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Autore: callas d snape    15/03/2014    1 recensioni
L'infanzia di Maya può essere sintetizzata in un'unica parola: inferno. Senza genitori, sfruttata e maltrattata dal nonno per le sue doti, non si è mai sentita amata. Anzi, non si è neanche mai sentita umana. Spesso desidera di non essere mai nata o, addirittura, di morire!
Ma il Destino ha in serbo altri piani per lei, piani che sembrano tutti racchiusi nella D. del suo nome. E così affiancata da una "sorella" combinaguai dalle origini misteriose, una ciurma di pirati sconclusionata e un ragazzo di fuoco con cui condivide lo stesso dolore, Maya scoprirà la bellezza e la gioia dei sentimenti e inizierà una lotta contro il suo passato per cambiare il suo futuro ed essere felice.
N.B. Il rating potrebbe subire variazioni!
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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INCONTRI E SCONTRI

 
LIURAH, MAR ORIENTALE, 5 ANNI DOPO

Era una mattinata serena e la frizzante aria di gennaio scompigliava i lunghi capelli castani della ragazza mentre i raggi solari mettevano in risalto i riflessi ramati altrimenti nascosti dal colore intenso della capigliatura. La bruna alzò la manica sinistra del suo golf color blu scuro come i suoi occhi e sfilò dal polso un elastico col quale si fece una coda molto alta.
Nonostante fossero già le 9 passate, faceva ancora parecchio freddo. La ragazza iniziò a correre per evitare di congelare nascondendo parte della faccia nel collo del maglione. Percorse un paio di kilometri prima di trovarsi alla fine della città, davanti a un piccolo ponte traballante in legno che collegava le due parti dell’isola altrimenti divisa da un profondo crepaccio, che veniva sommerso dal mare con l’alta marea.
La parte nord, quella più grande, ospitava la città e cinque piccoli villaggi  di mercanti e pescatori, persone semplici e alla buona, anche se un po’ limitate; tutto sommato un posto tranquillo dove vivere in pace se si è una persona normale. Ma Maya non era mai stata normale. Per questo preferiva la parte sud dell’isola dove si estendeva un’intricata foresta piena di animali strani e pericolosi. Pochi osavano entrarci, per questo il suo arrivo in città era stato una benedizione: tutte le mattine col suo arco fidato andava a caccia procurando carne per la locanda di suo “zio” e rivendendo il rimanente al mercato cittadino.
Ormai era arrivata ai limitari della boscaglia: incoccò una freccia nell’arco e si avventurò tra la vegetazione facendo meno rumore possibile.  Non dovette addentrarsi neanche troppo: un cervo le si parò di fronte maestoso. Sembrava aspettare solo la freccia di Maya. Lei tese la corda, assottigliò lo sguardo, trattenne il respiro e…
“Ah, eccoti qui! Meno male che non sei andata ad imboscarti, se no chi ti ritrovava!” Il cervo scappò verso il folto della foresta, mentre dalla parte opposta spuntava una ragazza dai capelli biondi corti e un vistoso cerotto sul naso. Maya sbuffò sonoramente e si voltò verso la nuova arrivata: “Lo sai che erano tre settimane che non vedevo un cervo, sorellina cara? E poi ti chiedi perché non ti porto mai con me. Fosse per te non mangeremo mai, Syri!”
La bionda sfoderò il suo miglior sorriso a trentadue denti e si avvicinò alla sorella che stava riponendo arco e freccia. Le separavano solo pochi metri quando Syri inciampò in una vistosa radice finendo faccia a terra. Maya inarcò il sopracciglio destro e disse porgendole una mano: “Possibile che tu non riesca a fare due passi senza cadere almeno una decina di volte?! Hai quasi 14 anni, dovresti aver imparato a camminare ormai! Ce l’hai un briciolo di autoconservazione?”
“Ah, ah!” rispose seccata l’altra mentre si sbatteva la terra dai vestiti e constatava l’entità dei danni: graffi sui palmi delle mani e pantaloni strappati all’altezza del ginocchio sinistro. Tutto sommato poteva andarle peggio! Solo quella mattina, alzandosi, era caduta dal letto e si era fatta male al naso: forse sua sorella aveva ragione quando diceva che lei e l’istinto di sopravvivenza non andavano d’accordo!
“Allora, che sei venuta a fare?” Syri ritornò alla realtà sentendo le parole della bruna che intanto si era seduta su di una radice enorme, ottima panchina naturale. La bionda sorrise di nuovo ed estrasse da dentro una tasca una bustina un po’ stropicciata con un fiocco verde. “Buon compleanno!!!” urlò felice. “Visto che oggi è sabato, ci sarà  il pienone al locale e non potremmo festeggiare come si deve. Quindi ti do il tuo regalo ora così lo puoi aprire in pace. Su, dimmi se ti piace!”
Maya non se lo fece ripetere due volte: aprì la busta dove c’erano tre nuovi rullini e un otturatore nuovo. Sorrise emozionata: Syri la conosceva veramente bene e sapeva quanto amasse la fotografia! Quando era scappata, l’unica cosa che aveva preso oltre all’arco era stata la sua macchina fotografica. Macchina il cui otturatore era passato a miglior vita circa una settimana prima. La bruna si ripromise di aggiustarla quella sera stessa. “Grazie… non dovevi… io non so che dire!” biascicò sapendo bene quanto la minore avesse speso per quell’ingranaggio.
“Ma scherzi? Sei mia sorella: è il minimo che io possa fare!” disse la bionda sedendole accanto.
Già… Loro due si chiamavano sorelle, ma non avevano nessun legame di sangue che le univa. Anzi fino a qualche anno prima non sapevano neanche della loro reciproca esistenza.

