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Autore: Tomocchi    15/03/2014    2 recensioni
[One-Shot partecipante al contest indetto da Baldr sul gruppo Baldr H- perché la fantasia è un optional della storia "Quest'amore è un calcio nei c..."]
I pensieri di Felicia sulla battaglia di New York contro il leviatano.
Un momento difficile, un momento che può cambiare la sua vita e quelle di tutti i suoi amici.
Una ragazza la cui sfortuna di solito aiuta...
Ma non questa volta.
Questa volta la sfiga, purtroppo, non aiuta granché.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Quando la sfiga…

 

Quando era iniziata la battaglia, la Gatta aveva preso il posto di Felicia. Pensava in modo più razionale, sapeva come sfruttare al meglio le proprie capacità, e aveva imparato moltissimo da Bastet, la dea da cui in parte discendeva.
Tutti attorno a lei urlavano, pensavano a salvare le persone care, a far evacuare New York, ma lei aveva solo un pensiero in testa, un solo e unico obiettivo: il pesciolino dalle uova d’oro non poteva morire. Con Kamar, aveva guadagnato moltissimo durante le missioni dello SFIGA, e avrebbe fatto di tutto per salvarlo.
Era suo amico.
Un amico sincero come pochi, su cui aveva potuto contare. Felicia si era affezionata moltissimo a lui.
Per quello, con l’aiuto di Gary, quando era tornata in sé, si era impegnata a preparare quella pizza per poter attirare il leviatano che il tritone era diventato.
L’aveva preparata concentrandosi al massimo, nonostante l’ansia, nonostante la paura di fallire…e soprattutto, la paura che aveva per i propri genitori, lontani da lei.
La sua determinazione l’aveva sostenuta per tutto il tempo, senza di essa non avrebbe retto.
La sua determinazione era la molla per tutto.
Per sé stessa, per i suoi amici…avrebbe fatto di tutto.
Si era perfino calata dentro il mostro che Kamar era diventato, lungo l’esofago, per salvare il divino Thor, finito dentro il suo stomaco, per poi farlo rigurgitare.
E ci era riuscita, era tornata viva fuori.
Ma qualcosa, poi, era morto.
In entrambe le sue identità.
Un lampo rosso, che la aveva quasi accecata, aveva portato la sua attenzione verso Crono, la divinità del tempo, che aveva trapassato il cranio del leviatano con la lorpav, l’arma atlantidea per eccellenza, usando tutta la sua forza.  
Il tempo sia era quasi fermato.
Una frazione di secondo, e tutto era cambiato.
Qualcosa era sfuggito.
Il presente le era piombato come un macigno.
Il cuore aveva perso qualche battito, il respiro era venuto meno, quando vide Kamar precipitare in forma umana su una delle collinette di Central Park, privo di sensi.
“Maru!” gemette Felicia, preoccupata. Anche se era lontana, e non poteva certo sentirla in quello stato, era stato un gesto involontario, un bisogno che aveva sentito dal profondo del suo animo. Doveva raggiungerlo.
Kamar era suo amico, uno dei suoi pochi amici, non avrebbe potuto perderlo.
Non avrebbe dovuto!
“Non stare lì….alzati in piedi…” sussurrava, tra sé e sé, convinta che a breve, il tritone si sarebbe alzato in piedi, sorretto da Lucas e Lyra, per poi sorridere come al solito.
Immagini e ricordi le passarono frammentati e veloci nella mente, mano a mano che si avvicinava al punto dov’era caduto, quando si sentì afferrare da delle mani forti, e voltandosi si trovò di fronte gli amerindi, che la fissavano impassibili.
“Lasciatemi.” Sibilò, quasi un soffio irato, gli occhi ridotti a fessure e le pupille verticali che indicavano nuovamente la presenza della Gatta.
Doveva vedere come stava, accertarsi che stesse bene.
Ma…
Quell’altare, quelle parole dette dal dio del tempo…
“Maru!” gridò ancora, ansante, mentre cercava di liberarsi dalla stretta di quegli uomini che la tenevano bloccata, graffiando con le unghie diamantate e scalciando come un gatto randagio, incapace di arrendersi.
E infine…
Quel colpo. La testa di Kamar, ora tenuta come un trofeo compiaciuto da quel dio azteco, era uno spettacolo raccapricciante.
Il mondo sembrò fermarsi.
Lanciò un grido, un lungo grido. Sofferente, impregnato di un dolore che la rendeva sorda e ignara di ciò che aveva attorno a sé. Gridò, fino a perdere la voce, come se quello avrebbe potuto toglierle la stretta al petto, quel sapore di bile nel palato, quell’amaro che non aveva mai provato prima.
Annaspò, sentendo le lacrime scenderle copiose e gelide lungo le guance, incapace di dire altro, di muovere anche solo un muscolo.
Non ci sarebbe stata una prossima volta.
Era tutto finito.
Era tutto finito, e non erano riusciti a salvarlo.
Qualcosa, una parte di sé, ed era certa di tutti loro, era morta, persa.
Questa volta, la sfiga non era stata d’aiuto.
Questa volta, la sfiga aveva colpito quanto più duramente possibile tutti loro.

 

 

Parla Tomocchi: Breve One-Shot sul personaggio di Felicia durante la battaglia contro il leviatano a New York, cos’ha provato e come l’ha vissuta.
Non è stato semplice scriverla, era un momento difficile per tutti, e ognuno ha affrontato il dolore a modo suo…e spero di esserci riuscita nonostante il personaggio non mi appartiene >.<
I personaggi appunto non mi appartengono, ma sono di Baldr della storia Quest’amore è un calcio nei c…
La storia partecipa al contest indetta dal gruppo Baldr H- perché la fantasia è un optional, e mi è piaciuta tantissimo come iniziativa! >w< grazie per l'opportunità <3

   
 
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