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Autore: Emily Alexandre    16/03/2014    3 recensioni
Londra 1857.
Chi è Edmond de Saint-Denis, conte de Penthièvre? Tutta la nobiltà londinese se lo domanda, da quando è corsa la voce che un ricco ed eccentrico francese ha affittato una villa nel Borgo reale di Kensington e Chelsea, portando con sé un'affascinante guardia del corpo e una misteriosa protetta che si sussurra sia in realtà l'amante. Eppure, dietro quella maschera di nobile schivo e seducente, Edmond cela un segreto che lo tortura da tredici anni, da quando non era che un giovane di belle speranze, perdutamente innamorato della sua Pearl. Un giovane accusato e condannato per un reato che non ha commesso. Non esisterà pace, per Edmond, finché la sua vendetta non sarà compiuta. Londra lo accoglie acclamandolo, ma Londra non sa quanto male gli abbia fatto uno dei suoi viziati figli, che voleva una donna che non gli apparteneva.
Novello Montecristo, compirà la sua vendetta o la sua mano verrà fermata prima di scagliare il colpo mortale?
"Non aspiro al Paradiso, ho conosciuto l'Inferno e non mi spaventa. Non ci sarà pace per me dopo la morte, ma può esservi ora, in questa vita e in questo mondo, nella mia Vendetta."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
Capitoli:
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Sangue e inchiostro 

 
 

‘Cause they took your loved ones
But returned them in exchange for you
But would you have it any other way?
Would you have it any other way?
You could have had it any other way
‘Cause she’s a crueller mistress
And the bargain must be made
But oh, my love, don’t forget me
But I let the water take me

What The Water Gave Me – Florence And The Machine

 

 
 
I

Situato nel Borgo reale di Kensington e Chelsea, appena a sud di Hyde Park, il quartiere di Kensington era diventato negli ultimi anni la meta più ambita della classe nobiliare inglese, come se il sol fatto di possedervi un’abitazione mostrasse al mondo la propria ricchezza. Era, in effetti, uno dei fregi di quell’Inghilterra della regina Vittoria, che in quei giorni celebrava i primi dieci anni di regno.
Le ville erano imponenti, bianche o decorate con mattoni rossi sulla facciata ed ornate di colonne, frontoni e file di ampie finestre, circondate da un curato giardino all'inglese in cui le zone di luce si alternavano a zone d'ombra causate da alberi di tasso o di faggio; alla fine di Hornton Street un ampio ed alberato viale permetteva l’accesso ad una enorme villa, forse la più ricca del quartiere, che da poche settimane era tornata a vivere dopo mesi di abbandono in seguito alla morte del precedente proprietario e alla partenza del di lui erede. Le voci su chi l’avesse affittata erano le più svariate, ma persino il personale sembrava all’oscuro della sua identità, salvo la governante, Mrs. Betteredge, che però sembrava decisa a non parlare.
D’altro canto la donna aveva le sue ragioni per tacere: dopo la morte di Lady Colerige, presso cui aveva prestato servizio per trent’anni, si era ritirata in campagna dalla sorella a godersi il meritato riposo, finché un amico dei suoi vecchi datori di lavoro non l’aveva contattata chiedendole di ritornare a Londra per alcuni mesi, a servizio presso la villa presa in affitto da un nobile francese. Mrs. Betteredge aveva contemplato l’idea di negarsi, ma il tono quasi supplice della missiva l’aveva spinta ad accettare, soprattutto perché si era convinta che il conte di Penthièvre fosse un ricco scapolo francese di visita a Londra che non avrebbe avuto molte necessità, poiché raramente gli uomini soli si trattenevano a lungo dentro le mura domestiche. Nulla, di certo, le aveva fatto sospettare l’esistenza di una donna dalle origini chiaramente orientali che, nonostante le fosse stata presentata come una semplice protetta del conte, si comportava come la padrona di quella casa. 
Il conte si era mostrato alla servitù solo il giorno in cui era giunto a Londra, per poi svanire, mentre quella donna dirigeva l’abitazione e si faceva servire e riverire come una nobildonna.
Così, quando quella mattina un eccentrico dandy dagli abiti più colorati di un arcobaleno e i lineamenti marcatamente mediterranei bussò alla porta, la donna non si stupì affatto e si limitò ad atteggiare le labbra in una smorfia di disappunto.
 
