Fanfic su artisti musicali > Placebo
Segui la storia  |       
Autore: Easily Forgotten Love    29/06/2008    2 recensioni
Una storia dolce. Una storia a frammenti. Passato e presente. Fotografie che raccontano i momenti di un tour e di una storia d'amore.
Quella di Brian e Matthew. Del loro inizio. Del loro desiderio di stare insieme.
E della distanza.
[Scritta da Nai e liz]
[Conclusa con tredicesimo capitolo ed epilogo]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Brian Molko, Stefan Osdal, Steve Hewitt
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L

L’Easily ringrazia – con un bacio enooorme! – Stregatta! Isult! Sweet Pandemonium! (e benvenuta ^^) Whithy! Erisachan!

E poi andiamo a cominciare. Sempre più vicini alla conclusione ç_ç

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Twelve:

 

Mi sveglio perché qualcuno è entrato nel tour bus. Appena apro gli occhi registro che è giorno, una luce fioca trapela da dietro le tendine del pullman, e registro anche che, a parte la presenza che si muove goffamente nella zona giorno, io e Matt siamo soli. Le cuccette di Stef e Steve sono intatte, segno che stanotte non sono proprio rientrati. Presumo che abbiano cercato asilo dai tecnici o da qualche altra band, per lasciarci un minimo di intimità. Gliene sono grato, sarebbe stato abbastanza imbarazzante dover dormire con loro due ed il mio ragazzo.

La presenza del tour bus urta contro qualcosa, che nel cadere a terra fa un rumore risuonante e vuoto. Sospiro. Scivolo da sotto Matt, cercando per quanto possibile di non svegliarlo, e mi alzo per uscire dalla zona notte.

Chester mi fissa imbarazzato.

-…ah…Brian…- mormora arrossendo. Realizzo che sono in mutande e maglietta davanti a lui e, dopo quello che è successo tra noi, non è il massimo. Ammetto che la situazione imbarazza anche me.- Ciao.- borbotta lui comunque.

Alzo la mano per ricambiare.

-Credevo fossi sveglio.- si giustifica Chester per correttezza.

-Sì. Beh, non importa.- ribatto io condiscendente.

Chester tira un respiro e si guarda attorno.

Dopo un mese di vita vissuta in giro per gli States, questo bus ci rispecchia come la camera di un adolescente. Ci sono i cd di Stefan, le scorte di cibo di Steve, il mio disordine infantile e pigro…

A guardar bene si può capire quasi ogni cosa di noi tre.

-…pensavo che fosse il caso di parlarne.

Riporto l’attenzione su Chester, distogliendola dal caos familiare che mi circonda.

Mi domando di cosa voglia parlare. Cioè, è logico per lui pensare che ce ne sia bisogno, ma, sul serio, cosa dovremmo dirci che sia sufficiente a far tornare indietro il tempo?

-Io…ci tenevo a scusarmi.- risponde Chester ai miei pensieri. Sguardo basso, mani che giocano nervosamente con il laccio che stringe il giubbotto in vita. Fa una sorta di smorfia che vorrebbe essere un sorriso sardonico, ma a me da l’impressione di un bambino contrito che stia chiedendo scusa di una marachella troppo grossa.

Istintivamente mi rendo conto che dovrei interromperlo. Mettere in chiaro da subito come la responsabilità sia sua tanto quanto mia.

Non lo faccio. E lui va avanti.

-Sai come succede, no?!- butta giù.- Avevo bevuto qualche birra di troppo…- E “troppo” io so che è un aggettivo usato in modo assolutamente improprio. Lui, in compenso, pare ripensarci e decide di ridosare l’affermazione.- Mi sembra idiota negare che tu mi piaccia…- ammette.- Ma ho decisamente esagerato e, penso, non lo avrei fatto se non fossi stato così ubriaco, Brian.- Sospira e mi guarda.- E non mi va…che per un po’ di alcool di troppo io debba mandare a puttane anche la possibilità di continuare a frequentarci e…

Sbuffo un sorriso.

Lui lo prende per ironia e cinismo, io so che è un sincero moto di pietà nei suoi confronti, suscita perfino tenerezza in questo momento.

Sei proprio un bravo ragazzo, Chester, non ti meritavi di trovarmi sulla tua strada.

Sospira pesante.

-Lo capisco se sei arrabbiato.- mi dice, immagino lo faccia per incoraggiarmi a dirgli quello che penso. Non sa che è qualcosa di così lontano da ciò che sta ipotizzando, che mai e poi mai gli darò la possibilità anche solo di intuirlo.- Io lo sarei al tuo posto.- sorride ancora, ed il disagio torna prepotente.- Non sono stato molto…elegante.

Mi chiedo distrattamente se sia davvero così ingenuo come vorrebbe apparire.

-In definitiva, mi pento di tutto, Brian, e spero solo di non aver combinato un casino tale da…- Non sa neanche lui cosa stia cercando di salvare. È onorevole che ci provi, ma il punto è che non c’era nulla prima e non c’è nulla ora. Io sono bravo a non dare niente di me agli altri.- C’era un certo feeling…io vorrei solo poterti vedere anche in qualche altra occasione e…

La tenda della zona notte viene scostata.

So cosa vede Chester, non ho bisogno di voltarmi. Glielo leggo sulla faccia quando la sua attenzione si sposta da me e dalla frase che stava finendo, a qualcuno alle mie spalle. Sento Matthew sbadigliare, in quel suo modo rumoroso che serve a richiamare gli sguardi dei presenti su di sè. Io non mi muovo lo stesso, non mi volto e non sciolgo le braccia dalla posizione in cui le tengo, incrociate sul petto. Vedo Matt avanzare e muoversi solo nello sguardo di Chester. Nella sua comprensione lenta, violenta ed imbarazzata.

