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Autore: Yssel    18/03/2014    0 recensioni
Questa è una raccolta, una raccolta di vari episodi.
Vari episodi della vita di cinque ragazze che hanno realizzato il loro sogno.
Questa raccolta è tratta dal primo capitolo, che potete trovare qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2398761&i=1
Un insieme di istanti di vita e aggrovigliati ricordi di un passato non proprio rose e fiori.
A trascinarvi avanti e indietro, tra momenti di una vita da sogno e ricordi indimenticabili, sarà il quaderno nella mia mente, una terza persona che si adatterà spesso ad una bassista, Joh.
Benvenuti nelle "Cronache del Basso Scordato".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Mi rifiuto di festeggiare il Natale, piantatela.”
“Non festeggi mai un cazzo, certe volte dovresti sentirti.”
“Pensavo che con noi avresti almeno apprezzato l’ albero-”
“Che vi aspettavate, Joh lo Spirito della Festa?”, si chiuse la porta alle spalle, ringhiando. Guastafeste, triste, seria, gliele avevano dette tutte, e lei alla fine aveva dato in escandescenza, aveva afferrato il cappotto ed aveva risposto a tono. Sapevano perfettamente che Joh odiava qualsiasi tipo di festa che non fosse Halloween- durante la quale coglieva l’ occasione per vestirsi come un qualche mostro inventato da lei stessa medesima-, l’ aveva ribadito milioni di volte da tanti anni a quella parte, ma a quanto pare tutto entrava da un orecchio ed usciva dall’ altro. Non poteva farci assolutamente niente se non provava nulla nei confronti delle feste, non poteva certo obbligarsi a svegliare i sentimenti dove non ce ne erano mai stati. Prima di scorticarsi le nocche contro il muro di camera sua, allora, aveva preferito uscire a prendere una boccata d’ aria. Che lo festeggiassero da sole il Natale, Capodanno e tutte quelle stronzate lì, lei sarebbe stata di ritorno per notte inoltrata e si sarebbe scolata qualche bottiglia di birra per poi crollare ubriaca sul divano. Non le importava più niente, né delle decorazioni né di quello stupido albero che le avevano messo davanti al letto quella mattina. Tirò un calcio ben assestato alla lattina che aveva di fronte e la fece andare a sbattere contro il marciapiede dall’ altra parte della strada, se non fosse stato per i fari e il clacson, sarebbe finita sotto una macchina. Dio, non aveva voglia di mettersi a litigare con chiunque occupasse il trono in cielo per essere rispedita sulla Terra.
Si passò le dita sugli occhi stanchi, era sera ed i negozi cominciavano a chiudere, tutto cominciava a spegnersi al di fuori dei lampioni che continuavano ad illuminare le strade. Anche Joh si spegneva, più del solito. Arrivava quell’ ora della sera, ultimamente, in cui non riusciva più a sopportare le risate che la circondavano o anche solo tutto quello che vedeva fuori dalla finestra. Aveva perso l’ abitudine a mettere le cuffie per isolarsi, si sentiva come sorda. Sapeva solo che le serviva qualcosa per ricaricare le pile, perché non poteva continuare ad ubriacarsi per addormentarsi prima e soprattutto non poteva continuare ad ingerire pasticche per il mal di testa appena finiva di suonare- anche solo in camera sua.
Non lo sopportava, non lo sopportava.
Si fermò di fronte ad una vetrina per guardarsi il volto: aveva tutti i capelli scompigliati e qualche briciola di torta sul maglione scuro. Scrollò le spalle e cercò di sistemarsi i ciuffi che le cadevano ovunque, doveva tagliarsi i capelli o sarebbero finiti male, rasati a zero.
Si sentì osservata. Voltatasi da una parte, senza comunque distogliere lo sguardo dalla vetrina, notò che una ragazza si era bloccata a guardarla. Sollevò un sopracciglio; no, magari stava guardando qualcosa nella vetrina o, chissà, dentro il negozio. Provò a spostarsi, di poco. Hm, no, quella ragazza fissava proprio lei. Proprio Joh. La bassista si mise le mani ben salde nelle tasche, le pizzicavano per il caldo e la rabbia che stava gocciolando giù dalle falangi, dopodiché tornò a guardare se stessa. La ragazza avanzò di un passo. Un altro.
“Scusa.” Aveva la voce titubante, alzò un dito e puntò la vetrina. “Potresti smettere di fissare la mia amica lì dentro? Rischia di prendersi un infarto.”
Joh guardò prima in faccia la ragazza che aveva parlato e poi chiarì la nebbia che aveva in testa, notando che in effetti c’ era un’ altra ragazza ferma, immobile, dall’ altra parte della vetrina. Ed era anche rossa da testa a piedi. Joh rise, se le fosse arrivata qualche denuncia per molestie, avrebbe pagato il tutto, dato che non aveva voglia di spiegare il perché si era bloccata per una decina di minuti a fissare una vetrina, col suo sguardo convinto poi.
“Voi uomini dovreste vedervi, quando vi imbambolate.”
A Joh scappò da ridere. Agitò una mano in segno di saluto e riprese a camminare lungo la sua retta immaginaria, diretta chissà dove. Non passò molto che sentì un gran trambusto alle sue spalle, come se qualcuno stesse correndo senza curarsi del fiato. Ormai non sperava neanche più che fosse Chelsea, lei era stata una delle prime a guardarla on gli occhi tristi mentre portava via l’ albero di Natale dal suo comodino e forse una delle prime a prendersela per la sua scarsa considerazione.