Quando la nave aveva attraccato sull’isola,erano trascorsi 2 mesi, 3 settimane e 5 giorni dalla sua fuga. Maya ormai era allo stremo: cercava di mangiare e bere il meno possibile per evitare di farsi scoprire dalla ciurma, ma ormai non ce la faceva più. I vestiti le andavano larghi  e poteva vedersi le costole sotto la pelle secca e disidratata. Quando fu sicura che sulla nave non ci fosse più nessuno, sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio e scese furtivamente dall’imbarcazione, mescolandosi tra la folla. Aveva bisogno di un posto dove nascondersi, cibo, acqua, vestiti nuovi… e tutto senza spendere un centesimo, visto che non ne aveva! Il suo stomaco brontolò sonoramente tanto per rammentarle i suoi problemi.
“Se hai fame puoi venire da me. Mio zio ha una locanda e fa dei piatti buonissimi!” Una bambina più o meno della sua età l’aveva presa per una manica e la guardava sorridendo.
“Ma… ma io non ho soldi..” tentò di ribattere Maya. La bimba allargò ancora di più il sorriso: “Io sono Syri. Dai, vieni con me!
Syri l’aveva portata a casa sua, nutrita e ripulita e aveva convinto suo zio  a tenerla con loro; in cambio lei dava una mano in tutti modi possibili. Maya iniziava a pensare che la sua vita si stesse stabilizzando,  anche se non riusciva ancora a fidarsi completamente dei sui benefattori grazie alle sue esperienze passate e si ritrovava a piangere di notte in un angolino nella sua nuova camera nella mansarda del locale. Ovviamente le cose non andarono bene per molto: non passò neanche un mese che la Marina giunse sull’isola. Cercavano lei.
Era già pronta a scappare di nuovo, ma si era trovata la strada sbarrata da Syri e da Kerr, suo zio che le aveva detto: “È te che vogliono?” Non c’era stata risposta, i marines avevano fatto irruzione nella locanda. “Io li tengo occupati, voi due inventatevi qualcosa!”  riprese Kerr scendendo veloce le scale per bloccare i funzionari del governo.
“Da cosa ti possono riconoscere?” aveva continuato Syri.
“Il tatuaggio sulla schiena, appena sotto il collo.” La voce di Maya era uscita così piano che la bionda aveva paura di aver capito male. Comunque la trascinò nella sua camera in tutta fretta e la fece sedere sul letto, ancora sotto shock; Syri si arrampicò sull’armadio e tirò giù una scatola che si rivelò essere piena di tempere. “Erano di mia madre, anche a lei piaceva dipingere… Fammi vedere la schiena!”
Maya voltandosi iniziò a torturarsi le mani mentre l’altra bimba, che nel frattempo le aveva raccolto i capelli in una crocchia, iniziava stendere del colore freddo sulla sua pelle. “Perché state facendo questo per me. Non mi conoscete neanche!” disse dopo alcuni minuti di silenzio la maggiore.
“È vero, ma ci conosceremo. E per quel poco che so di te, voglio proteggerti.” rispose secca la bionda non accorgendosi delle lacrime che premevano contro gli occhi dell’amica.
