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Autore: Midnight the mad    14/03/2014    1 recensioni
"Insomnia" perché sì. Perché è roba scritta in notti insonni e momenti del cazzo.
Canzoni perché sì. Perché sono più reali della vita.
Parole perché sì. Perché è l'unico modo di gridare.
Cose diverse tra loro, che vengono un po' quando vogliono. Se volete leggere, leggete.
1. Redundant
2. Basket Case
3. She's a Rebel
4. Uptight
5. Die young
6. Pompeii
7. St. Jimmy
8. Gli anni
9. X-Kid
10. Show must go on
11. Cry to heaven
12. '74-'75
13. Knockin' on heaven's door
14. The forgotten
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa storia è un po' ispirata all'omonima fanfiction di Brat, "Uptight", che vi consiglio davvero di leggere. Non so quanto senso possa avere questa storia, ma non l'ho scritta per qualcuno, solo per me, e per me significa qualcosa, eccome. Le citazioni nella storia sono (nell'ordine): di una storia che, per quello che ne so, non è mai stata pubblicata, ma che mi è stata letta e che adoro; da "Il diario del vampiro"; dalla "Metamorfosi" di Ovidio; dal film "La febbre del sabato sera".

UPTIGHT

I woke up on the wrong side of the floor...
 
Luce forte. Bianca. In faccia. Cazzo, con tutta questa luce potrei anche essere in paradiso.
Ma non lo sono, penso subito dopo, aprendo gli occhi e trovandomi a fissare le pareti immacolate, bianche. E buttando per terra le lenzuola, così dannatamente fredde. Bianche.
No, questo non è il paradiso, è solo la rivisitazione in bianco dell’inferno.
 
...Made, made my way through the front door...
 
Ci sono arrivato qualche mese fa, qui.
Troppi mesi fa.
è stato relativamente semplice.
Mi viene quasi da ridere, mentre ci ripenso. Mentre ripenso a quando ho cercato di buttarmi di sotto dalla finestra della mia stanza. Pensavo che fosse una fuga dal mondo, e in effetti lo è stata.
Ed è stato anche un ingresso all’inferno dalla porta principale.
Sono stato in ospedale per un po’. Poi, quando si sono resi conto che non sarei morto, mi hanno sbattuto qui. Evidentemente, la mia stanza ha turbato parecchio la polizia, o chiunque ci sia entrato. Beh, non è colpa mia. Io sui miei muri ci faccio quello che mi pare, anche se è scrivere all’infinito parole e parole e parole. A rileggerle dopo non avevano senso, ma mentre le scrivevo ce l’avevano, eccome.
Sì, magari hanno fatto bene a portarmi in questa specie di manicomio. Magari sono davvero pazzo.
Ma sai, non è colpa mia.
è il mondo che fa impazzire, tutti.
 
...Broke my engagement with myself...
 
Non so quando ho iniziato a pensare di volermi ammazzare.
Credo sia stata una cosa un po’ progressiva, dopotutto.
è un po’ alla volta che il mondo normale non ti basta più, che inizi a scrivere sui muri.
è un po’ alla volta che le cose sensate non ti bastano più, che inizi a farne di insensate.
è un po’ alla volta che pensare non ti basta più, che ti metti a urlare.
è un po’ alla volta che vivere non ti basta più, e ti metti a pretendere.
Ma ci vuole poco a rendersi conto che pretendere è inutile. Il mondo non darà niente di più a te della merda con cui nutre tutti. Perciò quando te ne rendi conto smetti di amarlo, il mondo. Anche quello un po’ alla volta, perché dopo tutto sei umano, e ti senti attaccato a quello che ti circonda. Però alla fine ci riesci, e ti rintani in te stesso. Ma anche lì la gioia è breve, sempre che ci sia. Perché poi ti rendi conto che la merda non è solo fuori, è anche in te; anzi, forse quella in te è pure peggio. Tu sei solo il patetico tra i patetici. E ti fai talmente schifo che smetti di amare pure te stesso.
E poi ti chiedono perché hai deciso di ammazzarti.
Idioti.
 
...Perfect picture of bad health...
 
Sto qui. Seduto sul letto, e basta. Non faccio niente, non ho voglia di fare niente. Ci vogliono ore prima che il brontolio del mio stomaco diventi abbastanza fastidioso da costringermi ad alzarmi e andarmi a cercare qualcosa da mangiare.
Non sono chiuso in camera. Non per forza. Dicono che sono “stabile”, quindi posso anche andare in giro. Tanto non ci sono finestre da cui io possa buttarmi, né ho modi di uccidermi. Il loro lavoro almeno per metà lo fanno. Mi tengono in vita.
Dell’altra metà però sembra che se ne sbattano altamente. Curarmi. Mi viene quasi da ridere all’idea. La mia non è una malattia che si può curare, la pazzia è pazzia, e quando c’è ormai ce l’hai nel cervello non se ne va più. Ma personalmente non è che mi dispiaccia, la pazzia. Non la amo, ma ehi, questa c’è. E non credo che la presunta “normalità” a cui vorrebbero riportarmi sarebbe particolarmente diversa, alla fin fine. Anzi, forse sarebbe persino più noiosa.
Entro nella mensa. Non c’è praticamente nessuno, solo tavoli di un verde squallido e un paio dei cosiddetti “psichiatri”, che però per quanto mi riguarda non sono buoni a fare nulla.
Mi guardano tutti e due mentre vado a prendermi qualcosa da mangiare. Una tizia mi scodella davanti una tazza di latte tiepido e dei cornflakes dall’aria molliccia. Non hanno neanche paura che rompa la tazza e cerchi di tagliarmi le vene, tanto ci sono le telecamere e arriverebbe qualcuno in neanche un minuto. Sono controllato, continuamente, siamo tutti controllati. Loro sono dappertutto, nelle nostre vite, nei nostri cervelli. Anche se sinceramente non è che mi diano particolarmente fastidio. Quello che penso lo penso, non ho mai avuto intenzione di nasconderlo. Sono cazzi loro se vogliono impazzire a osservarlo e a ragionarci sopra.
Mentre ingoio i cereali senza neanche sentirne il sapore, penso che dopotutto ormai non è che io abbia più tanta voglia di morire. è un posto malsano, questo, l’esatta immagine della malattia mentale, ma la mia situazione dopotutto è quasi migliore di quella di prima. Sono una persona di sfondo come al solito, faccio cazzate come al solito, tutti mi guardano male come al solito. L’unica cosa diversa è Ally.
Già, Ally. Ora che ci penso, magari dopo la vado a trovare.
 