Conosco i gesti di Matt, li conosco uno ad uno, so che ora si starà stiracchiando come un bambino, che avrà i capelli arruffati e ci infilerà le dita in mezzo solo per fare un disastro maggiore, so che sta camminando a piedi nudi, che la prima cosa a cui penserà sarà il caffè e che adesso probabilmente ha visto Chester e gli sta sorridendo in segno di saluto.

So tutto questo.

Quello che non so, Matthew me lo dice appena mi raggiunge.

Mi passa un braccio attorno alla vita, si sporge verso di me, investendomi con il suo profumo, e mi posa le labbra sul collo.

-Ciao, amore.- mi sussurra contro la pelle prima di baciarmi.

Lo sento solo io. Ma Chester lo capisce comunque. Perché Matthew sta palesemente rivendicando il territorio. Ed è geloso. Non è uno stupido, ha visto la faccia di Chester, ha visto me, sa che la persona con cui stavo per tradirlo è lui. Quindi ribadisce un possesso che io non desidero negargli. La sua gelosia mi piace - inclino il capo di lato per permettergli di baciarmi il collo - mi piace il modo in cui mi stringe sollevando lo sguardo a ricambiare quello di Chester, mi piace che stia fingendo con lui una cordialità che non prova affatto.

È un lato di Matt che vedo così di rado da esserne ancora affascinato e che mi da l’esatta misura di quanto lui sia perfettamente cosciente di sé, di me e di ogni altra persona che ci circondi.

-Lui è Chester Bennington, Matt.- presento spiccio, indicando il ragazzo che ci fronteggia.- Chester, Matthew Bellamy.

È Matt il primo a muoversi, lascia cadere il braccio con cui mi teneva e porge la mano all’altro, regalandogli ancora un sorriso ed una battuta educata, pronunciata in un tono così entusiasticamente coinvolto da sembrare sincero.

-Beh, diciamo che è difficile non sapere chi tu sia, Chester, e sono felice di conoscerti.

Chester ricambia la stretta e, impacciato, anche il sorriso.

-Sì…beh…non è che la situazione sia molto diversa, per me…- mormora.

No, lui non ci riesce proprio a fingere, in compenso.

Matt si tira dritto. Adocchia la cucina dietro Chester e la indica.

-Se non vi secca, io cerco del caffè mentre voi chiacchierate.- annuncia, sfilando poi lungo il corridoietto per raggiungere la macchinetta.

Chester ed io rimaniamo da soli. La presenza di Matt è ingombrante comunque, il rumore che fa nel mettere su il caffè arriva pesante tra noi due. Chester ci prova un paio di volte ad aprire la bocca per riprendere il discorso, io invece non faccio nulla per rendergliela più facile.

Alla fine scuote un braccio e sorride, stavolta con sincerità ed insieme con una buona dose di autocommiserazione.

-Sono un cretino.- annuncia piatto, sollevando una mano per salutarmi.

Si volta e va via senza che nemmeno gli risponda.

-Vuoi la panna nel caffè?- mi domanda Matthew.

“Non vuoi sapere nulla, Matt?”

-No, Alex mi strangola.- borbotto.

-Io ti trovo un po’ sciupato, secondo me potresti tranquillamente concederti della panna nel caffè.- ribatte venendomi incontro con le tazze.

Mi supera per posarle sul tavolo e mi guarda da lì.

-Beh?- mi chiede fissandomi perplesso.- Vuoi fare colazione o no?

“Non vuoi sapere proprio nulla, Matt?”

-Sì, certo.- rispondo distrattamente, andandogli vicino.

Fa sedere me per primo, poi mi si siede accanto.

-Ti amo, Brian.- mi dice senza nessun motivo, fissando lo sguardo sul fondo limaccioso della propria tazza.

E poi riprende a bere.

“Nemmeno quanto è stronzo il tuo ragazzo?”

***

So che non mi si staccherà di dosso tanto facilmente.

-Perdi l’aereo.

So che se dipendesse da lui...da me...da un qualunque fattore di questo Universo che uno di noi due potesse influenzare, questo momento si congelerebbe esattamente così.

-Non è che me ne freghi più di tanto…- brontola a mezza voce.

Con lui attaccato alle mie spalle, con il naso affondato nel collo, superando la resistenza della camicia.

-A te non fregherà, ma a Tom sì.- ribatto.

Con questa immobilità fatta di una confusione che non riesce a raggiungerci.

Adoro il fatto che negli Stati Uniti tanto il suo quanto il mio gruppo siano poco conosciuti.

-Si fotta.- borbotta Matt affondando ancora di più il viso e facendo perdere quelle parole in un punto imprecisato tra il risvolto del colletto e la mia clavicola.

Ridacchio. Un po’ perché il suo fiato mi solletica la pelle, un po’ perché mi fa tenerezza quando si comporta come un moccioso e mi si appiccica addosso come un adolescente alla prima scopata.

-Matt, piantala.- lo rimprovero comunque.

Più precisamente, adoro il fatto che questa mancanza di notorietà ci permetta di restare in pubblico a scambiarci smancerie senza correre il rischio di essere assaltati dai fan o, peggio, da qualche giornalista in cerca di scoop facili.

Lui mugugna. Quando arriviamo ai suoni inarticolati, significa che ho vinto e sta per decidersi a mollarmi e salire sull’aereo. Hanno chiamato il suo volo già da un quarto d’ora buono, non voglio sul serio che rischi di restare a terra, ho sentito le urla di Tom quando lo ha chiamato prima e non mi va di avere né lui né il suo manager sulla coscienza.

