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Autore: RememberToBeBrave    17/03/2014    0 recensioni
Ma un’anima –per quanto distrutta, a pezzi, strappata e ricucita- è pur sempre un’ anima. E, anche se lei non voleva crederci, non riusciva a crederci—perché semplicemente non poteva essere, perché lei doveva essere persino più forte di questo, nessuno vive senza amore.
[...]
Ma, a volte, basta solo un po’ di coraggio, un po’ di follia. Per capire che, se non sei tu ad amarti, ci sarà qualcuno che lo farà per te—che ti ricostruirà, che riunirà i pezzi, che guarirà le ferite e ne creerà nuove –ma non ti importerà, perché potrai essere anche distrutto, sbagliato, ma se lei sarà lì non importerà, niente importerà- e ti solleverà, ti sorriderà –e ti sembrerà di star toccando il cielo, ti farà sentire come un navigatore che riesce a vedere le stelle brillare in cielo dopo una notte di burrasca, come uno sperduto che ritrova la via di casa.
[...]
Harry e Cassandra erano, l’uno per l’altro, la più grande salvezza e la più devastante rovina contemporanemente.
{ IN PAUSA }
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 6




{ A Chiara, perché senza di lei sarei persa. A te che mi dai la forza, ogni giorno, a te che mi ricordi che non sono sola. }




Nella casa faceva caldo - come sempre. Alec aveva sempre odiato quel particolare. Era come se si volesse prendere gioco di lui, perché la casa è calda e lui dentro si sente congelato; perché la casa è completa e lui si sente vuoto; perché la casa espone i ricordi e lui li vuole seppellire.
 
Alec sentiva il caldo anche dentro, quella sera, in quel momento, mentre cercava di fermare Cassandra.
 
« Cassandra. Cassandra, aspetta! » La ragazza era quasi arrivata al piano di sotto, perciò il giovane si sbrigò a scendere le scale di corsa, il cuore che sembrava battergli troppo in fretta, l’ adrenalina che scorreva nelle vene.

« Cassandra, cazzo! » Imprecò, vedendola afferrare il cappotto dall’ attaccapanni ed aprire la porta.  La raggiunse appena in tempo per tirare un colpo con la mano sul legno e chiudere la porta. Cassandra seguì con lo sguardo dalla mano al braccio di lui -che si trovava proprio accanto alla sua testa- e poi posarlo sul suo volto, indugiando per un attimo sulle sue labbra carnose e poi incrociando il grigio dei suoi occhi.

« Alexander. » Scandì, « Lasciami andare. »

Fece per girare la maniglia, ma il ragazzo spinse nuovamente, con forza, la porta - anche se essa era già chiusa.

« Scordatelo, Cassandra. » Pronunciò il suo nome con sfida. Anche se sapeva di doversi scusare, non provocarla gli era impossibile. La vide fremere davanti ai suoi occhi e sospirò. Si infilò le mani in tasca in segno di resa, per evitare che lei se ne andasse con la forza.

« Senti, lo so che non avrei dovuto dire quelle cose. Non so nemmeno cosa mi sia preso. » Disse, mantenendo il contatto visivo. Era così difficile intuire cosa stava pensando lei.

« Non me ne frega un cazzo, Alec, delle tue scuse. » Sbottò poi lei, incrociando le braccia al petto, « Sei un coglione. Non me ne frega un cazzo nemmeno se mi licenzierai, adesso. Sei un coglione.» Ripeté, e dalla sua voce trasparì la delusione. Forse fu solo un impressione, perché quando Alec lo realizzò lei era già tornata a fulminarlo con lo sguardo.

« Oh, davvero? Sono un coglione? Non dicevi che anche Styles era un coglione? L’ho visto come, poco fa, lo trattavi da coglione. » Il ragazzo era partito col presupposto di non alzare la voce, di non perdere le staffe, ma come sempre la rabbia lo travolse. Fece un passo avanti, tanto da essere a pochi centimetri da lei, con l’ intenzione di sfidarla.

Dovette riuscire nel suo intento, perché Cassandra barcollò all’indietro per qualche secondo. Poi, all’improvviso, appoggiò con forza le mani sul petto di lui, spingendolo una volta, due volte, tre volte…
Intanto, tra una spinta e l’altra, bofonchiava:
« Sei - un - coglione — Non - hai – proprio – capito - niente ¬— Non - ne - hai - il diritto. »

Alec avrebbe pensato tutto il tempo, fra sé e sé, il giorno dopo, a ciò che accadde dopo. Non seppe quando esattamente avesse deciso di bloccare le spinte di lei, afferrandole un polso e stringendolo forte, o quando avesse deciso di attirare il corpo di lei tra le sue braccia, né seppe esattamente quando avesse deciso di farla tacere, accostando le labbra a quelle di lei.