Syri non impiegò molto a preparare la bruna: le aveva coperto il marchio oltre alle numerose cicatrici con del color carne e le aveva fatto indossare un top senza maniche facendolo passare con non poche difficoltà dalle gambe. A quel punto Maya, si alzò titubante, si avvicinò alla scrivania, prese un paio di forbici e le passò alla bionda tornando a sedersi sul letto. Non c’era bisogno di parlare: Syri strinse forte i capelli dell’amica e li tagliò all’attaccatura dello chignon improvvisato poco prima. Così sarebbe stata meno riconoscibile. Dal piano di sotto, intanto, erano iniziati ad arrivare i rumori di una colluttazione.
Le due bambine si fecero coraggio e scesero al pian terreno: Kerr era a terra con un labbro spaccato, in mezzo ai resti di una sedia circondato da tre marines. Tutto intorno regnava il caos. A quella vista Maya iniziò a ribollire di rabbia mentre i suoi occhi iniziavano a tingersi di nero. Siry si accorse del cambiamento dell’amica e le prese la mano cercando di rassicurarla anche se stava tremando di paura.
“Ah, ecco le nostre interessate!” disse un marine che dai gradi doveva essere un commodoro. “Abbiamo l’ordine di cercare in ogni casa bambine di età compresa tra i 9 e i 12 anni e di controllare loro la schiena. Forza angioletti, mostratici le vostre belle schiene!”
Due marines si avvicinarono alle bambine e le voltarono senza delicatezza mentre altri due tenevano a bada Kerr che tentava di rialzarsi. Maya trattenne il respiro e chiuse gli occhi. Aspettò che la trascinassero via, ma ciò non avvenne. I marines che le avevano controllate le lasciarono subito e riportarono l’esito negativo dell’indagine al commodoro.
“Bene, qui abbiamo finito” rispose quest’ultimo “Vi conviene dare una pulita a questo porcile!” e ridendo uscirono tutti dal locale. I tre rimasero immobili per qualche secondo, poi Siry si buttò tra le braccia dello zio scossa da brividi di paura per il pericolo corso: la sua maglietta era stata strappata per far mostrare a quei bastardi la sua schiena candida.
 Maya si buttò in ginocchio, attirando l’attenzione dei due: “Mi dispiace! Non faccio altro che creare problemi! Avete rischiato la vita per aiutare una sconosciuta che non merita neanche di stare al mondo! Vi prometto che vi ripagherò di tutti i danni causati e…”
“Smettila!” la interruppe Syri alzandosi e avvicinandosi a lei. “Sono tutte bugie! Tutti hanno il diritto di vivere, anche il più cattivo degli uomini e di certo non è il tuo caso! Ti toglierò dalla testa queste idee perché da oggi in poi sarai mia sorella. E non accetto un no come risposta!” concluse sorridendole.
La bruna alzò lo sguardo velato dalle lacrime, sorpresa: lei che non aveva mai conosciuto il vero significato della parola famiglia, che era abituata a sentirsi dire “sei un mostro, non meriti niente, solo odio e indifferenza”, avrebbe avuto una sorella e uno zio che l’avrebbero amata per quello che era, che l’avevano scelta, voluta.
Le parole non riuscivano a uscire dalla bocca per la felicità, la sorpresa e un altro miliardo di sentimenti contrastanti. Si limitò ad annuire violentemente col capo mentre il corpo era percosso da mille fremiti.  Syri le si precipitò tra le braccia sorridendo felice mentre Kerr sogghignava: quella peste era tutta sua madre! Non l’aveva minimamente interpellato su una questione così importante, ma tutto sommato non gli dispiaceva quella decisione: si prospettavano giorni interessanti all’orizzonte!

