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Autore: thecitysmith    13/03/2014    1 recensioni
"In un mondo dove le città sono personficate, la Città di Parigi non si vede da secoli, allontanata dagli orrori della guerra e da tutto il peggio che l'umanità le ha sempre offerto di sé.
Enjolras sogna di incontrare Parigi, e di condurre la Città verso un domani migliore.
Quello che non sa é che adesso Parigi é un cinico ubriacone che si fa chiamare Grantaire."

| traduzione dell'omonima storia su ao3 di barricadeuse e piuma_rosaEbianca |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Enjolras non aveva visto Grantaire per due giorni.


Aveva continuato a piovere per tutto il tempo.


Dopo che Parigi- Grantaire- Parigi lo aveva mandato via, Enjolras era tornato alle case bruciate e aveva cercato qualcosa da fare per distrarsi. Il fuoco si era spento da diverso tempo, le vittime erano state medicate e mandate da persone care che se ne prendessero cura, perché i dottori erano troppo costosi. (Joly aveva promesso di fare visita a più persone possibili)


Di norma sarebbe stato abbastanza per farlo agitare, parlare dell'attenzione per i malati e l'ovvia mancanza di preoccupazione per l'argomento, ma era stata una giornata lunga e non solo per lui. Così Enjolras aveva disdetto l'incontro per quella sera, consapevole che molti di loro avevano visto qualcuno morire, quel giorno (un buon allenamento, aveva notato una parte impassibile di lui, devono abituarcisi). Le facce dei Les Amis andarono dal grato al sorpreso e lui sentì uno spasmo; era davvero sembrato così spietato? (Pensò al blu infinito degli occhi di Grantaire e pensò che forse avevano ragione.)


Era stato distratto da allora, bloccato in una nebbia mentale fatta di confusione e dubbi. Enjolras non era una persona insicura, molto raramente aveva incertezze su cosa faceva o provava, ma quello era prima che il suo mondo venisse capovolto e la sua Patria si rivelasse come un ubriacone che non sopportava giovani ricchi che pensavano di giocare.


Eppure non riusciva ad arrabbiarsi, o perfino a sconvolgersi per quell'uomo- la Città. Grantaire non si era fatto più vedere dall'incendio, eppure la testa di Enjolras scattava speranzosa ogni volta che qualcuno saliva le scale. Era ovvio per gli altri che c'era qualcosa che non andava. Combeferre lo aveva messo alle strette la sera prima.


("Tu e Grantaire avete litigato?"

"Cosa te lo fa pensare?"

"Non si è fatto vedere, e non perde mai un incontro quando sa che sei tu a parlare.")


Sì, era vero. Enjolras lo aveva notato. Grantaire non era una persona proprio facile da ignorare, ed era stato sempre chiaro come la pensava sulla rivoluzione. (Non sono mai stato d'accordo con te!) Così perché era tornato, giorno dopo giorno? Non era così crudele da divertirsi nel vederli combattere per la libertà. E di nuovo, cosa sapeva di lui? Non gli aveva mai nemmeno chiesto il suo nome di battesimo, per l'amor del Cielo!


("Dimmi; cosa ne pensi di Grantaire?"


"Ah," l'amico sembrava stranamente compiaciuto. Combeferre cancellò il suo sorriso dalla faccia quando si accorse che Enjolras era sinceramente stressato. "Penso che possa essere fantastico, quando vuole. Dopo tutto è l'unico che è riuscito a tenerti testa."


"Sì, l'ho notato." La sua parte insicura si stava svegliando di nuovo, rendendogli difficile parlare. "Ma era sempre ubriaco quando lo faceva, non ho mai pensato che fosse serio."


"Io non ho mai avuto l'impressione che non lo fosse." Enjolras si ritirò leggermente e Combeferre gli posò una mano sulla spalla. "Credo che ti stia concentrando troppo su come vorresti che fosse e non vedi i valori che ha già." E lo lasciò solo.)


