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Autore: Alex Wolf    10/03/2014    2 recensioni
[La FF è ambientata a partire dall'undicesimo episodio della seconda stagione.]
Dal 1 capitolo:
« Non dirai mica sul serio, Sammy. » Dean gli rivolse uno sguardo indagatore e, quando si accorse che il fratello era serio, rimase muto per qualche secondo. Davvero Sammy pensava quelle cose su di lui? “Sana competizione” l’aveva chiamata, ma di “sano” quella rivalità non avrebbe avuto nulla e Dean questo lo sapeva bene. Insomma, lui la odiava e lei ricambiava questo sentimento, come avrebbero potuto risolvere un caso in soli sei giorni, se non di meno? Scuotendo la testa, Dean si sedette sul suo materasso, che si piegò sotto il suo peso, e si gettò all’indietro con le mani sul ventre. « Io la detesto e sempre la detesterò. »
« Però un po’ ti piace, non è così? Infondo, infondo… »
« Oh, sta zitto Sammy. » Lo zittì lui, rialzandosi a sedere per guardare meglio il fratello. « A me piacciono tutte, basta che respirino. L’unica che non riesco a farmi piacere è lei, perché.. è più selvatica delle altre, credo.»
Genere: Generale, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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Guardami dentro e cadi nel vuoto
 
 

Non ero così. Non lo ero affatto. Avevo "L'abitudine" di fidarmi sin da subito delle persone. Perché io partivo dal presupposto che, se fai del bene devi ricevere altrettanto bene. Ma mi sbagliavo. Mi sbagliavo alla grande. Il mio lato buono, disponibile, dolce, è stato la mia condanna. Le stesse persone alle quali l'ho mostrato lo hanno usato per farmi male. Mi si è rivoltato contro. Oggi sono così, acido, freddo, scostante e a tratti anche strafottente. Dalle persone mi aspetto solo il peggio. Preferisco pensar male e magari sbagliarmi, che vedere del buono in tutti e rimanere deluso. E credetemi, sarei disposto a dare ancora il meglio di me, se non fosse per il fatto che è stato distrutto.
 
— unincantevoleacida
 


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E’ sempre più buio prima dell’alba.
E sono stata sciocca e sono stata cieca; non potrò mai lasciarmi il passato alle spalle.
Non vedo alcun modo, non vedo alcun modo.
 Florence + The Machine – Shake it out
 
 