Seppe, però, il perché lo aveva fatto. Fu lei, la determinazione che brillava nei suoi occhi di ghiaccio, le sue parole che cercavano invano di ferirlo almeno un poco di quanto era ferita lei; furono le sue mani fredde sul suo petto, i suoi occhi dentro i suoi - grigio dentro grigio; fu la ciocca di capelli che le era caduta dalla coda di cavallo che si era fatta e la forza che lo spingeva a far aderire i loro corpi. Furono tante cose, tanti piccoli particolari, ma poi tutto scomparve. Cassandra, che all’inizio era rimasta così sorpresa da non reagire ai gesti di lui, rispose al bacio.

Per qualche attimo le loro labbra si accarezzarono piano, scoprendosi l’un l’altra, poi la passione prese il sopravvento e, mentre entrambi si lasciarono andare ad un bacio più profondo, Alec la prese per i fianchi e la strinse a sé e Cassandra passò le dita fra i capelli neri di lui e li tirò piano. Persero la cognizione del tempo, dimenticarono i loro nomi, dove si trovavano, dimenticarono che fino a un momento prima si stavano lanciando insulti, che quello che stavano facendo non aveva alcun senso - ma la passione, ancora una volta, impedì ad entrambi di fermare quei baci, quei piccoli gesti che adesso rimpiazzavano le parole.
Sentivano il fuoco. Ad un tratto la casa parve ad Alec una vecchia amica, perché adesso non si prendeva più gioco di lui, perché adesso anche lui aveva caldo, adesso anche lui era caldo.
Stava per spingere la ragazza contro il legno della porta, per continuare a baciarla, ma lei si irrigidì, si bloccò e si staccò da lui.
Ciò che seguì fu un mare di parole.
 



 
***
 




Caro diario,
Lei è come una pozzanghera. Cerca di mostrarsi sporca, distruttrice, cattiva. Ma, come con le pozzanghere, se si prova a guardare oltre, a vedere, ad abbattere le finzioni e le apparenze, si può vedervi il riflesso del cielo. Mi ha lasciato osservare una parte di sé stessa, mi ha lasciato abbattere un muro - o almeno credo. L’ho sentita ridere. È il suono più bello che io abbia mai sentito.
Mi sento uno stupido - ancora. La conosco appena, ma in qualche modo sento anche che non è importante. Il tempo non è importante, l’ intenzione lo è, i sentimenti lo sono, le persone lo sono. Ed ora io mi chiedo, perché facciamo questo? Perché noi umani cerchiamo sempre le cose difficili? Non sarebbe molto più facile arrendersi, accontentarsi, abbandonarsi alla monotonia della solitudine?
Il problema è che io non ci credevo. Non credevo che queste cose potessero succedere davvero,  figuriamoci succedere a me. Sono cresciuto in una piccola cittadina, in cui la maggior parte delle famiglie sono composte da operai e  casalinghe. Sono stato cresciuto pensando che quella era la vita che aspettava me, che non c’era alcuna possibilità di vivere un qualcosa fuori dall’ordinario. “Perché non sei particolarmente ricco”, dicevano, “Non sei particolarmente bravo o particolarmente intelligente”. Ed alla fine sono cresciuto con l’ amara convinzione che bisognava essere particolari per piacere alla gente, e che i classici film d’amore, le poesie, i libri, non facevano altro che illudermi di una vita che non sarebbe mai potuta essere mia.
Ci credevo, ci credevo. Credevo che essere particolare volesse dire essere belli. Che stupido che ero, che stupido, stupido, stupido. Sono le piccole cose quelle belle – quelle che sembrano essere comuni a tutti ma non lo sono. I tramonti. Il vento che ti spettina i capelli. Le risate dei bambini. Le ragazze che si stringono nelle spalle. Le lacrime delle mie fan ed i loro sorrisi. Il piccolo neo che Cassandra ha sul collo. Le piccole rughe che le si formano agli angoli della bocca quando trattiene una risata.
Sono le piccole cose a renderci particolari. Sono le piccole cose a renderci belli.
 

« Non ho ancora capito come fai a scrivere tutto su un diario. »
Harry sobbalzò al suono della voce di Liam. Si era dimenticato di non essere solo.