Era ormai il terzo giorno che Grantaire non si faceva vedere. Enjolras non aveva dormito, rimanendo sveglio ben oltre l'alba, anche se era difficile da dire. Il sole non riusciva a oltrepassare la tetra coltre di nubi che copriva il cielo. Parigi era bloccata in un crepuscolo angosciante ed era tutta colpa della sua follia. Non riusciva ad evitarsi di ripensare ad ogni critica che Grantaire gli avesse mai mosso. (Per qualche ragione riusciva a ricordarsele tutte perfettamente).


Era difficile concentrarsi, anche durante gli incontri, quando tutto quello a cui riusciva a pensare erano le parole di Grantaire che gli venivano urlate addosso a ripetizione, come chiodi che gli trapassavano i pensieri. Il modo in cui i suoi riccioli scuri gli avevano coperto il volto quando si era rifiutato di guardarlo. Semplicemente- un milione di piccole cose- il gracchiare della sua voce quando aveva ringhiato il nome di Enjolras-


"Enjolras."


Grantaire non lo aveva mai chiamato così. Sempre e solo Apollo o qualche altra figura.


"Enjolras."


Qualcosa tratto dalla storia, una storia che aveva vissuto. Faceva male sapere che Grantaire aveva tirato fuori figure dal suo passato per prendere in giro Enjolras. Che gli avesse sventolato la verità sotto il naso, sapendo che non avrebbe mai indovinato?


"Enjolras!" Il biondo tornò al presente in uno scatto. Era seduto a un tavolo nel café, con i Les Amis che lo fissavano in attesa. Stavano discutendo di qualcosa e lui aveva perso completamente il filo del discorso. Imbarazzante.


Nel tentativo di salvarsi la faccia, disse velocemente "Sì, sono d'accordo." I Les Amis gli lanciarono occhiate stupite.


"Sei d'accordo con me?" Marius era completamente sconvolto.


"Cosa? Aspetta, parlavi ancora di Napoleone? No." La pioggia scendeva lungo la finestra, implorando di entrare. Enjolras chiuse gli occhi. "Va bene. E' ridicolo. Mi dispiace amici, ma devo andarmene."


"Cosa?" risposero diverse voci confuse.


"E' tutto a posto, non stavamo comunque facendo niente." Combeferre sembrava sollevato. Enjolras annuì e uscì. I Les Amis lo guardarono andarsene.


"Cosa?" disse Joly, come se ripetere la domanda avrebbe potuto rendere le cose più chiare.


"Beh, era ora," disse Courfeyrac, soddisfatto. Al suo fianco, Jehan annuì mentre intrecciava distrattamente altri fiori con i suoi capelli.


"Spero che lui e Grantaire risolvano tutto."


"Vi sentite mai come se non capiste qualcosa?" si lamentò Bossuet.


La pioggia diventò una tempesta.


Enjolras avanzò, sbattendo gli occhi per l'acqua che gli incollava i capelli alla testa. Pesanti nuvole grigie avevano chiuso il cielo come una tomba. L'intera Parigi sembrava piegarsi e tremare sotto la pioggia scrosciante che la sommergeva e tingeva tutto di grigio, rendendo difficile vedere. Era come se Parigi si stesse nascondendo da lui. E forse era così.


Aveva controllato l'attico di Grantaire (la sua valigia era ancora lì, la sua valigia era ancora lì) e i posti dove andava di solito, ma non l'aveva trovato. Probabilmente era fuori, quindi, e il pensiero riempiva Enjolras di terrore. Le Città non potevano ammalarsi se non per malattie che colpivano il cuore o la mente. La peste le aveva infettate quasi tutte a causa del dolore per tutti quei figli morenti.


Le strade di Parigi stavano piangendo.


Enjolras si guardò intorno lentamente. Poteva sentirle. Le case gemevano e la pioggia gorgogliava nei canali di scolo. Osservò la pioggia scorrere giù per le strade e... no, aspetta. L'acqua non stava andando verso il basso ma di lato, riversandosi in un vicolo pericolante. Enjolras guardò in alto e vide le case oscillare e inclinarsi ai lati, coprendo la stradina dal vento.