« Chi diavolo verrebbe a stare qui? Mi meraviglio che siano stati aperti per così tanto », esclamò Dean, dirigendosi verso il suo letto. Lo studiai attentamente mentre camminava, con quell’andatura un po’ dondolante e le braccia rilassate; dopo tutto visto che avrei dovuto lavorarci, dovevo capire con chi avevo a che fare, no? Studiare i movimenti del suo corpo e il suo carattere mi sembrava un buon modo per iniziare. Sam non era stato difficile da inquadrare: un bravo ragazzo, con un passato non troppo degno di essere definito “felice” e un presente molto vago, dipinto in svariate sfumature di grigio. Gli occhi azzurri e brillanti, che però dentro avevano le tempeste per qualcosa che neppure io avrei saputo capire. Mentre Dean, beh, lui era molto più difficile da inquadrare: aveva gli occhi verdi di un felino, che non lasciavano spazio ad alcuna domanda da tanto erano freddi e taglienti, i muscoli quasi sempre tesi e il sarcasmo sempre sulla punta della lingua. Che fosse tutta una messa in scena non potevo ancora saperlo, sebbene lo sospettavo, però potevo provare a scoprirlo. Dovevo riuscire a scoprirlo. Lanciandogli un’altra occhiata mi dissi che assomigliava molto a John nei movimenti, nell’andatura e nel carattere ostile; avevo avuto il “piacere” di lavorare con loro padre un anno prima, ed era una fortuna che fossi ancora viva: per poco non ci rimettevo una mano a causa del suo scarso tempismo d’attacco e di quello troppo preciso di uno stupido licantropo. Per fortuna ero viva e intatta e non grazie a John. In ogni modo, mi passai una mano fra i capelli e lanciai uno sguardo all’abito di pizzo bianco che era appeso contro una parete: in effetti era inquietante, non potevo dare torto a quel citrullo di Dean, non questa volta almeno.
« Guarda che quel coso è brutto quanto te », risposi dopo essermi seduta accanto a Sam. Dean mi folgorò con un’occhiataccia, per poi portarsi le mani davanti al volto tentando non rispondermi male. Adoravo stuzzicare la gente e visto che Sam non abboccava ai miei trucchetti, ed era troppo buono perché solo provassi a farglieli, non mi rimaneva altro che ripiegare su Dean.
« Perché non ti cuci la bocca? » Farfugliò a denti stretti il più grande dei Winchester, passandosi una mano fra i capelli. Mi morsi un labbro dopo aver rivolto uno sguardo a Sam, che alzando gli occhi al cielo mi aveva pregato di non rispondere e stare buona e così feci.
« Va bene, passiamo al caso che ne dite? Allora, vittima numero uno…» Sospirò Sam, iniziando ad armeggiare con dei fogli pieni d’appunti. Le sue mani correvano veloci fra le pagine scarabocchiate e gli occhi leggevano con facilità ogni cosa.
« Johan Edison, quarantatré anni, agente immobiliare incaricata della vendita dell’hotel » intervenni io, allungandomi verso il centro del tavolo dove si trovavano le birre pronta ad afferrarne una, portandola alle labbra. Gli occhi dei due fratelli si posarono su di me, mentre il liquido amarognolo e chiaro colava giù per la mia gola infiammandola. Lo sguardo di Sam era stupito quasi non si aspettasse che non avessi fatto ricerche, dimenticandosi che io già mi ero documentata sul caso prima ancora che loro due arrivassero. « Vittima numero due: Larry Williams, doveva ritirare merce di beneficenza. Sono collegati entrambi alla chiusura dell’hotel », e giù un altro sorso amaro.
« Già, forse è qualcuno che non vuole andarsene e usa il vudù per resistere. » Propose Sam, accarezzandosi la guancia con una mano. Pensandoci bene, forse non aveva tutti i torti il ragazzo: entrando in hotel avevo notato un simbolo a cinque punte, ritratto in una vecchia fotografia poggiata sopra la rampa di scale, ma non avevo collegato quella cosa ad un quincunx; i fratelli stavano acquistando punti ai miei occhi, almeno il più piccolo.
« Lo dici perché hai notato la foto sulle scale? » Domandai curiosa, girandomi la birra fra le mani. Dean voltò velocemente il capo nella mia direzione e scrocchiò le nocche, tendendo al massimo le orecchie.