L’uomo che aveva destato così tanta indisposizione, però, pareva non essersene accorto ed osservava la veranda in attesa che qualcuno gli aprisse la porta e gli permettesse di visitare per la prima volta l’abitazione in cui avrebbe vissuto per i successivi mesi; quanti, con l’esattezza era difficile stabilirlo, ma d’altro canto non avevano particolare fretta, la Memento era in ottime mani, insieme al resto della flotta, e una volta a settimana sarebbe bastato andare al porto per ricevere notizie. E Londra, che aveva sempre immaginato come grigia e cupa, l’aveva accolto con un sole che non era neppure lontanamente paragonabile a quello della sua terra natia, ma era pur sempre sole.
 
-Il signore desidera?
 
Il nuovo arrivato osservò con deliziato stupore la figura impettita del maggiordomo che gli aveva aperto la porta, ma la sagoma familiare che scendeva di corsa le scale conquistò tutta la sua attenzione e così entrò nell’abitazione senza neppure curarsi di rispondere all’uomo che, per tutta risposta, si era fatto da parte pronto a chiamare in camerieri in aiuto.
 
-Don Miguel, era ora arrivassi!
 
L’uomo si limitò ad aprire le braccia e ad accogliere il corpo filiforme e ben poco vestito della Signora di quella dimora, tra lo sconcerto dei domestici e la riprovazione di Mrs. Betteredge per quella manifestazione di pubblico affetto e per l’abbigliamento decisamente poco consono della donna.
Cléopâtre prese il volto dell’uomo tra le mani, incurante di qualsiasi cosa li circondasse, e tirò un profondo sospiro di sollievo vedendolo riposato e privo di tumefazioni, senza nascondere affatto l’apprensione che aveva provato nel saperlo vagabondare per una città che non conosceva alla ricerca di informazioni.
 
-Non fare la mammina apprensiva, dolcezza.- commentò Miguel, chiedendole poi di spostarsi in un posto più discreto. Cléopâtre lo prese per mano e salì al piano superiore, nel salottino in cui aveva trascorso le sue ultime giornate come una tigre in gabbia che agogna l’aria aperta e che aveva imparato ad odiare in ogni angolo perfettamente pulito, in ogni centrino di pizzo e in ogni fiore che soffocava l’aria: più ordinava ai domestici di buttarli, più i fiori invadevano la dimora in una palese rimostranza contro una donna che sovvertiva qualsiasi ordine avessero conosciuto fino a quel momento. Cléopâtre prese l’ennesimo vaso colmo di rose e lo rovesciò dal balcone, compresa l’acqua: che perdessero pure tempo a pulire il loro prezioso patio e comprendessero che lei non era donna con cui giocare.
Infine arrivò la domanda, quella a cui non avrebbe saputo cosa rispondere, perché il Capitano l’aveva lasciata sola il giorno seguente il loro arrivo, per poi sparire senza dare notizie, nonostante avesse precisato, prima di sbarcare, che sarebbe stato Miguel a girare per raccogliere notizie, mentre lui avrebbe aspettato l’occasione propizia per mostrarsi, alimentando la curiosità della nobiltà londinese.
 
-È alla ricerca di qualche tipo di espiazione.- commentò la donna in replica alla espressione perplessa dell’uomo, liquidando quel dettaglio con un gesto della mano. –Insomma, l’hai trovata?
 
Miguel annuì –Non è stato difficile, i nobili si conoscono tutti.
 
-E?
 
La porta che si apriva fece morire la risposta sulle labbra di Miguel, che riconobbe dalla camminava chi stava entrando, prima ancora di vederlo: era il passo strascicato di chi era abituato a muoversi agilmente sulle navi, ma mal si conciliava con la fermezza della terra. Si alzò e quasi non riconobbe nell’uomo riccamente vestito, senza barba e con i capelli in ordine il pirata che serviva da oltre dieci anni; Cléopâtre, dal canto suo, non si mosse, continuando ostentatamente a guardare fuori dalla finestra, assetata di libertà e livida di rabbia repressa.
Il Capitano entrò nella stanza e, senza parlare, si sedette su una poltrona poggiando il bastone accanto a sé: la mano distrattamente accarezzava la perla nera che ne adornava la cima, ma lo sguardo era attento.
 