Protettive.


Enjolras corse in avanti. L'acqua si sollevava in spruzzi intorno ai suoi stivali mentre si insinuava nel vicolo. Sembrava che tutta la pioggia ristagnasse lì, quasi alta fino alle ginocchia nello scorrere verso l'imboccatura della strada, verso il passaggio che portava alle catacombe. E sull'orlo stava Grantaire.


"Grantaire!" Lo trascinò lontano da quella voragine oscura. Grantaire era privo di sensi, la sua testa scura che ciondolava all'indietro contro Enjolras. Poteva sentire quanto la Città fosse fredda anche attraverso i vestiti. La stessa paura che aveva sentito quando Grantaire era scomparso sotto la casa bruciata lo attanagliò. A Grantaire piaceva bere, ma mai fino a perdere conoscenza. Anche al suo peggio era sempre capace di camminare e parlare (o canzonare).


Non poteva chiamare Joly, non senza dover rispondere a un sacco di domande scomode. Quindi riportò Grantaire al suo appartamento. Non fu facile, dato che quell'ubriacone era più alto di lui. Quando arrivarono, entrambi stavano tremando per il freddo. Il buon senso superò il suo imbarazzo ed Enjolras liberò Grantaire da tutti i vestiti tranne i pantaloni e lo mise nella vasca da bagno, facendo avanti e indietro con secchi di acqua calda finché non fu sommerso fino al collo.


Conscio del fatto che le sue mani stavano diventato blu, Enjolras si mise qualcosa di asciutto addosso e camminò per l'appartamento, aspettando che Grantaire si svegliasse. Non voleva sedersi al suo fianco; non era un invalido. Comunque, era difficile impedire ai suoi occhi si posarsi su di lui.


Parigi... non era bello.


Era difficile da ammettere, specialmente dopo anni passati a sognare (oh dio, quei sogni!) ma Grantaire non era proprio una bellezza. Aveva capito dai commenti che la gente faceva su di lui che lineamenti delicati erano considerati più attraenti. Grantaire sembrava un pugile, robusto e squadrato con muscoli ben definiti. Enjolras sobbalzò quando si rese conto che la forza delle sue braccia era quello che rimaneva degli eserciti francesi. Le spalle di Grantaire una volta si erano allargate e rafforzate per sorreggere l'esercito di Napoleone.


Aveva pensato che le nocche rovinate di Grantaire fossero per colpa di risse fra ubriachi, ma adesso che era mezzo nudo poteva vedere che il danno era ben più esteso. Probabilmente Grantaire era stato in più battaglie di quante Enjolras potesse nominare; e si vedeva. Le cicatrici che gli attraversavano la schiena erano la parte peggiore. C'era una macchia di pelle scolorita sul suo fianco, e sottili, profonde ferite che gli costellavano il petto. C'era anche... anche... qualcosa che faceva capolino dal pezzo di stoffa legato intorno al collo. Con un terribile presentimento Enjolras lo sciolse. E lì, quasi troppo sottile per essere vista, una linea rossa circondava interamente il collo di Grantaire. Era sottile e precisa, il taglio efficiente di una ghigliottina.


Enjolras ricadde a sedere. "E io che ti ho raccontato di Robespierre."


Nonostante tutto, l'espressione di Grantaire era pacifica. Molto espressiva. Gli era utile quando parlava, piegandosi in smorfie o ghigno per sottolineare le sue argomentazioni. Accompagnata dai suoi riccioli scuri e i suoi occhi blu, Grantaire sarebbe potuto essere bello, se non fosse stato per l'espressione disperata che portava fin troppo spesso e che donava così poco alla sua faccia. Ma chi era lui per giudicare? Qualcuno aveva reso Parigi il cinico che era.