« Quale foto? » Chiese freddamente.
« Una sulla rampa di scale, ritrae una bambina e una domestica di colore. In ogni modo, se si tratta di vudù chi mai in questo hotel potrebbe praticarlo? Insomma, la bambina non credo sappia nemmeno cos’è,  Susan non mi apre il tipo e Shervyn è troppo… Shevyn. »
« Si, beh, le apparenze ingannano. » Obbiettò inesorabilmente Dean, facendo leva sulle proprie braccia per alzarsi in piedi. La sua ombra si proiettò su di me come una coperta, facendomi sentire oppressa e sotto scacco; sebbene sapessi che non era sua intenzione farmi provare quelle sensazioni, poggiai le mani ai lati della sedia e mi spostai leggermente più di lato per riuscire a vedere la finestra dalla quale entrava la poca luce del cielo uggioso. Il cielo non tendeva a migliore da quella mattina e, a mio parere, non si sarebbe rasserenato nemmeno per il giorno successivo. Non che non mi piacessero le variazioni temporali, in effetti sembravano andare di pari passo col mio umore, ma non sopportavo il freddo; specialmente quando il vento tirava troppo forte e s’insinuava dentro i vestiti.
« Lo dici perché tutti vi credono gay? » Chiesi divertita, accavallando le gambe e poggiando un gomito alla tavola. Adoravo mettere in difficoltà Dean, era esilarante notare le sue smorfie facciali.
« Non ci credono tutti gay… » Protestò il ragazzo, avvicinandosi nuovamente al lungo abito di pizzo bianco appeso alla parete. Sam l’osservò per qualche minuto prima di tornare alla proprie carte e sospirare, con un mezzo sorriso sulle labbra.
« Tu fai un po’ troppo il macho, penseranno che lo fai apposta. » Ammise successivamente, trovandosi osservato da me e il fratello maggiore. Senza volerlo scoppiai a ridere, ma non una risata piena più una di quelle che durano un secondo; giusto il tempo di sorridere e ritornare oppresso dalle situazioni che ti gravano sulle spalle.
« Mh, giusto. » Winchester si passò una mano fra i capelli corti e biondicci, scuotendo il capo come per non ammettere che il fratello minore aveva ragione.
« Ok ragazzi, io vado. » Facendo leva sulle braccia m’issai in piedi, fremendo quando i miei capelli scuri mi solleticarono il collo. Scrocchiai le notte e mi stiracchiai, prima di riporre la sedia al proprio posto e riprendere la mia birra fra le mani.
« Così presto? » Domandò sorpreso Sam, poggiando con cura i propri appunti sul tavolino accanto alla propria bevanda. Gli sorrisi leggermente, mentre il mio cervello elaborava dati su dati e informazioni su informazioni. Avevo deciso che era ora di indagare per conto mio e sapevo già da dove iniziare: la sera prima, mentre salivamo le scale, avevo per caso poggiato l’occhio su la porta aperta di una camera e vi avevo visto dentro un mucchio di bambole di porcellana; probabilmente il fantasma artefice degli omicidi risiedeva in una di quelle.
« Si, beh, ho bisogno di fare una doccia e poi torno da voi, lo giuro. » Il ragazzo moro socchiuse le labbra pronto a ribattere, ma il fratello si frappose fra noi attirando la mia attenzione. Aveva le braccia incorociate al petto e i muscoli sotto la maglia tesi e gonfi; non potevo dire che non era bello, sebbene l’odiassi.
« Non serve che torni, però, se vuoi Sam potrebbe darti una mano a… » Dean aveva un bel sorrisetto stampato in bocca, mentre poggiava la mano sulla spalla del fratello.
« Non preoccuparti per me, so cavarmela da sola sotto un getto d’acqua. » Ammiccai e mi voltai, dirigendomi verso la porta d’uscita per la seconda volta in quella giornata. « E poi, scommetto che lui avrebbe tutta l'atrezzatura per aiutarmi, a contrario tuo », continuai lanciandogli un’occhiata furtiva. Sam trattenne una risata, voltandosi dall’altra parte mentre io uscii tranquillamente dalla stanza richiudendomi l’uscio alle spalle con un sonoro “stronza” come sottofondo.
 