“J-Joh!”, si bloccò all’ istante, le si seccò la gola. Ebbe quasi paura a girarsi per scoprire chi la chiamava, se fosse stata una delle ragazze dei suoi passati sarebbe stata molto capace di annuire e camminare come se niente fosse.
Invece no. Invece a correre c’ era quella ragazza tutta rossa in volto che cominciava anche ad arrancare e a tossire per la fatica che stava mettendo nelle ginocchia, si stava infilando con difficoltà il colbacco bianco e lentamente nascondeva i capelli blu sotto di esso, dimenticandosi della frangetta. Era buffa. “Joh.”, lo disse ancora, ma stavolta con un largo sorriso stampato sul volto, gli occhi che brillavano e una tranquillità che prima non c’ era. Come faceva a conoscerla?
“Scusa per lei, non ti conosce.” Ah-ah?
“Tu saresti…”, si sentiva un tantino scortese, la bassista, a domandare una cosa del genere.
“Dynboo.”
“Che razza di- hei, un attimo, è l’ anagramma di Nobody.”
La ragazza, Dynboo, alzò le spalle e strizzò gli occhi. “Sono una tua fan.”
“Oh.” No, Joh connesse un po’ più tardi quel concetto. “…Oh.” Non era decisamente abituata ad essere rincorsa per strada perché una fan voleva anche solo rivolgerle qualche parole. Insomma, no. Non succedeva neanche durante i concerti e tanto mano dopo di essi, Joh riusciva benissimo ad infilarsi nel tour bus senza il coro di ragazze in crisi ormonale che le mostravano le tette e tutti i loro beni. Non come Red, lei vedeva più tette mentre saliva sul bus che quando si ritrovava una Charlie gelosa davanti, a braccia conserte e con tutta l’ intenzione di farle pagare l’ aver sbavato davanti a delle terze abbondanti addobbate con del pizzo nero e- Joh, andiamo, non era il momento di fantasticare.
Dynboo si strinse nelle spalle.
“Hai mollato lì la tua amica che credeva ti volessi molestare per rincorrermi?”
“Quando mi ricapita di incontrare la mia bassista preferita che gironzola come se nulla fosse e si blocca ad aspettare le illuminazioni nelle vetrine?”
E quello strano sentimento che saliva dallo stomaco era abbastanza ambiguo: orgoglio, sicurezza, fame? Fame, sì, di orgoglio non ne aveva mai vista neanche l’ ombra.
“Adoro il modo in cui rispondi nelle interviste, i monosillabi lasciano sempre tutti spiazzati.”
“Non ne ho voglia.”
“Davvero non hai voglia di straparlare?”
“Per quello c’ è Chelsea.”
“Dov’ è?” Tasto dolente.
La strada cominciò a svuotarsi, qualche donna di mondo batteva i tacchi sull’ asfalto, appena uscita da lavoro e con il completo buono indosso, coperto da una qualche pelliccia che Joh guardava con dissenso ed orrore.
“A festeggiare.”, quasi non volle dirlo. Le sembrava una presa per il culo, probabilmente adesso erano tutte a sedere in soggiorno, pronte per sentirla rientrare e per prenderla a schiaffi. Perché ne erano capaci.
“Neanche a me piacciono le feste, sai?”, gesticolò Dynboo. La bassista non riuscì più a sopportare quella frangia tutta scomposta e cominciò a raddrizzarla, facendo diventare la povera ragazza ancora più rossa, se possibile. “Però Buon Natale, Joh, te lo meriti.”
“No, Tesoro, non mi merito nulla.”, sorrise amaramente, con un peso sul petto che, a dire la verità, la schiacciava un po’. Ma non se ne lamentò, lei non si lamentava mai di niente.
“Ti sbagli. Tu per prima dovresti essere fiera di te e meritarti quello che ti spetta. Non devi accontentarti dei secondi piani.”
“Ragazzina, basta farmi la predica.”
“Me l’ avete insegnato voi, nelle vostre canzoni.” Lei indietreggiò, adesso che aveva la frangetta a posto si sentiva, finalmente, meno ridicola di come era sembrata fino a quel momento. Ma quale ridicola, poi, agli occhi di Joh era apparsa come la persona più dolce che avesse mai conosciuto. Se solo avesse potuto sistemarle anche il laccio della felpa che le usciva dal cappotto sbottonato…
“Cominciamo ad insegnare troppe cose, ora mi metto a scrivere testi che vi spronino a fare sesso un po’ più spesso.” Pessima mossa.
“Ci sto.”, Dynboo guardava Joh dritta negli occhi, con le mani rifugiate nelle tasche a causa del freddo della sera. Emanava piccole nuvolette bianche e sembrava rincorrerle col naso, tanto che cominciò ad annaspare, bisognosa di un fazzoletto.
“Come, prego?”, la bassista non sapeva se ridere o piangere, aveva la bocca piegata da una parte e un principio di tic all’ occhio.
“Scrivi una canzone sul sesso che fai.”
“Tesoro, io scherzavo.”, Joh rise.
“Io no.”
E Joh ci rimase talmente male, ma talmente male, che quella canzone la scrisse davvero. 


























 
Tesoro mio. 
  
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