Solo in quel momento si rese conto di aver osservato qualcuno che era poco più di uno sconosciuto, considerando quanto poco sapeva di lui. Aveva iniziato ad allontanarsi quando gli occhi di Grantaire si aprirono. I loro sguardi si incrociarono.


La pioggia si fermò.


Enjolras espirò lentamente, senza osare muoversi. Grantaire si sollevò, piccole gocce d'acqua tremarono sui suoi polpastrelli nell'accarezzare le guance marmoree di Enjolras. Alla fine il biondo non ne poté più. "Grantaire?"


Avrebbe potuto urlarlo per la reazione che ottenne. Grantaire ricadde all'indietro, quasi scivolando sott'acqua nel rovesciarla oltre i lati della vasca. "Sei davvero qui?!"


"Ovvio che ci sono! Che pensavi?"


"Pensavo di star sognando." Si guardò intorno disorientato, non avendo mai visto casa di Enjolras dall'interno. "Cosa ci fai- facciamo- qui?"


"Ti ho trovato sotto la pioggia. Ero preoccupato."


"Preoccupato? Mi chiedo se per me o per Parigi."


"Non potrebbe essere per entrambi?" disse Enjolras sulla difensiva. Non lo avrebbe di certo lasciato a sé stesso se non fosse stato una Città. Non era crudele. Ci fu una pausa imbarazzante. Grantaire controllò di stare bene, arricciando le dita dei piedi e delle mani per assicurarsi che nessuna fosse danneggiata. Era sempre doloroso quando venivano congelate o cose del genere, doveva staccarsele prima che potessero ricrescere. Enjolras lo guardò in silenzio. "Stai bene?"


"Starei meglio con qualcosa da bere," disse Grantaire. Enjolras fece una smorfia.


"Pensi davvero che dovresti?"


Per un secondo, dei segni verdi e blu strisciarono lungo il torso di Grantaire, circondandogli il collo come un serpente prima di scendere lungo la sua schiena e sparire.


"In questo momento, un vecchio è caduto in acqua. Suo figlio si é tuffato dietro di lui. Nessuno dei due sa nuotare; posso sentirli affogare." Grantaire aveva parlato con voce terribile, piatta, senza mai spostare lo sguardo da quello di Enjolras. "Delle quattordici prostitute che lavorano al porto, solo nove sopravviveranno all'inverno. Il protettore di una sta progettando di ucciderla. Un'altra ha del nero nei polmoni, posso sentirlo soffocarmi. Il freddo si prenderà le altre. Nelle case dietro di loro, tre diverse famiglie stanno morendo di fame. Dietro, un bambino è appena morto nella sua culla, anche se la madre ancora non se n'è accorta. Quando lo farà, non riuscirò a dormire per il dolore. Nelle strade ci sono mendicanti che non riescono a ricordare cosa sia il calore. Ed ho descritto solo i primi tre isolati qui intorno, mentre posso sentirli tutti. I bassifondi di Parigi sono nella mia testa. Quindi, mio caro Apollo, dimmi un po' se sarebbe meglio che bevessi o meno."


Enjolras gli passò una bottiglia.


X


Rimasero in silenzio per un po'. Il sole era uscito e riempiva di luce l'appartamento. Si rifletteva sulle ciglia dorate di Enjolras e sui suoi zigomi, facendolo sembrare un angelo. Grantaire si sforzò di non guardarlo, strizzando pigramente l'acqua dai propri capelli. Alcune gocce di sangue affiorarono sulla superficie dell'acqua.


"Stai bene?" chiese Enjolras alla fine.


"Sto bene, Apollo. Fluctuat nec mergitu. Battuta dai flutti ma non affonda." citò il motto di Parigi quasi senza sarcasmo. Era ancora pieno di rabbia, un sentimento così umano da farlo sentire più vulnerabile del solito.


