Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: mughetto nella neve    14/03/2014    8 recensioni
" « Se è il ragazzo delle consegne, digli che deve andare nel retro! » parlò di nuovo l’uomo all’interno dell’edificio. Il rumore di scatoloni e di oggetti che venivano momentaneamente appoggiati a terra gli fece immediatamente capire come si stesse avvicinando all’ingresso dell’abitazione. « Oggi è avanzato un po’ di zuppa di miso, gli va bene? »
Prima che Kise potesse anche solo realizzare che quell’uomo a parlare era il tanto chiacchierato “sposo”, avvertì le mani di Kuroko allontanarlo dal suo corpo e spostarlo di qualche centimetro indietro; lo vide torcere il proprio busto verso l’interno della casa e assumere un’espressione che gli aveva mai visto in volto. Sembrava felice, ma allo stesso tempo preoccupato; i suoi occhi brillavano di una strana luce, completamente dipendente da quella misteriosa voce che sapeva ammaliarlo con poche e semplici parole.” 

[ Coppia Principale: KagaKuro | Coppie Secondarie: MidoTaka, KasaKise, AoKise, MuraMuro, AkaKuro ] 
[ AGGIORNAMENTO: 3 su 5 | INCOMPIUTA ]
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Kuroko osserva distrattamente le previsioni meteo alla televisione – il fatto che continuerà a piovere per il resto della settimana non lo colpisce affatto, è troppo preso dal digitare correttamente il numero telefonico di Kagami. Si è svegliato così presto quella mattina proprio per chiamarlo. Sa quanto sia faticoso, per lui, rispondergli quando decide di chiamarlo la sera: da loro, se non sbaglia, dovrebbero essere le quattro o le tre. Appoggia l’apparecchio telefonico all’orecchio ed aspetta che l’altro risponda.
Vuole parlare un po’ con lui, ormai è una settimana che non si sentono!
Col susseguirsi dei giorni, si è convinto che è stata colpa sua se hanno litigato. Non era stato in grado di comprendere la stanchezza di Kagami e la sua preoccupazione per il campionato e, accecato dai suoi desideri, aveva subito cominciato a parlare di quando si sarebbero potuti rivedere. Si era comportato da egoista. Non avrebbe dovuto nemmeno prendersela per la risposta, affatto tenera, che l’altro gli ha dato. Kagami voleva semplicemente riposare, l’avrebbe richiamato poi; non avrebbe dovuto insistere così tanto. Ora, infatti, Kuroko sta cominciando a credere che l’altro se la sia presa: Non risponde più ai suoi messaggi e alle sue email. Forse dovrebbe chiedergli scusa più apertamente, ma il suo orgoglio glielo impedisce. Infondo, non gli ha detto nulla di male. Tuttavia, vuole comunque seguire il consiglio di Mayuzumi e fare un passo indietro per permettere all’altro di rivelargli cosa c’è che non va. è convinto che Kagami non stia passando un buon momento: forse sta avendo dei problemi sul lavoro, forse qualcuno lo ha preso di mira per la sua nazionalità. Kuroko non lo sa. E si preoccupa.
Il telefono continua a squillare - invano.
Nella sua mente si susseguono varie ipotesi su cosa Kagami stia facendo in quel momento: sono immagini veloci che, per un attimo, lo mandano in confusione. Una parte di lui vorrebbe chiudere la chiamata e dirigersi immediatamente nel bagno per finire di prepararsi per il lavoro, l’altra lo supplica di aspettare un altro po’. Forse non sta sentendo la chiamata, forse ha perso il telefono, forse sta semplicemente dormendo.
« … da lei chiamato non è al momento raggiungibile … »
Kuroko sbatte un paio di volte le palpebre, osservando sconfitto il muro davanti a lui. non risponderà. Ora lo sa. Non sa spiegarsi da dove nasce una simile certezza e quasi vorrebbe contraddirsi, adducendo la mancata risposta ad una moltitudine di fattori; tuttavia si scopre presto senza parole e speranze.
« … richiamare più tardi … »
Lascia che un sospiro fuoriesca lentamente dalle proprie labbra. Sente un’incredibile stretta al cuore che, per un attimo, lo convince a smettere di respirare. Cosa poter anche solo pensare in un simile momento? Kuroko si sente improvvisamente svuotato di ogni voglia e speranza; nella sua testa scorrono velocemente gli ultimi momenti passati insieme al liceo. Si sente improvvisamente un’idiota e rimprovera sé stesso per averlo lasciato andare con così tanta facilità.
« … lasciare un messaggio … » No. Lui non lascerà alcun messaggio. Non lo pregherà di rispondergli, di fornirgli una spiegazione a quell’addio così prematuro o magari una giustificazione. Non gli dirà nulla, passerà oltre. Perché, probabilmente, è questo, quello che sta facendo Kagami ora. Lo sta dimenticando. « BIP! »
Kuroko respira lentamente e cerca di farsi forza.
Non piangerà - non questa volta. Ha già versato troppe lacrime per lui. Per la sua partenza. Per ogni sua mancanza.
Si sente improvvisamente uno stupido e si ritrova a ragionare su quanto tempo abbia speso ad aspettare il suo ritorno, su quanta fiducia gli abbia dato, su quanta pazienza ha bruciato per abbonargli tutte quelle assenze. La rabbia percorre velocemente il suo corpo, gli fa stringere con forza un pugno e quasi vorrebbe scatenarsi. Gli vien voglia di urlare tutto il suo dolore e rompere qualcosa – qualunque cosa. E invece resta in silenzio, immobile davanti al televisore che ora sta mandando la pubblicità, incapace di piangere e di provare odio per la persona che ha amato con tutto sé stesso. È finito tutto, ora lo sa.
«  Kagami-kun … » lo chiama un’ultima volta, osservando il proprio telefono ancora fra le mani. Non spera più che qualcosa possa cambiare e quasi vorrebbe cercare dentro di sé la forza necessaria per alzarsi. Non ce la fa – non riesce a muovere un solo muscolo senza sentire i propri occhi pungere. Tira su col naso, ma preso scopre inutili tutti i suoi tentativi di contenersi.
Maledice Kagami. Maledice l’America e il suo basket che lo hanno portato via. Maledice sé stesso.
E piange. Piange con tutto sé stesso, abbandonandosi sul tavolo che ancora ospita la sua colazione.


Non ha mai provato un piacere simile.
Stringe il lenzuolo sotto il suo corpo, cercando di trattenere i gemiti più forti che stanno sempre più sfuggendo al suo controllo. È restio a lasciarsi trascinare in quella voragine di sensazioni, contrastanti eppure incredibilmente intense, che stanno lentamente infiammando il suo viso – rendendolo una maschera rossastra, imbarazzata ed eccitata. Tenta di mantenere la sua mente quanto più lucida possibile, tuttavia una spinta più forte lo fa contrarre dal piacere.
Quella stanza, semi immersa nell’oscurità, sembra improvvisamente scomparire ai suoi occhi; il tocco approfondito ed esperto del suo compagno lo porta facilmente all’estasi, annullando ogni suo pensiero razionale o tentativo di parola.
« Non cercare di resistere, Tetsuya. Lasciati andare » sussurra la voce del giovane uomo, rafforzando la presa ai suoi fianchi che serve ad approfondire ancora di più il contatto fra i due corpi. Egli si china sul corpo di Kuroko, sfiorando con i propri capelli rossi la sua schiena perlacea; questi trema leggermente e torna a serrare con forza le labbra. Questi apre la bocca e prende a boccheggiare, nel disperato tentativo di prendere un po’ d’aria per i suoi polmoni, facendolo ridacchiare leggermente. Un’altra serie di spinte, lo porta a cedere e crollare sul letto stremato, continuando a tenere alzato il bacino.
« A-Akashi-kun … Ti prego … Io non … non … » geme impaziente, serrando i propri occhi in preda a quel piacere sempre più intenso e inebriante. Allarga maggiormente le gambe, cercando di facilitargli ancora di più quei movimenti; l’altro ne sembra entusiasta ed aumenta la velocità delle spinte dentro quel corpo così magro e stretto.
« Tu cosa, Tetsuya? » sussurra al suo orecchio con veemenza, baciandogli il collo con incredibile dolcezza, assaporando ogni suo gemito quasi fosse proprio. Gli scosta dal volto le ciocche di capelli, accarezzando le sue guance ancora bagnate di lacrime dovute alla penetrazione. « Non ti piace, forse? »
Kuroko chiude gli occhi di nuovo, ora improvvisamente più stanco Il suo corpo continua a reagire ai numerosi stimoli, lascia che la sua bocca produca tutti i suoni che ritiene servano a risvegliare il piacere anche del compagno; le spinte si fanno sempre più veloci e profonde, il suo corpo sembra bruciare sotto le mani di Akashi. Eppure, nonostante tutto, il dolore all’altezza del cuore che prova da ormai due mesi non è ancora scomparsi – anzi, sembra farsi ancora più intenso man mano che il tempo passa. La sua anima sta marcendo, ora ne è certo.
E non sarà certo l’amore di Akashi a poterla tornare al vigore passato.
 
 
Sei il mistero profondo, la Passione e l’Idea.
Sei l’immensa paura che tu non sia mia.
 

3.