Infatti sbuffa. Si tira dritto e lascia ricadere le braccia, così che per un momento ho un po’ di freddo senza averlo più addosso.

-Ci vediamo tra due giorni.- mi sforzo di ricordare ragionevole.

-Bah!- sbotta lui arricciando il naso come un ragazzino. Incrocia le braccia sul petto con aria bellicosa e mi guarda fisso- Non sperare di rabbonirmi così!- protesta.- Due giorni sono un’eternità! E poi avrete da fare anche quando arriverete in Inghilterra! Io la conosco Alex, quella vi molla solo dopo morti!

-Sparisci.- ordino senza lasciarmi fuorviare da quei capricci. Indico con la testa i gates di imbarco.- Su.- ripeto paziente.- Fila via.

-Tu non mi ami.- annuisce lui con convinzione, recuperando quel po’ di dignità che conserva dopo questa pagliacciata ed apprestandosi ad utilizzarlo per consegnare il biglietto alla hostess e farsi accompagnare sull’aereo.- Che palle…- borbotta ancora guardando la signorina sorridente da lontano.

-Matt, vai.- ripeto. Ci provo a restare saldo nei miei propositi, ma non è che non senta da me che la voce mi trema. Matthew mi guarda affatto convinto, ho fatto un casino…già la sua voglia di partire è pari a zero.- Muoviti, ti prego.- ribadisco tentando di mantenere un tono fermo.

Sospira.

-Dopodomani ti aspetto direttamente sulla pista di atterraggio, giuro.- mi sussurra.

-Sì, certo!- rido io.- Vai.

Fa un po’ male alle volte. Dipende principalmente dalla consapevolezza che per noi riuscire ad avere ciò che hanno tutte le altre coppie è immensamente più complicato.

Dipende dal fatto che siamo dei privilegiati.

Su un mucchio di aspetti.

E paghiamo un prezzo. A volte un po’ troppo alto.

Vedere la persona che si ama darti le spalle e fare due passi che la porteranno dall’altro lato del globo, ad esempio, è un prezzo davvero salato quando sai che hai rischiato tutto.

Io non sono davvero un idealista, all’amore eterno mi ostino a non credere; pensare, che ogni cosa che ho e che adesso mi appare bellissima, possa sparire da un momento all’altro è stata un’abitudine che ho assunto anche troppo in fretta.

Quindi non capisco davvero perché mi costi così tanto vederlo fare questi due passi, consegnare un foglio di carta, voltarsi un’ultima volta e sollevare un braccio per salutarmi.

***

Da quando stiamo insieme, Matt non mi ha mai chiesto esplicitamente di presenziare ad un suo live. Più di una volta gli ho letto sulle labbra una sorta di ansia curiosa un po’ infantile che, mentre le osservavo stringersi e passare sotto l’impietosa striscia di morsi cui le sottopone quando è nervoso, mi ha dato un’idea molto precisa di quanto grande fosse il suo desiderio di esplodere ed afferrarmi per un polso, trascinandomi giù per le scale fino alla macchina che lo aspettava sotto casa – mia o sua, dipendeva da dove si faceva trovare – per condurmi alla location e costringermi a stare lì nel backstage per tutta la durata del soundcheck e del concerto.

S’è sempre frenato. Probabilmente perché neanche io gli ho mai chiesto di venire a vedermi.

Io, è ovvio, lo faccio perché ho paura della sua opinione nei miei confronti. Non in quanto persona – non c’è niente che Matthew possa dirmi che io non abbia già pensato di me stesso da qualche parte durante il mio percorso di vita, o che non continui comunque a pensare quando mi do l’occasione di farlo… e oltretutto dubito seriamente che Matt possa raggiungere i livelli di crudele meschinità che mi riservo quando penso a me stesso – ma in quanto artista. Matthew non esprime giudizi, ma tende ad esporre le proprie idee esattamente come nascono nella sua testa. E le idee, a volte, sono peggio dei giudizi. I giudizi possono essere falsati da tante cose – la rabbia del momento così come un eccesso di improvvisa tenerezza – ma le idee, quando non sono bugie, sono pure. Intonse.

Per dire, una volta si stava parlando del più e del meno e Matthew mi ha confessato di non apprezzare particolarmente le canzoni in cui la linea di batteria è realizzata con la drum machine. La ritiene una semplificazione alla stregua dei sintetizzatori, con la differenza che il rispetto che riserva per la batteria come strumento ha accezioni quasi sacrali, e quindi il solo sentire una ritmica basata sull’inconfondibile suono sempre troppo ovattato e troppo veloce delle drum machine lo irrita. “È per questo che generalmente neanche ascolto i remix che fanno delle nostre canzoni per infilarli nei singoli”, ha confessato mugugnando, “Lì le utilizzano spessissimo”.

Ora. L’ottanta per cento della musica che mi piace è talmente influenzata dalla techno che le drum machine sono quasi la norma.

Ovviamente, Matthew non mi stava dicendo “la musica che ascolti mi schifa”.

Ma se sono stato in grado di passare un’intera nottata scrollando la playlist dell’IPod, riascoltando tutti i brani di un certo tipo e ponderando seriamente se fosse o meno il caso di eliminarli dalla mia quotidianità soltanto perché Matt aveva mostrato di non apprezzare la categoria alla quale appartenevano, vi lascio immaginare cosa sarei capace di fare se le sue idee, invece di andare a toccare soltanto la musica che ascolto, andassero a toccare la musica che faccio.