...Another notch scratched on my belt.
The future just ain’t what it used to be...
 
Ally l’ho conosciuta qui.
Non so se si chiami davvero Ally, a dire la verità. Lei si è presentata così, e quindi è così che la chiamo. Non sono cavoli miei il suo nome, alla fin fine. Mi basta che sia pronunciabile, e questo lo è alla grande, perciò è ok. A me sembra un nome un po’ insensato, che sa più di soprannome, ma dopotutto mi piace. I nomi per intero o che hanno un senso sono sempre i nomi più limitanti, idioti. Quando un nome non ha nessun significato particolare puoi essere quello che cazzo ti pare e nessuno potrà mai dirti nulla.
Cammino rapidamente per i corridoi fino alla sua stanza. Magari non c’è, anche se dopotutto lei non esce tanto spesso. Dice che non ha voglia di stare a guardare quelle illusioni di libertà che sono i corridoi e il cortile spappolandosi il cervello. Meglio la realtà di una prigione. Ecco, solo per queste parole, io la metterei sul trono al posto di Dio, cazzo. E invece dov’è che l’ha gettata il mondo? In uno stupido manicomio. è sempre così, sempre così, sempre così. Le persone davvero geniali non le capisce nessuno.
Oppure a me sembra di capirle solo perché sono pazzo, non so. Sta di fatto che quella dannata ragazza è la cosa più vera del mondo, la più viva. Sì, esplode di vita, sempre, anche quando se ne sta a fissare il soffitto. Pensa, ed è questo che mi piace. Lei dice che a volte le da fastidio non riuscire mai a smettere di pensare se non quando si fa. Ha trovato qualcuno che le vende roba anche qui dentro. So come lo paga, e non mi piace granché. Non so quanto mi va che una così si sprechi a fare la puttana. Ma magari si diverte, e comunque non sono fatti miei quello che fa, non se voglio cambiarlo. Lei non si farà cambiare comunque, da nessuno. Una volta le ho chiesto se non le dava fastidio l’idea di fottersi il cervello così, e lei ha risposto che preferisce fotterselo da sola, il cervello, piuttosto che lasciarselo fottere dal sistema.
Dopo questo, lo ammetto, un paio di pasticche di MD me le sono prese pure io. Poi Ally mi ha detto di smettere, di non essere così fottutamente fatalista; ha detto che comunque è stupido lasciar vincere il sistema così, e che lei la roba la tiene soprattutto per le “emergenze”, ma comunque non si fa quasi mai. Quello che vuole, dopotutto, è continuare a pensare, perché se pensa andrà sempre contro la realtà. Io le ho chiesto che senso ha, e lei ha risposto che non ne ha assolutamente nessuno, ma tutti sono umani, cazzo, e tutti hanno degli impulsi stupidi.
Dio, quella prima o poi mi farà impazzire davvero. O ancora di più, mettila come ti pare.
Entro nella sua stanza. Non busso, tanto per lei è lo stesso, non risponde mai comunque. La trovo che dipinge, seduta per terra con il piatto con i colori in una mano e il pennello nell’altra. Brava è brava, anche se non nel senso comune del termine. Non è una di quelli che riproducono la realtà esattamente uguale, no, proprio per nulla. Lei è una di quelli che la realtà la riproducono molto più vera.
Guardo quello che sta dipingendo adesso. è una faccia, la faccia di una ragazza, con una bandana colorata come una bandiera sulla bocca. Sembra tanto quella di 21st Century Breakdown, almeno se non la guardi bene. Se lo fai, invece, ti rendi cono che è completamente diversa. La ragazza del disco ha quell’espressione fiera negli occhi, decisa, e la bandiera è quello che lei sta urlando: l’orgoglio di una nazione. Invece in questo disegno l’unica cosa che sta facendo la bandiera è tappare la bocca della ragazza, impedendole di parlare. No, non esistono più i sogni di una volta. Già, perché prima una nazione era qualcosa da proteggere, ora è qualcosa che ti soffoca.
Sollevo la testa e guardo una scritta sul muro. L’ho fatta io, l’ho scritta un po’ ovunque in uno dei miei periodacci. è ancora su tutte le pareti dei corridoi e nella mia stanza. Già, quel posto sembra davvero la cella di un pazzo. Forse in quel periodo lo ero proprio, pazzo.
 
