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Autore: Ryuz    18/03/2014    0 recensioni
Mi prefiggo l'obbiettivo di essere esaustiva nel descrivere le mie sensazioni: questa storia nasce da un percorso individuale, ed ora che la sto cominciando vorrei essere in grado di trovare le parole adatte a coinvolgere qualcuno, siano pure una manciata misera di lettori.
Tutto parte da Iger; non so se il nome che ho scelto sia definitivo o meno: in ogni caso, vuol dire "Riccio" in tedesco. Perché? Avete presente Neo Genesis Evangelion? Ecco, Igel deve ancora trovare una certa distanza che non ferisca gli altri, ma neanche se stessa. È una storia d'amore, sì, e la persona di cui Igel è innamorata si chiama Schulter. Non rivelo ancora il motivo di tale scelta.
Spero di risultare chiara, piano piano, però: perché anche se le cose in Igel sembrano andare velocemente, il tempo segue sempre lo stesso ticchettio, che è lento e piacevole.
Buona lettura, se mai riuscirò in questa impresa!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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“Un treno che porta tutte le mattine allo stesso posto è un treno inutile”, pensò Igel quella mattina “per fortuna, arriva sempre in ritardo, così posso passare quei dieci minuti fuori dalla classe…”
Le persone che la circondavano, probabilmente non la pensavano come lei.
Sasha, sua amica da tempi immemori, aveva il solito sguardo fisso in un punto indefinito delle rotaie.
“Se il nostro rapporto fosse come prima, magari a quest’ora mi starebbe facendo la solita solfa sul come ci si presenta agli altri senza dare l’idea di una decerebrata.”
Il pensiero su cui si stava tormentando la ragazza la scorsa notte, infatti, riguardavano una discussione avuta con l’amica qualche mese prima. Discussione che le aveva portate ad un litigio che non si sarebbe risolto molto presto.
Hure spuntò da dietro una colonna con un cornetto nella mano sinistra. Senza dire nulla, allungò la colazione verso Igel, che sorrise goffamente.
“No, Hure, grazie…”
“Andiamo, so che ne vuoi un pezzettino”, insistette. 
“No, davvero…”
“Sì che lo vuoi!”
Igel staccò un pezzo del cornetto e se lo portò alle labbra. Dolce.
“Non faccio mai colazione.”, disse.
“E sbagli.”, disse Hure.
Hure aveva un fisico impressionante, nonostante desse la parvenza di ingerire l’equivalente di un pachiderma. I suoi ricci capelli marroni le scendevano dolcemente sulle spalle, un paio di occhi marrone chiaro sovrastavano un naso all’insù e un paio di labbra delicate. Nell’insieme, sarebbe potuta sembrare un personaggio irreale, se solo non avesse avuto un’andatura decisa, quasi da militare: tale andatura era il rispecchiarsi di un modo di fare altrettanto determinato.
“Come se stesse percorrendo una via dritta che si costruisce ad ogni passo, da sola.”, pensò Igel.
Lei, al contrario, quando passeggiava aveva sempre l’aria noncurante del mondo. Se un conoscente l’avesse fermata all’improvviso, Igel avrebbe, con molta probabilità, balbettato qualcosa su un particolare del luogo che le si era appena impresso sulla retina. Osservava sempre il sentiero che calpestava, poi, quando se ne rendeva conto, alzava la testa di scatto, come se fosse appena alla conquista della posizione eretta. Anche in questo caso, il suo modo di fare era il corrispettivo della sua andatura.
Hure salutò con un cenno del capo Sasha, che rispose allo stesso modo.
Le cose andavano così da alcuni mesi: Hure e Sasha avevano atteggiamenti opposti nei confronti di Igel rispetto a poco tempo prima, e quest’ultima era in balia della situazione.
Quando arrivò il treno, Hure cominciò a parlarle di qualcosa che ad Igel davvero non interessava, tenendola stretta per il braccio. Ad Igel quella stretta stufava davvero molto: ma se all’amica andava bene, chi era lei per opporsi come se le stesse facendo del male? Così, finiva col percorrere la strada che portava al liceo assieme all’energica riccia marrone.
Quando si dovevano dividere per andare ognuna ai rispettivi plessi, il distacco era immediato: Hure la mollava dicendo “Allora, ciao!” e accollandosi presto a qualcun altro.
Igel la guardò allontanarsi, poi sospirò: per seguire Hure doveva farsi un pezzo di strada in più quasi tutte le mattine.
“Se a lei va bene così…”
Si incamminò con passo lento, osservando i ragazzini delle scuole elementari sghignazzare al suono della campanella.
“Quando eravamo alle elementari, non sapevo se fossi un bambino o una bambina.”
La ragazza continuò ad osservare la scuola, ma fece un’espressione corrucciata.
“Che vuoi, Verlo, avevo i capelli corti , me li faceva portare mia madre.”
Verloren in tre anni non era cambiato, se non per la comparsa di una peluria indecisa sopra alle labbra.
“Tu porti da sempre questo caschetto alla beatle, invece. E a Marzo li tagli. In tanti anni che ti conosco, li hai sempre tagliati a Marzo.”, avrebbe voluto rispondergli, ma, come al solito, la risposta rozza ebbe il sopravvento su una che avrebbe potuto dargli il minimo accenno di interessi nei suoi confronti.
Disse invece “Niente Fugsam?”
“Casa.”
“Niente passaggio.”
“Niente passaggio.”
Da quando Fugsam aveva preso il patentino, Igel non vedeva spesso quei due in giro per la stazione, e questo le dispiaceva molto, perché avrebbe preferito perfino osservarli da lontano, più che passare il tempo con quella manciata di persone che aveva conosciuto al liceo che non le trasmettevano molto.
Erano ormai arrivati di fronte all’istituto.
Verloren si diresse verso i suoi compagni di classe. Aveva scelto l’indirizzo classico, mentre Igel quello scientifico.
“Avrei fatto meglio a dar retta a mia madre, a quest’ora non avrei passato dei guai con Sasha e sarebbe tutto più facile.”

“ ‘Sarà un’avventura’… quante cazzate.”

Quanto sconforto le avrebbe ancora dato tutta quest’apatia?
Il clima primaverile, tuttavia, le riempiva il cuore di qualcosa di nuovo: dentro sapeva che qualcosa sarebbe sbocciato.
Bastava solo prendere la decisione di fottersene dell’inciviltà del destino.

“La bambola è in balia di quest’ondate di malessere, la bambola davvero non ne può più.”, pensò.

  
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