Di solito, Kise, non sognava.
Tornava dal proprio lavoro così stanco e affaticato che finiva coll’assopirsi non appena toccava il letto. Non c’era mai stata alcuna attività notturna del suo cervello che avesse avuto al forza e la voglia di ricordare. Perfino Kasamatsu si sorprendeva della cosa, anche se preferiva non dare giudizi di valori in merito: a suo dire, Kise lavorava troppo e quei giri intorno al mondo stavano lentamente spappolando quel poco che aveva di cervello. Quella notte, però, fu diverso. Probabilmente lo si doveva a quello che era successo durante quella giornata: la telefonata a Kuroko, la sua lite con Aomine e le guance arrossate di Kasamatsu e la sua voce che lo chiamava per nome. Si può dire che si ebbe un mix fra piacere e dolore, causando una miscela letale che prese a torture il subconscio del povero pilota.
Quel sogno, nel bene o nel male, Kise lo avrebbe ricordato per tutta la vita.
In un primo momento non si rese conto di quello che stava accadendo, sembrava quasi fosse immerso in una luce accecante che gli impediva di distinguere forme e corpi. Si passò una mano fra i capelli e prese a guardarsi attorno confuso. Dove era finito? Che fine aveva il senpai? Ricordava il suo pallido corpo e le sue guance arrossate così distintamente che, probabilmente, avrebbe anche cominciato a chiamarlo se non avesse sentito una voce chiamarlo proprio dietro alle sue spalle.
« Kise-kun »
Kuroko. Quello era Kuroko.
Kise aveva riconosciuto immediatamente quella voce e voltandosi aveva ritrovato immediatamente quei suoi capelli turchesi e quel viso gentile. Non passò molto tempo prima di scoprire qualcosa di strano in lui: era basso, incredibilmente basso. Molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Se si fosse avvicinato ancora di più avrebbe potuto constatare, senza difficoltà, quanto fosse magro ed agile – praticamente la sua metà. Sembrava un bambino. E, forse lo era. Kise strabuzzava gli occhi nel notare quel taglio corto di capelli che mostrava orgoglioso i lineamenti gentili del viso dell’altro, così incredibilmente leggeri e delicati.
Quello non poteva essere un adulto, ora lo sapeva.
« Kise-kun » lo chiamava lentamente Kuroko con espressione seria in volto, eppure incredibilmente serena. Kise sentiva il respiro fermarsi nella sua gola non appena lo vide fare un passo in sua direzione, quasi per assicurarsi che stesse bene. « Quanto tempo è passato, Kise-kun. Eppure sei rimasto lo stesso di quei giorni ». Kise batteva più volte le ciglia cercando di capire cosa stesse effettivamente dicendo. Quella luce gli impediva di comprendere perfino le parole che l’altro gli pronunciava; si portò un mano sulla fronte e cercò di superare quel fitto strato di raggi che non gli permetteva di scorgere meglio il volto di Kuroko. Lentamente, però, il paesaggio parve prendere forma e lui si ritrovò in una struttura adibita per il basket. Era al Teiko? Probabilmente sì. Riconosceva il campo da basket, lo striscione posto sugli spalti e perfino le panchine su cui erano appoggiate bottiglie d’acqua ed asciugamani. Ora poteva vedere chiaramente il volto dell’altro. Quei grandissimi occhi azzurri che sembravano contenere il riflesso perfetto del mondo dentro di essi, quella pelle color perla così morbida e liscia, quelle labbra rosate piccole e delicate. Quello che aveva difronte agli occhi altri non era che Kuroko Tetsuya a tredici anni.
Kise non riusciva a trattenere il proprio sorriso difronte ad un simile spettacolo.
« Anche tu, Kurokocchi » sussurrò finalmente facendo un passo verso di lui, quasi a voler confermare la sua reale presenza al suo fianco. Gli sembrava così strano e assurdo trovarsi lì con lui, tuttavia non riusciva a non trovarlo piacevole. Quel volto gli ricordava uno dei periodi più felici della sua vita: la scoperta del basket, la squadra, il campionato, Aomine. Quel pensiero sembrò colpirlo come un dardo, costringendolo ad aprire la bocca quasi a voler dire qualcosa. « Io invece mi sento diverso, Kise-kun. » rivelava improvvisamente Kuroko portandosi una mano al petto con improvvisa teatralità; facendo immediatamente voltare l’altro verso di lui, curioso di sapere cosa mai avesse per essere così diretto. « Mi sento così sporco. Così lurido. Così marcio. Tu non ti senti così? »Lui lo aveva chiamato non capente, inclinando la testa di lato, e gli si era avvicinato di qualche passo per capire cosa gli stesse succedendo; lo vedeva continuare ad aggiustarsi quei suoi polsini, preso da chissà quali ragionamenti.  
« Non avremmo mai dovuto incontrarci » continuava Kuroko voltandogli le spalle, quasi improvvisamente fosse disgustato dalla sua vista, facendogli immediatamente chinare la testa di lato non capente. Lo vide stringersi le spalle, infreddolito, e infine toccare di nuovo quei polsini che sembravano stargli tanto a cuore. « È solo colpa vostra se mi sento così male. Se mi sento così morto. Lasciatemi andare via. Non fatemi morire così ». Il volto di Kise si era quindi contratto in espressione spaventata e nervosa. Non riusciva a capire di cosa stesse aspettando accadendo e perché il viso dell’amico improvvisamente gli venisse negato in quella maniera; cos’era? Era arrabbiato? Ma per quale motivo? Fece un passo nella sua direzione, nel tentativo di fermarlo, ma lo scoprì incredibilmente lontano; non ebbe il coraggio di chiedersi come avesse fatto a muoversi così velocemente. Quell’atmosfera gli aveva ricordato molto quella di un film dell’orrore e lo stesso viso giovane di Kuroko lo faceva dubitare della veridicità di quella conversazione.
« Kurokocchi, aspetta! Non andare! Ti prego, non andare! » urlò cercando di afferrare le sue spalle e tirarlo a sé; ma nonostante i suoi passi si facessero sempre più veloci e affannosi, Kuroko continuava a mantenere sempre la stessa distanza. Sembrava quasi far parte dello sfondo della palestra, improvvisamente così scura e tetra. Kise si sentì percorrere da un violento brivido ma cercò comunque di non arrendersi; dentro di sé, era convinto che se l’avesse lasciato andare via in quella maniera non l’avrebbe mai più rivisto. « Ma io non voglio, Kise-kun. Non voglio restare qui con voi » continuava a ripetere l’altro. Kise lo vide portarsi le mani fra i capelli, quasi cercasse di far tacere una voce che continuava a risuonargli per la testa; il suo corpo tremava vistosamente, minacciato da quell’ambiente sportivo che li aveva cullati per tre anni. Sembrava spaventato. Ma da cosa, lui non riusciva proprio a capirlo. Un’atroce dubbio si stava lentamente insinuando nella coscienza del giovane. Kise spalancò gli occhi improvvisamente conscio del sentimento che stava lentamente attanagliando l’animo dell’amico.
« Ti prego, Kurokocchi! Non volevamo! Non volevamo farti del male, era solo uno scherzo! Noi non sapevamo che – » Si sorprese delle sue stesse parole. Per un attimo fu come se non le avesse pronunciate di sua spontanea volontà, ma fossero più un copione a cui doveva adattarsi. L’improvviso contatto di Kuroko lo ridestò da quell’improvvisa consapevolezza che qualcosa non quadrasse in quella “realtà” che si stava trovando a vivere; non riusciva a capire come, ma finalmente era riuscito ad afferrarlo per le spalle e costringerlo a guardarlo. Lo spettacolo che gli si presentava davanti era orribile. Il volto dell’amico era scavato, segnato da pesanti occhiaie e da grosse lacrime che continuavano a scendere dai suoi occhi cadendo sul pavimento e macchiando i suoi vestiti. Non credeva stesse piangendo: era convinto che si fosse limitato a mantenere quella sua espressione neutra e seria. Lasciò immediatamente la presa, quasi si ritenesse colpevole di aver dato il via ad una simile reazione; lo osservò portarsi le mani sugli occhi, celando gran parte del suo volto agli occhi dell’altro.