« Susan, dove gliele poggio queste? » Domandai sventolando in aria un paio di bambole di porcellana. La proprietaria dell’hotel si voltò nella mia direzione e indicò con un cenno del capo uno scatolone mezzo pieno sorridendomi, mentre si accingeva a prendere altri giocattoli dalle mensole per poi poggiarli su una poltrona; i capelli scuri le si fermarono sul viso quando si piegò per raccoglierne una caduta a terra.
« Dammi del tu, ti prego. » Mi disse, passandomi un altro balocco. Mi fermai ad osservarla e mi chiesi come, nonostante tutto quello che stava passando, potesse ancora riuscire a sorridere cos’ sinceramente. Era una bella sfida quella, lei sorrideva nonostante tutte le disavventure che le capitavano e io non riuscivo neanche a piegare gli angoli della bocca di qualche grado, realmente. Ci avevo provato più volte a scacciare quei pensieri dalla mia testa per provare a dimenticare ogni cosa e tornare a sorridere, ma troppe cose mi gravavano sulle spalle; ed erano pesanti. « E ancora grazie, piuttosto, sei stata molto gentile a offrirmi il tuo aiuto… stai tremando? » Si accigliò perplessa, osservando le mie mani. Spaventata abbassai lo sguardo e notai che la bambola oscillava fra le mie dita e io non riuscivo a fermarmi. Ingoiai un fiotto di saliva a vuoto, spaventata e cosciente di quello che stava accadendo.
« Non preoccuparti », la tranquillizzai avvicinandomi nuovamente al cartone, « è stress. Colpa della rottura col mio ex, il mio medico ha detto che è una cosa normale. Passerà presto. »
« Oh, capisco. Sei sicura, perché sembra davv… » dei colpi alla porta ci fecero distrarre, e io ringraziai il cielo per questo. Odiavo quando la gente insisteva con le domande sebbene io avessi garantito loro il mio buon stato di salute, anche se non era esattamene quello reale; era una cosa che mi dava sui nervi. Mentre Susan si apprestava ad aprire, io rivolsi un altro sguardo alle mie lunghe dita pallide, che ancora remavano senza dar segno di voler smettere. Le strinsi attorno al materiale bruno, piegando il cartone sotto la mia presa; se fossi andata avanti così l’avrei distrutto, perciò strizzai le palpebre e trassi un profondo respiro tentando di calmarmi, incurante del dialogo che Susan stava portando avanti. Rilasciai uscire l’aria dai miei polmoni e staccai le dita dalla scatola, rizzando la schiena e passandomi una mano fra i capelli mi voltai sorridente. Chissà se la mia maschera avrebbe funzionato anche quella volta, chissà se i due ragazzi che stavano entrando nella camera avrebbero creduto al mio sorriso e alla mia acidità.
« Ehi ragazzi », alzai leggermente una mano in segno di saluto, e poi tornai alle bambole da mettere a posto.
« Cosa ci fai qui? » Sussurrò Dean perplesso al mio orecchio, dopo che Susan ebbe chiuso la porta e lui si fu avvicinato. Voltai la testa nella sua direzione e gli piantai una bambola sul petto, arricciando il naso.
« Tentavo di scoprire cose, informazioni… e intanto aiutavo Susan.  » Spiegai, tornando a dargli le spalle. Fortunatamente, lui parve capire il mio gesto repentino e si voltò; sentii il calore del suo corpo allontanarsi e un sottile strato d’aria fredda frapporsi fra noi.
Rabbrividii.
« Accidenti, ci sono un mucchio di bambole. Sono belle e non hanno per niente l’aria inquietante. » Esclamò il maggiore dei due fratelli per stabilire l’inizio di un dialogo con Susan, che rise divertita.
« Secondo me sono un po’ inquietanti, ma appartengono alla famiglia da sempre, hanno un grande valore affettivo. » Spiegò la donna, congiungendo le braccia al petto. Alzai gli occhi al cielo e riposi l’ultima bambola, poggiata da Susans sulla poltrona, nello scatolone, richiudendolo. Con uno sbuffo, lanciato ad un ciuffo finitomi in viso, mi poggiai col fondoschiena al bracciolo della seggiola imbottita e mi accasciai contro il profilo di essa, chiudendo leggermente gli occhi.
« E questo cos’è? L’hotel? » Chiese incuriosito Sam.
« Si, proprio così: è la copia esatta. » Replicò la proprietaria, con un accenno di fierezza nelle proprie parole. Che poi, mi domandavo io, cosa aveva da essere così fiera di quell’hotel non riuscivo a capirlo. Non ispirava molto la mia gioia, sebbene per lei doveva essere tutt’altro: c’era cresciuta, aveva vissuto li.  Quel posto aveva un valore affettivo per lei, a contrario mio.