-Lady Mary Victoria Doyle vive in una villa a Notthing Hill con il marito, si è sposata tredici anni fa e conduce una vita mondana molto assidua, è madrina di svariate società di beneficienza ed è spesso a corte, specchio dell’irreprensibile donna inglese che alla regina piace tanto. Il marito, d’altro canto, è di tutt’altra pasta, gioca senza ritegno e viene spesso avvistato in case di appuntamenti.
 
La mano del Capitano si serrò sul bastone, ma il tono leggero di Miguel non lo ingannò.
 
-Cos’altro?
 
Miguel tentennò, chiedendosi quali implicazioni la notizia avrebbe portato al piano, ma d’altro canto prima o poi la verità sarebbe venuta alla luce e loro avrebbero dovuto sapere sin dal principio quali mostri stavano affrontando.
 
-Ha due figli, il maschio ha dieci anni e la bambina sei.
 
Bastò quella frase per far smuovere Cléopâtre, che si voltò di scatto ad osservare il Capitano; dal canto suo, l’uomo sembrò non dare alcun peso a quell’informazione.
 
-E stasera sarà all’Opera?
 
Miguel annuì, -Sì, ho preso in affitto il palco davanti a quello dei Doyle.
 
Il Capitano annuì e si alzò, dando le spalle a entrambi e fece per uscire, per poi fermarsi sulla porta. –Mi accompagnerai tu, fatti trovare pronto alle sei.
Il suono di vetro infranto fece sussultare i due uomini, ma nessuno si stupì nel vedere Cléopâtre in piedi e furibonda.
 
-Perché non posso venire? Non puoi chiudermi in casa! Di cosa hai paura, che la tua preziosa Victoria resti sconvolta nel rivederti e per giunta in compagnia di una donna araba?- Sapeva di aver passato il segno, ma l’idea di essere esclusa ancora una volta, di dover rimanere chiusa in casa mentre fuori Londra palpitava di vita la faceva impazzire. Esistono ferite che non si rimarginano mai del tutto. –Non puoi disporre di me come se fossi una tua proprietà.
 
L’uomo neppure si mosse, -Sapevi quale fosse il piano sin dal primo momento: Cléopâtre de Penthièvre farà il suo debutto a tempo debito, ma se la cosa non ti aggrada sei libera di tornare sulla Memento e attendermi lì. Edmond de Saint-Denis, conte de Penthièvre stasera sarà all’Opera insieme alla sua guardia del corpo, Don Miguel Garcìa, e questo non si discute. Non osare mai più dirmi che ti tratto come se fossi una mia proprietà, donna.
 
E senza aggiungere una parola uscì dalla stanza, lasciando il gelo alle proprie spalle.
 
Cléopâtre tornò a sedersi sul divano, incassando la sconfitta e guardando Miguel negli occhi. –Sarà sempre così, sai? Non importa quanto tu ed io possiamo amarlo, Victoria, la sua perla nera maledetta, verrà sempre prima di tutti.
 