Dov’è finito tutto il futuro che c’era quando eravamo giovani?
 
Già, dove cazzo è? Ok, non è che io sia vecchio, no, per nulla. Però sicuramente non sono giovane. Già, perché io per “giovane” intendo qualcuno con dei sogni. Il futuro è i sogni. Sì, solo che in questo cazzo di posto non ci sono neanche quelli.
Ally si gira a guardarmi. – Ciao. – dice.
- Ciao. – rispondo. – A che punto siamo? –
Lei lancia un’occhiata al muro. Ci sono delle X sulla parete di destra, una per ogni giorno passato qui. Ormai sono davvero un bel po’.
- Centoventisette. – dice. Poi scrolla le spalle. – Non so perché ti ostini a contare. –
- Beh, se non te ne fregasse avresti smesso di segnarti queste cose per me. –
Le scappa un sorriso. – Touché. Che ci fai qui? –
- Non lo so. Avevo voglia di venire. –
- E allora stai pure. Tanto non fa differenza essere pazzi da soli o in due, alla fin fine. –
 
...I got a new start on a dead end road...
 
- Sai, a volte ci penso. E sembra assurdo. Però è vero. –
Ally mi guarda. – Cosa? – chiede.
- Il fatto che... ho iniziato una specie di nuova vita in un vicolo cieco. Ho iniziato qualcosa alla fine. –
- Fine. – sbuffa lei. – Ma quanti anni hai? Venticinque? Meno? Pensi sul serio di essere alla fine? –
- So che non c’è niente, dopo. –
- Oh, beh, non c’è mai niente dopo, se è per questo. – ribatte, poi si rimette a dipingere. Dipinge proprio come io scrivo sul muro, seguendo i pensieri. Le lasciano le tempere perché qualcuno ha detto che fa parte della sua “terapia”. Ma che cazzo, non c’è nessuna terapia. Comunque, in realtà, meglio così.
Adesso sta dipingendo... non lo so cosa, in realtà. Provo a indovinarlo, e solo dopo un po’ mi rendo conto che è un paesaggio, ma è tutto nero. è quasi l’ombra di un paesaggio, e poi è dipinto all’incontrario. Mi giro a pancia in su sul letto e rovescio la testa all’indietro per vedere meglio.
C’è una specie di muraglia, da cui spicca una torre piuttosto alta e... strana. Sulla cima si allarga e poi si chiude in un tetto.
- Che posto è? – chiedo.
Scrolla le spalle. – Un posto dove sono stata un sacco di volte. Mi chiedevo sempre perché la cima della torre non crollasse, visto che è così larga. è bello. Si appoggia sul vuoto, insomma. Vuol dire che anche sul vuoto si possono costruire delle fondamenta, basta volerlo. – Mi guarda. – Forse non è così assurdo iniziare una nuova vita in un vicolo cieco. –
 
...peaked, peaked out on a reaching new lows...
 
- E perché è al contrario? –
Lo chiedo anche se non so se mi risponderà. Non sempre lo fa, a volte non ne ha voglia, oppure semplicemente la risposta non la sa neppure lei.
Questa volta, però, me lo dice subito. – Beh, perché è più realistico così, no? Il mondo si sta scrollando di dosso le persone che non sono abbastanza forti o abbastanza interessate da starci attaccate, un po’ come noi. Noi siamo caduti. – Dipinge rapidamente un paio di figure che precipitano verso il vuoto. Poi, una che si aggrappa alla torre. – Però eccoci qui. – aggiunge, indicando la figura. – Noi nel mondo ci possiamo ancora tornare. Sarà complicato, ma se vogliamo ce la possiamo fare. Dopotutto, non siamo ancora morti. Basta arrampicarsi. – Non si preoccupa a fare questi discorsi, nonostante sappia benissimo che siamo sorvegliati, tanto sa che nessuno la prende mai sul serio. – Ti va di ascoltare un po’ di musica? –
- Ah, beh... ok. – rispondo. Lei si avvicina al giradischi che c’è sulla scrivania, accanto al quale c’è una pila di LP. Ce ne sono anche parecchi altri nella libreria. Ally legge e ascolta un sacco di musica, e la sua stanza è una delle più piene. è qui da chissà quanto tempo, e ai sorveglianti lei dopotutto piace. Non fa mai niente di male, e qui quando ti comporti bene ti premiano. è un po’ come essere animali da circo: se fai quello che vogliono loro ti danno degli zuccherini.
Il disco parte. Si chiama Nimrod, e sulla copertina c’è un disegno fantastico: due persone con la faccia coperta, come se fosse stata censurata, da un cerchio giallo. E nel mezzo del cerchio c’è scritto proprio Nimrod. Mi chiedo cosa voglia dire. So un bel po’ di inglese, ma questa parola non l’ho mai sentita.
- è ebraico. – dice Ally, prima che glielo chieda. – Significa “cacciatore”. –
Io per un secondo ci penso. Non sono come quelle persone che riescono a passare sopra le informazioni semplicemente calpestandole, io almeno per un secondo mi ci scontro, anzi, mi ci schianto proprio di faccia. Probabilmente sono un idiota, ma insomma, penso di potermelo permettere, visto che sono rinchiuso in un manicomio.
Alla fine decido che l’unica possibilità è ascoltarlo un po’, questo disco, per capire perché si chiama così.
Ally sceglie una traccia, poi si siede sul letto.
- Si chiama Uptight. – dice.
Io la ascolto. è un ritmo un po’ duro, graffiato dal disco. Ally canticchia insieme alla voce del cantante una frase sola. – I’m a nag with a gun.
Io mi trovo a fissarla, mentre spegne il giradischi una volta che la canzone è finita. – We are nags. – dice, sovrappensiero.
Sì, probabilmente ha ragione. Siamo dei rompipalle del cavolo sputati fuori da un mondo che non ci voleva più.
E io quel mondo lo detesto, ma mai quanto questo cazzo. Quello che vorrei sarebbe andare nel mondo e spaccare la faccia a tutti.
 