 Erano sdraiati sull’erba, nei pochi metri in cui la neve si era sciolta trasformandosi in acqua. Acqua che ora Harry poteva sentire, strappando alcuni ciuffi d’erba, appiccicarsi sulle sue mani  insieme alla terra, come inchiostro nero e confusionario sopra un foglio troppo bianco per essere macchiato.

A Hyde Park regnava il silenzio tanto quanto regnava il buio. Nonostante il caos, i rumori delle milioni di vite di Londra, a Hyde Park c’era silenzio. C’era silenzio, e le stelle brillavano nel cielo, e alcune volte la cosa migliore che si può fare è osservarle ed osservare, allo stesso tempo, la bellezza delle cose irraggiungibili.

« Perché le parole non sono caotiche, sono silenziose. E spesso l’unica cosa che serve è il silenzio delle parole. » Rispose.

« Non credo di aver capito. »

« Non importa. »

« Mi dispiace. »

« Non importa. »

Le loro voci si spensero, ed Harry, così come tutti gli altri, si abbandonò al silenzio - quello vero, che adesso lo circondava, sembrando quasi volerlo inghiottire.

Poteva sentire il battito del suo cuore, il suo respiro -segnato dal suo petto che si alzava ed abbassava regolarmente-. Era consapevole delle sue gambe stese sul terreno, delle braccia che giocherellavano con l’erba, dei suoi capelli che si bagnavano sempre di più, a contatto col prato umido. Ad un tratto poteva sentire tutte le piccole cose che lo circondavano, ma mentre il suo sguardo si perdeva nel cielo, tra le milioni di stelle che lo illuminavano come fari nella notte, il caos scomparve, dandogli la sensazione di star fluttuando nel nulla - in quel nulla che si era sempre sentito.

Siamo così insignificanti, pensò Harry, tutto ciò che ci circonda è così proporzionalmente piccolo e insignificante nel grande universo che forse è per questo che vogliamo soltanto essere notati.

« Perrie ed io abbiamo litigato ieri. » Proruppe all’improvviso Zayn, facendo tornare i suoi amici sulla Terra. Probabilmente non tutti amavano riflettere sulle proporzionalità dell’ universo.

A cose normali nemmeno Harry lo avrebbe fatto ma forse era arrivato, per lui, quel momento nella vita in cui tutto ti sembra solo una caccia alla felicità, alla completezza, il periodo in cui l’universo incombe su di te, prendendoti in giro, dandoti la consapevolezza che per quante possano sembrare tante le persone sulla Terra tu non hai ancora trovato quella giusta.

« Cos’è successo? » Chiese Niall, continuando però a guardare le stelle. Forse anche lui provava la stessa cosa, suppose Harry.

« È ancora insicura sulla “questione matrimonio”. Lo sapete che ha paura che io trovi un’ altra. » Rispose Zayn, sospirando.

« Ma è ridicolo! » Harry scosse la testa, girandola poi verso l’amico. Stava anche lui guardando le stelle, ma chi lo conosceva bene poteva notare la tristezza nei suoi occhi.

« È quello che le ho detto io. »

Il silenzio tornò, i cinque ragazzi tacquero. Alcune volte le parole non servono.

La paura di essere sostituiti è persino peggio della paura di non trovare nessuno. Quando raggiungi la felicità e qualcuno te la strappa via è come scalare l’ Everest e poi morire appena arrivato in cima. Quando sei già a terra e cadi, le ferite sono sempre meno gravi.
E forse si può anche guarire.
 
 


 
***



 
« Non posso, Alec! Non posso. Io–»

« Sì che puoi, diamine! Cassandra, cosa c’è di sbagliato? »

Alec fece un passo avanti, cercando di afferrarla per le spalle, ma la ragazza si allontanò ancora di più.

Quando c’è una bomba, tutti scappano. Ma se la bomba è nascosta dentro un pacco-regalo, qualcuno potrebbe cascarci.

Cassandra era una bomba, lo era sempre stata. Era nella sua natura: ogni cosa che toccava cadeva a pezzi poco dopo. Creava disastri, litigi, ferite, lacrime, sofferenza.
Non sapeva bene nemmeno lei perché non riuscisse ad essere felice, perché la tristezza era sempre con lei, guidandola in ogni azione, e la stringeva in una morsa così forte da farle mancare il respiro. Non si era alzata una mattina e aveva detto “Da oggi non farò entrare nessuno nel mio cuore”, no. Era come una maledizione. Provava in ogni modo a farsi odiare, perché l’amore richiede coraggio,  e lei non era sicura di averne abbastanza, non era sicura che ne valesse la pena.

