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Autore: Princess of Dark    17/03/2014    3 recensioni
"E ho guardato dentro un emozione e ci ho visto dentro tanto amore che ho capito perché non si comanda al cuore"
Così dice Vasco Rossi nella sua famosa canzone, così alla fine la penseranno Stefan ed Evelina. Lei scontrosa, indomabile e testarda, lui presuntuoso, arrogante e irresistibile.
Tratto dalla storia: «Ti odio»
«Sai cosa diceva Shakespeare?», sorrise Stefan dolcemente, come se lei gli avesse sussurrato le più dolci parole.
«Cosa?», mormorò Evelina scossa.
«Amami o odiami, entrambi sono a mio favore. Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore. Se mi odi, sarò sempre nella tua mente»

Seconda classificata al contest "Quando le dirai..." di darllenwr
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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“Per i nemici non riscaldate tanto la fornace da bruciarvi voi stessi”
William Shakespeare

 
Com’era stato calcolato, i cinque arrivarono in tarda serata in una locanda per far riposare i cavalli e approfittarne per concedersi un po’ di riposo dopo l’intera giornata di viaggio.
Per Evelina e Stefan era stato più qualcosa di molto simile a una tortura e le loro facce stanche ne erano la prova: avevano più bisogno loro di dormire che chiunque altro sarebbe stato su quella carrozza.
Pagarono anticipatamente i soldi per trascorrere la notte e poi si fecero accompagnare ognuno nella propria stanza.
Eva ringraziò il cielo per quel briciolo di silenzio e di tranquillità che aleggiavano nella stanza, si sedette sul bordo del letto fino a stendersi completamente su di esso e chiuse gli occhi.
Non sapeva come comportarsi, Stefan non aveva ancora mollato. Non aveva perso la speranza di fargli cambiare idea, ma di solito le bastava mostrarsi agli uomini qualche minuto per farli scappare. Lui invece aveva resistito a un’intera giornata di chiacchiere, parole sprezzanti e insulti gratuiti a tutte le ore e non aveva ancora ceduto.
Non che questo bastasse a far crollare tutte le sue certezze: non voleva neanche immaginare cosa sarebbe successo se non fosse riuscita ad attuare il suo piano.
Qualcuno che bussava alla porta la fece trasalire, così drizzò a sedersi e pronunciò un “avanti” incerto chiedendosi chi fosse. La testa mora di Nina la fece tirare un sospiro di sollievo e così rilassò di nuovo le spalle.
«Ero passata a vedere se vi serviva un aiuto…», accennò lei apprensiva, scrutando Eva alla ricerca di qualche dettaglio che potesse rivelare i suoi pensieri.
«Sto bene così, grazie», sussurrò con un tono di voce stanco.
Si udirono improvvisamente delle risate provenire dalla stanza accanto.
«Nina, chi c’è nella stanza accanto?», chiese la ragazza, aggrottando la fronte.
«Il conte Wilson»
«Raphael?»
«L’altro», precisò Nina, evitando di dire il suo nome. La spaventava pronunciare il suo nome, sapeva che, anche solo a sentirlo pronunciare, Eva sarebbe potuta andare in escandescenza.
Nella mente di Evelina si dipinsero tante immagini fantasiose per potersi spiegare quelle voci di donna che venivano dalla sua stanza. Le tornarono in mente le parole di Stefan “Ci fermeremo in qualche locanda per la notte, possibilmente con qualche cameriera carina” e provò una strana sensazione di rabbia.
No, non poteva permettergli di spassarsela quando invece lei stava passando un inferno: se era così ostinato a doverla sposare doveva fare a meno delle sue amanti.
Scattò all’in piedi e uscì dalla stanza, noncurante del fatto che indossasse la camicia da notte.
«Eva!», esclamò Nina sorpresa, scostandosi intimorita al suo passaggio.
Non bussò alla porta, aprendola direttamente e sorprendendo una donna seminuda a cavalcioni su Stefan che teneva le mani sui suoi fianchi larghi.