...Owe, I paid off all my debts to myself...
 
Sospiro, lanciando in aria una palla e riprendendola al volo. è quasi ora, fra poco c’è il mio incontro giornaliero con il mio psichiatra.
Cazzo, che palle.
Sì, insomma, capisco tutto, ma vorrei vedere chiunque altro costretto a stare seduto in una stanza davanti a un vecchietto dall’aria terrorizzata. Penso che tutti andrebbero fuori di testa, il loro cervello esploderebbe dalla noia. Il mio non esplode solo perché ormai è già completamente a brandelli.
Sento bussare alla porta e mi metto seduto sul letto mentre quella si apre. Solo che, invece del vecchio Ian che viene di solito a rompere i coglioni, sulla porta vedo una ragazzetta con una spruzzata di lentiggini sulla faccia e l’aria strana. Non l’ho mai vista qui, ma ha una cartelletta in mano. La mia. Quindi, a quanto pare, non è una paziente ma una psichiatra. Cazzo, ma siamo seri? Dimostra massimo diciassette anni, con quello stupido golfino giallo canarino.
- Ciao. – fa, tranquillissima. – Tu sei Marco? –
- Jonathan. – ribatto. Mi faccio chiamare così da quando sono piccolo, da quando ho letto Il gabbiano Jonathan Livingston. Mi sembrava un nome molto più bello del mio.
- Marco. – inizia. – Senti, so che è complicato, ma devi renderti conto che è questo il tuo nome. Non puoi ignorare la realtà. –
La guardo, e mi viene voglia di sputarle in faccia. – Cazzo, mi chiudete in uno stupido manicomio, mi togliete la vita e non ho neanche il diritto di chiamarmi come mi pare? Porco Dio, io ho finito di pagare per qualsiasi colpa io abbia commesso e anche per quelle di tutto il resto del mondo passando tutto il resto di questa merda di vita che ho davanti qui. Adesso basta. Non ho altri debiti, e adesso voglio anche dare qualcosa a me stesso. è chiedere troppo? Come faccio a non ignorare la realtà se la realtà fa così schifo? Tu non sei chiusa da mesi e mesi in un manicomio, ma io sì, cazzo! E io la realtà adesso la odio ancora più di prima. Sai quanto è servita la vostra terapia? Io adesso lo rifarei, accidenti! Mi ributterei miliardi di volte da quel fottuto balcone, anzi, mi sparerei in testa per essere più sicuro di morire! – Non è vero, o meglio, non ne sono sicuro. Non ho voglia di morire, nonostante questa realtà. Non è che l’idea di farlo mi faccia paura, siamo intesi. Sarei perfettamente capace di ammazzarmi in tutta tranquillità. Inizio a pensare che non ci sia differenza tra la vita e la morte, che l’esistenza e la non esistenza siano entrambe solo una grande noia. Però ho voglia di rinfacciarle tutto, e quindi perché non farlo? Cosa ho da perdere?
Mi fissa. Resta immobile sulla porta, poi entra e si siede come se non avessi detto assolutamente nulla e apre la mia cartella.
Io rido. Una risata amara, isterica. – Ah, sì, adesso capisco. I pazzi li curate ignorando la loro pazzia, così potete fare finta che prima o poi scomparirà. – Rido di nuovo. – Patetici. Siamo tutti così schifosamente patetici. E lo so che tu pensi che l’unico patetico della situazione sia io, ma tanto che me ne frega? Sei venuta qui per farmi parlare? Beh, parlerò. Non servirà a niente, ma se quello che volete è vedere cosa c’è nella mia testa allora fate pure. La porta è sempre aperta, tanto, sul serio, chi se ne frega di chi vede i miei pensieri? Io non mi vergogno di quello che penso, anche se sono cose così di merda. è per questo che mi definite “pazzo”? –
I suoi occhi hanno un guizzo, mi osservano per un secondo e poi si posano di nuovo sulla cartella. Scribacchia qualcosa, poi lo cancella.
- Come ti senti? – domanda.
Io non mi do neanche la pena di rispondere. “Come ti senti” è una domanda estremamente stupida da fare a uno come me, e anche totalmente inutile, visto che io non lo so, come mi sento. Trovo un pennarello abbandonato sul letto e mi metto a scrivere sul lenzuolo, colorando quell’orribile bianco.
 
Credo di aver detto "Sto bene, grazie" almeno trentasette volte, e non era vero neanche una volta, ma non se n'è accorto nessuno. Quando qualcuno ti chiede "Come stai?" non vuole una vera risposta.
 