Sarebbe evidentemente un cataclisma di proporzioni talmente enormi che niente riuscirebbe ad arginarlo! Sarebbe come un maremoto! Andrei in giro come uno zombie strillando che devo dare una svolta alla mia vita e blaterando dissensi random mentre vado riascoltando l’intera discografia dei Placebo e medito di ritirare tutti i nostri album sparsi per il mondo, vagheggiando di raccoglierli in pire come altari sacrificali e dar loro fuoco per eliminare ogni traccia di Male dalla faccia della Terra!

Quindi, in definitiva, è perfettamente comprensibile che io mi sia ben guardato dal chiedergli di venire con me ad un concerto. Anche perché mi conosco abbastanza bene da sapere che, alla fine dell’esibizione, gli sarei saltato addosso pretendendo pareri anche se Stef avrebbe fatto di tutto per fermarmi.

Quello che non si capisce è perché lui, che è evidentemente un genio – e questo è stato sempre abbastanza chiaro per tutti, perfino per me e perfino quando invece di ammetterlo mostravo di non crederci – possa preoccuparsi di qualcosa di simile.

Voglio dire, è ovvio che adoro qualsiasi cosa crei! Adoro perfino quello sciocco romanzo illustrato che si ostina a portare avanti nonostante sia vero che non ha né capo né coda! Figurarsi se potrei mai dire “ba” anche solo su una nota partorita dal suo cervello. Anche se è abbastanza chiaro per tutti pure il fatto che in realtà il cervello musicale di Matt non si muove per note ma per lucine colorate che abbina a suoni più o meno acuti o più o meno gravi.

Ma questo non c’entra.

Comunque, non ero mai stato invitato ad un live prima di quella volta, ed effettivamente neanche quella volta successe.

Era inverno. Probabilmente gennaio.

Io e Matt abbiamo scelto proprio i periodi peggiori delle nostre vite per incontrarci e innamorarci. È talmente ovvio e talmente idiota nella sua ovvietà che fa quasi pensare che sì, un ordinatore dell’universo debba esistere – ed odiarci tutti. Perché non si può concepire che due persone intelligenti quali noi siamo possano coscientemente dare un’occhiata ai loro programmi per l’anno in corso, vedere che sarà massacrante e aggiungerci anche una relazione. È assurdo.

Sta di fatto che io avevo finalmente strappato ad Alex una serata libera dopo mesi e che, tutto contento, ero tornato nel mio appartamento saltellando come un coniglio ed afferrando il cellulare per chiamare Matt, dargli la bella notizia ed annunciargli che se non voleva che andassi a prelevarlo direttamente a casa sua avrebbe fatto meglio a trovarsi da me in dieci secondi netti, quando mi sento rispondere che “amore, devo essere sul palco fra mezz’ora…”.

- Dove diavolo sei?! – chiesi, strillando istericamente nella cornetta. Già terrorizzato dal fatto che lui potesse candidamente uscirsene con un “Ma amore, in Bangladesh, te l’ho detto ieri!” che mi avrebbe spezzato il cuore e costretto a strapparmi i capelli dalla testa uno ad uno, cercai di fare mente locale, chiedendomi se per caso mi avesse detto che doveva espatriare mentre mi stavo passando lo smalto. Tendo a non badare a niente di ciò che mi circonda, quando passo lo smalto.

- Uhm… - tergiversò Matt, - Aspetta.

Lo sentii allungare il braccio e afferrare qualcosa.

Capii che non era “qualcosa” quando il qualcosa strillò “Matt, vai a cagare!”, con un tono di quelli che ti fanno pensare che chi lo usa sia arrivato ben oltre il punto di rottura già da tempo. Allora compresi che doveva trattarsi di Dom.

- Dov’è che siamo? – gli chiese Matt con innocenza, e nel tempo che io utilizzai per schiaffeggiarmi la fronte con una mano, Dom riuscì non solo a dirgli il nome del posto in cui si trovavano, ma anche a ricoprirlo di una tale quantità di epiteti ingiuriosi che il mio vocabolario di imprecazioni ne uscì notevolmente arricchito.

- Che ci fate lì? – chiesi io, quando sentii la voce di Dom allontanarsi abbastanza da darmi ad intendere che la diatriba era finita.

- Mah. – rispose lui, sbottando infastidito, - Tom dice che stiamo perdendo il contatto col pubblico. Perciò ci ha messo a suonare in piazza.

- Ahah. – ridacchiai divertito, - E quanti milioni di londinesi staranno stipati in questa piazza?

- Temo pochi. – borbottò Matt, - Hanno finito di montare il palco tipo due ore fa e pare che ancora non se ne sia accorto nessuno. È uno spettacolo a sorpresa. Di quelle cose che fanno i musicisti affermati quando vogliono far prendere un infarto ai fan, sai?

- Mai fatto niente del genere in vita mia. – ammisi, scuotendo il capo. – Quando voglio far prendere un infarto ai fan generalmente bacio il mio bassista.

Lui rimase un po’ in silenzio, dall’altro lato della cornetta. Per un attimo temetti si fosse offeso.

- Brian, - rispose dopo che il silenzio si fu esaurito, - sai che a volte ho difficoltà a credere che Muse e Placebo abbiano esattamente lo stesso tipo di fan?

- In realtà è del tutto normale. – spiegai con un sospiro supponente, - Noi diamo a loro ciò che voi siete incapaci di fornire.

- A-ha. E sarebbe?

- Mmh… tanto amore?

Scoppiò a ridere ed io lo seguii senza neanche rifletterci. L’eco della mia risata risuonò per tutto l’appartamento vuoto, ritornando indietro fino a me e abbattendosi crudelmente contro la mia faccia, ed io mi sentii vuoto e perso ed ebbi così tanta voglia di vederlo che dovetti mordermi un labbro per non dirglielo.