 Sul volto dei due si dipinse un velo di stupore e s’immobilizzarono, osservando Evelina come se fosse un fantasma.
«Potevate avere almeno la briga di fare in silenzio. Ricordate quello che vi ho detto prima, conte?», ringhiò lei, portandosi le mani ai fianchi. La donna saltò giù dal letto e recuperò in fretta i suoi vestiti, rimanendo a guardarla con l’aria colpevole. Stefan invece non poteva che rimanere sul materasso con la sua camicia mezza sbottonata e stracciata, che la osservava quasi con compiacimento e orgoglio.
«Sparisci», minacciò Eva alla donnina che scappò via impaurita, lasciando socchiusa la porta alle sue spalle.
«Non vi hanno insegnato a bussare alla porta?», intervenne Stefan, conquistandosi un’altra occhiataccia truce.
«Questa sarà l’ultima volta che avrete una donna nel vostro letto. Ve lo prometto», minacciò lei decisa senza perdere la calma, puntandogli contro un dito. Lui si alzò svogliatamente e si avvicinò.
«E allora perché non colmate voi il mio desiderio irrefrenabile?», sussurrò, allungando una mano per sfiorarle la spalla nuda. «Avevo ragione nel dire che a letto sareste stata terribilmente sexy», aggiunse con un sorriso beffardo. Evelina indietreggiò come se fosse stata investita dalla corrente elettrica, sottraendosi al suo tocco delicato, mentre sentiva le sue gote andare a fuoco.
«Non osate toccarmi», sussurrò trai denti come un cane rabbioso.
«Tentavo di farvi un complimento!». Stefan fece spallucce, senza togliersi quel suo sorrisetto beffardo che faceva sentire Eva presa in giro e terribilmente umiliata.
«Non aspettatevi di certo dei ringraziamenti!», scoppiò a ridere, aprendo del tutto la porta e dandogli le spalle per poter andare via. «E abituatevi alle notti solitarie, mio caro libertino», aggiunse divertita lasciandolo in preda ai suoi desideri.
Sapeva che gioco stava giocando: voleva sedurla e umiliarla, credendo di riuscire a trasformarla in una delle sue puttane che gli baciavano i piedi, ma Stefan non sapeva con chi stava giocando.
Del resto, anche lui era rimasto abbastanza sorpreso dalla reazione di Evelina: quando aveva invitato quella cameriera nella sua stanza non ci aveva pensato che nella stanza accanto la duchessa potesse averli sentiti, né tantomeno aveva previsto un’interruzione così brusca.
Stefan chiuse la porta a chiave sbuffando e si sfilò la camicia impregnata dal profumo di quella ragazzina tutt’altro che innocente, rivolgendo lo sguardo alla luna piena attraverso la finestra.
Non riusciva a togliersi dalla mente il collo nudo di Evelina, la stoffa leggera che metteva in risalto le sue linee così morbide, i piccoli capezzoli che tendevano la stoffa che aveva tanto osservato mentre lei minacciava la cameriera. Si sorprese poi dei suoi pensieri perversi, non tanto per il pensiero in sé ma perché era il soggetto ad essere sbagliato: non doveva permettere ad una donna come Evelina di poter decidere per lui e farlo sragionare.
 
«Conte Wilson…»
«Vostro padre vi ha affidata a me», sussurrò Stefan al suo orecchio con un sorriso maligno e perverso, prima che le sue mani potessero afferrare prepotentemente quelle di Eva fino a lasciarle i lividi. Eva cercò di divincolarsi, strattonando i polsi, ma lui era più forte.
«Lasciatemi andare!»
«Ora mi appartenete», aggiunse, legandole le mani.
«No!», urlò Evelina, aprendo di scatto gli occhi e mettendosi a sedere al centro del letto.
Boccheggiò, guardando con gli occhi sgranati per lo spavento il viso di Stefan che la guardava spaesato.
L’essersi appena svegliata da un incubo e ritrovarsi davanti chi ne era la causa la fece rimanere stordita per qualche minuto, facendole chiedere se stesse ancora sognando.