« È colpa tua, Kise-kun. Tu hai visto. Tu sapevi. Tu sapevi tutto. E non hai fatto nulla per me. Hai lasciato che accadesse. » cominciò ad accusarlo Kuroko osservandolo con quei occhi terrorizzati. Sembrava trovarsi di fronte ad un mostro dall’aspetto orribile e, da questi, sembrava proprio volersi allontanare. Oramai era chiaro a Kise di cosa stesse parlando l’amico, di cosa lo stesse rimproverando; tuttavia un pesante al cuore gli impediva anche solo di incamerare l’aria nei polmoni. « Cos’hai fatto, Kise-kun? Perché? Perché hai dovuto farlo proprio a me? ». « I-Io non ho fatto nulla! È stato Akashicchi! È stato lui a dire di farlo! » urlò disperato stringendo i pugni, cercando di difendersi da quel viso vinto dalla disperazione che gli riportava alla mente un periodo così poco chiaro e giusto della sua vita. Immagini lontane cominciavano ad affollarsi nella sua mente: partite, volti, parole, sorrisi. Tutto si mescolava nel cervello rendendolo improvvisamente nervoso e spaventato. Non sapeva cosa volesse Kuroko da lui, perché tirasse fuori quell’argomento proprio ora e perché se la stesse prendendo con lui; tuttavia un improvviso senso di colpa prese a stringergli le viscere!
« Non è vero. Sei stato tu. Io lo so. Lo so. Non potresti che essere stato tu a fare una cosa del genere. » sussurrò sofferente Kuroko, si sforzò di sorridergli come se volesse aiutarlo ad ammettere quel crimine che sembrava averlo segnato a vita.
« N-No! N-Non è vero! »
« Kise-kun, tu non ti senti in colpa? Non provi neanche un po’ di ribrezzo per te stesso? »
« Non sono stato io! Non sono stato io! » urlò con maggiore convinzione stingendo i pugni e battendo i piedi a terra quasi fosse un bambino che si ritrova a negare il suo stesso crimine. Kise sentiva le lacrime pungergli sull’orlo delle ciglia, disperate e spaventate, al pari di quelle delle stesso Kuroko che ancora lo osservava. Lo vide chiudere gli occhi, improvvisamente più calmo, e far scorrere le mani sulle guance. Sconfitto. Ebbe improvvisamente un modo di compassione nei suoi confrontò ed appoggiò le sue mani lentamente sulle guance dell’altro, cacciando via le lacrime che ancora scendevano. Improvvisamente il tempo sembrò fermarsi e la palestra del Teiko sparire in quei occhi turchesi dell’amico. « Kurokocchi? Perché? ».
La luce tornò a regnare sovrano in quel misterioso scenario. Si vede costretto ad assottigliare lo sguardo
« Io non riesco a dimenticare, Kise-kun » sussurrò piano Kuroko appoggiando la propria mano, così fredda e piccola, su quella dell’altro. « Non potrò mai »
Il cellulare che stava vibrando sul comodino lo svegliò immediatamente.
Per lui fu come riprendere a respirare da un’apnea. Si portò una mano sul cuore e ascoltò i suoi battiti in silenzio, cercando di capire cosa fosse stato sogno e cosa fosse accaduto dentro di esso. Il suo respiro era veloce, affannato, ed incredibilmente pesante; Kise si sentiva di ritorno da una maratona che gli aveva straziato carne e anima. Cos’era stato? Che fine aveva fatto Kuroko? Stava bene o continuava a piangere così disperatamente?
Il rumore continuo del cellulare sembrò di nuovo portarlo alla realtà: era stato un sogno. Un strano e delirante sogno. Ne seguì un rantolio proveniente dall’altra parte del letto e, successivamente, un’imprecazione. Kasamatsu tuffò con maggiore forza la propria testa dentro il proprio cuscino e si grattò la testa, disturbato da un simile ronzio; la leggera risata che proruppe dalla bocca di Kise lo infastidì ancora di più – non c’erano voluti anni di convivenza per fargli capire quanto odiasse essere svegliato da suoni assordanti e fastidiosi come quelli di una sveglia.
« Non c’è niente da ridere, Kise. È il tuo telefono quello … »
« Lo so, senpai »
La sua mano destra prese a tastare il comodino alla ricerca dell’apparecchio telefonico che continuava a squillare incessantemente. Nonostante i numerosi tentativi, Kise si ritrovò presto a dover abbandonare il calore del letto per riuscire ad individuare la causa di tanto rumore. Gli risultò comunque difficile visto che la camera da letto era ancora avvolta dalle tenebre – il buonsenso aveva spinto Kasamatsu ad abbassare le serrande prima di abbandonarsi al piacere e alla compagnia di Kise, proprio per evitare di essere svegliati dal sole alla prime luci dell’alba.
Quest’ultimo sbadigliò stanco e, sfregandosi gli occhi, si mise a sedere sul proprio letto. Non aveva idea di chi fosse; quasi lo malediceva per aver interrotto il suo sonno. Gli bastò, tuttavia, leggere il numero per riconoscere immediatamente il mittente.
«Pronto? Ah, Akashicchi! Sei davvero tu! Come mai questa chiamata? » Kise si sfregò gli occhi per prendere a dondolarsi da destra e sinistra, non badando alle pessime occhiate che Kasamatsu gli rivolgeva dal fitto strato di coperte. La sua mente non si pose nemmeno il quesito su che ore fossero e se qualcun altro lo avesse cercato prima di allora, parte del suo corpo e cervello ancora erano immersi nella fase rem del sonno. « No, no. Tutto apposto. Non stavo dormendo … Eh? Vuoi andare da Kurokocchi? »
Kise si sistemò meglio sulla sua postazione, toccandosi le ciocche bionde che continuavano a cadergli disordinatamente sul viso. Sentire la voce di Akashi, in quel momento, lo confondeva: la sua mente tornava velocemente al sogno che aveva appena fatto. Il viso arrossato e sofferente di Kuroko, la sua voce che lo accusava di aver rovinato tutto e quelle lacrime che continuavano a rigargli il volto. Immagini veloci e confuse che scorrevano velocemente davanti ai suoi occhi facendolo lentamente cadere in uno stato di catalessi quasi voluto. La domanda improvvisa di Akashi lo fece immediatamente tornare in sé.
« No, non ho programmi per questo fine settimana … sì, il biglietto non è un problema! Posso chiedere ai miei colleghi! » rispose velocemente ai suoi quesiti, dondolando leggermente sulla destra e sulla sinistra quasi fosse un bambino annoiato. In realtà, si stava domandando quale fosse il piano di Akashi e come fosse riuscito ad ottenere l’indirizzo di Kuroko con così tanta facilità, visto che questi si era sempre mostrato reticente a darglielo – una vocina nella sua testa continuava a ripetere che l’aveva ottenuta in modo non propriamente legale. Annuì all’ ennesima informazione sulla loro permanenza in Hokkaido, inclinando il capo sul lato destro. « Sì, ho capito ma … Akashicci, ma può venire anche il senpai? »
« Kise, non cominciare. Non ci voglio avere nulla a che fare con questa storia! » rantolò Kasamatsu fra le coperte, cercando di colpirlo nonostante gran parte della visuale gli fosse celata dalla coperta. La risatina divertita di Kise risuonò nella sua mente, delicata come quella di tanti campanellini, rasserenando immediatamente il suo animo. Questi intanto continuava a conversare col suo amico con incredibile serenità in volto.
«Ah, capisco. » continuò a parlare raddrizzando la propria schiena con l’intento di farla scrocchiare, segnando perciò il risveglio ufficiale; buttò una rapida occhiata verso la finestra e, dopo pochi secondi, si alzò per andare ad alzare la serranda. La luce mattutina si fiondò immediatamente nella stanza svelando il corpo nudo di Kasamatsu che ancora giaceva svogliatamente sul letto e le forme sgualcite dei vestiti lasciati a terra. « No, non fa nulla. Tanto non voleva venire! »
« Aspetta un attimo! Non avrà mica detto che non posso venire, vero? » sbottò scandalizzato l’altro balzando al sedere e guardandolo malissimo come se fosse colpa sua. Kise ridacchiò divertito da una simile reazione e, allontanando il proprio apparecchio telefonico dal suo volto, schioccò un bacio sulla schiena scoperta di Kasamatsu quasi volesse consolarlo da quell’ennesima delusione. Avrebbe voluto stringerlo fra le sue braccia e tuffarsi con lui nelle coperte ancora calde, baciando di nuovo quelle guance morbide e perfettamente lisce; tuttavia la consapevolezza di avere Akashi dall’altro capo del telefono lo convinse a rimandare a dopo quelle coccole mattutine.
 