- Adesso devo scappare. – disse lui frettolosamente, sbuffando irritato, - Ti chiamo appena finisco, aspettami sveglio, se puoi.

Non ebbi nemmeno il tempo di salutare.

Comunque, neanche un minuto dopo, ero già in macchina. Fortunatamente, la piazza che era stata adibita a location per il concerto non era particolarmente lontana da casa mia, perciò arrivai nei paraggi in poco più di un quarto d’ora.

Una volta lì mi resi conto di quanto pie fossero state le illusioni di Matt, quando mi aveva detto – magari credendoci per davvero – che a quel concerto non sarebbe andato nessuno. La piazza era gremita di gente. Chi non entrava all’interno dell’area riservata al pubblico, delimitata da lunghi e pesanti cordoni gialli intrecciati, retti in aria da pali arancioni lunghi poco meno di un metro e piantati in enormi blocchi di cemento che faticavo a immaginare potessero avere un utilizzo serio oltre quello per il quale erano stati usati quella sera, si disperdeva lungo le stradine laterali. Le file erano enormi. I balconi dei palazzi intorno, strabordanti. La folla era gonfia come un fiume in piena, spaventava quasi.

Fu sostanzialmente un miracolo che uno dei collaboratori di Tom passasse di lì, per controllare che i cordoni non cedessero, e mi notasse. Mi fissò incredulo e attento per qualche secondo, e io pensai distrattamente che, per una persona che probabilmente mi aveva visto in tutto tre volte, e solo quando ero perfettamente truccato perché nel momento in cui mi aveva posato gli occhi addosso ero anche sulla copertina di qualche rivista, non dovesse essere facile riconoscermi in una situazione come quella. Ma lui mi riconobbe.

- Brian Molko? – chiese, avvicinandosi, un po’ incerto.

Io sorrisi, stupito, ed annuii.

Poi venne il momento della domanda scomoda.

Era chiaro che non poteva chiedermi “e che ci fai qui?”. Sarebbe stato terribilmente maleducato, e sicuramente quello che aveva sentito dire di me non lo incitava a comportarsi con leggerezza nei miei confronti. Ciononostante, la situazione imponeva di vederci chiaro, e lui pensò di farlo nel modo più limpido e inequivocabile possibile.

- Sei il ragazzo di Matthew, vero? – chiese con una punta di paura, stringendosi nelle spalle.

Io risi.

- L’ultima volta che ho controllato, sì. – risposi conciliante, cercando di non metterlo a disagio. Immaginavo quanto dovesse essergli costato fare una domanda simile. È il tipo di domanda che costa sempre fare, quando non hai più quindici anni, non lavori per un giornale scandalistico… e be’, non sei Matthew.

L’uomo sollevò una parte del cordone, mandando due energumeni a bloccare il resto della folla mentre mi invitava a passare e mi conduceva velocemente nel backstage, dove mi affidò alle amorevoli cure di Tom. Il quale mi fissò, sconvolto, e fece la domanda che, per delicatezza, il suo collaboratore non mi aveva fatto.

- E tu che diamine ci fai qui?!

Ovviamente, per lui il convenevole del “sei il ragazzo di Matt” non aveva senso. Quindi era anche giustificato, in parte, se metteva in secondo piano l’educazione per concentrarsi sulla realtà sconvolgente per la quale l’uomo del suo frontman si trovava nel backstage di un concerto del proprio ragazzo e si aspettava anche che di lui fosse fatto qualcosa di utile.

- Sono venuto a guardare… - risposi a mezza voce, lasciando vagare lo sguardo sul caos di persone e apparecchiature che affollava il retro del palco.

- Dio mio. – mugugnò Tom, sconvolto, - Matthew lo sa?

- Non ho avuto tempo di dirglielo. – ammisi. Il fatto che non ci avessi neanche pensato non mi sfiorò neppure da lontano.

Tom annuì, digerendo l’informazione e incrociando le braccia sul petto.

- Okay. – disse infine, arrendendosi. – Però non puoi stare qui. Ogni volta che finisce una canzone questo posto si trasforma in un delirio. – si fermò, guardandosi intorno e catturando una povera ragazza che si muoveva sbatacchiando da un lato all’altro la Manson argentata di Matt. – Monica!!! Si può sapere dove diavolo stai portando Silver?!

La ragazza si giustificò dicendo che Matthew era nervoso, era completamente impazzito e minacciava di non usarla se non fosse stata perfettamente lucida, e quindi lei stava andando alla ricerca di una spugna e un prodotto adatti allo scopo. Tom la lasciò andare con un sospiro e le disse di tornare da Matt e convincerlo ad usare Silver senza fare storie. – Con le buone o con le cattive, Moni. Non mi interessa. Se è il caso, spaccagliela sulla testa. – poi tornò a rivolgersi a me, - L’idiota si è del tutto rincoglionito, se pensa di poter mandare a lucidare la chitarra con cui deve aprire a due minuti dall’inizio del concerto.

Io ridacchiai sommessamente e, sinceramente, cominciai a pentirmi di trovarmi lì. Quel backstage non somigliava affatto a quelli dei nostri concerti. Da noi era sempre tutto estremamente calmo. Estremamente pianificato. Non c’erano mai enormi scossoni, se pure mancava qualcosa la si ritrovava sempre in tempo per evitare lo scoppio di una crisi di panico da parte di uno qualsiasi di noi. Lì invece la dimensione prettamente lavorativa delle esibizioni live sembrava essersi persa tra una buccia di banana e l’altra, come dimostrava il cestino della carta straccia rigato di giallo.

- Facciamo così. – disse Tom, riflettendo seriamente, - Soffri di vertigini?