Viene da Il diario del vampiro, un libro che mi ha prestato Ally. Mi sembra verissima, come frase. Quando la gente ti chiede come stai, si aspetta la classica risposta ovvia. è una cosa che si chiede quasi senza pensare, quasi di riflesso. Il che mi fa parecchio incazzare perché in teoria dovrebbe essere un modo di interessarsi degli altri e in realtà non è proprio nulla, non più.
Oppure, in questo posto, si aspettano solo che io confermi le loro opinioni. Qui si interessano a me, sì, ma non in modo normale, non perché ci tengono a me o roba del genere, ma perché e il loro lavoro. Lavoro che oltretutto svolgono davvero di merda, con disinteresse, tanto per loro sono già andato e non uscirò mai da questo posto, quindi in effetti anche loro non sono interessati a me. Non c’è nessuno che lo sia.
O forse sì. Magari ad Ally interessa di me. Non in modo normale, però. Penso che se mi ammazzassi non le darebbe più di tanto fastidio. Penserebbe che sia stato giusto, visto che la mia vita è affar mio, è l’unica cosa che mi appartiene, ormai, e posso farci quello che mi pare.
Cazzo, questi qui mi hanno tolto pure la vita. E l’unico modo di riappropriarmene sarebbe, appunto, uccidermi. Anche se più che un riappropiarsene sarebbe un toglierla a loro. E non ho voglia di perdere tempo a escogitare un piano per riuscire a conficcarmi una pallottola nel cervello solo per fare un dispetto a loro. Non si meritano neanche questo. Mi ammazzerò quando sentirò il bisogno di morire.
Magari però adesso potrei ammazzare questa troietta. Sento un gran bisogno di ammazzarla.
 
...perfect picture of bad health...
 
- Ehi. –
La ignoro, ancora. Inizio a pensare e pensare e pensare. Non dovrei farlo e lo so, quando penso vado fuori di testa tutte le volte, ma chi se ne importa.
Penso a me. Penso ad Ally. Penso a quanto questo posto faccia schifo. Non è che ci si sta male, ma sicuramente non ci si sta bene. è l’esatta immagine della mancanza di salute, mentale e non. Sto male anche fisicamente, in un certo senso; mi sento fiacco, imprigionato. Mi manca un sacco correre e urlare e piangere e fare casino e suonare fino alle tre del mattino con i vicini che sbraitano. Mi manca essere libero. E pensare che quando ho  cercato di ammazzarmi credevo che non mi sarebbe mai mancato nulla. Ma adesso la libertà mi manca, e come. Non è un paragone da fare, lo so. Nella mia testa non sarebbe finita così.
E neanche ora nella mia testa deve finire così. No, no, no. Non riesco accettarlo, e non so perché. Probabilmente perché sono davvero pazzo, visto che questo è l’unico futuro che ho davanti.
Poi, però, mi viene in mente una cosa. A volte le cose possono essere costruite sul nulla. E ci sono un sacco di modi di costruire. Prima di rendermene conto, mi ritrovo di nuovo a scrivere.
 
Si narra che i Giganti, aspirando al regno celeste,
ammassassero i monti gli uni sugli altri fino alle stelle...
 
Già. Sarei disposto anche a sforzi più grandi per andare via da qui. Ma a cosa aspiro io? Al mondo? No, no, certo che no. Aspiro a qualcosa di molto più grande, un regno celeste che sia mio e di chi voglio io.
Aspiro alla mia vita.
E non credo affatto che sia chiedere troppo.
 
...Another notch scratched on my belt...
 
