi.

Il sapore di quel nome, mormorato mutamente tra le labbra dischiuse, era salato come le lacrime.

 

 

 

<< Che essere inutile. >>

Hanabi strinse le labbra in una smorfia di disprezzo, e picchiò il piede a terra, con forza.

Nemmeno aveva salutato la sorella, entrando. Subito l’aveva attaccata.

<< Inutile! Inutile! >>

Hinata contrasse le dita a pugno sul lenzuolo del lettino d’ospedale, ma non si voltò a fissare in viso Hanabi. Il byakugan osservava i pini verdi che svettavano verso il cielo, quasi toccandolo, e una parte del suo cuore desiderò ancora avere la capacità di raggiungerlo, quel pezzo d’azzurro.

(Sogni bruciati dal sale.)

<< Non fare finta che non ci sia! Capito?! Lo so chi sei tu, Hinata, so come sei fatta e non riuscirai a farmi cadere! Capito?! >>

La voce di Hanabi si era fatta stridula, così acuta da incrinare l’espressione neutra di Hinata in una angosciata, le nere sopracciglia piegate verso il basso, quasi in segno di scuse.

<< Perché ti chiamano pazza?! Non sei pazza! Sei solo una perdente! >>

Hinata sospirò pesantemente e prese tra le dita il cuscino, portandolo al petto. Un piccolo effimero scudo, ma si stava meglio, così.

<< Hinata! Hinata, guardami! >>

L’ombra di Hanabi le copriva interamente il capo, il kunai sopra la sua testa scintillò, come la falce di una ghigliottina.

Hinata guardava l’alta figura della sorella incedere su di lei con il byakugan che bruciava per le lacrime, e si chiese se la morte era bianca.

<< Ti sto guardando. Sei tu che non hai il coraggio di guardare me. >>

Hanabi sbarrò gli occhi.

Non sono io la codarda. Non lo sarò mai, mai!

Eppure non riusciva ad abbassare lo sguardo, in modo da specchiarsi nelle iridi lattee di Hinata.

Non riusciva. Lei. La più talentuosa, coraggiosa, forte.

(Falliva. Lei che non falliva mai.)

<< Ricordi quando giocavano a nascondino, Hanabi? >>

Lei annuì, deglutendo, sentendosi come soffocare.

Il kunai nel palmo destro tornò a penzolare sul suo fianco, inerte.

<< Ti nascondevi sempre nell’ufficio di nostro padre, sapendo che odiavo quel posto. >> Hinata piangeva. Piangeva davvero. << Quando hai cominciato a sentirti incenerire dal bianco delle pareti? >>

Hanabi rimase in silenzio, completamente immobilizzata.

Lei sa. Lei sa.

<< Hanabi? >>

Il kunai si erse verso il soffitto candido, pronto a calare sulla Hyuuga.

 

 

 

Quando rientrò nella stanza di Hinata-sama, Neji notò tre particolari.

Il primo era Hinata, accucciata nel suo letto, le braccia strette attorno alle ginocchia dove il volto si nascondeva. I lunghi capelli neri le scendevano lungo i polpacci, sui quali vi erano piccoli schizzi di rosso, in contrasto con la pelle nivea.

Il secondo fu piccola pozza vermiglia ai piedi del letto, che iniziava dal seno sinistro di Hanabi, rovinato da una lunga ferita, e finiva sulle piastrelle fredde del pavimento, a pochi centimetri dal fianco destro; piccole gocce scarlatte scendevano dal kimono bianco pregno di sangue e ricadevano a terra, ritmicamente.

Il terzo fu una crepa nelle pareti bianche dell’ospedale dietro le spalle di Hinata, una lunga striscia grigio cenere che spezzava quel candore.

Si stupì a sospirare, come se in tutta quella scena ci fosse qualcosa di buono.

E pensò anche che Hiashi-sama sarebbe impazzito, senza la perfezione del bianco.

 

Il silenzio permeò la stanza per minuti interi, e nessuno dei due pareva volerlo spezzare.

Neji sentiva i muscoli irrigiditi e stanchi; provò una voglia irrazionale di buttarsi a terra accanto ad Hanabi e prendere con sé Hinata, baciandola, costringendola a guardarlo, ad amarlo almeno un po’, e stare abbracciati senza nessun pensiero, senza futuro, sul freddo pavimento.

Invece lasciò che fosse lei a ricercarlo.