Negai risoluto, anche se stavo mentendo. Non mi sembrava il caso di fare impazzire Tom, e lo sguardo che aveva era proprio di quelli che sembrano dirti “contraddicimi e comincio a mangiarmi la maglietta qui ed ora”.

- Bene. Allora, vedi lassù i fari? – chiese, afferrandomi per le spalle e stringendomi a sé perché potessi osservare esattamente il punto che stava indicando, oltre i tendoni che coprivano il backstage e lasciavano intravedere l’estremità superiore dell’impalcatura. – Lì c’è una specie di intercapedine. Fa un caldo boia ma è un posto sicuro. E potrai osservare tutto quello che succede sul palco! – concluse, con lo stesso tono col quale avrebbe parlato di una meravigliosa vacanza a Ibiza se fosse stato impiegato in un’agenzia di viaggi.

Io deglutii e annuii e, ancora stordito da tutte quelle parole – e da tutto quel dannato casino – mi lasciai condurre su per una ripidissima scaletta che sembrava appena appoggiata ai sostegni del palco, ma che, come mi ricordò Tom, cercando di rassicurarmi dal momento che anche lui notò il mio sguardo, e anche il mio sembrava di quelli che possono costringere a mangiare una maglietta, era in realtà fissata con delle viti talmente enormi che anche se le avessi viste non avrei creduto alla loro esistenza.

Una volta là sopra, mi accoccolai fra una luce rosa e una luce blu, aggrappandomi alla ringhiera e guardando di sotto.

- Sta’ lontano da queste blu, adesso. Le usiamo per Map e per Time. Map apre. Non ti fare fulminare o Matt mi ucciderà. – mi istruì seriamente Tom. – Quelle rosa, invece, non le usiamo prima del finale. – continuò con piglio severo, agitandomi un dito davanti alla faccia, - Il finale è Knights. Quando senti Knights, scendi, perché le usiamo tutte… - borbottò, indicando con un ampio gesto delle braccia ogni singolo faro presente là sopra, - …e qui potrebbe diventare bollente. – si interruppe e mi guardò. Stavo ancora mollemente appoggiato al faro blu, fissando con aria assente alternativamente lui e il vuoto sotto di me. – Mi hai capito? – chiese dubbioso, inarcando un sopracciglio. Io annuii. – Non voglio ritrovarti fritto. Né alla brace. Né lessato. – rifletté qualche secondo, probabilmente dandosi dell’idiota per aver accettato di portarmi fin lassù. – Per carità, fatti trovare vivo. – concluse infine. Dopodichè girò sui tacchi e, agitando un braccio come a dire che sarebbe stato comunque tutto un disastro, raggiunse la scaletta e scomparve di sotto.

Non so per quanti minuti rimasi lì, da solo, in silenzio. Mi sembrarono eterni, in ogni caso. Rimasi appoggiato al faro, poi realizzai effettivamente che mi era appena stato detto di staccarmi da lì e quindi tornai ad aggrapparmi esclusivamente alla ringhiera davanti a me, poggiando il gomito sul ferro e il mento sul palmo aperto.

Poi si fece tutto buio.

La folla esplose in un delirio di urla e richiami festosi.

La luce blu si accese.

E Matthew era lì. Sotto di me. Prima ancora che la folla potesse individuarlo con precisione, complici anche le luci bassissime che confondevano la vista, l’attacco della chitarra distorta di Map era partito. Silver non riusciva a splendere, con tutto quel buio, ma il pad rifletteva una minuscola lucina fosforescente sulla spessa asta del microfono davanti a lui. Da qualche parte, accanto alla batteria, il tastierista aggiunto spezzò l’assolo di chitarra con le tre note dal suono cristallino e tintinnante come quello dei campanellini, che contraddistinguevano la linea di piano di quella canzone, e quasi contemporaneamente Chris attaccò con la linea di basso. Quando anche Dom si aggiunse al perfetto quadro sonoro che si andava delineando, la folla impazzì, ed io assieme a lei. Persi completamente il senso della realtà. Dello spazio. Del tempo. Rimasi incantato ad osservare i movimenti di Matt sul palco, la chimica perfetta con la quale interagiva coi suoi compagni di band, la naturalezza un po’ scomposta e infantile con la quale si lasciava andare ai saltelli e al trottolio confuso che lo guidava da un lato all’altro del palco in un movimento frenetico e senza sosta.

E poi la canzone terminò, lui si mise a giocare con gli effetti della chitarra e, per rendere la cosa più credibile, se la sfilò di dosso e la sollevò sulle braccia tese fin sopra la testa, come la stesse offrendo in sacrificio a un dio superiore. Era un movimento che aveva un che di assurdo e, al contempo, di affascinante. Il che riassumeva un po’ Matt nella sua interezza.

Sorrisi teneramente, incapace di staccargli gli occhi di dosso.

E fu in quel momento che lui aprì i propri. L’avevo osservato spesso suonare per conto proprio, e sapevo che, quando cominciava, capitava raramente che riuscisse a tenere gli occhi aperti per più di dieci secondi consecutivi. La sua trance artistica prevedeva l’isolamento totale rispetto al resto del mondo, e gli occhi chiusi lo aiutavano ad ottenerlo.

Perciò immagino che si sia sentito spaesato, quando aprì gli occhi e guardò in alto e lì in alto trovò me.

Lessi tutto lo stupore che gli annebbiava la mente, nello sguardo enorme che mi piantò addosso. E nella linea delle sue labbra, che si dischiusero in una piccola “o” vagamente ridicola.

Fortunatamente non doveva star lì a badare alla chitarra, che continuava a cantare per i fatti propri, interagendo autonomamente con l’amplificatore a due passi da lui.