«Che ci fate qui?!», squittì infine agguantando le coperte per coprirsi fino al collo, lanciandogli un’occhiata accusatrice quando si rese conto che era seduto sul suo letto. Stefan rise, alzandosi e allontanandosi da lei con suo grande sollievo.
«Ero venuto a svegliarvi… volete ancora dormire? Non arriveremo mai a casa di questo passo», esclamò ironico, spingendo giù la maniglia della porta.
«Come se avessi dormito!», fece lei nervosa, ancora scossa dal suo terribile incubo.
«Rivestitevi», ordinò Stefan serio, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
«Che cafone», borbottò Evelina, gettando le coperte dalla parte opposta del letto.
Tirò un sospiro e guardò il suo vestito poggiato su una sedia, poi automaticamente le venne da guardarsi i polsi per costatare che non ci fossero lividi: il suo sogno sembrava così reale, così terrificante. Non avrebbe mai perdonato a suo padre l’averle impedito anche di dormire tranquillamente.
Si rivestì e scese velocemente, arrivando nell’atrio della locanda.
«La ringrazio per l’ospitalità, miss Defoe», sorrise Stefan, porgendole delle monete prima di andare via.
«Alla cameriera non date una mancia?», lo punzecchiò Eva, seguendolo a ruota mentre entravano tutti in carrozza.
«La mia sola presenza è già una ricompensa per le donne», si pavoneggiò, richiudendo lo sportello dopo che anche lei si fu seduta sul sediolino di fronte. «E poi, ieri sera sono rimasto a bocca asciutta»
«Siete solo un libertino dagli ormoni impazziti come quelli di un ragazzino», sorrise soddisfatta.
«Posso riaccompagnarvi a casa se i miei ormoni vi infastidiscono tanto», fece lui in tutta risposta, guardandola spavaldo.
«Dovete essere voi a disdire il contratto»
«Non posso»
«Perché?»
«Perché sono nella vostra stessa situazione! Andiamo, guardatemi, credete che uno come me avesse accettato di sposarsi per altro se non per onore?», rise amaramente, puntandosi un dito contro il petto. Evelina lo squadrò indignata, volgendo poi lo sguardo fuori dal finestrino.
Di certo non poteva dire nulla perché anche Stefan, esattamente come lei, era stato costretto da uno stupido pezzo di carta a stare con qualcuno che non aveva scelto di sua spontanea volontà. Perché si erano dati così affanno a organizzare, o meglio, rovinare la loro vita?!
«Siamo come due calamite di segno uguale, conte Wilson. E le calamite uguali si respingono», osservò Eva, tirando un sospiro.
Stefan si limitò ad annuire impercettibilmente e per la prima volta si trovò veramente in accordo con lei. Erano uguali, due persone troppo testarde ed orgogliose, due calamite destinate a respingersi per tutta la vita.
Raphael, che aveva avuto modo di osservarli per un po’ dal finestrino, immaginava già cosa sarebbe successo quando Eva avrebbe messo piede nel palazzo di August: quei due si odiavano fin troppo per potersi sposare.
«Siete sempre così pensieroso, conte Wilson?», intervenne Nina, sorridendo quando gli occhi azzurri di Raphael si poggiarono sul suo volto pallido.
«Non lasciatevi ingannare dalle apparenze», intervenne Maximilian prendendolo amichevolmente in giro.
«Vorrei non avere nessun pensiero per la testa», sospirò Raphael, portandosi una mano alle tempie.
«A cosa pensavate, se non sono impertinente?»
«Non lo siete, Nina», sorrise dolcemente, «e stavo pensando a come potrebbero reagire i miei zii alla vista di Evelina»
«Che tipi sono?»
«Molto all’antica», fece preoccupato, rivolgendo un altro sguardo alla figura rimpicciolita di Evelina all’altro vagone. Nina sussurrò un “ah” che lasciava trapelare tutta la sua inquietudine.
Per un attimo la giovane aveva immaginato che, se i genitori avessero avuto in simpatia Eva, forse tutto sarebbe stato più facile, ma dei parenti all’antica erano tutto ciò di cui lei non aveva bisogno.