- Ovidio. – dice una voce, sopra di me.
Sollevo la testa, e incrocio gli occhi della troietta. Sono marroni, anzi, nocciola. Odio quel colore. Un sacco di gente dice che è caldo, ma per me sa semplicemente di schifosa frutta secca tostata. Sa di finto.
Scrollo le spalle. Non c’era bisogno che mi dicesse lei che la cosa che ho scritto è di Ovidio, lo so benissimo da solo.
- Mi puoi dire una cosa? –
La guardo. Se mi sta chiedendo questo significa che, qualsiasi cosa sia, è così stupida da non averla ancora capita da sola. E sì che io tutto quello che so di me stesso lo sbandiero allegramente ai quattro venti. Cazzo, la gente sa essere stupida in modo impressionante.
Comunque, annuisco. Tanto, ormai...
- Perché scrivi tutte queste cose? –
Domanda ovvia. Alzo gli occhi al cielo. – Secondo te perché? –
Sguardo vuoto. Dubbio. Non ne ha idea. – Non lo so. – ammette.
- Perché scrivo quello che ho dentro la testa. E visto che sono così pigro o così incapace che non riesco a trovare parole mie, uso quelle degli altri. Tutto qui. –
Sembra stupita da quella risposta. Mi sento rivoltare lo stomaco. – Pensavi sul serio che scrivessi cose a caso? –
Esita. Ho fatto centro. – Perché dovrei essere così idiota da farlo? – la incalzo. – Lo so che sono pazzo, ma anche i pazzi hanno una logica, no? – Mi giro a pancia in su e sbuffo. – Cazzo, perché qui dentro tutto riesce ad essere così terribilmente noioso? E non dire che sono io che vedo le cose in modo distorto. Sono mesi che non esco da qui. Sai che cos’ho in testa? Noianoianoianoianoia. E non so neanche perché te lo sto dicendo, visto che qualunque idiota lo capirebbe benissimo da solo. –
C’è qualche secondo di silenzio. Poi... – Non pensi mai quando ti annoi? –
Mi giro di nuovo a guardarla. Questa è una domanda strana. – Beh, quando mi annoio è perché non solo non ho un cazzo da fare, ma neanche niente a cui pensare. Sennò non sarei annoiato. – rispondo, poi mi rimetto a pancia in su. Dopo qualche secondo, però, mi giro di nuovo. – Sai, lo so cosa stai pensando. Che non vedi l’ora di riuscire a entrare nel mio cervello e di fare a pezzi un bel po’ di roba, così potrai dire di aver curato un pazzo. Ma sai, è tutto così stupido. Non ci vuole proprio niente a entrare nel mio cervello, ma le cose che stanno là dentro sono lì e ci stanno bene, e senza di loro il mio cervello non esiste. Ammazza quelle cose, e ammazzerai anche me. – è la verità. Se qualcuno – in qualche modo, modi che non riesco neanche a immaginarmi – riuscisse a strapparmi i miei pensieri veri, quelli importanti, di me non rimarrebbe nulla. Diventerei solo qualcosa di piatto e stupido e inesistente. Forse è come morire, no, anzi, peggio. Non potrei sopportarlo.
- Ti sembriamo stupidi? – domanda lei.
- Siete stupidi. Perché non capite il punto. O, se lo capite, siete ancora più stupidi, perché credete sul serio che io non l’abbia capito. Quello che volete fare è trasformarmi in una “persona normale”, ma non si trasforma qualcosa in qualcos’altro con la forza, e soprattutto non si trasforma qualcosa in qualcos’altro con la volontà. Quello che mi state facendo mi sta cambiando, ovviamente. Ma non nel modo che volete voi. I cambiamenti sono sempre fuori controllo. –
Mi guarda, resta in silenzio. Sembra quasi spaventata. Dopo qualche secondo, se ne va sbattendo la porta.
Sì, bene, scappa da me. Tanto lo so che hai solo paura che io ti contagi con la mia follia.
Fisso la finestra. è sera, quasi notte.
E l’unica cosa che ho ottenuto è stata passare un altro giorno, e far scrivere ad Ally un’altra X sul muro.
 
...The future is in my living room...
 
- Ally? –
- Sì? –
- Voglio un futuro. –
Mi ritrovo a confessarlo come una colpa. Cazzo, per un suicida questa è eccome una colpa. Significa che effettivamente qui mi hanno cambiato, mi hanno convinto a vivere.
Sì, ma sto andando fuori controllo. Fuori da qualsiasi controllo, anche dal mio, e questo mi spaventa. è per questo che ho deciso di parlare con lei solo in questo sgabuzzino, l’unico posto senza telecamere che lei è riuscita a scovare dopo anni che sta qui e dove andiamo a farci.
Ally mi guarda, e qualcosa nei suoi occhi mi spaventa. è la rassegnazione. – Il futuro non c’è, cazzo, è finito tutto. Il futuro non c’è da nessuna parte. –
Io stringo i pugni. Lo so che ha ragione, ma non riesco a resistere all’impulso di cercarlo, quel futuro. – Non è vero. – mormoro. – Il futuro è qui, qui e ora, e noi riusciremo a portarlo da qualche altra parte. Via, via da questo schifo di posto. Via da tutto. Sarà soltanto il nostro fottuto futuro, e sarà come pare a noi. –
- Sono discorsi da idealista. E sono tutte cazzate. –
- Sì, forse. Ma che ci costa provare? Davvero ti mancherà, questo posto? Oppure vuoi provare ad arrampicarti? Non resterai appesa per sempre. O sali o cadi giù, Ally. Cosa vuoi? –
Lei mi guarda. Mi guarda e piange. So che ha paura, so che non vuole sperare per non dover perdere di nuovo qualcosa.
Eppure stringe i pugni. – Allora d’accordo. Saliamo. Tanto al massimo cadremo. E succederà comunque, ma almeno così sapremo di averci provato. Non vale un cazzo, ma forse nelle nostri menti malate cambierà qualcosa. –
 
...Uptight, I’m a nag with a gun...
 
