Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Yssel    18/03/2014    1 recensioni
Questa è una raccolta, una raccolta di vari episodi.
Vari episodi della vita di cinque ragazze che hanno realizzato il loro sogno.
Questa raccolta è tratta dal primo capitolo, che potete trovare qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2398761&i=1
Un insieme di istanti di vita e aggrovigliati ricordi di un passato non proprio rose e fiori.
A trascinarvi avanti e indietro, tra momenti di una vita da sogno e ricordi indimenticabili, sarà il quaderno nella mia mente, una terza persona che si adatterà spesso ad una bassista, Joh.
Benvenuti nelle "Cronache del Basso Scordato".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
















Joh si era interessata al baseball. Oh, no, non da molto, giusto qualche ora. Non aveva mai avuto modo di comprare una mazza, da una parte perché non le era mai servita e dall’ altra perché il centro sportivo della città metteva a disposizione le attrezzature quando si organizzavano le uscite in gruppo e si andava a sfogarsi schiacciando qualche palla bianca alle reti dei campetti.
A Joh erano sempre piaciuti gli sport che la società etichettava come maschili, aveva sempre avuto una pessima mira ma l’ aveva affinata con tempo e pazienza. Era andata al negozio di sport dove faceva un salto tutti i mesi- colpa di Red che le fotteva la Jeep e che le scoppiava le palle da rugby passandoci sopra- e si era tolta lo sfizio di comprarsi una maledetta mazza da baseball. Camminava compostamente, le spalle erano tese e la bocca senza espressioni stampate su, era pomeriggio inoltrato, il sole cominciava a calare, le mani della bassista pizzicavano e con una di esse teneva salda la mazza, l’ altra sostava in una tasca. Andava spedita, sul marciapiede, con gli occhi fissi di fronte a sé come se avesse puntato la sua preda, preda che aveva nella testa da tanto tempo, così tanto che aveva piene le palle di aspettare a prenderla.
Quando li vide, sospirò. Aveva l’ opportunità di prendere ciò che aveva agognato per anni, e adesso non vedeva ad un palmo dal suo naso. Fuori e dentro, lei taceva. Le sue emozioni, la rabbia, si erano addormentate, in attesa; ma avevano gli occhi aperti. Sostavano sulla bocca del suo stomaco come lupi vigili, talvolta mugolavano per la fame, ma il controllo dettato da Joh era molto più forte di loro.
Lei era sempre stata una persona violenta, fin dai primi giorni di scuola. Occhi neri, braccia rotte, caviglie storte, le aveva viste e fatte tutte e- e poi era finita dallo psicologo. A cosa le era servito? A un beneamato niente. La rabbia e la violenza erano solo state messe al guinzaglio, il potere era stato passato al pensiero, e per quanto quella fosse una soluzione discreta, era allo stesso tempo controproducente. Quando i lupi cominciavano a ringhiare, si alzavano, scalciavano, sbavavano, e certe volte la mano faceva scivolare via il guinzaglio a causa della troppa forza di quelle zampe, determinate. Forse troppo.
Stavolta, la mano aveva mollato il guinzaglio di sua volontà.
Uno, due, tre passi, e Joh avvolse con la mano libera l’ altro capo della mazza, precedentemente sulla spalla, battendola sul palmo un paio di volte. E poi uno schianto, l’ aria vibrò per la potenza con cui le braccia di Joh avevano caricato il colpo e subito dopo, un corpo cadde a terra, bagnato. Ma non bagnato d’ acqua, bagnato di sangue. Joh mugugnò qualcosa, alcune schegge erano schizzate sul suo cappotto preferito e no, non le andava affatto bene. Prese di mira l’ altro, che era in procinto di risollevare il compagno caduto, alzò nuovamente la mazza e scagliò il secondo colpo, stavolta meno rumoroso ma pur sempre tonante.
La bassista guardò i due ragazzi a terra e sputò con disdegno ad entrambi, si voltò di spalle e riprese a camminare come se non avesse fatto nulla. Carezzò la mazza con sguardo vuoto, rabbia e violenza si erano buttate a capofitto sui due bastardi, senza ululare o ringhiare per il semplice motivo che era stata Joh ad ordinare loro di mordere. Da brave, avevano ubbidito e si erano rimesse a dormire sulla bocca dello stomaco, calme, con di nuovo il guinzaglio stretto al collo.
Così come era arrivata, e stava già pensando a dove bruciare la mazza in modo che non la trovassero.
 
