Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: MaryAlice94    14/03/2014    0 recensioni
Quando hai perso l’amore,quello che credevi vero e per sempre,quello dei romanzi,quello che superava le avversità,quello che ti rendeva “apparentemente” felice,non ti resta molto. . .rimani lì fermo e ti senti più solo che mai. Arrivi a un punto che non credi più a nulla,come se tutto fosse contro di te e quando un bel giorno lo stesso destino crudele che ti ha portato via tutto ti fa dono di qualcosa,lo rifiuti. Il per sempre non esiste,il vero amore non esiste,la felicità neppure. Però esiste la vita,quella che ti fa soffrire e gioire allo stesso tempo e magari soffri di più,ma quella è la vita. Non puoi tirarti indietro quando la vita e il destino ti mettono lo sgambetto e ti fanno cadere,tanto meno quando ti fanno conoscere il significato dell’ amore. Quel sentimento pieno di contrasti,che ti fa sentire davvero felice. Quella felicità che ti fa male al petto,che ti senti trascinare all’inferno. I sentimenti sono pieni di contrasti. La vita è piena di complicazioni. Il destino è un cacciatore che non manca mai la sua preda. Vivere è l’unico modo per vincere contro i tuoi carnefici.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 1
Capitolo 1

Solo.

Salivo con foga le scale. Ero stremato. Dopo aver corso per cinque kilometri sotto la pioggia, sentivo i muscoli bruciare. Ero bagnato fradicio. La maglia e i jeans si erano incollati al corpo. Non m’importava. Dovevo raggiungerla. Tutto era sfocato. Luci indistinte. Macchie scure all’orizzonte e sagome di chissà cosa. Non avevo tempo. Quando ero arrivato davanti a quell’edificio abbandonato e decadente, mi ero fiondato all’interno e avevo iniziato a salire le scale pur non sapendo dove fosse. Continuavo a salire. Sempre più in alto. A lei piaceva l’altezza. Il brivido che il vento ti procurava quando ti sferzava il viso con violenza ma anche la dolcezza che trasmetteva quando era solo un dolce e candido soffio. Voleva toccare il cielo,ma non doveva farlo. Glielo avrei impedito.
Arrivai spedito sul tetto,qualcosa mi diceva che era lì. Spalancai la porta metallica e mi ritrovai sotto la luna accecante. Aveva smesso di piovere e il cielo era stranamente limpido,ogni segno della tempesta era sparito. Troppa calma. Troppo silenzio. La quiete prima della tempesta.
E poi i miei occhi si posarono su una figura. Eccola. Sul cornicione. Rivolta verso la luna,la stava contemplando e la luce emanata ne evidenziava i sottili e dolci lineamenti del viso e la faceva sembrare una fata. Una creatura immortale. La ammiravo e mi godevo ogni singolo lineamento della sua figura sinuosa ma i demoni iniziavano a rincorrermi. Il passato era lì come un punto di riferimento non richiesto e sembrava stesse per ripetersi. Tutte. Una alla volta le persone che amavo mi stavano abbandonando e non c’era nulla che potessi fare. Subire e cadere. Sprofondare sempre di più in quel buco nero che proprio lei stava richiudendo. E ora come una grande palla demolitrice lo stava ingigantendo. Sentivo le lacrime affiorare al ricordo. Non sarebbe successo,non di nuovo. Non l’avrei permesso. Non avrei più permesso che mi annientassero.
«Cosa stai facendo?» Dissi con voce tremante avvicinandomi di qualche passo,molto lentamente per paura che da un momento all’altro sarebbe scivolata via,lontana da me. Come se nulla fosse,come se sapesse da sempre che ero lì,non si scompose,inclinò la testa verso di me e sorrise. Un sorriso sereno. Sembrava. . .Felice?Ma come?
«Ah!Daniel,non è bella la luna?» Allungò le mani al cielo nel tentativo di raggiungerla. Più sembrava vicina più era lontana.
«Già.» Fu la mia sola risposta,avevo la gola secca e non sapevo cosa dire. Mi avvicinai ancora. Mi tremavano le gambe.