***
La Royal Opera House era particolarmente affollata quella sera, la voce che la regina e il principe consorte sarebbero stati presenti era circolata rapidamente per i salotti londinesi, spingendo chiunque avesse affittato i posti per l’intera stagione a far preparare gli abiti per la serata e ai meno fortunati a far la corsa ai botteghini per acquistare i rimanenti posti.
Lady Doyle giocava con il bottone di madreperla del guanto fingendo di ascoltare le chiacchiere vacue della nobile che le si era avvicinata, sperando che suo marito si decidesse a lasciare il salotto principale per recarsi al palco, così da non dover più udire gli ultimi pettegolezzi di corte, gli scandali di palazzo, amanti svelati e altrettanti matrimoni combinati tra ragazzi che neppure si conoscevano e la cui unione sarebbe naufragata nel giro di pochi anni.
Si sentiva particolarmente stanca quella sera, benché la sua giornata si fosse svolta come tutte le altre nel corso della Stagione, tra sale da te e occasioni di beneficienza, tornando a casa solo il tempo di mettere a letto i bambini e cambiarsi per la serata; la stanchezza era come una sensazione sottopelle, l’indefinibile attesa di qualcosa che non avrebbe saputo identificare che le chiacchiere, anziché attenuare, contribuirono ad aumentare.
La notizia che passava rapida di bocca in bocca, nascosta dietro preziosi ventagli, non fosse alcun amore peccaminoso, né il possibile arrivo della coppia reale, bensì la ventilata presenza di un nobile francese appena giunto a Londra in tempo per la Stagione e che si diceva avesse girato il mondo, portando con sé un baraccone di rarità. Lady Doyle non si stupì affatto, conoscendo l’annoiata società londinese, e pregò in cuor suo che l’uomo fosse o molto vecchio o molto sposato, perché in caso contrario sarebbero iniziate le macchinazioni di qualsiasi madre che avesse figlie in età da marito, soprattutto se il patrimonio si avvicinava davvero a quanto si vociferava.
 
-E quanto si fermerà?- chiese più per conversare che per reale interesse, ma Lady Winterset fu così entusiasta di aver suscitato l’interesse della donna che snocciolò in un istante tutte le voci che aveva udito in quegli ultimi giorni: qualche mese, forse un anno, un mese al massimo, magari per sempre.
Lady Doyle sospirò rassegnata e quando il marito la raggiunse nascose un sospiro di sollievo dietro il ventaglio, benché non si illudesse che le chiacchiere si sopissero con l’inizio della rappresentazione; bastarono pochi istanti affacciata al balconcino per rendersi conto che quella sera i bisbigli erano più fitti che mai e che persino l’arrivo della regina Vittoria provocò meno notizia del solito.
 
-Voi sapete qualcosa di questo misterioso francese?- chiese al marito dopo alcuni istanti, più esasperata che curiosa.
Sir Patrick Jonathan Doyle scosse appena il capo, -solo che ha affittato un palco qui all’Opera e, a giudicare dal pienone, scommetterei per quello lì,- commentò indicando davanti a loro, -l’unico vuoto in tutto il teatro. Ma magari non si farà vedere e queste chiacchiere finiranno in una bolla di sapone.
Sistemandosi le gonne nello spazio ristretto del palco, Victoria attese che suo marito le si accomodasse accanto e poi si lasciò trasportare dal vociare senza davvero ascoltare qualcosa, salutando di tanto in tanto qualche nobile che incrociava il suo sguardo, finché le luci non calarono e i cantanti non comparvero sul palco; fu un istinto a farla voltare dopo alcuni minuti verso quel palco vuoto che, in quel momento, si stava riempiendo di due figure che la luce del corridoio illuminò un solo istante prima che la porta si chiudesse alle loro spalle. In quel momento decine e decine di teste si voltarono verso i nuovi arrivati e Victoria si accorse di tremare: era bastato quell’istante di luce per farle intravedere i volti, per farle provare un senso di vertigine, un deja-vu, come se un fantasma del passato si fosse materializzato lì, in quel luogo e in quel tempo.
Tenne gli occhi fissi sul palco, sentendosi osservata, ma senza trovare il coraggio di voltarsi e accogliendo con sollievo l’intervallo: sarebbe scesa nel salotto, avrebbe finalmente incontrato il soggetto di tante chiacchiere e sarebbe tornata a respirare, abbandonando quella sciocca sensazione che la stava perseguitando.
 
-Victoria, mia cara, l’avete visto? Ha affittato il palco proprio davanti al vostro!
 
Lady Doyle sorrise forzatamente a Lady Palmerston che l’aveva presa sottobraccio e la stava trascinando ai piani inferiori, desiderosa di essere tra i primi a conoscere il conte.
 
-L’ho solo intravisto, era molto buio.
 