 
“Non ho sonno, è inutile che continui a ripetermi che devo dormire.”, si lamentò Chelsea, incrociando le braccia al petto e sbuffando. Erano ormai due giorni che, anche con la presenza di Joh, la cantante non riusciva a chiudere occhio, e la bassista rimaneva a vegliare sulla sua insonnia, crollando ogni poco e riprendendosi subito dopo. Joh aveva le palle piene anche degli incubi della sua piccola, di tutto quello che le avevano fatto passare e che le stavano facendo passare. Prese la tazza di tea che aveva preparato per Chelsea e vi versò dentro il contenuto di una bustina, senza farsi notare, che ricacciò immediatamente in una tasca dei bermuda. Mescolò la polverina bianca con un cucchiaio e pose la tazza sul tavolo, di fronte alla cantante. Non essendosi accorta del trafficare di Joh, quest’ ultima prese un sorso e rabbrividì per l’ improvvisa ondata di caldo che le scaricò il tea lungo la gola. Da quando la bassista aveva imposto il tea inglese, nessuno si era opposto. Quella roba era buona e le altre avevano preferito accontentarla, almeno per quello. A Chelsea era piaciuto da subito e aveva preso gusto a farselo fare durante la notte o la mattina presto, in più non si era mai lamentata quando Joh le faceva la colazione e gliela portava a letto, oppure quando la lasciava sul tavolo in cucina perché doveva andare a lavoro o, ancora, all’ università.
Quelle due si ritrovavano sempre a quel tavolo, a bere tea e a rimproverarsi le cose. E anche in quel momento, Joh avrebbe voluto prendere la sua cantante a colpi in testa- uh, non per farla star male ma per farla dormire, perché non sopportava più le sue occhiaie scavate nel cranio.
Freddezza russa, così era stata definita la testa di Joh.
“Allora bevi, tanto tra poco ti addormenti.”
“Pft, non credo proprio.”
Gli occhi verdi di Joh saettarono verso la cantante e un sopracciglio si sollevò: “Tre, due, uno.”
“Perché conti?” Chelsea sbadigliò, l’ altra si stampò in volto un sorrisino soddisfatto e si rilassò lungo lo schienale della sedia. Portò le dita di una mano al livello dello sguardo e osservò le sue unghie torturate, sbuffandoci su. Aveva sempre ragione. Chelsea finì di bere e poggiò il mento su una mano per evitare di cadere, dato che le palpebre cominciavano a calare.
“Sono stanca.”
“Ah-ha.”
Joh si sporse, e la cantante non parve capire, ma non fece in tempo a domandare niente che le crollò la testa e la bassista le impedì di schiantarsi sul legno. Red scese le scale in quel momento e vide la scena di Joh che si caricava sulle spalle Chelsea, svenuta.
“Buonanotte.”, e Joh la tagliò corta, salì al piano di sopra con disinvoltura e scomparve. Red, perplessa, vide la tazza sul tavolo e la prese, la annusò, ma non trovandoci niente dentro la lavò e la rimise al suo posto. Pensò a quei pochi secondi che aveva visto per tutta la notte, in cerca di una possibile spiegazione a Chelsea che dormiva, il tea caldo e Joh che, sbrigativa, si era scrollata di dosso tutte le parole che avrebbe dovuto dire.
 