« Ha la testa completamente girata, che gli è successo? » Al suono di quelle parole, sbarrai gli occhi e rizzai la schiena indirizzando il mio sguardo verso Sam. Quando fra le sue mani scorsi una semplice bambola di ceramica sospirai rasserenata, calmando il battito del mio cuore.
« E’ stata Tyler, forse. » Gli occhi chiari della donna sembravano scocciati; probabilmente noi la scocciavamo ed era una cosa plausibile. Chi vorrebbe mai che tre sconosciuti entrassero in casa tua a ficcanasare fra i giocattoli di tua figlia?
« Mamma, Maggie si comporta male. » E come per magia, quando si parla del diavolo, comparve la bambina. Indossava un vestitino blu notte con sotto una camicetta bianca, e un piccolo cerchietto le tirava indietro i capelli; i lunghi capelli bruni le scendevano lungo le spalle, risaltandole sulla pelle chiara.
« Tyler, dille di fare la brava, ok? » Tutta quella situazione iniziava ad infastidirmi: come potevamo scoprire cose se restavamo a parlare di bambole rotte? Con l’intenzione di congedarmi da tutti e scendere da Shervyn per un drink, e informazioni sulla domestica che avevo visto nella foto, mi alzai in piedi e raggiunsi il fianco di Dean; ma prima che potessi continuare Sam fece svariati passi verso la bambina, tenendo la bambola nella mano buona e non quella ingessata.
« Ciao Tyler, hai rotto la tua bambola: vuoi che te l’aggiusti? » Sorrise.
Oh Signore, ci mancava solo “Sammy l’aggiusta tutto”, pensai scocciata. Mossi un passo in avanti, ma una mano si strinse sul mio braccio e mi fece restare immobile al mio posto; Dean si abbassò verso il mio orecchio e vi soffiò dentro, con freddezza, poche parole:
« Aspetta un secondo, ascolta Sam. Ha qualcosa che gli gira per la mente », poi mi lasciò allontanandosi.  Avevo avuto come la sensazione che il suo fiato si fosse fermato sul mio collo più a lungo del dovuto, che vi risiedesse anche ora che lui era lontano; sperai vivamente di sbagliarmi.
« Non è colpa mia, non sono stata io l’ho trovata così. » Si giustificò Tyler, avvicinandosi a Sam senza alcun timore. Inarcai un sopracciglio sorpresa e attesi, magari, dopo tutto, valeva la pensa aspettare un altro po’.
« Beh, forse è stata Maggie. » Tentò ancora il ragazzo, senza risultati visto che la bambina gli rispose immediatamente: « No, nessuna di noi. La nonna si arrabbierebbe se le rompessimo. »
D’istinto, i miei occhi incontrarono quelli azzurri di Sam: una strana luce brillo al loro interno, quasi entrambi avessimo avuto la stessa idea.
« No, non è vero. » La tranquillizzò la madre, ‘carezzandole la schiena con dolcezza.
« La nonna? » Chiesi con voce lieve, al contrario di Dean che pareva un missile in procinto di lancio.
« Nonna Rose, erano suoi i giocattoli », ci informò la bambina. Chiudendo gli occhi riformai mentalmente la fotografia delle scale davanti a me: la bambina in quella foto non poteva essere Susan, perché il materiale usato per scattarla era molto vecchio. Poteva trattarsi solo della nonna di cui parlava Tyler, allora. Riprendendomi, rizzai le spalle e superai Dean arrivando a fianco di Susan, alla quale sorrisi.
« Vogliate scusarmi, ma sono alquanto stanca e credo che andrò a riposarmi. » Sussurrai sentendo una strana nausea crescere fino a fermarsi in gola; poggiai la mano sulla maniglia della porta e l’aprii il più in fretta possibile. « A più tardi », augurai frettolosamente. Avevo bisogno di andarmene da li prima di vomitare persino l’anima.
« A più tardi » Sussurrò Sam confuso, lasciandomi lo spazio per uscire e andarmene. Varcai la soglia della stanza e corsi velocemente verso la mia camera, rinchiudendomici dentro a chiave; prima di correre in bagno e piegarmi sulla tazza. 




Heilaaa!
Chiedo scuca per lo spaventoso ritardo e la breve lunghezza del capitolo, ma ho molto da fare e, comequalcunaavrà notato, un pò di FF da mandare avanti. In ogni modo volevo avvertirvi che taglierò dei pezzi di episodio, magari ricordandoli con brevi flashback di Shania e tenterò di passare velocemente alla parte della piccola Maggie "il fantasma".
Anyway: che ne pensate di questo capitolo?
Baci,

Isil.
  
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