Alcune ore dopo…
 
«Direi che per oggi può bastare così», annuì Stefan stancamente quando Maximilian gli consigliò di fermarsi davanti all’ennesima locanda che avevano incontrato lungo la strada.
«Santo Cielo, era ora! Spero di poter chiudere occhio almeno stanotte…», fece Eva acidamente, sbilanciandosi in avanti per poter scendere dalla carrozza.
«Se continuerete a sognarmi dubito ci riuscirete», la punzecchiò Stefan, quando con un balzo fu anche lui a terra. Evelina, presa alla sprovvista, sgranò gli occhi e sentì una vampata di calore salirle fino alle gote mentre tentava di nascondere la sua espressione turbata dandogli le spalle.
«Ma cosa dite?», farfugliò a capo chino, nel vano tentativo di raggiungere Nina e lasciarselo dietro.
«Avete urlato il mio nome, stamattina, prima di svegliarvi», si pavoneggiò, infilando le mani in tasca con arroganza mentre cercava sul volto di lei la conferma di ciò che aveva appena detto anche se non ne aveva bisogno per sapere che era così.
«Avete sentito male, allora. E non osate più entrare in camera mia!», si difese lei scontrosamente, avanzando il passo per potersi mettere al fianco di suo cugino Raphael.
Una donna di mezza età li accolse cordialmente e li fece accomodare a tavola per cenare. L’ambiente non era uno di quelli a cui era abituata Eva, ma lo trovò piacevole e accogliente: in stile rustico, medievale si oserebbe dire, nel quale aleggiava un acro odore di birra e carne arrostita e il chiacchiericcio di sottofondo poteva addirittura diventare piacevole se accompagnato dalle corde striminzite di una chitarra.
Nina iniziò a muovere la testa e battere i piedi a tempo di musica, osservando divertita gli uomini che si stavano radunando al centro della sala per improvvisare una danza cosacca. Si udirono delle risa e Maximilian prese a battere le mani, coinvolto dalla musica.
Raphael se ne stava sulle sue, rimanendo immobile al suo posto ma con un sorriso divertito in volto mentre Stefan era tutt’altro che attento a ciò che accadeva intorno, preso com’era a flirtare con la signorina che gli aveva appena versato del vino.
Evelina fece finta di non vederli, reprimendo il suo istinto di ricordargli ciò che si erano detti la sera precedente, e si alzò di scatto per andare al centro della sala e intrufolarsi tra gli altri per danzare.
Conosceva già i passi senza alcuna difficoltà: Ivan e Denis le avevano insegnato di nascosto diversi balli popolari che non erano consentiti alle feste degli aristocratici ma che lei trovava davvero divertenti.
Maximilian scoppiò a ridere e afferrò Nina per una mano trascinandola fino al centro della sala per ballare. Stefan si accorse che stava succedendo qualcosa e quando alzò lo sguardo impallidì: rimase a guardare incredulo la ragazza che volteggiava come una piuma, sollevandosi la gonna per potersi muovere più liberamente, ridendo spensieratamente e accettando gli inviti di ogni uomo che le si parava davanti.
«Non ci credo…», sussurrò Stefan, scuotendo il capo. Quella ragazzina non aveva proprio pudore e in due minuti aveva attirato l’attenzione di tutti quegli uomini che ora le stavano attorno nella speranza di ricevere sue attenzioni. Una parte di lui sperava che qualcuno l’avrebbe presa e rapita per sempre, l’altra parte sapeva che aveva il dovere di intervenire nel caso in cui una mano fosse capitata al posto sbagliato: suo padre aveva comunque firmato quel contratto e, almeno sulla carta, erano fidanzati.
«Non avevo mai visto una donna così, giuro», osservò Raphael, riempiendosi la bocca di pane per tenerla impegnata e non scoppiare in una risata tutt’altro che contegnosa.