Ma Alexander, Alexander era una bella persona, era sereno, felice, aveva una vita normale, e sembrava così indistruttibile. Si era affezionata abbastanza a lui da non volerlo distruggere.

Perché le bombe esplodono, e tutti vengono colpiti. Qualcuno cade e non si rialza, altri ce la fanno, ma rimangono comunque feriti. Cassandra sarebbe esplosa, e voleva assicurarsi di essere da sola quando sarebbe successo.

« Non è questo che voglio. » Mentì allora lei, deglutendo a fatica.

La verità, però, era che aveva troppa paura e troppe poche sicurezze per affrontarla. Aveva paura di far entrare qualcuno nel suo cuore, aveva paura dei sentimenti, aveva paura di tutto ciò che la faceva sentire viva, calda, giusta perché – e Dio, Dio, quante volte ci aveva provato, a convincersi del contrario – sapeva di non meritarlo. Era come se si fosse convinta, col tempo, che tutto ciò che aveva passato -l’ abbandono, il rifiuto, la solitudine, il dolore, l’incomprensione, il terrore, la rabbia- era stato colpa sua.

E quando aveva sentito le labbra di Alec sulle sue, allora si era lasciata andare, si era abbandonata per un secondo alla speranza che forse, soltanto perché tutta la sua vita era andata nella direzione sbagliata, non voleva dire che non potesse andare nel verso giusto, che forse anche lei si meritava la luce e il calore. Calore che aveva sentito dentro, irradiarsi nel petto, quando il ragazzo le aveva accarezzato i capelli, non smettendo di baciarla.

« Non è questo che voglio. » Ripeté, e vide Alec sbattere le palpebre, confuso, per poi fare un passo indietro, poi un altro ancora, finché non ci furono troppi metri a dividerli.

« Mi dispiace. » Disse allora Cassandra, non riuscendo a sollevare lo sguardo da terra.

Il silenzio cadde tra loro. Cassandra, che si era sempre sentita protetta dal esso, si disse che anche quello poteva ferire.
Poi un suono: la risata di Alec scoppiò all’improvviso, proprio quando la ragazza si era iniziata a chiedere se non fosse meglio andarsene all’instante. Era una risata forzata, ma lei era troppo sorpresa per accorgersene.

« Allora suppongo che rimarremo amici. »

L’ amarezza con cui pronunciò quella frase, le fece capire che, probabilmente, la stava odiando.

 In realtà, Alec era soltanto arrabbiato. Voleva così tante cose, ma non sapeva come averle. Adesso voleva lei, ma non poteva averla. Avrebbe dovuto accontentarsi come aveva sempre fatto, accontentarsi di vivere una vita senza grandi emozioni, senza felicità, di alzarsi giorno dopo giorno e realizzare che quella, quella era la solitudine.

Camminare in mezzo a sconosciuti i cui passi simultanei scandiscono il tempo.

Un passo. Voglio essere libero. Due passi. Voglio sentirmi vivo. Tre passi. Voglio qualcuno che mi faccia sperare. Quattro passi. Voglio che qualcuno rubi tutto questo dolore. Cinque passi. Voglio che qualcuno riempia questa voragine che mi scava il cuore. Sei passi.

« Alexander, mi dispiace davvero, Alexand— »

« Per favore, Cassandra, non chiamarmi così. I miei amici mi chiamano Alec. »

Glaciale. La ragazza non lo aveva mai sentito usare quel tono glaciale.

Pensò al freddo, al freddo in cui aveva vissuto per tutta la vita, al freddo delle sue mani pallide, al freddo del materasso quando si svegliava ogni mattina, al freddo che provava dentro, che le faceva desiderare di urlare “Scaldami, scaldami, scaldami, ho bisogno di aiuto, stringimi, scaldami” – ma ogni volta rimaneva in silenzio per paura di essere abbandonata al freddo, com’ era sempre accaduto.

« Va bene, hai ragione. » Replicò allora, distante quanto le stelle, facendo alcuni passi avanti. « Amici? » Allungò il braccio, porgendogli la mano.
Alec gliela strinse e disse, guardandola dritta negli occhi:

« Amici. »


 


 
***
 




Alla fine avevano fatto ritorno all’ hotel, tutti insieme, silenziosamente, e immersi nei loro pensieri. Persino Niall non aveva detto nulla.
Una volta arrivati, si erano dati la buonanotte ed erano tornati nelle proprie camere. Erano le undici passate, e fuori da quelle quattro mura bianche i giovani stavano festeggiando nei locali, le coppiette stavano passeggiando lungo il Tamigi e le madri stavano raccontando una storiella ai loro figli per farli addormentare.