(Mai, mai mostrerò sentimenti, maimaimai– )

Il suo corpo attendeva di incontrare – ancora una volta, ti prego, una sola – le iridi fantasma di Hinata. Magari, quelle innocenti e disarmanti da bambina.

 

Alla fine Hinata crollò.

La schiena prese a tremare convulsamente e le dita si serrarono sulla pelle, le nocche sbiancarono.

<< Neji… >>

Un richiamo, una richiesta di aiuto. A cui lui non rispose.

<< Neji… Hanabi si è suicidata. >>

E voi, Hinata, quando avete deciso di uccidere la vostra indole passiva?

<< La sua ambizione era di non essere mai come me, e io sono diventata folle, esattamente come lei. >>

Tutto per spezzare la follia che porta questo bianco accecante?

<< L’ambizione di mio padre era mantenere l’onore del clan Hyuuga, ora compromesso da uno scandalo. >>

L’avete fatto per voi? O ancora una volta per gli altri?

Troppo amore in voi, troppo amore.

<< E la tua ambizione… >>

Hinata alzò il capo, e si morse il labbro.

Le pallide e longilinee gambe scivolarono sul lenzuolo, producendo un suono quasi inudibile, e la portarono davanti allo sguardo indefinibile di lui.

Le sottili braccia di marmo si allungarono nell’aria, protese verso di lui in un gesto di disperazione.

<< Mi spiace, Neji, Dio quanto mi spiace! >>

Neji si limitò a rimanere rigidamente in piedi nella stanza d’ospedale, il corpo di Hinata che singhiozzava convulsamente stretto al petto, il viso chinato verso di lei.

Turbato da emozioni.

<< Perdona, se puoi, questo mondo! Perdona me! >>

(Colei che macchiò il bianco, la salvatrice delle anime meccaniche.)

<< Hai realizzato la tua ambizione, Hinata-sama. >>

Lei non sorrise, ma si strinse di più a lui, quasi soffocandolo, con una forza che non avrebbe mai immaginato in quelle piccole braccia da ballerina.

<< …ora posso riavere i miei sogni, nii-san? Posso? >>

Neji sospirò e le accarezzò una guancia, tristemente.

<< Credo che siano andati perduti. >>

Una pausa. Il tono più incerto.

<< Ma se vuoi, ti aiuto a cercarli. >>

<< M-mi aiuti a c-cercare Hanabi, nii-san? N-non la t-trovo! >>

Neji osservò la piccola cugina dall’alto verso il basso.

Si allontanò ignorandola.

Hinata annuì e strofinò il naso nel morbido tessuto caldo del kimono di Neji.

 

 

 

Dietro di loro, sulla soglia, la falce continuava a brillare oscura come la morte tra il bianco ingrigito degli occhi di Hiashi.

Il kunai era tratto in aria.

E l’ira era scoppiata, impossibile da contenere con l’indifferenza.

(Troppo bianco, nell’innocente abbraccio di due neo-nati da Venere.

Un’altra macchia. Un’altra crepa.)

 

 

 

 

E dare tutto, e dare tanto

Quanto il tempo in cui il tuo segno rimarrà

Questo nodo lo sciolga il sole

Come sa fare con la neve

 

( Una poesia anche per te – Elisa )

 

 

 

*^*^*

 

* Ripresa della leggenda della Regina delle Nevi.

 

Ah, albo-fobia è un termine di mia invenzione ed è appositamente inventato: Hanabi per prendere in giro Hinata conierebbe un termine simile. ù_ù

 

 

 

Allora, devo ammettere che come fabbricato finale mi piace, è una delle mie prima fic sulla ‘follia’, insomma, una di quelle un po’ febbricitanti che tanto apprezzo di solito. Non sono ancora un’esperta, ma posso dire che di questa nel complesso mi piace… ma non mi aspettavo assolutamente un Secondo Posto! *_* Sarà che era OOC, sarà che non era proprio NejiHina stretta, pensavo che – beh, insomma, non è importante quello che pensavo! L’importante è il risultato finale, di cui vado orgogliosa! ^^

Ringrazio per i giudizi Killer Queen 7 e ladykiki, e i miei complimenti a tutte le partecipanti, in particolare i complimenti alla Cami, arwen5786, – a cui li faccio sempre ù.ù – a Mao-chan91 e a Kokky, le podiste! ^^

 

Remember: NejiHina is love! <3

 

Grazie a tutti quelli che leggeranno la pappardella e la commenteranno. Adios!

 

Bye,

Kaho

  
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