Io risi ancora, ed agitai una mano come per salutarlo, stringendomi nelle spalle. Mi augurai che mi vedesse. Mi augurai che scorgesse il mio sorriso, che percepisse almeno una parte di ciò che stavo provando in quel momento. Dell’ammirazione, della gioia, dell’amore assoluto che mi stava riempiendo al punto da farmi sentire quasi devastato.

Si lasciò ricadere addosso la chitarra. La fortuna volle che la tracolla gli si incastrasse sulle spalle, impedendo allo strumento di schiantarsi contro il legno del palco. Lui non le badò. Il suo peso non lo spostò di un millimetro. Continuò a fissarmi e sollevò un braccio. Due dita tese. Dritte verso l’alto. Come volesse raggiungermi.

Anche io stesi il braccio, ed allungai le dita.

Fisicamente, non ci toccammo.

Ma da qualche parte, nell’aria in mezzo a noi, in qualche modo ci riuscimmo comunque.

*

Ho perso tempo in città perché non mi andava di tornare subito. Quando rientro, Alex mi aspetta a braccia conserte sugli scalini del tour-bus.

- Mi auguro che non ci saranno altri colpi di testa, Brian. – dice severamente, picchiettando col tacco sul metallo e producendo un suono irritante che in qualche modo mi ricorda la Madre Superiora che dirigeva la scuola privata che ho frequentato per tutte le elementari. – Avanti… - prosegue, sospirando pesantemente ed addolcendo lo sguardo e l’espressione del viso, - Domani c’è l’ultimo. E poi si torna a casa! Riposo! Vacanza!

- Già. – annuisco io, sorridendo maligno, - Per una settimana. Poi di corsa in sala prove per tirare fuori nuovo materiale per il prossimo album, scommetto.

Alex si morde un labbro.

- A questo proposito, Brian…

- Ah, no! – la interrompo io, agitando una mano, - Se stai per dirmi che non avrò neanche la settimana che mi hai promesso, fanne pure a meno! – mi lamento, voltandomi e cominciando a camminare risolutamente verso un qualsiasi punto sia lontano da lei, - Non solo non intendo starti a sentire, ma intendo fuggire su qualche isola tropicale appena toccato il suolo inglese, ti avverto!

La sento sospirare ed arrendersi alle mie spalle. Borbotta un trasognato “non fare troppo tardi” e rientra nel tour-bus, mentre io continuo ad allontanarmi, vagando senza meta fra bus e camion, nel pomeriggio che sfocia in tramonto.

È proprio mentre vago che, a un certo punto, mi imbatto in una scena insolita che cattura la mia attenzione. Gerard Way e Chester Bennington stanno l’uno accanto all’altro, seduti su un amplificatore enorme. E, a quanto pare, stanno chiacchierando del più e del meno.

Nessuno dei due rientra nella ristrettissima lista di persone con le quali mi andrebbe di parlare, adesso. Ciononostante, non sospettavo che fossero amici, e vederli così… in intimità, per dirla in questo modo, mi stupisce e m’incuriosisce. Perciò, da brava adolescente cretina che non sono altro, mi nascondo dietro un rimorchio spaventosamente grande e resto in ascolto.

- E quindi in definitiva com’è andata? – chiede Way, distratto, guardandosi intorno come non vedesse l’ora di trovare un diversivo col quale porre fine a quella conversazione.

Chester non solleva lo sguardo dal terriccio polveroso che, dalla propria posizione, arriva appena a lambire con le punte dei piedi. Lancia un sospiro stremato e si sgonfia come un palloncino, sistemandosi gli occhiali sul naso.

- È andata male, come vuoi che sia andata. – risponde infine a bassa voce.

- Come?! – sbotta incredulo Gerard, allontanandosi da lui come potesse essere portatore sano di una malattia contagiosissima, - Che vuol dire “male”?! Non ci sei andato a letto?! Dopo tutta la fatica che ho fatto per lasciarti stare da solo con lui?!

- No! – strilla Chester, sollevando finalmente lo sguardo e strizzando i pugni abbandonati fra le gambe semidivaricate, - E non solo! Due giorni dopo trovo il coraggio per andare quantomeno a chiedere scusa per… Dio…

- Chester, ti prego

- …per essergli saltato addosso come un dannato cane arrapato, Cristo santo! E cosa scopro? Ma che ovviamente era fidanzato! E non con Pinco Pallo, no! Con Matthew Bellamy!!! Cazzo, cazzo e cazzo! E nessuno che si fosse premurato di dirmelo, ovviamente!

Gerard lo guarda, inarcando le sopracciglia come farebbe di fronte ad un adolescente particolarmente duro di comprendonio.

- Io credevo lo sapessi. – mugugna alla fine, scrollando le spalle.

- Come cazzo dovevo fare a saperlo, me lo spieghi?! – grida ancora il biondino, gesticolando animatamente.

Gerard scrolla nuovamente le spalle.

- Sta attaccato al telefono ventiquattro ore su ventiquattro e quando riemerge da dove si è nascosto per chiamare praticamente volteggia a un metro dal suolo… per essere più chiaro di così avrebbe dovuto scriverselo sulla fronte...

Chester si affloscia nuovamente su sé stesso, esausto.

- Sono peggio di te. Ho distrutto un rapporto presumibilmente serio e appassionato…

- Non hai distrutto un cazzo perché non sei stato neanche in grado di scopartelo, quello stronzo. – precisa Gerard con noncuranza, guadagnando, in cambio dell’epiteto, che il suo nome, recentemente scomparso dal mio Taccuino dell’Odio, vi ricompaia senza troppe cerimonie.