L’imbarco si era rilevato ben presto un’autentica impresa. Non tanto per Aomine che si era rifiutato di essere perquisito dopo che il metal detector aveva suonato o per Murasakibara che non si decideva a mollare la propria busta di dolci nonostante i divieti, ma per Midorima. Kise non poteva credere a quello che era saltato fuori controllando la valigia del proprio amico – c’era di tutto là dentro: pupazzi di varia forma e grandezza, un servizio di porcellona, un mattarello, un coltellino svizzero (che per poco non li aveva fatto arrestare) e persino un kit di pronto soccorso.
L’addetto al controllo era sull’orlo di una crisi isterica, passava lo sguardo dalla valigia a Midorima con una velocità che rasentava l’impossibile; probabilmente stava cominciando a prestare attenzione a quella vocina nella testa che gli diceva di portare quell’uomo al manicomio più vicino, tanto che Kise si vide costretto ad intervenire e intraprendere un veloce lavoro di adattamento alla valigia per il viaggio. Il coltellino svizzero fu buttato e, sorte simile, ebbe il kit di pronto soccorso – nonostante le iniziali proteste di Midorima che continuava a sostenere che, se mai fosse successo qualcosa sull’aereo, lui non avrebbe potuto fare nulla senza una garza o un disinfestante.
Era stato allora che la Generazione dei Miracoli aveva visto lo sguardo peggiore di Kise.
Questi era chiaramente alterato da una simile scelleratezza. Nonostante non manifestasse apertamente il suo profondo dissenso non faceva che farfugliare sottovoce che lui, di casi disperati ne aveva visti, ma questa era la prima che vedeva qualcuno portarsi appresso un intero set di porcellana. Midorima gli lanciava occhiate non capenti, stringendo a sé la propria valigia: il tono serio dell’amico non lo rassicurava per niente.
Terminato il check-in, trovato il gate e controllato l’orario di partenza, si erano trovati seduti su delle comode poltroncine. Il silenzio prolungato di Kise spinse Midorima a sedersi quanto più lontano possibile da lui, sperando che questo riuscisse a farlo sbollire quanto bastava per fargli tornare il sorriso. Fra lui e il pilota vi erano, rispettivamente, Murasakibara, Akashi e Aomine; quest’ultimo non faceva che lamentarsi su quanto non gli piacessero gli aerei e l’idea di volare ad alta quota. A suo dire era preferibile usare il treno e, successivamente il traghetto, non sperperare così tanti soldi in un simile viaggio. Se qualche passante si fosse soffermato a fissarli avrebbe notato partendo, da sinistra: un uomo sulla trentina che teneva fra le sue mani la sua valigia ( come se all’interno vi fosse il tesoro più prezioso ), un gigante di due metri che continuava a toccarsi le fasciature al proprio braccio, un rispettabile individuo dai capelli rossi che sedeva composto con una gamba sopra l’altro, un altro accanto che aveva allungato le gambe e infilato le mani in tasta e, infine, un biondo che continuava a guardarsi attorno pensieroso.
« Ma cosa ci facevano tutti questi pupazzi nella tua valigia, Mido-chin? » domandò improvvisamente Murasakibara voltandosi verso l’amico, mentre continuava a masticare una strana caramella dagli inquietanti colori.
« Non ce li ho messi io » sbottò immediatamente il medico, distogliendo lo sguardo e chiudendo immediatamente il telefono sul quale stava digitando – con tutte le probabilità stava avvisando il proprio compagno che avevano terminato l’imbarco. Era chiaro che stesse mentendo; tuttavia l’altro preferì non aggiungere qualche altro commento: un po’ per pigrizia e un po’ perché non voleva nemmeno immaginare come avrebbe reagito Kise al riguardo. « È stato sicuramente Takao. »
« Midorima, questa è la più grande cazzata che ti ho mai sentito dire » aveva allora commentato Aomine guardandolo sprezzante per poi passare la sa attenzione sul soffitto grigiastro dell’aeroporto. « Ma come si fa a portarsi appresso un set di ceramica? Seriamente, Midorima! Io, dopo un po’, lo manderò a quel paese quello stramaledetto oroscopo! »
« Non pretendo che tu possa capire, ma preferirei comunque che non esponessi i tuoi giudizi al riguardo » protestò educatamente il chiamato in causa aggiustandosi gli occhiali sul volo, generando immediatamente un pesante silenzio all’interno del piccolo gruppo. Kise, interrompendo il suo studio dell’ambiente circostante, si girò verso di loro e sospirò visibilmente stanco: si chiese se con Kuroko presente il discorso sarebbe continuato o sarebbe caduto in quel modo, di solito era bravo a gestire le dinamiche fra di loro senza che la tensione salisse in quel modo. Probabilmente, se fosse stato lì con loro in quel momento, avrebbe immediatamente appoggiato Aomine uscendosi con qualcosa di simile ad un “se si fossero scontrati con un asteroide vacante durante il volo, i suoi lucky-item non avrebbero certamente aiutato, anzi, avrebbero fatto cadere l’aereo più velocemente”; il pilota sorrise leggermente immaginando il volto impassibile dell’amico mentre pronunciava simili parole. Non c’era che dire, Kuroko gli mancava davvero troppo in quelle occasioni.
Una situazione analoga si presentò una volta a bordo.
Murasakibara voleva stare vicino al finestrino perché era il suo primo viaggio in aero e “Muro-chin ha detto che le nuvole da sopra sembrano fatte di zucchero filato”; ma lì, voleva starci anche Kise visto che “non faceva il passeggero da quasi due anni”. Inutile dire che in breve tempo si era creata una vera e propria discussione riguardo a chi spettasse un simile posto: Murasakibara aveva tirato fuori la questione del braccio fasciato e Kise il fatto che gli avevano impedito di portare con sé Kasamatsu. Insomma avevano cominciato a bisticciare e, contrariamente a quanto si aspettava Aomine, gran parte dell’equipaggio aveva preso a cuore la questione e si era schierata a favore di uno o dell’altro. Alla fine era dovuto intervenire Akashi che, con grande disappunto dei litiganti, aveva ordinato ad Aomine di sedersi sul tanto desiderato posto; per poi tornarsene alla sua postazione in prima classe, con aria superiore e divertita. Midorima era stato più furbo: si era scelto il posto più lontano dai suoi ex-compagni di squadra e si era abbandonato dolcemente alla lettura di una rivista di medicina.
E magari, se la cosa si fosse limitata ad un simile battibecco, avrebbero potuto condurre un viaggio piacevole; ma non avevano pensato ad Aomine. Lui, in aereo, non c’era mai stato. Mai. La sola idea di sedersi e di lasciarsi trasportare da un apparecchio di dubbia sicurezza guidato da chissà chi lo irritava davvero tantissimo; a volte, durante le pause di lavoro, immaginava Kise vestito di tutto punto che salutava allegramente dalla cabina del pilota con un sorriso ebete in volto. Era una visione che lo terrorizzava a morte: non avrebbe mai preso un aereo sapendo che c’era l’amico a guidarlo. Insomma, non appena l’hostess gli si avvicinò per chiedergli in inglese (probabilmente tratta in inganno dal colore della pelle) di allacciarsi la cintura, schizzò sulla difensiva e gli ordinò malamente di non provare a toccarlo.
« Stia tranquillo, Signore. Volevo solo dirle di allacciarsi la cintura di sicurezza. »
« E perché? »
« … Come? »
« Perché devo allacciarmi la cintura? »
« Per la sua sicurezza »
Ne seguì un silenzio carico di improvvisa tensione. Murasakibara, seduto accanto ad Aomine, gli lanciò un’occhiata veloce e tornò a giocare con le proprie fasciature.
« Con questo vuole dirmi che senza cintura sono in pericolo? » parlò con improvvisa gravità l’uomo osservandosi intorno con improvvisa ansia, come se si fosse ritrovato in una misteriosa quanto temuta gabbia per animali. Inoltre i movimenti lenti e inesorabili di quel veicolo, finalmente pronto per le operazioni di volo, gli causarono il batticuore. « Intende dirmi che siamo tutti a rischio di morte su questo aereo? »
« Ma io, veramente – »
« Voglio scendere » ringhiò con rabbia, cercando immediatamente di alzarsi e di avviarsi verso la portiera di sicurezza che la stessa hostess gli aveva segnalato durante le procedure di emergenza. A suo dire, il fatto di dover comunicare ai passeggeri le misure da dover adottare in caso di pericolo era chiaro segno che quello fosse un macchinario che poteva facilmente portare alla morte – erano gli aerei a scomparire, non i treni; erano gli aerei oggetti di mira terroristiche, non i treni; ed erano sempre gli aerei a finire in mare e affondare teatralmente, non i treni. Lui avrebbe preso il treno, Akashi per una volta lo avrebbe dovuto lasciar perdere e permettergli di andare da Tetsu con i suoi mezzi.
L’hostess si portò le mani sul petto, confusa e spaventata da quei modi così bruschi e quelle parole prive di senso. Non era certo la prima volta che si ritrovava ad avere a che fare con soggetti che non avevano mai sperimentato il volo, tuttavia non le era mai capitato qualcuno così determinato a voler scendere da quel “veicolo infernale”, come lo stava appunto ignorando. Cercò perciò di fermarlo e, sebbene questi stesse già trovando delle difficoltà a superare il gigante dai capelli viola che aveva accanto, gli appoggiò le mani sulle spalle e lo pregò di tornare al suo posto.
Midorima, dal ventre dell’aereo, alzò gli occhi dalla sua rivista, osservò la scena e tornò a leggere sbuffando scocciato. E poi dicevano a lui …
« Aominecchi! Cosa c’è? Torna a sederti, stiamo decollando! » lo chiamò Kise dalla propria postazione, perfettamente a suo agio accanto a quella vecchietta chiacchierona. I suoi capelli biondi spuntarono fra i numerosi sedili quasi fosse un coccodrillo che si risvegliava nella tiepida acqua equatoriale e successivamente, dopo un paio di occhiate buttate in giro, si concentrò sulla strana scena in corso. C’era Aomine che tentava di liberarsi dalla ferrea presa dell’hostess alle sue spalle e che intanto cercava di farsi strada fra le gambe lunghissime di Murasakibara che però non voleva saperne di alzarsi e lasciarlo passare; il tutto osservato, da lontano, da un Akashi sinceramente divertito. « Aominecchi, smettila! Va a sederti! Non corriamo alcun rischio! L’aereo è perfettamente sicuro! »
« Se fossimo al sicuro non avremmo bisogno delle cinture di sicurezza! Questi qui ci stanno fregando! Vogliono farci ammazzare tutti! » profetizzò rabbiosamente Aomine agitandosi come poche volte nella sua vita, scatenando immediatamente la sua ilarità. Poche volte lo aveva visto in quello stato: quella che ricordava meglio era quando si trovavano in ritiro, durante il secondo anno delle medie, e un’ape era accidentalmente entrata dentro la loro stanza. Le urla che aveva udito dal suo amico quel giorno ancora lo facevano ridacchiare; si era praticamente nascosto dietro di lui, minacciandolo di morte se non avesse immediatamente ucciso quel maledetto insetto.
« La prego, Signore, si segga! Ascolti il suo amico e – hm? Ryo-Tan? » domandò incuriosita l’hostess abbandonando immediatamente la presa al corpo di Aomine e girando il proprio corpo verso il punto in cui era apparsa la testa bionda di Kise; questi sussultò, visibilmente stupito di sentirsi chiamare in quel modo – probabilmente solo sua madre si era presa una simile confidenza nei suoi confronti. « Sì, sei proprio tu! Sei Ryo-Tan! »
O forse no.
Kise alzò un sopracciglio e si sforzò di sorridere in direzione di quella misteriosa sconosciuta che, dimenticandosi completamente di Aomine, si diresse immediatamente verso di lui sfoderando un sorriso leggero ed incredibilmente allegro. L’attenzione di Akashi verso quella scena andò immediatamente scemando e tornò ad osservare in silenzio la rivista che aveva portato con sé.
« Tu sei … » Kise indugiò un poco a pronunciare quel nome. Certamente quel volto e quella voce non gli erano sconosciuti, tuttavia faceva fatica a ricordare il preciso periodo della sua vita in cui l’aveva incontrata. Con tutte le probabilità era stata una sua compagna di corso, ma gli ci vollero un paio di minuti per riuscire a ricordare anche il suo nome. « …Sakuranbou-san? »
L’hostess batté le mani compiaciuta, emettendo un versetto acuto che la rese ancora più fastidiosa alle orecchie di Aomine. Questi ringhiò innervosito e tornò a sedersi al proprio posto blaterando qualcosa di simile al fatto che, se fossero morti, la colpa sarebbe stata di Kise e del suo rimorchiare gente qua e là pur essendo gay; Murasakibara ne approfittò per aprire l’ennesimo pacchetto di patatine e cominciare silenziosamente a mangiare.
« Che bello! Ryo-tan si ricorda di me! » gioì ancora l’hostess inclinando la testa leggermente su un lato e portandosi una ciocca di capelli neri, sfuggita alla sua treccia, dietro l’orecchio. Sembrava improvvisamente molto più serena, come se la confusione avuta con Aomine non si fosse mai generata. « Ma che ci fai qui? Non dirmi che ti trasferisci a Sapporo! »
« Veramente sto andando ad un matrimonio » sorrise educatamente Kise cercando disperatamente di ricordarsi quale fosse il suo nome e dove l’avesse esattamente incontrata. Durante i corsi per diventare pilota aveva conosciuto davvero molta gente – ragazze comprese – e faticava davvero molto a ricordarsele tutte.
« Un matrimonio? » domandò incuriosita questa piegandosi leggermente su un fianco per osservare meglio l’uomo. Non sembrava un granché sveglia, eppure era dotata di un’espressione e di un volto veramente gentile: riusciva a far sentire a suo agio la gente con un semplice sorriso. « Non sarà mica il tuo senpai a sposarsi, vero? Perché non è con te? »
La risata nervosa di Kise fu il chiaro segno di come quelle domande lo stessero infastidendo. Non ricordava di aver parlato con qualcuno, oltre alla Generazione dei Miracoli, della sua relazione con Kasamatsu; era una cosa di cui andava incredibilmente geloso – in molti avrebbero potuto dire che fosse un suo tentativo di tenere “quanto più al sicuro possibile” il suo compagno dalla sua vita di ex-modello. La giovane, intanto, dondolava la testa divertita come se stesse attendendo con impazienza qualche particolare informazione o parola.
« Il senpai è rimasto a Tokyo. È un altro mio amico a sposarsi » spiegò sinteticamente Kise dedicandole un sorriso di circostanza, sperando caldamente che non chiedesse altro.
« Meno male. Se fosse stato il tuo senpai sarebbe stato davvero troppo triste, non credi, Ryo-Tan? Ai matrimoni ci si va solo quando si può gioire con gli sposi, altrimenti è come morire trafitti da mille coltelli! » commentò rinfrancata la donna lasciando che un secondo sorriso, questa volta ancora più luminoso, popolasse il suo pallido volto. Kise sbatté le palpebre un paio di volte, improvvisamente senza parole per un simile commento; per un attimo le sue labbra si dischiusero, andando a dipingere sul suo bel viso, un’espressione del tutto stupefatta. Ma durò solo alcuni secondi.
« Lo penso anch’io » commentò con improvvisa serietà in volto « Ma non sempre è possibile».
 