- Allora? –
Guardo Ally. Prendo un respiro. Sono passati mesi da quando abbiamo deciso di scappare, e non siamo ancora arrivati a nulla. Solo che ho paura di dirglielo.
Ma lei capisce. Guarda il disegno sul muro, che ormai inizia a sbiadirsi, poi le troppe croci sull’altra parete.
- Beh... – fa. – Mi sa che ci vuole un po’ più forza del previsto per arrampicarsi. –
Poi scrolla tranquillamente le spalle e se ne va.
Come fa ad essere così calma, cazzo? Io mi sento esplodere. Mi ritrovo a starmene seduto sul mio letto a fissare il muro. Tanto, fra poco arriverà il mio psichiatra. è cambiato, la ragazzina non è più venuta dopo quella volta. Adesso ce n’è uno dei soliti, disinteressato e che fa solo quello che deve, cioè farmi domande. Io gli rispondo. Dopotutto, non ho neanche più voglia di rendere la vita impossibile alla gente. Voglio solo andarmene da qui.
Quando la porta si apre, però, c’è una sorpresa. La ragazzina. Mi fissa addosso quegli occhi nocciola e mi dice: - Ciao. –
La fisso. – Che ci fai qui? –
- Sono la tua psichiatra. –
- Avevo capito che te n’eri andata. –
- Beh, ora sono tornata. –
Non so cosa rispondere, perciò resto in silenzio mentre lei appoggia un barattolo di pennarelli nuovi per me sulla scrivania e si siede con la mia cartella in mano. – Come va? – domanda.
- Come al solito. –
Non ribatte. Si scrive qualcosa, poi alza la testa. – Sei ancora convinto di chiamarti Jonathan? –
Sbuffo.
Lei si scrive di nuovo qualcosa.
- Possibile che tu debba prendere tutti quei cazzo di appunti? – chiedo, alzando gli occhi al cielo. – Sei così brava che riesci ad analizzare i miei pensieri sentendo tre parole? –
Le sue labbra si serrano in una linea gelida. – Quello che faccio lo faccio per il tuo bene. –
- Sì, certo. è tutto fatto per il mio bene. – sibilo, sarcastico. Accidenti, stasera ho voglia di litigare. – Cosa c’è di così interessante nella mia testa? –
Lei mi guarda con freddezza e mi sbatte davanti la cartella. Io le lancio un’occhiata distratta, poi mi blocco.
La chiave è nella scatola. Fai quello che ti pare. Se ti sparano non prendertela con me, se ti prendono non prendertela con me. Dopotutto, comunque otterrai quello che vuoi. Morirai e io pagherò per qualsiasi cosa tu pensi che io abbia fatto. Fottiti, stronzo, e fatti una cazzo di vita.
P.S. Sì, me l’ha chiesto la tua ragazza.
Deglutisco, poi mi ricordo delle telecamere e fingo di nuovo rabbia. – Ma per favore. – dico, sbuffando, eppure cerco di guardarla, cerco di dirle “grazie” con gli occhi per quello che sta facendo, qualsiasi siano le sue ragioni. Magari è uno stupido test, magari gliel’ha detto qualcuno di farlo per vedere cosa farò; e non farò neanche in tempo a uscire che mi ributteranno dentro. Oppure spera davvero che mi sparino, così si libererà di me. Non importa, comunque, io la ringrazio lo stesso, o almeno ci provo. Ma gli occhi parlano solo nei libri, nella realtà sono solo occhi, piatti dischi vuoti che hanno dentro solo quello che assorbono dal mondo.
Lei se ne va, la porta sbatte. Io penso che Ally forse ha fatto davvero una cosa stupida, parlando con lei, ma che in effetti ha deciso di crederci davvero, in quello che stiamo facendo. Sta rischiando di cadere per riuscire a salire. E sono felice, perché lei è l’unica cosa voglio che ci sia nella mia nuova vita, o qualsiasi cosa ci sarà dopo. Non so se questo è amore, so solo che adesso ho una possibilità. Sono un fottuto rompipalle, e adesso qualcuno mi ha messo in mano una pistola.
 
...All night, suicide’s last call...
 
Silenzio. Cuore in gola. Battito, battito, battito.
Ancora cinque minuti. Poi c’è il cambio della guardia. E allora saremo fuori da qui.
- Ally... – bisbiglio.
- Sì? –
- Tu perché sei finita qui? –
Non so perché gliel’ho chiesto proprio ora che stiamo per andarcene, non so perché ora per me sia così importante mentre in tutti questi mesi non lo è mai stato. In realtà, non so niente di niente. Non so neanche che cosa succederà stanotte. “Il futuro è stanotte.” penso. Sì, stanotte si decide il nostro futuro.
Ma, per qualche motivo, non riesco a non pensare al passato. A farmi domande. Chissà perché a ogni passaggio bisogna sempre farsi domande su quello precedente. Non lo so, so solo che succede sempre così.
Ally guarda verso il pavimento. – Non sono normale. – dice.
- Non ti ho mai vista fare cose... troppo strane. – ribatto. Qui ce n’è di gente strana, ma Ally è solo geniale. Ma non credo che l’abbiano rinchiusa solo per i suoi pensieri, se non c’è stata una causa scatenante. Questo ancora non possono farlo.
- Beh... a volte penso troppo. E quello che ho in testa esce da solo. Non me ne rendo conto, però a volte parlo da sola e dico quello che ho in testa. E poi quel pensiero mi occupa tutta la testa e cresce e cresce e cresce, e io parlo e... sembro pazza. Forse lo sono. –
La guardo. Non mi sembra che le sia mai successa una cosa del genere, da quando la conosco. – Quanto spesso ti capita? – chiedo.
- Non tanto. Ormai è da un sacco che non succede. –
Vorrei chiederle altro, capire di più, ma è il momento di andare. Passi lontani, silenzio.
Le stringo la mano.
E poi corriamo.
Per l’ultima speranza di un povero suicida.
 
...I’ve been uptight all night...
 