Da quell’episodio, Maya e Syri divennero sorelle a tutti gli effetti. Pian piano la corazza protettiva della bruna si infranse fino a raccontare tutta la sua storia alla bionda: le raccontò del dolore, della paura, del buio che avevano segnato la sua infanzia. Le parlò del suo potere distruttivo, le confidò di non essere mai stata trattata come un essere umano e che alla fine anche lei si era convinta di essere un mostro, una macchina della morte.
Dal canto suo, Syri le mostrava quanto bella fosse la vita e le provava in tutti modi possibili che lei non era un essere ignobile. Le raccontò che i suoi genitori erano morti anni prima, di quanto le mancassero, di come la facesse sentire bene avere una sorella maggiore su cui fare affidamento. La capì quando le disse che non voleva chiamare Kerr “zio”. E lo capì anche Kerr quando glielo spiegò tra mille scuse: all’uomo non importava come lo chiamasse. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, si era affezionato a quella strana bambina ed era felice di vedere sua nipote così contenta.
Gli anni erano passati in fretta: Maya andava a caccia, Syri aiutava alla locanda, poi andavano in spiaggia ad allenarsi: la bruna aveva insegnato alla più piccola a difendersi e a combattere con le spade, acquistate a poco prezzo nella bottega del ferramenta. L’aveva anche aiutata a migliorare la lotta corpo a corpo visto che la bionda andava sempre a cacciarsi in qualche guaio. Quest’ultima, invece, la aiutava a contenere il suo potere distruttivo e a non lasciarsi guidare dal dolore per la morte della madre, dall’odio nei confronti di suo padre, dal desiderio di uccidere suo nonno.
Erano una squadra perfetta: riflessiva e riservata la prima, aperta e più impulsiva la seconda. Erano agli opposti, ma era per questo che funzionavano così bene insieme!
Maya si riscosse dai suoi pensieri, scese dalla radice e si infilò il regalo in tasca: “Grazie per il pensiero, lo adoro. Però ora è meglio che torni a casa. Io devo cacciare e tu devi andare ad aiutare Kerr visto che sta notte è andato fuori a pesca. Ce la fai ad uscire da sola da qui?”
La bionda scese dalla radice a sua volta: “Ok che ho un pessimo senso dell’orientamento, ma siamo ancora vicini alla città, ce la faccio ad andarmene da sola! Ci vediamo dopo sorellina!” e salutandola ritornò sui suoi passi, mentre la bruna si addentrava ancora di più nel fitto della foresta.
 