I – I – I – I

 
Himuro si era scoperto innamorato di Atsushi alla fine del secondo anno di liceo.
L’inverno volgeva al termine e loro si trovavano all’interno della metropolitana di Akita, intenti a prendere un treno che li conducesse quanto più vicino possibile alla loro scuola. Era stato un pomeriggio tranquillo, scandito da un distruttivo riscaldamento e una serie di piccole partite che avevano reso Himuro leggermente spossato. Nel disordine generale della stazione era riuscito a perdere il resto del gruppo e si era ritrovato da solo con Atsushi davanti ad una sconosciuta carreggiata. Non si era minimamente spaventato e, appena trovato un luogo tranquillo, era riuscito a contattare i propri senpai: questi erano riusciti miracolosamente a prendere il treno e stavano facendo ritorno alla scuola. Okamura gli urlava di raggiungerli immediatamente e di correre alla fermata giusta prima che passasse la corsa successiva.
Avevano quindi tentato di seguire gli ordini del proprio capitano ma, una volta giunti al binario corretto, si erano trovati di fronte una moltitudine di gente malamente appostata sulla banchina. Himuro fu ben presto inghiottito in quella specie di buco nero e solo il braccio possente di Murasakibara riuscì ad estrarlo e portarlo “al sicuro”; a detta di quest’ultimo quel luogo era veramente fastidioso e rumoroso. Era fin troppo chiaro che non volesse tornare a scuola, probabilmente temeva che avrebbero ricominciato ad allenarsi finché non si fosse fatto giorno.
Himuro gli aveva sorriso dolcemente e, passandogli una mano sulla guancia, come si fa con i bambini piccoli quando li si vuole rassicurare, gli aveva sussurrato di rimanere tranquillo al suo fianco.
Quello che era successo in seguito non gli era mai stato molto chiaro. Lui voleva entrare dentro il treno ma finiva sempre con rimanere al punto di partenza: le spinte e i corpi possenti degli altri uomini lo spostavano via con fin troppa facilità e, lui era troppo preso dallo stringere la mano del compagno di squadra, per tentare di protestare e farsi strada malamente. Dopo ben tre treni persi, Murasakibara si era inginocchiato accanto a lui osservandolo incuriosito. Non sembrava capire il motivo di così tanta disperazione, tanto che inclinò leggermente la testa di lato per cercare di capire cosa realmente stesse pensando il ragazzo. A suo parere, non c’era niente di male a tardare un poco: la scuola non correva mica via. Tuttavia, oltre che trovare divertente vedere Himuro puntualmente fuori dal treno nonostante il suo impegno nel farsi strada, si convinse che solo il suo intervento avrebbe potuto sistemare quella situazione persa in partenza.
Si era, così, fatto largo fra la folla chiedendo educatamente permesso – un po’ come fanno i bambini quando devono andare a pagare qualcosa alla cassa e non si fanno problemi a superare la fila – e poi, dopo aver trovato la giusta postazione, si era voltato verso di lui. Non aveva sorriso. Non aveva detto alcuna frase particolarmente smielata e sensata. Semplicemente, aveva aperto le braccia, come a volerlo accogliere, e gli aveva sussurrato “vieni qui”.
Ed era stato allora che Himuro si era scoperto innamorato di Murasakibara.
L’uomo si ritrovò a sorridere nel ripensare ad un simile momento. All’epoca sapeva poco e nulla del suo compagno: era appena terminata la Winter Cup e lui era troppo preso dalla gioia di vedere Murasakibara allenarsi con loro, per notare i cambiamenti seppur minimi nel suo comportamento. A pensarci adesso, era davvero ovvio che questi nutrisse un certo interesse nei suoi confronti: lo aspettava quando terminavano di allenarsi, lo guardava durante la lezione, gli offriva addirittura una caramella – il che era tutto dire! E non sembrava nemmeno sorpreso quando gli aveva chiesto di uscire con lui. Certo, il loro primo appuntamento era stato tutto meno che qualcosa di romantico; si erano ritrovati a vagare senza meta in un parco divertimenti con Murasakibara che continuava a ripetergli nell’orecchio che voleva lo zucchero filato; ma la loro relazione era davvero stata tranquilla e felice. Himuro si reputava spesso fortunato ad aver incontrato qualcuno come il compagno, accanto a lui si sentiva protetto ed amato; ben presto la sua mente volò d Kagami, ancora oltreoceano in quel favoloso quanto pericoloso stato quali erano gli Stati Uniti.
Si era davvero stupito quando aveva saputo della sua partenza. Era convinto che questi avrebbe atteso la fine del liceo prima di imbarcarsi in una simile impresa e magari che avrebbe portato Kuroko con lui perché, sì, credeva fortemente che senza quest’ultimo sarebbe quasi certamente incappato in qualche guaio; ed invece era sparito nel nulla. O meglio, era sparito dalla sua vita. Non era stato certamente un cambiamento rapido e indolore ma più una lenta corrosione che li aveva portati a sentirsi sempre meno spesso e per semplice formalità. Quando si sentivano per telefono finivano sempre col parlare di basket o dei tempi andati e Himuro non era mai riuscito a capire cosa stesse accadendo nella sua vita privata: non sapeva se avesse trovato una ragazza, se si fosse sposato, se avesse trovato qualcun altro o avesse qualcuno di cui occuparsi. L’unica cosa di cui era certo è che la sua carriera sportiva procedeva splendidamente e che stava conseguendo un successo dopo l’altro, ma questo poteva tranquillamente intuirlo dalla lettura delle riviste sul basket professionistico.
Probabilmente tutto quell’improvvisa curiosità derivava dalla notizia dell’inaspettato matrimonio di Kuroko con chissà quale sconosciuto. Dire che ci fosse rimasto di sasso era dire poco. Una parte di lui era convinta che avrebbe continuato ad attendere invano Kagami fino alla fine dei suoi giorni, facendo lentamente marcire il suo cuore e la sua rabbia; non augurava a nessuno una simile vita, sospesa fra una chiamata e un incontro rinviato, nemmeno al suo peggior nemico. Himuro si passò una mano fra i capelli e, adocchiando il telefono, si domandò se l’amico fosse a conoscenza di una simile decisione o ne fosse del tutto d’accordo; insomma, da qualcuno doveva averlo certamente saputo! Magari da Kise o da qualche suo ex-compagno di squadra liceale, anche se dubitava che avesse mantenuto i rapporti con qualcun altro connazionale.
L’uomo osservò in silenzio l’apparecchio telefonico e infine si decise ad afferrarlo. Massì, avrebbe fatto passare tutto come un’innocente telefonata e glielo avrebbe detto! Ormai Kagami era un adulto e non avrebbe certo agito di testa nell’apprendere una simile notizia – anche perché non ne aveva certo motivo. Compose velocemente il numero e, appoggiandolo all’orecchio, aspettò in silenzio che l’altro rispondesse alla telefonata.
«Chi è? »
Ad Himuro gli ci vollero meno di dieci secondi per realizzare che il suo interlocutore non fosse l’amico ma un perfetto sconosciuto con in mano il suo telefono. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma preferì prendere l’argomento nella maniera più larga e tranquilla possibile. Dopotutto quella doveva sembrare una telefonata puramente di circostanza, non voleva certo passare per una comare impicciona che si divertiva a diffondere notizie appena apprese.
« Taiga? » domandò infatti inclinando la testa di lato, fingendo completamente di apparire sorpreso da un simile tono di voce. Appoggiò la propria schiena contro il muro della propria casa e si soffermò, per un veloce istante, ad osservare i bambini che continuavano a giocare in mezzo alla strada con un pallone da calcio.
« Ah, mi dispiace! Taiga non è qui, al momento! » parlò ancora in giapponese l’uomo dall’altro capo del telefono, chiaramente in imbarazzo per via del rapido susseguirsi di parole e il respiro veloce quanto si sentisse in imbarazzo a spiegare le ragioni; doveva avere la loro età e, dal suo modo di pronunciare i fonemi, Himuro capì subito che parlava inglese più quotidianamente del giapponese. « Ha sfortunatamente lasciato il telefono qui, a casa; è tutto il giorno che non fa che squillare! Sono davvero disperato! »
« È sempre stato molto distratto … » mormorò più a sé stesso che ad altri lasciando che un sorriso sfiorasse delicatamente il suo volto, la risata proveniente dal telefono sembrò essere completamente d’accordo con lui. Probabilmente era sera in quel momento in America, tuttavia vista la velocità con cui aveva risposto non doveva aver disturbato il suo sonno o cose simili; buttò l’occhio sull’orologio che segnava mezzogiorno e venti e ragionò su cosa avrebbe potuto mangiare in quei giorni che Murasakibara non sarebbe stato a casa assieme a lui. Probabilmente avrebbe comprato un po’ di verdura e carne all’alimentari lì vicino e avrebbe preparato velocemente il proprio pranzo, tenendo gli scarti per la cena di quella sera stessa.
« Se mi dici il tuo numero, appena torna, ti faccio richiamare »
Sorrise, sinceramente stupito da quella gentilezza che lo sconosciuto gli stava mostrando. Non ricordava che gli americani fossero così accondiscendenti ed educati con gli altri, di soliti erano dotati di una allegria contagiosa che spingeva ad assecondarli seppur la maggior parte delle cose che si trovavano a dire fossero prive di senso. Alex ne era il massimo esempio. La sua vivacità nel parlare e nel comportarsi li aveva convinti, da bambini, a seguirla in ogni dove e ascoltare con acuta attenzione ogni suo più minuscolo insegnamento.
« Himuro. Himuro Tatsuya » scandì con cura l’uomo accavallando le gambe e aspettando serenamente che il giovane scrivesse da qualche parte il suo numero; con tutte le probabilità lo avrebbe riportate in lettere dell’alfabeto, preferendole ai kanji – con cui sicuramente non sapeva scriverci. Si domandò perciò se fosse di madrelingua o se fosse semplicemente un uomo dotato di una conoscenza giapponese più che sufficiente.
« Ok. L’ho scritto. Appena sarà a casa, gli dirò subito di te! Così potrà richiamarti prima che sia troppo tardi! »
« No, tranquillo. Non ho molta fretta »
« Taiga non fa che ripetermi che, se mai dovessi ricevere telefonate proveniente dal Giappone, devo immediatamente riferirglielo. Questa è la prima volta che qualcuno chiama quindi per me è un piacere adempiere alla mia promessa! »
« Grazie, sei gentile » ed era vero. Quel ragazzo gli sembrava davvero molto gentile, quanto ingenuo. In poco tempo gli aveva svelato molti più particolari di quanti Kagami gliene avesse mai dati; una parte gliene fu grata, l’altra si limitò a domandarsi se fosse sicuro o meno avere un tipo del genere in casa. Probabilmente era così cortese da aprire ai ladri e offrire a loro un tè caldo, ascoltando la storia della loro vita spargendo consigli e frasi d’effetto. « Parli veramente bene giapponese. Non sei americano, vero? »
Un risata leggera proveniente dall’altro capo del telefono gli fece immediatamente capire di aver fatto centro, tuttavia preferì rimanere in silenzio ed ascoltare cosa l’altro avesse da dire. Era sicuramente il modo migliore per capire di più sulla vita che stava conducendo l’amico in quel paese; non gli passò minimamente per la testa il fatto che fosse leggermente invadente. Dopotutto era di suo “fratello” che si stava parlando!
« Mia madre è giapponese. Ah, che maleducato! Non mi sono presentato! Mi chiamo Hiroto e abito assieme a Taiga da circa sei anni ormai! »
Ne seguì un improvviso silenzio nella testa di Himuro. Sbatté un paio di volte le palpebre ma, prima che potesse dire qualcosa, nella sua mente scattò una specie di scintilla che lo spinse a spalancare gli occhi come se fosse arrivato alla verità finale. Dai pochi dati che era riuscito ad ottenere gli sembrò di capire di star parlando con quello che era l’attuale compagno di Kagami. Che erano conviventi. Da sei anni. E che Kagami si scordasse spesso e volentieri oggetti e che toccasse ad Hiroto custodirli in sua assenza.
La sua bocca si piegò in un’espressione stupefatta, per non dire scioccata. Che dire adesso? Chiedere conferma oppure preferiva andare ad intuito? In fondo, se Kagami aveva preferito non avvisarlo di una simile scelta, doveva esserci un motivo – magari era semplicemente imbarazzato e non voleva che si sapesse in giro che aveva piacevolmente rimpiazzato Kuroko con un innocente quanto gentile americano. Le sue labbra si piegarono lentamente in un sorriso divertito, era stato certamente un bene fare quella telefonata.
« Allora, Hiroto-kun, suppongo di poter dire a te quello che volevo dire a Taiga »
 