«Daniel,ti prego resta lì.» I suoi occhi così simili ai miei,luminosi e brillanti,s’incupirono. «Ti prego.» Il suo tono era supplichevole e con lo stesso tono dissi: «Allora vieni giù da lì.»
«Non posso. . .» Sospirò. «Ormai ho deciso.»
«E a me non pensi?» Urlai. A quel punto ero furioso. Tutti. Tutti pensavano a se stessi,mi usavano quando ne avevano bisogno e poi mi gettavano via come una pezza vecchia. Ero stanco.
«Lo sto facendo per te. . .» Sussurrò. Gli occhi velati di lacrime.
«Non ti credo!Tutti non fate che pensare a voi stessi. Dici che lo fai per me?Sei solo una bugiarda e lo sai.» Risi amaramente.
«Daniel. . .» Prese un sospiro e poi continuò «Se io resterò ancora nella tua vita non potrai essere felice. Sono un peso per la tua libertà.»
«E la soluzione sarebbe morire?» Gridai con la voce strozzata. «Puf un bel salto e finiscono tutti i problemi. E le persone che ti amano,non pensi a loro?»
«Non ho più nessuno. . .Nessuno soffrirà.»
«Ucciderai me!Io. Daniel Harrison. O ti sei dimenticata di me?» Ero affranto,non ero neanche stato considerato tra le persone che la amavano. Che senso aveva preoccuparsi tanto. Che cosa avevo concluso negli ultimi mesi?Nulla. Solo menzogne. Una mera illusione della vita.
«Tu sarai felice Daniel e questo mi rassicura.» Disse sicura come potesse davvero accadere.
«Charlotte ti prego. . .Vieni giù da lì. . .Sei anche tutta bagnata. Ti ammalerai. Poi come potremo fare quel viaggio a New York?!» Sorrisi al ricordo di quella stupida promessa di qualche mese prima fatta sotto il chiaro di luna,la stessa di quella sera.
«Mi fai una promessa?»
«Solo se scendi di lì.»
Scese finalmente dal cornicione e puntò i suoi occhi azzurri nei miei. Forse ero riuscito a convincerla.
«Mi prometti che andrai da uno psicologo?»
«Come?» Quella strana richiesta mi sorprese ma annuii. Se era per farla ritornare tra le mie braccia avrei acconsentito a tutto.
«Sono seria. Promettimelo.»
«Si anch’io. Te lo prometto.»
«Un’altra cosa.»
«Vai spara.» Stavamo parlando ed era un buon segno. Un altro passo. Poi un altro ancora. Un altro po’ e sarei riuscito a raggiungerla.
«Qualsiasi cosa accada,bella o brutta che sia non smetterai di credere nell’amore e nella vita. T’innamorerai,soffrirai e poi sarai felice. Te lo meriti.»
M’irrigidii a quelle parole,non era per niente un buon segno. Avevo i muscoli tesi e per quanto volessi correre e imprigionarla tra le mie braccia ero immobile come un pezzo di ghiaccio. Ero inchiodato a terra da una forza misteriosa. Gocce di pioggia iniziarono a scendere giù dal cielo. La limpida serata si stava incupendo e la tempesta che era in agguato stava facendo la sua apparizione. Non prometteva nulla di buono.
«Promettimelo. Ora Daniel!»
«Non voglio.»
«Daniel. . .» Sospirò.
«Se te lo prometto tu. . .» Non finii in tempo la frase che come un automa corsi da lei. Successe tutto molto velocemente e il mio corpo si mosse da solo.
Aveva indietreggiato con gli occhi rivolti verso la luna, era salita sul cornicione e. . . Si era gettata. Da quell’altezza nessuno sarebbe sopravvissuto. Quaranta metri. Quei maledetti quaranta meri. Sotto solo terra arida.
«Te lo prometto!» Urlai come se sarebbe stato possibile riportarla indietro. Allungai perfino il braccio. Ormai la forza di gravità l’aveva portata via.