Dovevano essere passate circa 2 ore da quando aveva iniziato la caccia e ormai Maya si poteva ritenere soddisfatta: aveva preso tre galli selvatici, cinque lepri grazie alle trappole che aveva piazzato il giorno prima e persino un fagiano variopinto; ma del cervo non aveva più trovato le tracce.
Stava per tornare a casa quando, come chiamato dalla sua mente, l’animale riapparve per scomparire subito dopo dietro a dei cespugli. Maya non ci pensò due volte: nascose il sacco con le sue prede, incoccò l’arco, spostò i cespugli e… si ritrovò sulla scogliera a picco sul mare: era arrivata alla fine dell’isola. Non c’era modo di scappare da lì se non la strada appena percorsa: possibile allora che se lo fosse immaginato?
Lo sguardo di Maya si posò sconsolato sull’ampia distesa marina e rimase sorpresa: una piccola imbarcazione a vela si stava avvicinando all’isola, ma era ancora piuttosto lontana per capire chi fosse lo sconsiderato che aveva deciso di prendere il mare in quella stagione con quella barchetta. L’unica cosa che riusciva a distinguere chiaramente era il vistoso cappello arancione del marinaio.
 
Ace guardava sconsolato la sua imbarcazione: la tempesta di due giorni prima l’aveva quasi fatta affondare insieme a lui ed ora era ridotta piuttosto male. Fortuna che era arrivato nelle prossimità di un’isola dato che anche acqua e cibo ormai scarseggiavano: ed era partito solo da due settimane!
Si voltò verso l’isola per guardare se ci fosse un punto d’approdo, ma tutto ciò che vide  furono scogliere a strapiombo e una folta vegetazione. I casi erano due: o l’isola era disabitata o il villaggio doveva trovarsi dall’altra parte. Ace pregò il cielo che fosse la seconda.
Poi si accorse di una cosa che prima non aveva notato, o meglio, di una persona. Una ragazza era ferma sul ciglio della scogliera e guardava nella sua direzione. Il moro tirò un sospiro di sollievo capendo che l’isola era abitata. Finalmente avrebbe gustato un bel pranzo abbondante e avrebbe fatto riparare la barca.
Il vento cominciò a soffiare portando con se uno strano odore che fece sgranare gli occhi al ragazzo: profumo di gelato al cioccolato e cera calda. La mente di Ace ritornò alla notte del suo dodicesimo compleanno, a quel desiderio stupido che aveva espresso a cuor leggero e poi ricacciato nei meandri oscuri della sua memoria. Un po’ agitato alzò nuovamente gli occhi dove prima stava la ragazza, ma di lei non c’era più alcuna traccia e anche il profumo se n’era andato disperso nell’aria.
 
Ace camminava per le strade della cittadina sconsolato. Aveva impiegato un po’ di tempo per trovare il porto dell’isola che per di più era molto affollato visto che quasi tutti i pescatori stavano ritornando dalla nottata di pesca. Poi aveva dovuto spendere tutti i suoi miseri risparmi per far riparare la nave in tempo di record e nonostante tutto ci sarebbe voluto come minimo tutto il giorno! Come colpo di grazia, era mezzogiorno passato, stava morendo di fame e non aveva un soldo bucato in tasca! Destino volle che si trovasse a passare davanti una locanda dalla quale veniva un profumino di carne arrosto squisito. Il suo stomaco protestò rumorosamente ed  Ace prese la sua decisione…
 