Ma la donna non la stava già più udendo e, abbandonato il suo braccio, si era slanciata tra la calca per poi ricomporsi a pochi passi da un capannello di persone che stanziava vicino al bar e all’angolo libreria; vedendo il nobile che dava loro le spalle, più attratto dai libri che da quel cicaleccio, la donna sorrise, avvicinandosi a sua volta, ma si fermò nel momento stesso in cui il conte prese un volume dalla libreria in mogano, gelandosi sul posto con le orecchie che le fischiavano e il cuore che pareva esploderle, incurante della calca e degli spintoni infastiditi. Chiuse gli occhi, tentando di riprendere a respirare normalmente e rifiutandosi di svenire come una qualsiasi donnetta dal cuore debole, ma nella sua mente si affollavano immagini sepolte dal tempo, frammenti di una vita da cui sembravano essere passati mille anni.
Le mancò l’aria e l’uomo che le stava davanti con un bicchiere di acqua in mano arrivò al momento più opportuno.
 
-Vi ho vista impallidire,- si giustificò questi –e non vorrei mai che una così bella donna svenisse in mezzo alla calca: sarei costretto a sopportare troppi uomini attorno a voi.
 
Victoria sorrise all’estraneo, accettando il bicchiere, -Dovreste sopportare soprattutto mio marito, signore, e vi consiglio caldamente di non rivolgervi a una signora in quel modo se non vorrete essere voi a trovarvi circondato, ma da uomini armati.
 
Miguel scoppiò a ridere di cuore, per poi ricomporsi rapidamente quando si accorse degli sguardi stupiti che gli rivolsero.
-Permettete che mi presenti: Don Miguel Garcìa, per servirla.
 
-Lady Victoria Doyle, che vi è infinitamente grata per l’acqua.
 
L’espressione raggelata sul volto dello spagnolo la spiazzò, ma fu solo un attimo, perché il misterioso conte si era liberato dei curiosi e si era avvicinato a loro, richiamando tutta l’attenzione della donna.
 
-Spero che Don Miguel non vi stia importunando. Sono Edmond de Saint-Denis, conte de Penthièvre.
 
Era un bell’uomo sulla quarantina, con i capelli lunghi fino alle spalle, la pelle bruciata dal sole, come se avesse trascorso la vita in mare, e la voce roca di chi non è abituato a parlare molto; tuttavia furono sopratutto le sue mani ad attirare la sua attenzione, mani grandi e venose. Mani sporche d’inchiostro.
 
-Signor conte, spero che non vi abbiano importunato troppo.- commentò tentando di scacciare i pensieri assurdi che le avevano attraversato la mente dal primo momento in cui l’aveva visto.
 
L’uomo le sorrise appena, fissandola ostentatamente.
 
-Me lo aspettavo, in realtà, e il mio Miguel stava facendo un buon lavoro per tutelarmi prima che voi attiraste la sua attenzione.
 
-Un mancamento dovuto al caldo,- si trovò a giustificarsi pur senza averne motivo, -ma sono felice di restituirvi il vostro accompagnatore. La rappresentazione sta ricominciando.
 
Cercò suo marito con lo sguardo e, dopo averlo trovato, si allontanò rapidamente per raggiungerlo, ma per tutto il resto della serata il suo sguardo non si spostò dal palco davanti al proprio:benché fosse avvolto dal buio era sicura che anche il conte la stesse fissando.
Poteva essere vero? Erano trascorsi tredici anni da quando aveva visto quel volto l’ultima volta, tredici anni due mesi e otto giorni, ma non l’avrebbe mai potuto dimenticare e in cuor suo aveva sempre saputo che sarebbe tornato.


 

 
 
Note: Bentornati o benvenuti! Prima di qualsiasi discorso ringrazio immensamente Acqua per il bellissimo banner, che adoro terribilmente *__*
Come promesso ecco il primo capitolo, in cui incontriamo quelli che saranno i personaggi principali della vicenda... E ritroviamo il nostro misterioso girovago.Vi siete fatti un'idea dei personaggi o ancora no? Io l'ho detto da sempre e lo ripeterò anche ora: ci sono pochi personaggi in questa storia, ma molte identità. Il prossimo aggiornamento arriverà -spero- in un paio di settimane... Nel mentre, se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate ne sarei felice :)
Per chi volesse trovarmi anche fuori da efp, vi lascio i contatti facebook, gruppo e pagina, e il blog.
Un abbraccio,
Ems
   
 
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