Harry, il portatile sulle ginocchia, osservava di tanto in tanto fuori dalla finestra, mentre girovagava sulla home di Twitter. Messaggi pieni di affetto e promesse arrivavano tra le sue notifiche, mandate dalle fan.

Un’ occhiata alle tendenze, prima di chiudere la finestra e posare il pc sul comodino.  Si lasciò cadere all’ indietro sul letto, le braccia aperte ed un sospiro ad uscirgli dalle labbra. Louis, dall’ altra parte della stanza, stava dormendo profondamente. Lo si poteva sentir russare perfino da lì. Ogni tanto mormorava parole senza senso, poi inspirava e taceva.

Harry sperò che, se un giorno avesse avuto la possibilità di scoprirlo, Cassandra non dormisse allo stesso modo, o avrebbe finito per strozzarla nel sonno.

Fu allora che gli venne un’ idea.
Si alzò di scatto e i suoi occhi si illuminarono. Lentamente, facendo passo dopo passo con estrema leggerezza e attenzione, attraversò la stanza e si avvicinò al letto del migliore amico. Raccolse da terra un cuscino, che, inconsciamente, il ragazzo di Doncaster aveva gettato via. Tirò la punta della fodera in modo che spuntasse un pezzo di stoffa più piccolo e, piegandosi in avanti, lo avvicinò furtivamente alla bocca aperta di Louis, che continuava a russare senza sospettare nulla.

« AAAAAH! » Il grido di terrore squarciò il silenzio della notte, e il ventiduenne si mise a sedere di scatto, gli occhi fuori dalle orbite ed il fiatone.
Impiegò un paio di secondi per capire cosa fosse appena accaduto. Il suo sguardo passò dal cuscino tra le mani di Harry a Harry per un altro paio di secondi, poi glielo prese di mano e glielo tirò in faccia.

« Mi hai fatto quasi venire un infarto, Harry Edward Styles! Sei per caso impazzito del tutto? » Esclamò poi, in piedi sul letto con un altro cuscino in mano, pronto a sferrare un colpo, stavolta mortale.

Il riccio scoppiò in una folle risata, fino a piegarsi in due. Soltanto quando iniziò a diventare stranamente rosso e a tossire convulsamente, si riuscì a calmare. Louis, che ancora lo fissava dall’ alto in basso, gli tirò una cuscinata in pieno volto, facendolo cadere a terra come un sacco di patate.

 « Te lo sei meritato! » Proclamò il più grande dei due, incrociando le braccia al petto e lasciando cadere il cuscino.
Harry ne approfittò per scattare in avanti e afferrarlo, quindi lo lanciò verso l’amico, colpendolo nello stomaco e facendolo barcollare, tanto che dovette appoggiarsi alla parete per non cadere dal letto.

Ma prima che qualsiasi altra cosa potesse accadere, un rumore li fece voltare entrambi.
Qualcuno stava bussando all’ uscio di legno. Harry lanciò un’ occhiata di incertezza a Louis, poi camminò verso l’ingresso e spalancò la porta.
Gemma Styles stava sulla soglia, avvolta in un giacchetto pesante e una sciarpa di lana.






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SONO PESSIMA. Lo so, lo so, lo soooo.
Più di un mese di attesa. Non so proprio come farmi perdonare. La scuola mi tiene molto impegnata, e anche io ho una vita sociale (OKAY, POCA, MA PUR SEMPRE VITA SOCIALE È). Ormai non so nemmeno più come scusarmi: se siete ancora qua (EH GIAAA) avete capito che non aggiorno esattemente ogni settimana.
Spero che mi perdoniate, e che siate disposti ad aspettare.
Come avete letto...SORPRESA, BUM BUM BUM BADABUM.
Bacio tra Alec e Cassandra. Un po' presto, direte voi. No, non lo è. È da questo bacio che nasce l'amicizia tra i due. Sembrerà strano, ma è una cosa fondamentale. Poi, dopo..CHI LO SA! ( ...io).
Gemma fa la sua entrata in scena nel finale, ma dovrete aspettare il prossimo capitolo per saperne di più.
Spero di essermi fatta perdonare con le tante tante tante riflessioni che vi sono in questo capitolo, già già.
Non me lo merito, ma...Una recensione? Anche piccola piccola?
Ho bisogno del vostro parere, davvero.
Una gigantesca torta al cioccolato,
Gaia.
  
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