Syri guardava sconcertata il ragazzo che le si trovava davanti: era molto attraente, non c’erano dubbi su quello, ma era anche un vero e proprio maiale! Tutti i clienti lo fissavano inorriditi È vero che anche lei, quando si trattava di cibo, dava il peggio di sé, ma quel… “ragazzo” era esagerato! Era meno di un quarto d’ora che era arrivato e aveva già ingurgitato 10 scodelle di ramen, 5 porzioni di pollo arrosto e almeno una dozzina di spiedini di pesce. Per tacere de bere: quella era la terza bottiglia di birra che si scolava!
La bionda stava servendo indaffarata un tavolo, maledicendo la lentezza di sua sorella nelle consegne, quando da dietro le giunse un rumore sordo poco rassicurante. Si voltò e ciò che vide la lasciò senza parole: il “maiale” al bancone  era caduto svenuto con la faccia nell’ennesima ciotola di ramen. Agitata gli si avvicinò tra il mormorio dei clienti per controllare se stesse bene. Gli stava per scuotere la spalla muscolosa, quando il moro alzò la testa di scatto, facendole quasi prendere un infarto; poi con sguardo assonnato e la faccia ancora sporca di ramen disse: “Scusate, mi ero appisolato!” suscitando lo sconcerto di tutti.
Syri non riuscì a trattenere una risata: tutto sommato quel tizio singolare le andava a genio. Anche Kerr si era affacciato dalla cucina attirato dal rumore e aveva assistito alla scena, commentando: “Ragazzo, non è una cosa normale. Dovresti farti controllare da un medico!”
Ace si grattò la testa sopra il cappello e ridacchiò imbarazzato. Poi accettò il fazzoletto che gli offriva la cameriera: quelle persone erano proprio gentili e gli dispiaceva dover attuare il suo piano con loro, ma che altre scelte aveva?
Così, approfittando di un attimo di distrazione di Syri se la diede a gambe. Troppo lentamente, però, per non essere notato da Kerr , che gridò: “Ehi, bella addormentata, non hai pagato il conto!”                                       A quelle parole Syri scavalcò il bancone poco elegantemente rovesciando parecchi piatti e bicchieri suscitando un’ulteriore imprecazione da parte dello zio, e si mise all’inseguimento del debitore urlandogli a squarciagola: “Fermati, mi devi più di 100 berry!!!”
Ma Ace non l’ascoltava e continuava a correre sperando che prima o poi la sua inseguitrice si stancasse, ma non conosceva per niente la bionda; infatti dopo più di 5 minuti di corsa, forse per il fatto che lei non aveva mangiato fino a scoppiare, lo aveva quasi raggiunto. Decise allora di cambiare strategia: cercò di prendere la sua avversaria alla sprovvista svoltando all’ultimo secondo in vicolo stretto. Pessima mossa! Troppo concentrato a guardarsi le spalle, non si accorse della ragazza che aveva di fronte, finendo così per travolgerla e trovarsi a terra entrambi.
“Scusami tanto, non ti avevo vista! Stai… bene?” le parole gli morirono sulle labbra mentre i suoi sensi erano inebriati di nuovo da quel profumo di cera e cioccolato e i suoi occhi si perdevano nel blu della notte di quelle iridi magnetiche. Anche se l’aveva vista solo per pochi attimi la riconobbe subito come la ragazza della scogliera.
Anche Maya lo aveva riconosciuto: era il marinaio dallo strano cappello che aveva scorto quella mattina. Se prima lo aveva solo immaginato, ora lo poteva asserire con certezza: era proprio un bel ragazzo con due occhi color ossidiana davvero ipnotici che le davano un senso di sicurezza mai provato prima.
Il tempo sembrava essersi fermato per entrambi: non si ricordavano di essere sdraiati in mezzo a una strada, in una posizione alquanto equivoca. Fu Syri a riportarli alla realtà: “Grande sorellona! Hai preso il ragazzo che non ha pagato il conto!”
Sorella?! Ecco, ora sì che Ace era veramente fregato!


 
 
 
N.d.a.
E anche il secondo è andato! Volevo inserire un’immagine di Maya e Syri, ma faccio veramente schifo a disegnare! Quindi immaginatevele come meglio credete! Se poi troverò delle immagini che assomiglino alla mia idea e, soprattutto, mi insegnerete come postarle, ve le farò vedere!:)
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite/seguite e tutti i lettori del primo capitolo. Purtroppo non ho ricevuto neanche una recensione!:( Pazienza lavorerò ancora più sodo!
Comunque, se volete, ditemi cosa ne pensate, così posso migliorare e rendere la storia sempre più interessante!
Ci si vede ad aprile! A presto. C.S.
P.s. Mi stavo quasi per dimenticare! Tra le richieste di inserire nuovi personaggi, ce n'è una anche mia: la coppia Killer/Penguin. Se anche a voi piace questa coppia, per favore datele il voto. Rendiamo canon  la coppia Kirachan/Penchan!     
  
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