«Se ridi ti spacco quel bel faccino», ringhiò Stefan, minacciandolo con la forchetta che infilzava un pezzo di carne ormai fredda.
«Cugino mio, quella donna ti darà pane per i tuoi denti», lo prese in giro, continuando a rivolgere occhiate alla ragazza che stava prendendo per mano un giovane per formare un unico grosso cerchio con gli altri. Stefan dovette allungare il collo per riuscire a scorgere tra la folla la sua chioma bruna e sentì la mano di Raphael poggiarsi sul suo avambraccio.
«Tu credi che i miei crederanno a questa storia, dopo che l’avranno vista?»
«Non ci credo neanche io che la sto vedendo», rispose rallegrato, mandando giù un sorso di vino, «perché non vai a ballare anche tu?», aggiunse per prenderlo in giro. Stefan gli rivolse un’occhiata assassina.
«Qui non ci resisto un secondo di più», ringhiò, alzandosi di scatto dalla sedia. Sentiva su di sé tutta la vergogna e umiliazione che una sola donna aveva potuto suscitare in cinque minuti e non sopportava l’idea che suo cugino dovesse prenderlo in giro in questo modo. Che figura ci avrebbe fatto se Maximilian o Raphael l’avessero raccontato in giro? Sarebbe diventato “il conte Stefan Wilson che non sapeva domare una donna”?
«Dai, stavo solo scherzando!», esclamò Raphael come un bambino, quando Stefan lo lasciò solo al tavolo per scomparire dietro l’angolo. Salì a due a due le scale con una gran furia e si chiuse nella camera che gli era stata assegnata, gettandosi disperatamente sul letto.
Dal basso si sentivano ancora le risate, la musica, i brindisi. Ora che non c’era più a vigilare sulla duchessa poteva immaginare Raphael troppo distratto e troppo disinteressato per accorgersi delle mani che stavano invadendo bramose lo spazio privato di Evelina, cercando avidamente di afferrare le carni così invitanti della donna… no, doveva smetterla di preoccuparsi inutilmente, non gli importava nulla di Evelina né di chiunque avesse avuto il coraggio di fare sua una donna così insopportabile.
Eppure si stava addormentando desiderando di essere uno di quegli uomini giù alla locanda, uno di quelli senza impegni, senza titoli da portare con onore, senza contratti inviolabili, che avrebbe potuto facilmente approfittare di una ragazza così ingenua… perché Eva era stata solo un’ingenua a mettersi in mostra in quel modo. Una ragazza ingenua che ora era in pericolo.
«Dannazione», ringhiò, maledicendo se stesso per non riuscire ad essere tanto menefreghista. Si fece leva sulle braccia per alzarsi dal letto e piombò nuovamente nella sala. Sgomitò tra la folla a cerchio intorno ad Evelina che danzava con un giovane dai capelli rossi e raggiunse a fatica il centro della stanza.
«Lo spettacolo è finito!», esclamò, parandosi davanti al ragazzo che cercava la mano di Eva per farla volteggiare. La musica s’interruppe improvvisamente e tutti gli occhi puntarono sulla figura di Stefan.
«Ma cos…». Lui afferrò con violenza il polso di Eva e la strattonò per trascinarla via dal centro.
«Domani dobbiamo partire presto, è ora di andare a letto», borbottò fingendo una pazienza che con aveva.
«Lasciatemi andare!», squittì Evelina come una bambina capricciosa, tentando di opporre resistenza. Stefan in tutta risposta se la caricò sulle spalle come un sacco di patate e lei si mise a strillare.
«Toglietemi le mani da dosso!»
«Lascia in pace la ragazza!», replicò il giovane che prima ballava con lei, allungando una mano per fermare Stefan.
«Sì, togli le tue manacce!», aggiunse un altro, occupato a versarsi del vino, mentre tutti gli altri formavano un muro per non farli passare oltre.
«Ehi, ehi! Non sapete con chi state parlando», intervenne Maximilian, estraendo subito dal fodero la sua spada. Le donne presenti sussultarono e Raphael si alzò di scatto dalla tavola preoccupato, rovesciando il contenuto del bicchiere a terra.