Hiroto Tsukishima aveva trent’anni e lavorava nel Museo di Boston come guida turistica. Si era trasferito con sua madre in America quando aveva circa due anni e parlava abbastanza speditamente sia la lingua materna che quella del posto; i suoi capelli bianchi e gli occhi scuri avevano spesso indotto la gente a pensare che fosse di sangue misto, ma lui non aveva mai rivelato maggiori dettagli al riguardo. Non avendo mai conosciuto suo padre, preferiva non sbilanciarsi troppo riguardo le sue origini; tuttavia spesso e volentieri si perdeva in sciocche fantasticherie su da chi avesse ripreso quell’albinismo. Come Kagami, anche lui nutriva un certo amore nei confronti del basket: lo aveva praticato fin da bambino e, pur non essendo certo talentuoso giocatore, poteva vantare di aver avuto come compagni di squadra futuri professionisti famosi in tutta l’America.
Contrariamente a quello che aveva intuito Himuro, lui e Kagami non avevano affatto una relazione. Erano semplicemente amici che condividevano la casa per risparmiare sulle spese e sulle pulizie, si vedevano una volta al giorno e di solito non avevano nemmeno la forza di scambiarsi qualche parola su come fosse andata la giornata. Nonostante Kagami fosse un affermato giocatore di basket si era mostrato contrario al dover vivere da solo; a suo dire, non era affatto un’esperienza piacevole e preferiva trovare almeno qualcuno in casa quando tornava. Anche se questi era Hiroto addormentato sulla sedia mentre ripassava il programma di storia.
Ora, questi, era comodamente seduto vicino al tavolo della cucina intento a rileggere il proprio discorso sulla Guerra di Secessione Americana; buttò l’ennesima occhiata sul libro di storia e successivamente si passò la matita fra i capelli, cercando di riordinare le idee. Quella telefonata lo aveva completamente stordita e non riusciva a ragionare come suo solito. Probabilmente era stato troppo invadente nei confronti di quell’uomo, Himuro Tatsuya aveva detto di chiamarsi, e con i suoi commenti aveva certamente rivelato troppe cose.
« Comunque, lasciatelo dire, voi giapponesi siete davvero pettegoli! » commentò in inglese un individuo seduto comodamente sulla poltrona a guardare una partita di football americano. Hiroto alzò immediatamente lo sguardo sui libri e si voltò verso di lui, curioso di sapere cosa avesse avuto da dire anche quella volta. « Possibile che qualcuno non possa fare una confidenza che, in meno di un giorno, è già arrivata oltremare? Ma che razza di rete di contatti avete? Fate invidia alla CIA! »
Il giapponese alzò immediatamente un sopracciglio, leggermente sorpreso di un simile commento, ma preferì non cedere alla sua provocazione. Sapeva che quell’uomo non avrebbe mai potuto e voluto offenderlo, le sue battute – per quanto goffe e contorte – cercavano sempre di risollevargli il morale o, come minimo, farlo confidare con lui.
« Finché si parla di piacevoli notizie come questa non vedo dove sia il problema, Andreis » gli sorrise serenamente continuando a giocare con la propria matita. Il numero di Himuro Tatsuya era stato scritto su un foglietto di carta ed appoggiato sul tavolo in attesa che Kagami tornasse; Hiroto aveva fretta di parlargli e di chiarire i numerosi dubbi che man mano lo stavano assalendo, tuttavia preferì non mostrare questo suo nervosismo all’altro uomo e continuò il proprio lavoro.
« Sarà » commentò languidamente l’altro, torcendo il busto e prendendo ad osservarlo con un’espressione neutra. Come Hiroto, anche lui aveva dei capelli molto chiari che si avvicinavano molto ad un biondo slavo; tuttavia i suoi lineamenti marcati e il corpo massiccio e austero chiarivano immediatamente la sua nazionalità. Il suo nome era Andreis Dayton e lavorava, assieme al giapponese, al Gardner Museum nella sessione restauri. « E tu hai intenzione di continuare la catena e dirlo anche a lui? »
« Intendi Taiga? » domandò confuso Hiroto piegando leggermente il volto su un lato, smettendo definitivamente di rivisitare il suo programma. Quella mattina avrebbe dovuto splendidamente improvvisare di fronte al nuovo quadro impressionista che era finalmente giunto ospite al museo.
Ma prima che l’americano potesse aggiungere altro, un rumore proveniente dalla porta fece rizzare sull’attenti entrambi e li fece sporgere verso l’ingresso dalla casa. Questo, immerso completamente nella penombra, sembrava ricordare uno degli ultimi film dell’orrore che avevano avuto il coraggio di vedere nonostante le proteste di Hiroto che aveva ammesso di provare non poca paura durante la loro visione.
« Sono tornato » 
Kagami.
Il giapponese rilassò immediatamente le spalle e si lasciò andare ad un sorriso imbarazzato. In effetti, solo lui aveva le chiavi di casa ed era solito a tornare a simili orari; si passò una mano fra i capelli e tornò alle sue scartoffie aspettando che l’altro amico li raggiungesse in soggiorno. Il rumore della borsa che veniva appoggiata a terra e così anche quello della giacca fece capire ad entrambi che era di ritorno da una partita e ne era uscito di nuovo vincente.
Dopo pochi minuti, infatti, la sua figura comparve sulla porta intenta a trattenere uno sbadiglio. Kagami si stiracchiò leggermente e buttò delle rapide occhiate per la stanza cercando di capire cosa stesse succedendo: vicino all’angolo cucina, Hiroto, stava di nuovo lavorando a quello strano quadro impressionista arrivato dalla Francia mentre a guardare la televisione c’era Andreis. Sospirò sollevato e si passò una mano sul collo, prendendo a massaggiarselo stancamente.
« Ma allora ci siete! Perché non avete risposto? Stavate di nuovo lasciandovi andare a strane effusioni da fidanzatini? » domandò irritato per poi avviarsi verso il frigorifero sperando che fosse avanzato del riso della precedente giornata – anche se, tanto per cambiare, era di nuovo pieno zeppo di gelati alla menta: il prodotto alimentare preferito di Hiroto. Kagami si ripromise di andare a fare personalmente la spesa la prossima volta. Non potevano continuare a campare con del semplice gelato da mattina e sera – certo, quel giapponese poteva eccome visto che ne ingurgitava quantità industriali, ma lui non aveva alcuna intenzione di vivere ( e morire ) in quella maniera.
« Se non conoscessi bene Taiga Kagami potrei dire che è geloso » parlò Andreis allargando un sorriso nella sua direzione prima di togliersi gli occhiali da lettura ed appoggiarli al tavolino difronte al televisore « Dopotutto sei ancora single! Mi sbaglio, Hiroto? »
Questi ridacchiò divertito, incassando la testa fra le spalle, e si sporse lentamente verso l’enorme porta-finestra che dava sulla metropoli americana. Ormai era notte profonda, tuttavia in Giappone doveva essere ancora giorno; sapeva che, orientativamente, l’America e quell’isola Nipponica si passavano sulle dieci ore di fuso orario. Se avesse immediatamente avvisato Kagami della telefonata di Himuro, magari avrebbe potuto contattarlo senza problemi e potuto parlare tranquillamente; lui si sarebbe occupato di Andreis e lo avrebbe portato in un’altra stanza.
« Dalla tua allegria ne deduco che la partita sia andata bene. Quanto avete vinto? » continuò il restauratore portandosi la frangetta bionda su un lato del volto, abbandonando completamente la visione del programma sportivo.
« 123 a 37 » sorrise trionfante Kagami passando lo sguardo da Andreis all’altro ragazzo, dedicandogli un’espressione perplessa nel vederlo perso fra i suoi pensieri. Di solito era molto più loquace nei suoi confronti. « Ma, oltre al gelato, non c’è nient’altro in frigo? Sto morendo di fame! »
« Possiamo ordinare una pizza »
« Di nuovo? Ma non abbiamo un po’ di carne? »
« Non è in freezer? »
« Ora guardo »
« Ma che ci devi fare? »
« Se è rimasto il riso posso preparare un po’ di stufato e – »
« Kuroko si sposa » esplose finalmente Hiroto alzandosi in piedi con un gesto secco e deciso, continuando a guardare il pavimento con gravità. Si sentiva quasi in imbarazzo a dover trasmettere un simile messaggio – era come dare ragione ad Andreis sulla faccenda dell’essere pettegoli; ma, in fondo, lui sapeva fin troppo bene chi fosse l’individuo che portava un simile nome e cosa rappresentasse per Kagami e non poteva celare a sé stesso una sottile curiosità nel vedere come quest’ultimo avrebbe reagito difronte ad una simile notizia.
 