Il vuoto. Qualcosa mi scaraventò all’inferno perché mi sentivo bruciare l’anima. La pioggia non riusciva a spegnere quell’incendio che era esploso dentro di me. Silenzio. Troppo silenzio. Perfino il mio cuore era muto come se avesse smesso di battere. Solo lo scroscio della pioggia lenta e silenziosa,ma violenta. Non sentivo nulla. Gettai un urlo. Tutta la voce che fino a quel momento si era nascosta, affiorò sulle labbra e uscì con violenza. Mi accasciai al suolo,chiusi gli occhi e deglutii. Mi lasciai avvolgere dall’acqua. Non sapevo se stavo piangendo, o no,sentivo soltanto il viso bagnato dalla pioggia. Acqua molta acqua. Pioggia impura. Nient’altro. Ero di nuovo solo.

«Bene Daniel.Molto bene. Sono davvero soddisfatta.» La dottoressa mi guardava soddisfatta ed io sorrisi, anche se non sapevo bene per quale motivo lo era. Avevo semplicemente esposto ricordi molto dolorosi. Non ero andato lì per parlarne ma quella telefonata mi aveva scosso parecchio e alla fine parlai dell’ultima cosa che avevo in mente. Qualcosa che avevo cercato di seppellire. Non c’era modo però di fuggire da quei ricordi che si accavallavano e s’infrangevano sulla mia anima come onde su uno scoglio.
«Non guardarmi così Daniel,mi deludi. Sei un ragazzo intelligente.»
«Come la starei guardando?» Quella donna riusciva a leggermi come un libro aperto e ciò mi metteva a disagio.
«Come se non sapessi per quale ragione sono contenta di te oggi.»
«Ah. . .»In realtà,si,lo immaginavo. Anzi lo sapevo e come ma nel profondo non volevo ammetterlo. Temevo le sue successive parole. «Non lo dica. Lo so.»
«Lo immaginavo. Daniel invece mi tocca dirtelo. Hai fatto un grandissimo passo avanti. Nessuno ci riesce in così poco tempo. Certe volte l’accettazione arriva dopo un anno in casi normali. Tu invece. Sono passati solo due mesi da quando vieni qua.»
«Beh sono passati cinque mesi dalla sua. . .beh insomma ha capito. . . Dalla sua morte.» Mi era ancora difficile pronunciare quella parola. Era come se fosse incatenata da qualche parte nella mia testa e faticasse a liberarsi e quando riusciva a intravedere uno spiraglio di luce, usciva strozzata come se l’aria la soffocasse.
«Daniel però tu in quei tre mesi da quel che mi hai raccontato non eri tu. Daniel hai tentato il suicidio. E ora sei qui,che dopo un solo mese hai ammesso di non aver desiderato altro che la morte e che la desideri tutt’ora. E dopo due sei riuscito a parlarmi di quella sera. Per me è come se avessi superato indenne una maratona di dieci kilometri.»
«Solo 10?» Sorrisi.
«Non sto scherzando.» Sorrise anche lei. «Sono davvero contenta. Questo vuol dire che il tuo spirito è forte,più di quel che credi e sono certa che supererai anche questa prova.»
«Ma se ancora dovessi superare quelle precedenti?» In effetti, le avevo raccontato solo una piccola parte della mia vita. C’era ancora un libro da leggere.
«Ci arriveremo. Pazienza ci vuole pazienza. Stiamo mettendo insieme ancora una piccola parte del puzzle,presto arriveremo alla fine.»
“Fine” quella parola non aveva significato per me eppure influiva molto sulla mia vita. Pesava come una montagna e non riuscivo a spostarla di un solo millimetro.
«Non vedo la fine.» Dissi più a me stesso che a lei.
«Beh siamo qui proprio per questo,no?»
Sospirai e guardai in un punto non precisato,la mente era ritornata a quella notte e poi alla notte del mio tentato suicidio;ero ubriaco ma abbastanza lucido da intendere e volere. Avevo deciso di suicidarmi. Ero su quello stesso tetto pochi mesi prima,la luna era lì nello stesso punto e brillava con la stessa intensità. Era ironico come una così meravigliosa serata fosse testimone di morte. Sembrava non desiderare altro. Come se lo spegnersi di una vita alimentasse la sua fiamma e lei fosse lì in attesa per cogliere al volo la luce di una nuova anima che si spegne.