Passi. Urla. Corro, corro, corro, la mano di Ally nella mia. Caos. Sbatto contro la porta di metallo prima di vederla. Cado a terra.
Altri passi. Mi sento afferrare. Ally urla.
La tensione che ho avuto dentro la testa per tutto questo tempo esplode. Afferro la guardia per il collo e la guardo morire. Ally sembra sconvolta, resta inginocchiata per terra mentre mi alzo. Cerco di infilare la chiave nella serratura, ma mi tremano le mani. Altri passi. Devo sbrigarmi, devo sbrigarmi.
La chiave gira, la Ally non si muove. Ha lo sguardo fisso, perso. – I’m a nag. – balbetta.
Non capisco perché si stia comportando così, non ho tempo per capirlo. Le do uno strattone e corriamo di nuovo, fuori. Non ci sono recinzioni, la ragazzina ha scelto bene la porta.
Però ci sono le guardie. Le sento, e sono più veloci di noi. Sento l’adrenalina che mi pulsa nelle vene mentre corriamo su questo campo scoperto. Ci sono degli alberi, poco lontano. Possiamo raggiungerli. Lì dentro sarà più difficile trovarli.
I passi si avvicinano. Gli occhi di Ally si assottigliano. – I’m a nag. – dice, con decisione, poi stringe la presa sulla mia mano e ora è lei a tirare me, correndo più veloce di quanto avevo mai immaginato che potesse correre.
Dopo poco, siamo tra gli alberi, ma il sollievo non dura. Riesco solo a riprendere fiato, poi sento qualcosa. Dei latrati.
Arriva il panico. Ally serra le palpebre e stringe i pugni, restando in piedi immobile. – I’m a nag.
Non capisco, non capisco, non capisco. Che cosa diavolo sta dicendo?
A volte penso troppo. E quello che ho in testa esce da solo. Non me ne rendo conto, però a volte parlo da sola e dico quello che ho in testa.
Mi esce una specie di ringhio mentre mi chiedo perché cazzo è dovuta andare fuori di testa proprio ora. La guardo. Sarei più veloce se non mi trascinassi dietro una pazza, ma non posso lasciare Ally qui. Non posso.
Perciò la prendo per mano, la strattono. Lei mi segue senza troppe storie, ma continua a parlare e parlare e parlare. – I’m a nag. – continua a ripetere.
Io dopo un po’ vedo qualcosa davanti a noi. Una strada. Ci sono delle auto parcheggiate. Potremmo prenderne una. So rubare un’auto, l’ho già fatto. Accelero ancora.
Siamo quasi arrivati quando risento la voce di Ally, fino ad ora spezzata dal fiatone. – I’m a nag.
E poi mi ritrovo con un fucile puntato alla testa.
 
...I’m a son of a gun...
 
Mi blocco di colpo, sentendomi attraversare dal terrore.
- I’m a nag. – balbetta Ally, gli occhioni spalancati.
Io però quasi non la sento neanche.
è finita. Ci hanno presi. Si ritorna all’inferno.
No, no, no.
I passi dietro di noi sembrano scomparsi, ma so che presto li risentiremo. E che oltre all’uomo che mi sta puntando ce ne saranno altri, demoni pronti a riportarci lì. Senza nessuna via di fuga, stavolta.
- I’m a nag. – singhiozza Ally. Io vorrei girarmi a guardarla, ma non posso. Riesco solo a stringere più forte la sua mano, mentre aspetto di vedere la mia vita che mi viene portata via ancora una volta.
 
...Uptight, I’m a nag with a gun.
 
Avevamo una sola possibilità.
L’abbiamo persa.
Le auto sono così vicine. Basterebbero tre passi e saremmo lì. E invece non posso fare nulla, mentre l’uomo chiama qualcun altro grazie all’auricolare che ha all’orecchio.
Magari posso farmi ammazzare. Uno sparo e basta. Meglio cadere nel nulla che cadere nell’inferno.
L’uomo davanti a me mi fissa con un ghigno. – Lo sai, mi avete stupito. Non pensavo che poteste essere abbastanza intelligenti da riuscire a fare una cosa del genere. – Mi sputa in faccia. – Sai, non ho ancora capito perché non vi ammazzano tutti. Scherzi di natura, ecco cosa siete. Con voi non bisognerebbe averla, pietà. Tanto non siete neanche capaci di capirla. –
Non ribatto. Sono solo pronto a farmi sparare. Sto per fare un passo, quando sento la voce indignata di Ally. – I’m a nag! – sbotta, e sembra quasi arrabbiata.
- Sì, esatto, troietta. – risponde l’uomo. – Sei una rompipalle. E forse ti farò esplodere il cervello prima che arrivino. Dirò che hai provato a scappare, che ne dici? –
- I’m a nag. – ribatte Ally, e ridacchia. Una specie di risata isterica. – I’m a nag, I’m a nag, I’m a nag. –
Lo dice quasi in tono canzonatorio. L’uomo le da uno schiaffo che la fa volare per terra. Lei sputa sangue, ma poi torna a fissarlo, con un’aria di sfida che mi fa attraversare da un brivido.
- I’m a nag... – ripete.
E io capisco. E faccio un passo, un passo indietro, impercettibile, mentre lui non mi guarda. Perché è vero. è vero. è vero. She’s a nag. Già. Immagini mi passano davanti agli occhi. La porta, la guardia, lei in ginocchio.
Sollevo la testa proprio nel momento in cui vedo Ally sollevare qualcosa tra le mani e la guardia aprire la bocca in un urlo muto, prima che uno sparo faccia schizzare via la sua testa in un’esplosione di sangue.
Afferro Ally per un polso e corro verso le macchine, le sue parole che non si sono ancora estinte, che sembrano bruciare nell’aria.
- ...WITH A GUN.

 
  
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