I – I – I – I

 
« Grandioso! Siamo finiti in mezzo al nulla! » sbottò Aomine posando a terra il proprio borsone. Si grattò la testa arrabbiato e prese a lanciare occhiate qua e là, sperando di trovare un qualche punto di riferimento. L’aria era incredibilmente fredda, pregna di un’umidità a cui non era per niente preparato. Si strinse nel suo giubbotto, tremando leggermente quando il vento prese a soffiare più forte e si voltò verso il proprio gruppo. « Dove diavolo andiamo ora? »
« Mine-chin, non essere scortese! » lo rimproverò con veemenza Murasakibara avanzando di qualche passo in sua direzione, cercando anche lui di mettere a fuoco la situazione. Davanti alla fermata del bus dove erano scesi si estendeva una sconfinata campagna trapuntata con piccole e graziose fattorie. Ogni ettaro di terreno era sapientemente separato dall’altro tramite filo spinato o graziose staccionate; Kise ricordò di aver visto addirittura un allevamento di cavalli da tiro pochi minuti prima di scendere, voltò lo sguardo dietro le spalle e cercò di ritrovarlo in mezzo a quella vallata sconfinata; se si faceva silenzio potevano sentirsi i muggiti delle mucche provenienti dal gigantesco edificio posto circa venti chilometri da lì.
« Ma Aominecchi ha ragione! Qui non c’è nulla: non una casa, un palazzo, un negozio! È tutta compagna! » brontolò infine infilandosi le mani in tasca nel disperato tentativo di riscaldarsi. Rimpianse sé stesso per non aver dato retta al consiglio del senpai di indossare abiti più pesanti per la partenza; nonostante il sole brillasse vittoriosamente nello sconfinato cielo azzurro, la temperatura oscillava fra i dieci e i dodici gradi – e dire che era da poco passato mezzogiorno!
Volendo essere sinceri, sia Kise sia Aomine avevano proprio ragione ad affermare di essere capitati nel bel mezzo del nulla;  Midorima analizzò l’ambiente circostante e si scoprì completamente immerso in una natura sconosciuta. Non era mai stato in campagna fino ad allora. Lui e gli animali non erano mai andati un granché d’accordo ed aveva sempre preferito la grigia tranquillità della metropoli ad una vita di avventure in mezzo al verde.
« Non c’è campo » fece inoltre notare chiudendo il proprio telefono e spostandosi verso Akashi, il quale alzò un sopracciglio leggermente – o minimamente – sorpreso. Contrariamente a loro, non sembrava vivere quel momento con ansia o nervosismo; era perfettamente attrezzato per il freddo e sembrava anche sapere quale direzione dover intraprendere per raggiungere la casa di Kuroko. Questo irritò non poco il medico che, sospirando, ragionò su come fosse di nuovo caduto nella rete progettata dall’amico; con tutte le probabilità aveva deciso di coinvolgerli in quell’assurdo piano solo per mascherare le sue reali nei confronti di Kuroko e far passare tutto come una semplice rimpatriata di amici.
« Aka-chin io ho fame ~ » si lagnò a bassa voce Murasakibara dondolandosi svogliatamente sulla destra e sulla sinistra, sperando di attirare le attenzioni dell’altro uomo. Questi, però, sembrava troppo preso dall’osservazione di un misterioso puntino nero in movimento per fare caso alle sue lamentale. Lo vide portarsi una mano sotto il mento e infine il suo sguardo aguzzarsi, sembrava star pensando qualcosa di alquanto importante e serio.
« Atsushi » lo chiamò finalmente Akashi senza allontanare il proprio sguardo da quel puntino nero sempre più vicino; sembrava parecchio concentrato, tanto che non badò allo sguardo non capente che gli rivolsero Aomine e Kise. « Ferma quel veicolo. Ora. »
 
« Turisti come voi se ne vedono pochi! Siete venuti per pregare al tempio? Quando vi siete piantati in mezzo alla strada, ho pensato foste dei pazzi suicida! Soprattutto il gigante! »
L’autista del furgone era un agricoltore di circa cinquant’anni, portava sulle proprie spalle un asciugamano sporco di sudore e stava fortunatamente andando in paese. Midorima tentò di regolarizzare il suo respiro ma gli riuscì difficile soprattutto quando gli ritornò in mente l’immagine di Murasakibara in mezzo alla strada che tentava di fermare un veicolo in corsa. Da solo. Sapeva che Akashi non lo avrebbe certo fatto morire in quel modo, ma era stato comunque fonte di profonda ansia sentire quella frenata così forte che aveva fatta strusciare rumorosamente le gomme sull’asfalto. Ricordava perfettamente le urla di Kise durante quell’esatto momento e le successive imprecazioni di Aomine che gli aveva dato dei matti e degli scemi, ricordando loro che esiste l’auto-stop e che era assolutamente sbagliato camminare in mezzo alla strada senza cognizione di casa.
« Dove state andando? » si informò l’uomo passandosi l’asciugamano sulla guancia sudata per poi passare lo sguardo velocemente da un volto all’altro. Voleva certamente assicurarsi di non aver a che fare con qualche ladro o poco di nuovo, tuttavia la sua domanda fece immediatamente capire che era ben disposto ad aiutarli ad orientarsi e trovare rifugio. Poco prima aveva parlato di un templio, quindi sicuramente ce ne era uno disperso in quell’immensa campagna – o magari in quella magnifica foresta che avevano notato mezz’ora prima.
« Veramente staremmo cercando questa strada » rispose educatamente Midorima per poi porgergli l’indirizzo che aveva accuratamente scritto sul foglietto di carta. Era stato Takao a procurarglielo, ma non seppe dire come questi avesse fatto ad ottenerlo. Con tutte le probabilità era stato Kuroko a darglielo, tuttavia Midorima non aveva scartato l’idea che il suo “occhio di falco” fosse riuscito a scovarlo ancora. « Potreste darci un passaggio fino al paese? »
Ne seguì un momento di silenzio, in cui Kise soffiò sulle proprie mani nel tentativo di riscaldarle e tornò ad osservare ammirato il paesaggio.
« Ve lo do molto volentieri, ma questa strada non è mica in paese » rivelò franco l’uomo per poi ridare il foglietto al medico, con incredibile gentilezza; la sua espressione divenne improvvisamente seria tanto che perfino Aomine smise di dondolarsi sul posto che capire cosa volesse sapere. « Siete parenti di Kuroko-sensei? »
« Amici »
Era stato Kise a parlare, dal fondo della strada con un sorriso ottimista in volto. In quel momento era la prima ed unica cosa che gli era riuscita a venire in mente e che gli era sembrata più vicina alla verità; in fondo, lui non aveva mai smesso di considerare Kuroko un suo caro amico nonché compagno di squadra. Era molto legato a quella sua figura gracile e bassa, lo considerava un punto di riferimento nella sua vita e non avrebbe mai smesso di crederlo.
« Oh, ma allora va bene! Allora, montate su! Vi ci porto io dal sensei! Casa sua è mezz’ora di cammino dal paese, non vi conviene farvela a piedi! » li informò l’uomo entusiasta mostrandogli un grandioso quanto rude sorriso. Gli aveva immediatamente creduto, confidando in quello appena detto dal giovane. Picchiettò la mano sulla portiera del furgone e si voltò verso il retro del furgone « Tora, vieni fuori! Dagli una mano a salire! »
C’era un bambino sul furgone – avvolto da un gigantesco cappotto e da una lunghissima sciarpa rossa – che, nel sentirsi chiamare dal padre, scattò immediatamente in piedi. I suoi capelli erano bruni e brizzolati, non seguivano la piega che gli si cercava di dare e gli conferivano l’aria del tipico monello. Midorima lo vide pulirsi velocemente gli occhi con la manica della maglietta e precipitarsi ad aprire la sponda dell’autocarro. Sembrava perfettamente a suo agio in quei vestiti e persino i suoi movimenti apparivano rapidi e decisi.
« Dammi la valigia » ordinò con una vocetta autoritaria porgendo la sua mano nel vedere Aomine farsi vicino al veicolo. Questi, seppur a mala voglia, affidò il proprio carico a quelle manine ruvide che, con passo svelto e preciso, andarono ad appoggiarli verso la parte più interna. In breve tempo, furono tutti e cinque sul carro; il bambino era molto bravo a guidarli nella salita, gli offriva sostegno ed aggiustava ordinatamente le valigie una accanto all’altro.
Tutto si aspettavano fuorché una partenza così repentina. Midorima si aggrappò alla sponda destra del veicolo a cui appoggiava la sua schiena ed osservò Kise fare lo stesso con il braccio di Aomine, trattenendo un urletto isterico; questi, dopo il viaggio in aereo, sembrava essersi totalmente calmato. L’incontro con quella giovane donna gli aveva riportato immediatamente il buon umore. « Ryo-Tan! », lo aveva chiamato con un sorriso sulle labbra la giovane hostess agitandosi sulla passerella, una volta che erano atterrati, muovendo con forza il braccio sinistro per poterlo salutare al meglio, « Fai gli auguri al tuo amico anche da parte mia! ». E Kise aveva giurato a sé stesso che li avrebbe fatto sia da parte sua che di Sakuranbou.
Prima che Midorima potesse anche solo informarsi su chi fosse quella donna, le ripetute occhiate di Murasakibara verso delle scatole di legno fecero drizzare le orecchie del bambino e farlo voltare orgogliosamente verso di lui.
« È formaggio » si affrettò ad informarlo sorridendogli con superiorità, come se dovesse dar prova della propria esperienza e padronanza della materia. Si aggiustò con cura la sciarpa e vi si immerse dentro metà del proprio busto, sperando di riuscire a sconfiggere quel fastidioso vento che continuava ad insinuarsi nelle proprie orecchie. « Per la fiera del paese »
« Una fiera? Quando ci sarà? » domandò interessato Kise spostando gli occhi dal formaggio al bambino che gli dedicò immediatamente un sorriso raggiante che fece leggermente arrossire il piccolo Tora.
« Sabato sera! » urlò dall’interno del veicolo l’uomo continuando ad osservare la strada con tranquillità.
« Il sensei ha detto che questa volta verrà! Ha detto anche che comprerà il nostro formaggio e lo mangerà fino a scoppiare – o meglio, ha detto che lo mangerà. Non voglio che scoppi. Non sarebbe giusto, il sensei è tanto buono con me! » spiegò ancora il bambino sorridendo allegramente nel citare ciò che il proprio maestro di scuola gli aveva promesso di fare quel fine settimana. Oramai lo conosceva da molti anni, ma mai lo aveva visto girovagare per le bancarelle della fiera con l’intento di acquistare o gustare qualcosa. « Ma voi siete davvero amici di Kuroko-sensei? Perché andate da lui? Guardate che il suo compleanno è ancora lontano! Avete sbagliato mese! »
« Non siamo qui per il suo compleanno » si limitò a parlare Akashi, elegantemente seduto vicino alle valigie. Non sembrava un granché colpito da quella conversazione e nemmeno da come il bambino parlasse tranquillamente di Kuroko; la sua mente era già proiettata al loro ormai prossimo incontro e non voleva fermarsi in chiacchiere inutili. Incrociò le braccia al petto e prese ad osservare distrattamente il paesaggio che scorreva veloce attorno a lui come se fosse una pellicola di un qualche vecchio film.
« Vi fermate allungo? Le vostre valigie sono pesanti. Dove alloggerete? » si informò incuriosito il bambino chinando la testa di lato e continuando ad osservare Kise che, fra tutti, gli sembrava quello più simpatico.
« Non credo che siano affari che ti riguardano » brontolò piccato Aomine  di fronte a così tanta curiosità. I bambini non gli sarebbero mai stati simpatici, mai. Non avrebbe mai compreso il desiderio di Satsuki di averne uno e tanto meno quello di Kuroko di vivere attorniato da essi ogni santissimo giorno.
 