«Per oggi basta così.» Mi annunciò la dottoressa Meyer,mi sorprese e la guardai rilassarsi sulla poltrona dietro la scrivania chiudendo il mio fascicolo.
«Come?Di già?»
«Si è stato molto intenso per te. Ti si legge negli occhi. Oggi terminiamo prima.» Mi fece un sorriso dolce e mi fece cenno con la mano di andare.
«Okay.» Mi alzai e mi avviai alla porta;sulla soglia mi ricordai una cosa e mi voltai per dirgliela : «Senta la prossima seduta devo annullarla.»
«Come prego?» Non sembrava molto entusiasta per cui le spiegai bene il motivo.
«Vede inizierò a lavorare anche il pomeriggio,per cui. . .»
«Mmmm. . . .E’ necessario Daniel?» Non mi credeva e potevo capirla,non si può far affidamento su una persona che ha tentato di uccidersi. Cercai di rimediare. In fondo non era una scusa, era la verità.
«Devo pur pagare le sue sedute.» Dissi ironicamente ma serio.
«Quindi ti andrebbe bene se le spostiamo di mattina. Daniel devo ripeterti che sono addirittura poche due sedute a settimana?»
«Beh. . .Se è libera, va bene. Non ci sono problemi.»
«Va bene vedo cosa posso fare e ti chiamo,ok?»
«Certo. La ringrazio. Allora alla prossima.»
I suoi muscoli facciali che in precedenza si erano irrigiditi sul viso al sentir il mio cambio di programma si erano sciolti in un sorriso amorevole e confortevole. Doveva essere una madre molto affettuosa. Una volta mi disse che aveva una figlia e la invidiai. Mi mancava mia madre. Anche lei aveva un sorriso che scioglieva i ghiacciai.
«Ah Daniel? »
«Si?» Mi voltai.
«Mi fai entrare la ragazza che è in sala d’attesa?»
«Beh se me la descrive magari.»
«No. Ci sarà solo lei. Non ho altri appuntamenti per oggi.»
«Va bene.»
«Grazie.»
Come disse lei nella sala d’attesa c’era solo una ragazza seduta sul divanetto di pelle rossa. La stanza non era grande ma nemmeno piccola. Ci entrava la scrivania della segretaria che probabilmente era già andata via,una libreria piena fino all’orlo di romanzi di ogni genere e saggi,e quel divanetto con un tavolino in vetro rettangolare di fronte. Quel colore così acceso mi ricordava le fiamme dell’inferno per cui evitavo di accomodarmi sopra per paura di essere trascinato negli abissi dell’oltretomba. Era una sciocchezza ma la mia mente viaggiava per luoghi sconosciuti in quei mesi e non avevo controllo sulle mie emozioni. Per questo andavo da uno psicologo due volte a settimana.
«Hey,la dottoressa vuole che entri.» Nessuna risposta o cenno di avermi almeno sentito. Poi notai che aveva le cuffie e com’era poi impegnata a giocare alla sua console era ovvio che non avesse avvertito la mia presenza. Mi avvicinai facendole ombra e solo allora alzò lo sguardo su di me. Ecco. Quelli si che erano gli occhi dell’inferno. Troppo profondi e caldi. Infuocati. Contornati da una leggera linea di trucco. Mi guardò da parte a parte e mi accigliai. Tipico atteggiamento di superiorità di chi ha vissuto nella bambagia sin dalla nascita e ovviamente il mio abbigliamento casual,troppo sportivo,lasciava a desiderare. Si tolse una cuffia e disse: «Si?»
Presi un profondo respiro mentale per evitare di dire qualcosa d’inappropriato,in fondo non sapevo neanche chi fosse, e le dissi: «La dottoressa ha detto che puoi entrare.»
«Ah grazie.» e sorrise. Un sorriso sincero e timido allo stesso tempo. Forse mi sbagliavo. Le apparenze ingannano. Quanto era vero quel detto.
Annuii e me ne andai dallo studio chiudendomi la porta alle spalle e finalmente un’altra giornata faticosa stava per terminare. Era stata più stressante del previsto ma era andata bene. A detta del medico almeno era così. Io mi sentivo strano e inquieto e tutto a causa di quella telefonata.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: MaryAlice94