Stefan guardava minaccioso il giovane ragazzo dai capelli rossi, Max puntava la lama contro l’altro che teneva la mano ferma sul fodero del suo coltello mentre Nina scappava via impaurita per raggiungere Raphael, poco distante dalla folla. Evelina era ancora incatenata a Stefan per via della sua presa e non fiatava, intimorita.
«Per favore, non c’è bisogno di ricorrere alle maniere rudi», s’intromise Raphael facendo da scudo a Stefan con il suo corpo.
«Chi sarebbe? Il re della foresta? Lo squalo nell’oceano?», insistette l’uomo provocatorio, «perché a me sembra che tu abbia solo un mollusco tra le gambe», aggiunse provocando le risa del resto della comitiva.
«Lui è-»
«Max», lo interrupe Stefan, facendo cenno di mettere giù la spada. Maximilian indietreggiò e mise già la lama comunque pronto ad intervenire.
«Vi basta sapere che sono il suo fidanzato», tagliò corto. «Andiamo via», aggiunse, rivolto a Maximilian e Raphael.
«Scappi come un coniglio?», lo stuzzicò il rosso. Stefan, che aveva già messo a dura prova la sua pazienza tentando di non dare in escandescenza, fu accecato dall’ira e mise giù Eva facendola quasi cadere se non fosse per Nina che l’aveva sostenuta per un braccio.
Si voltò verso il ragazzo e gli assestò un pungo in pieno volto, facendolo crollare a terra e sedendosi a cavalcioni su di lui.
«Sporcarmi le mani col tuo sangue no, non è un comportamento che si addice ad un conte», sussurrò altezzoso, ricomponendosi.
Evelina rimase a guardare Stefan che usciva frettolosamente, timorosa di essere nel suo raggio visivo, ancora stretta a Nina.
«Stavolta l’ho combinata grossa», sussurrò nell’orecchio della ragazza.
«Andiamo via da qui, questi uomini non mi piacciono…», mormorò Nina, prendendola per mano per trascinarla fuori.
Stefan, arrabbiato ma soddisfatto per il pugno che aveva appena mollato, salì in carrozza e guardò in cagnesco Evelina che faceva lo stesso.
«Sono disposto anche a passare per il vostro fidanzato, ma il babysitter non lo voglio fare!», iniziò Stefan, serrando le mascelle e guardando Eva con l’espressione di un padre severo. Lei alzò gli occhi al cielo in un evidente espressione di noia.
«Non stavo facendo nulla di male», si difese.
«Nulla di male?! Quegli uomini aspettavano soltanto di posare le loro luride mani su di voi! Non che mi importi qualcosa, ma ho dei patti da rispettare e ho bisogno di portarvi in Inghilterra tutta intera!»
«Non c’era mica bisogno di fare a pugni!»
«Siete un’irresponsabile. E per di più ci tocca dormire in carrozza!»
«Non ci dormo con voi», ringhiò Evelina in tutta risposta, scendendo dalla carrozza prima che Stefan potesse controbattere.
«Siete libera di dormire dove diavolo vi pare!», le urlò dietro. Per un momento pensò che stesse per tornare nella locanda ma poi la vide affacciarsi nell’altro calesse e tirò un sospiro di sollievo.
Raphael sobbalzò quando la chioma bruna di Eva spuntò dal finestrino e un secondo dopo era salita anche lei.
«Scusate, c’è un angolino per me? Non ci dormo con quello», fece caparbia, sedendosi accanto a Nina. Raphael la scrutò per diversi secondi, poi si alzò.
«Prendete il nostro posto: Maximilian, lasciamole sole». Max e Raphael lasciarono le due donne sole per raggiungere Stefan nell’altra carrozza che si era già sdraiato sul sedile e tentava di chiudere occhio anche se era troppo nervoso per dormire.
Quanti altri guai gli avrebbe causato quella donna?


“Per i nemici non riscaldate tanto la fornace da bruciarvi voi stessi”
William Shakespeare

 
  
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