"Sono Grantaire." disse, alla fine, cercando di risolvere la cosa. Le parole gli vennero veloci e amare. "Devi capirlo, Apollo. Posso anche essere una Città, ma non sono l'ideale che ti sei immaginato. Immagino sia il problema del non farsi vedere per secoli, dà alla gente il tempo di sperare in qualcosa. Non tutti possiamo essere di marmo, caro Apollo. Sono Parigi, ma non la tua Parigi perfetta."


"E io non sono Apollo!" Grantaire sobbalzò. Enjolras era arrossito, ma non sembrava imbarazzato per aver alzato la voce. Intrecciò le dita e corrugò le sopracciglia. "Non sono l'unico ad aver sopravvalutato qualcuno. Sai che mi hai chiamato con il mio vero nome solo quando ti sei arrabbiato?"


Grantaire scivolò un po' più a fondo nella vasca. Apol- Enjolras aveva ragione, come sempre. Ma non riusciva davvero a smettere di vederlo come rivestito di luce dorata. E forse era un po' ingiusto chiedergli di smettere di vederlo come Parigi. (Non potrebbe essere per entrambi, aveva detto. Era davvero possibile?) Non avrebbe mai pensato, di norma, ma l'acqua fredda aveva ridotto il fuoco che gli bruciava dentro a un pulsare leggero. Si strofinò il petto e si accorse che era il suo cuore. Quel vecchio cuore traditore, che sbatteva le proprie ali contro le sue costole nel tentativo di volare verso Enjolras. Vecchio sciocco.


"Sembra che abbiamo torto entrambi." disse, in fine, il suo cuore che ancora scalpitava per gli occhi di Enjolras su di sé. Avrebbe dovuto tagliargli le ali decenni prima; pensava di averlo fatto.


"Non sono Apollo. Sono umano, faccio errori e posso sbagliarmi. E mi sono sbagliato. Non volevo farti del male e mi dispiace." Enjolras sapeva che si sarebbe fatto trascinare, e, nonostante litigassero molto spesso, non aveva mai desiderato fargli del male.


"Dispiace anche a me, di non essere ciò che ti aspettavi." A quante persone aveva fatto le stesse scuse nei secoli dopo Jeanne? Ogni volta che trovavano un uomo triste che voleva solo rimanere solo. Molti se ne erano andati disgustati. Eppure Enjolras era lì, e conosceva i difetti di Grantaire meglio di chiunque altro. "Eri deluso."


"No!" Enjolras esplose con improvvisa ferocia. "Ero scioccato e preoccupato e confuso ma mai, mai deluso. Non lo dire neanche per scherzo!" Si passò una mano fra i capelli. "Pensavo di essere stato io a deluderti. Non sono riuscito a dormire pensando che tu potessi odiarmi."


"Odiarti?" Grantaire riuscì perfino a ridere. Non sapeva? Come poteva non sapere? "Non potrei mai odiarti, Enjolras."


I capelli del suo Apollo si erano asciugati, adesso, e gli circondavano la testa come un'aureola. Ma non sembrava un angelo; lo guardava da pari a pari, e in qualche modo era perfino più difficile da sopportare. Il suo sguardo era luce pura, scivolava attraverso le sue costole, attraversando le catacombe dove qualcosa ancora sopravviveva. L'acqua si ritirò e Grantaire riuscì a respirare liberamente, come non faceva da anni.


"Mi ricordi quello che volevo essere."


Enjolras sbatté gli occhi, perplesso, e Grantaire si rannicchiò su sé stesso. Era ovvio che non riuscisse ad immaginarsi Grantaire diverso dall'ubriacone che gli era sempre sembrato.


"E' per questo che sei scappato?" Enjolras si fermò, assottigliando le labbra. "O sei scappato a causa mia? Sarebbe stato lo stesso se l'avesse scoperto chiunque altro?"


"Probabilmente no." ammise. Avrebbe potuto ragionare con gli altri, fino a un certo limite. Loro non parlavano costantemente di Parigi. "Ma è colpa mia, non tua. Non è facile per un cinico ricordarsi di ciò che ha perso." Gli venne una cosa in mente. "Non lo hai detto agli altri, vero?!"