- Gerard: vaffanculo. – conclude eloquentemente Chester, sia per sé stesso che per me.

Gerard sospira pesantemente e poi solleva un braccio, passandoglielo sopra le spalle ed attirandolo a sé in un abbraccio un po’ goffo e infantile. Anche tenero, a proprio modo.

- Dai che non è successo niente. – lo rassicura, mentre Chester, stretto a lui, si lascia andare ad un respiro sollevato e ad un sorriso triste, - Comunque sei incolpevole. Non sapevi che fosse impegnato. E poi a te lui piace davvero, quindi sei giustificato.

- Mmmh… - mugugna Chester, ritrovano poco a poco sicurezza, - Be’, sì. In ogni caso sono meglio di te. Tu sai che Stefan è impegnato, eppure…

Gerard sorride, digrignando i denti.

- Purtroppo, so pure che per quanto possa provarci non caverò un ragno dal buco. – ammette controvoglia, pizzicando la spalla di Chester che ancora tiene stretta fra le dita, - È per questo che continuo a provarci, tanto so che le mie spoglie mortali resteranno pure e caste.

Be’.

Se non altro, questo dimostra che quando scelgo i bersagli contro i quali fare lo stronzo, dovrei informarmi meglio prima.

È chiaro che mi sono sbagliato su così tante cose che fatico a tenere il conto.

- Pure e caste. Sì, certo. – riprende Chester, ormai del tutto ristabilito, - Vienimelo a raccontare quando andrai di fronte a San Pietro e lui ti mostrerà incredulo il filmato su YouTube in cui baci tuo fratello, chiedendo a te come dovrebbe comportarsi nei confronti di un tale abominio.

- Dio mio, no! – si lamenta Gerard, staccandosi dall’abbraccio e saltando in piedi, - Come quando alle elementari la maestra osservava le macchie di pennarello sui compiti e poi diceva “Gerard, come pensi dovrei comportarmi di fronte a questo?”. – fa una smorfia irritata, tendendo una mano a Chester che la afferra per lasciarsi aiutare a saltare accanto a lui, - L’avessi davanti qui ed oggi risponderei “’cazzo ne so, signora maestra, è lei che pagano per punirmi. Quando pagheranno me per decidere che punizione propinarmi, sarà la volta buona che deciderò di punirmi con una vacanza alle Hawaii, vita natural durante”!

Chester ride di gusto e gli dà del cretino mentre si allontanano insieme, diretti da qualche parte.

Rido anche io. Prima sommessamente. Poi, quando sono sicuro che non possano più sentirmi, più apertamente.

- Ridi pure da solo, adesso. Bene. – dice la voce sorridente di Stef alle mie spalle, - Adesso posso chiamare davvero la neuro.

Rido ancora, infilando le mani in tasca e raggiungendolo.

- Mi cercavi? – chiedo a bassa voce, incamminandomi al suo fianco verso il tour-bus.

- Sì. – risponde lui, - Alex ha cominciato a borbottare che s’è fatto tardi e fuori fa freddo. E Steve non riesce a trovare le merendine al cioccolato.

- Perché gliele ho nascoste! – borbotto, - Non potevo mica lasciare che le facesse fuori tutte in un pomeriggio!

Stefan ride divertito.

- Alex ti amerà per questo. – commenta ironico.

Io spingo le mani più a fondo nelle tasche dei jeans, e le mie dita impattano contro il cellulare che, per fortuna, durante la caduta di due giorni prima non è andato completamente distrutto.

A due passi dall’entrata del tour-bus, mi fermo e lo tiro fuori. Stefan si ferma accanto a me, inarcando un sopracciglio inquisitore.

- Tutto a posto. – sorrido sereno, - Entro fra due minuti. A quest’ora Matt dovrebbe essere già arrivato.

 

*

 

Nota di fine capitolo della liz che dopo aver riguardato il tutto si vede apostrofata in una maniera indecente da Nai:

 

Sì, buonasera *-*;;; Oggi sarò breve (perché devo tornare a scrivere) ed immodesta: amo questo capitolo, pure se ne ho scritto una parte anche io T_T Questo è il capitolo in cui Matthew rinnova i suoi voti di possesso *_* Amo come stia appiccicato a Brian per tutto il tempo, sia sul tourbus che all’aeroporto X3 È una cosa tenerissima *.*

E poi sì, amo anche il pezzo del concerto, credo sia il pezzo migliore che abbia scritto per questa storia XD *immodestia rulez*

E poi ci sono Gerard e Chester che interagiscono <3 Io li trovo mortalmente amabili, voi no? *.* (sì, ci sto fangirlando su. Ma voi non volevate veramente saperlo, vero? O_ò).

Anyway, siamo quasi alla fine ç_ç Mancano solo ultimo capitolo ed epilogo. *piange* Mi dispiacerà abbandonare Trapped ;_;

 

 

Nota di fine capitolo della Nai:

 

Uh, visto che Liz si lamenta sempre che scrivendo le note per prima non può influenzarvi, faccio in modo che sia davvero così!!! **

Importante avviso ai naviganti! ù_ù Qualunque cosa la Liz dirà, non credetele! è_é

 

A parte ciò!!! Non ricordavo quanto fosse splendida la parte del concerto, Matt e Brian sono deliziosi, uno più rincoglionito dell’altro! *_*

Brian e lo smalto del Bangladesh! Matthew ed il qualcosaDom a cui chiedere dove sia XDDDDD

Ah! Viva l’essere fuori dal mondo ^_^

E siamo a meno uno! ^_-

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Placebo / Vai alla pagina dell'autore: Easily Forgotten Love