Gli occhi di Kuroko non gli erano mai apparsi così chiari. Erano così limpidi e azzurri da ricordare il cielo di quella giornata.
Lo stupore era tanto che si lasciò persino abbracciare da Kise senza nemmeno avere il coraggio di protestare. Non badò nemmeno al saluto del suo allievo che, dal fondo del camioncino, gli ricordò della fiera di quel fine settimana, tanto era preso dal riconoscere quei volti a lui così noti. Kuroko sembrò cadere in uno stato di catalessi, in cui ricordi ed emozioni si confondevano l’uno con l’altro formando un misterioso ed intenso acquerello. Le braccia calde di Kise ebbero su di lui un effetto inibitorio che gli fece dischiudere la bocca in un’espressione decisamente sorpresa.
Si riprese solo grazie al rombo del motore che, facendolo sussultare, gli ricordò della Generazione dei Miracoli e di Kise, in particolare. Questi non faceva che ripetere che lo trovava benissimo e più in carne e poi lo abbracciò ancora. Questa volta, però, Kuroko sembrò riprendersi e cercò di allontanarlo – nonostante fosse che una flebile spinta che si perse ben presto dentro il calore corporeo.
« Kurokocchi, mi sei mancato così tanto! » sorrise l’uomo continuando a tenerlo stretto a sé nonostante i crescenti richiami di Aomine che gli urlava di starlo a stritolare. Questi notò sui suoi abiti sporchi, numerose chiazze di una strana pittura colorata; in un primo momento dimenticò del suo lavoro di insegnante e si domandò se avesse un figlio e se lo stesse aiutando a dipingere prima che loro si intrufolassero rumorosamente nella sua vita.
Aomine chiuse delicatamente gli occhi e non pronunciò parola. Avrebbe voluto chiedergli molte cose - cominciando dal “sei uno scemo, Tetsu” – ma le parole gli morirono in gola non appena riuscì a mettere in ordine i pensieri nella sua testa. Kuroko sembrava così sorpreso di vederli ma non appariva né imbarazzato né irritato dall’ultima discussione che aveva avuto proprio con lui il giorno prima. Quei occhi azzurri riflettevano una serenità d’animo che mai gli aveva visto in volto.
« Mi sei mancato anche tu, Kise-kun » gli sentì sussurrare all’orecchio di Kise ricambiando, anche se di poco, quella stretta. Questo sembrò quasi intenerirlo e, con un leggero sorriso in volto, si apprestò per andare anch’egli a riabbracciarlo; ma venne preceduto da Murasakibara che, con passi lenti e inesorabili, si avvicinò all’amico e prese ad accarezzargli la testa con dolcezza.
« Kuro-chin è rimasto piccolo » commentò atono continuando a scompigliargli i capelli quasi avesse a che fare con un qualche animale. Kuroko, da parte sua, non protestò e si lasciò continuare a far coccolare in quella strana maniera – nonostante il suo viso non lasciasse intravedere alcuna particolare emozione, si riusciva ad avvertire, anche solo guardandolo, una certa felicità nel vederlo.
« Kuroko! Chi era alla porta? »
Il chiamato in causa sussultò leggermente nel sentirsi chiamare. Nonostante il suo corpo fosse ancora avvolto dalla stretta, Aomine percepì il suo corpo quasi farsi più leggero e sollevarsi; non sembrava turbato da quel richiamo, anzi, gli sembrò quasi fare piacere. Tutto ciò non passò inosservato agli occhi di Akashi che, lasciato in disparte, continuava a tenere fissi i propri occhi su quella scena così allegra e affettuosa; sembrava che avesse appena ricongiunto una famiglia divisa da qualche guerra o conflitto. Quella voce, però, sembrò risvegliare in lui una chiamata alle armi.
« Se è il ragazzo delle consegne, digli che deve andare nel retro! » parlò di nuovo l’uomo all’interno dell’edificio. Il rumore di scatoloni e di oggetti che venivano momentaneamente appoggiati a terra gli fece immediatamente capire come si stesse avvicinando all’ingresso dell’abitazione. « Oggi è avanzato un po’ di zuppa di miso, gli va bene? »
Prima che Kise potesse anche solo realizzare che quell’uomo a parlare era il tanto chiacchierato “sposo”, avvertì le mani di Kuroko allontanarlo dal suo corpo e spostarlo di qualche centimetro indietro; lo vide torcere il proprio busto verso l’interno della casa e assumere un’espressione che gli aveva mai visto in volto. Sembrava felice, ma allo stesso tempo preoccupato; i suoi occhi brillavano di una strana luce, completamente dipendente da quella misteriosa voce che sapeva ammaliarlo con poche e semplici parole.
« Ogiwara-kun »
 
 
 
~Il Mughetto dice~
Dan dan daaaaaan!
Ebbene sì. La storia viene finalmente aggiornata e si viene finalmente a scoprire l’identità del fantasmagorico sposo su cui la GdM si era letteralmente scervellata. Mi scuso per il ritardo ma questo, per me, è un anno decisivo e non sempre trovo il tempo per dedicarmi a questa long a me molto cara. Cercherò comunque di concluderla senza prolungarla troppo, anche se continuo fortemente a desiderare di conoscere il vostro parere al riguardo attraverso una recensione. Vi posso assicurare che essi mi aiutano molto per caricarmi durante la scrittura; mi capita molto spesso di rileggerli e di sentirmi particolarmente ispirate.
Approfitto di questo momento per dedicarmi ai ringraziamenti, in particolare a Milady Ophelia ed Elsa Maria per il loro supporto. Ben 8 persone hanno lasciato una recensione nel precedente capitolo, 16 hanno inserito la storia nelle preferite, 1 nelle ricordate e ben 31 nelle seguite. A queste vorrei dedicare i miei ringraziamenti più sinceri ed affettuosi, spero che continuerete a leggere la storia ed esprimere il vostro parere al riguardo.
Tornando alla storia, posso definirmi davvero compiaciuta di aver scelto di aver scelto Ogiwara Shigehiro come “sposo” di Kuroko. Per chi non avesse letto il Teiko Ark, è il suo amico di infanzia che gli insegnato a giocare a basket e da cui è stato legato molto allungo per una promessa fatta. Questo giovane è nato il 10 agosto ed è del Leone ( casualità che sia Aomine sia Kagami abbiano lo stesso segno e siano nati sempre in agosto?). Il suo cibo preferito è il Noritama, la sua specialità è il Kendo ed il suo motto è “seriamente e sinceramente”. I suoi capelli sono di un colore che oscilla fra l’arancione e il castani, mentre i suoi occhi sono definitivamente marroni. Posso tranquillamente definirmi dalla sua parte quando parlo di lui, mi piace moltissimo come personaggio e lo definisco un eccellente “avversario” per Kagami.
Parlando di lui, ho deciso di affiancarlo a degli OC che mi sono davvero molto a cuore ovvero Hiroto Tsukishima e Andreis Dayton; purtroppo in questa storia non sono che delle figure marginali e per nulla curate, tuttavia spero che in futuro potrò svilupparle al meglio e, assieme a loro, anche le All Star americane. Vi invito, inoltre, a dare un’occhiata ad "Matryoshka", un mio secondo progetto di long che dovrebbe essere aggiornato a breve. Analogamente a questo racconto, anche quello parte in un futuro ipotetico ma posso garantire che le dinamiche saranno sviluppate in maniera completamente diverse.
Non mi definisco un granché soddisfatta da questo capitolo: è veramente pieno di OC che, anche se non influenzano sulla storia, la rendono anche piuttosto complessa. Il mio dubbio più grande continuava ad affollare la personalità che ho voluto donare a Kise, spero di non aver preso una cantonata madornale ed essere riuscita a gestire al meglio questa sua complessità caratteriale. Dopotutto, lui non è affatto uno sciocco è solo molto sensibile. Il sogno che ho descritto ha destato molte volte le mie perplessità, spero di non aver reso tutto troppo surreale: alla fine, ciò che volevo trasmettere, non era altri che il senso di colpa che continua ad affollare l’animo di Kise. Le vicende avvenute al Teiko ancora non lo hanno abbandonato ed ha associato l’allontanamento di Kuroko da loro come una sua possibile vendetta per ciò che è successo.
La paura di Aomine per il volo è assolutamente inventata da me (la ritenevo una cosa abbastanza divertente), mentre quella delle api è chiaramente citata nella Character Bible. Questo povero personaggio è soggetto al mio affetto nei suoi confronti: mi piace vederlo come un falso duro, abbastanza impacciato con le donne e dalla mente contorta. Spero di non averlo mandato in OOC, qualora così fosse stato siete pregati di avvisarmelo.
Mi dispiace che Murasakibara, Midorima e Akashi non abbiano avuto un ruolo rilevante in questo capitolo – quest’ultimo si rifarà senza alcun dubbio nel prossimo a venire. È già tutto deciso e posso assicurare che Kuroko sarà costretto molto presto a scontrarsi contro di lui. Sarà una discussione molto amichevole anche se l’atmosfera continuerà a mantenersi molto tesa. Ci tengo a precisare che Midorima ha sempre il telefono in mano perché riceve continui messaggi di Takao con domande riguardanti l’aggiornamento del loro viaggio e lui, naturalmente, è ben propenso a rispondergli – non è adorabile?
Vi ringrazio per aver letto questo capitolo e così anche tutta la storia.
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