"No. No, lo lascio a te."


"Grazie." Grantaire si tranquillizzò. "Non è che non mi fidi di voi. E' solo che qualcuno potrebbe emozionarsi un po' troppo, o distrarsi, basterebbe una sola parola per avere le guardie addosso."


"Non ti useremmo mai in questo modo," disse Enjolras. "Non se tu non lo volessi. Sei prima di tutto nostro amico, lo sai."


Lo so davvero? Scacciò quel pensiero. I Les Amis gli avevano dato una casa, non c'era alcun motivo di dubitare di loro. "Be', non importa poi molto. Adesso che avete così tanti sostenitori per la vostra rivoluzione, non avete più bisogno di me."


"Cosa?" Enjolras si sollevò di scatto. "Non hai intenzione di tornare?"


"Io- no. Pensavo fosse ovvio. Non sarebbe difficile per te avermi lì?"


"Ovviamente no."


"Ma ho sempre interrotto ogni incontro. Adesso che sai che sono... sono Parigi... sicuramente ti darei solo fastidio."


"Se mi facessi infastidire così facilmente non sarei degno di stare a capo di questa rivoluzione. Contrariamente a ciò che pensi, mi hai sempre aiutato dandomi qualcosa contro cui combattere e," esitò, i ricordi dei loro litigi ancora freschi. "E se davvero riusciremo a cambiare la Francia, vorrei che tu fossi presente, consapevole. Sembra che ti siano successe diverse cose che non hai, forse, consentito interamente."


"Se la vuoi mettere su questo piano." disse Grantaire, sarcastico. "Non voglio essere salvato, Enjolras."


"Se fosse vero, allora perché sei venuto?"


Grantaire aveva la gola secca e gli occhi stanchi. "Immagino di aver sperato che poteste convincermene."

 


Enjolras si avvicinò, ma Grantaire era ancora sott'acqua. Lasciò che la sua mano sfiorasse la superficie mentre quella di Grantaire galleggiava al di sotto. Rimasero ferme l'una sull'altra, i polpastrelli che si toccavano, come se fossero l'una il riflesso dell'altra. Nessuno dei due osò attraversare lo barriera d'acqua che li separava.

 

 

 


 

 

Note delle traduttrici

Il motivo per cui abbiamo deciso di portare questa storia su EFP é semplice: Paris Burning é un capolavoro che va al di là della semplice fanfiction, é un worldbuilding spettacolare che tutti dovrebbero leggere, anche al di là del fandom di Les Misérables. Entrambe l'abbiamo letta, ci abbiamo pianto lacrime amare, l'abbiamo adorata, e abbiamo deciso di provare a tradurla. Non eguaglieremo mai lo stile dell'autrice, della nostra R (si firma così davvero e afferma che sia solo una fortunata coincidenza), e anzi, se potete, andate anche a leggere l'originale. Noi qui abbiamo il nostro piccolo tentativo 

Per questo capitolo, la traduzione é di piuma_rosaEbianca e il betaggio di barricadeuse, Abbiamo deciso di alternarci un po', per dividerci il lavoro. Per qualsiasi domanda, o annotazione, anche tecnica, non esitate a chiederci. E se avete qualcosa che vi incuriosisce sulle Città, sentitevi liberi di lasciare un messaggio privato.

Abbiamo deciso di pubblicare un capitolo a settimana: ci siamo già portate avanti per non avere problemi o ritardi, quindi possiamo dire con sicurezza che d'ora in poi il giovedì sarà il giorno di Paris Burning. E quindi il giorno dei feels. Ci rivediamo il 20  marzo.

Ringraziamo chi ha commentato e messo Paris Burning tra preferiti e seguiti: continuate a crescere e ad avvicinarvi anche all'originale, cosa di cui siamo contentissime (e anche dopo aver letto quel capolavoro riuscite ancora a farci dei complimenti, siete meravigliosi)

The Cities are still burning,
al prossimo capitolo,
b + c.

  
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