 
Jenna evase, sbraitando, nello studio di registrazione. Aveva i capelli scomposti e l’ occhio sinistro era soggetto ad un tic continuo, insopportabile. Chelsea smise di stringere la canna del microfono e guardò curiosa la prima chitarrista, e Joh, seduta sullo sgabello del pianoforte, alzò gli occhi verso di le, distogliendo l’ attenzione dagli spartiti che teneva fra le mani.
Ci fu un attimo di silenzio, poi: “Il cazzo di cane del vicino continua ad abbaiare e bau bau bau bau- non riesco a concentrarmi!”
Gesticolava, Jenna, e per poco non le usciva il fumo dalle narici. Joh si alzò, passò gli spartiti a Chelsea e la lasciò continuare a registrare, dopodiché chiuse la porta della sala e si fece accompagnare dalla chitarrista fino al giardino dove Red abbaiava a quel bulldog al di là della rete che divideva le due proprietà. La bassista tentò di zittire il cane come faceva di solito con quello che aveva lasciato dalla sua famiglia, parlando il tedesco, ma quella bestia non voleva tacere. Oh, beh, le persone avrebbero sentito non solo la voce di Chelsea, nel CD, ma anche il latrare dello stupido cane del Signor Stevenson.
Magnifico.
Beh, Joh avrebbe trovato il modo di non far accadere una cosa simile. Uscì dal giardino dello studio e camminò senza fretta lungo il vialetto della casa a fianco. Bussò alla porta, non degnando il cane che le abbaiava dietro la schiena di un minimo di sguardo, e, mantenendo la sua usuale espressione, represse la voglia di strozzare il padrone del cane quando le aprì.
“Oh, Monagham, buongiorno!” Sì, faccia di cazzo.
“Buongiorno. Mi scusi, il suo cane, qui, sta disturbando le nostre registrazioni.” Sempre pacata, lei. Niente convenevoli o giri di parole, la sporca verità usciva sempre dalla sua bocca. E dire che lei aveva persino insistito di evitare di accampare lo studio in centro città.
Il Signor Stevenson finse dispiacere e si portò una mano al petto, richiamando il cane: “Mr Tiny! Mr Tiny, fai il bravo bambino!” e il cane, attento a non sfiorare le gambe allenate della bassista, si riparò di fianco al padrone senza smettere di borbottare. “Devi scusarmi, non vorrei proprio che vi disturbasse, però non posso neanche farlo smettere di abbaiare, capisci? E’ un cane, i cani abbaiano.”
“Mi dia retta, la capisco. Anche io ho un cane, ma gli ho insegnato le buone maniere e non infastidisce le persone. I cani abbaiano, le zanzare vengono schiacciate se danno noia.” E detto questo, Joh fece retromarcia sorridendo, percorse il viale fino allo studio, tutto sotto lo sguardo sconcertato del Signor Stevenson e di quella zanzara di cane. Jenna stava suonando in un angolo dello studio, Chelsea aveva le cuffie calate sul collo e stava ordinando altri fogli, Red si stava abbuffando con la scatola di ciambelle che le aveva portato Charlie poco prima di andare ad un convegno che organizzava la sua università sui congegni nucleari. Joh entrò nella stanza dei microfoni, avvolse i fianchi di Chelsea con un braccio e se la trascinò addosso, sullo sgabello che aveva abbandonato.
“Che succede?”
“Pensavo che potremmo fare una visita in Russia.”
Il giorno dopo, tutte tornarono in studio: il nuovo album stava venendo bene, il manager le aveva lasciate una settimana da sole ed erano Joh e Jenna che si occupavano dei toni e dei volumi. Stavano registrando un nuovo pezzo da qualche minuto e la bassista stava andando bene- aveva insistito fino alla morte per registrare la traccia senza soste di alcun genere, e mancava veramente poco, ma… ma Jenna spalancò la porta e rise quando Joh bestemmiò a bassa voce.
“Sei desiderata.”
Questa poggiò il basso alla parete e tentò di mantenere la calma. Appena arrivò nella sala dei volumi, sorrise con innocenza. Il Signor Stevenson stava in piedi a guardare Red ridere: “Dov’ è Mr Tiny?”, urlò, verso la figura di Joh. “Dove lo avete messo?”
E l’ accusata si rabbuiò: “Lei ora se ne va. Con che faccia si presenta nella mia proprietà interrompendo il mio lavoro e buttandomi addosso accuse come quella di aver messo da qualche parte il suo cane? Si sarà stancato del cibo che gli da, che ne pensa?”
L’ uomo, convinto dalle poche parole dette dall’ imponente ragazza, girò i tacchi e uscì dallo studio- anche se Jenna lo costrinse cominciando a spintonarlo verso l’ uscita. Quando non ci fu pericolo che tornasse indietro, tutte le ragazze nella stanza si voltarono in sincrono verso Joh e fu Red a parlare: “Che gli hai fatto?”
“Non vuoi saperlo.”, e se ne tornò bellamente a suonare, lasciando tutte a pensare. Che avesse ucciso quel cane e lo avesse gettato nel lago sopra le colline?
 
 
 
Avevano approfittato della volontà di Joh per cucinare di ritrovarsi nel salotto, Chelsea raggomitolata in una felpa della bassista, schiacciata contro la poltrona, Red stravaccata sul divano con Charlie seduta sul suo culo e Jenna con la schiena poggiata al muro e le braccia conserte. Si scambiarono delle occhiate prima che la cantante aprisse le danze con un tiro di sigaretta.
“Ci sono troppe cose che non ci dice.”, sputò la prima chitarrista.
“Qualche giorno fa ha preso a mazzate i due che mi picchiavano a scuola.”, ridacchiò Chelsea, compiacendosene e ricevendo i borbottii contrariati delle altre.
“Ha fatto sparire il cane del vecchio stronzo.”, disse Charlie.
“Ha messo i sonniferi nel tea di qualcuno.”, Red si voltò verso le altre, non sentendo più il bisogno di fondersi con il tessuto che copriva il divano. Allora, quel Qualcuno, si rese conto di cosa era successo e rise di nuovo. La stava prendendo troppo bene.
“Secondo me è una criminale.”, continuò poi la batterista. “Un giorno o l’ altro saremo i suoi ostaggi, me lo sento. Abbiamo un’ omicida in famiglia.”
In quell’ esatto istante, Joh sbucò dalla cucina con un coltello in mano e la maglia completamente macchiata di rosso. Si levarono urla ovunque, a partire da Jenna e finendo a Red, che si era presa talmente tanta paura da afferrare Charlie per le ginocchia e risalire verso la superficie tirando calci ad ogni parte solida del divano.
“Che diavolo…”
“E’ Mr Tiny!”
E Joh capì. Si portò una mano alla fronte e sospirò, “La prossima volta col cazzo che vi cucino le bistecche.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Yssel