I – Il
Mago
L’eredità
del padre
Parigi, 15 Luglio
2011.
Il sole
stava tramontando e Michael finì di prepararsi per la serata che lo attendeva.
Estrasse lo smoking dalla custodia e controllò che la lavanderia avesse fatto
il proprio lavoro. Soddisfatto, si infilò la camicia bianca, ma il fruscio
delle lenzuola lo fece voltare, allarmato.
La
ragazza che aveva rapito la notte precedente si agitava nel sonno, mormorando
parole in francese antico che lui faceva fatica a comprendere. Scosse la testa,
rilassando i muscoli tesi. Verity era il primo Arcano con cui aveva a che fare
e non sapeva come dovesse comportarsi.
La testa
gli diceva di ucciderla, ma ogni volta che la guardava, qualcosa gli fermava la
mano. Si avvicinò al letto e le scostò una ciocca di capelli che le ricadeva
sul viso.
Era
profondamente addormentata e così sarebbe rimasta finché lui non avesse deciso
cosa farne. Attorcigliò la ciocca attorno al dito, infondendo la sua magia fino
alla cute, per eliminare ogni traccia di tinta castana.
Deglutì
vedendo il vero colore dei capelli di Verity. Erano biondo oro e alla luce del
sole morente, sembrava che la ragazza avesse l’aureola. Sorrise abbottonandosi
la camicia. Un’aureola? Da quando aveva idee simili? L’unica ragazza pura
incontrata finora era sua sorella. Le altre, erano copie di sua madre.
Altezzose. Arriviste. Meschine e viziate.
Prese
dalla cassaforte nascosta nell’armadio i gemelli d’oro bianco e chiuse i
polsini. Aveva ereditato quei gioielli da suo padre. Sopra vi erano incisi degli
intricati disegni a forma di luna, un lavoro eseguito su ordinazione diversi
anni addietro e che gli ricordavano chi lui fosse e quanto potere avesse.
Finì di
vestirsi, attenendosi alle più ferree regole dello stile: pantaloni neri
sostenuti da bretelle, gilet e giacca in tinta con i risvolti in seta. La
persona che doveva incontrare quella sera voleva che lui fosse sempre
impeccabile non poteva permettersi di farla arrabbiare.
Si guardò
allo specchio allacciandosi il papillon; non aveva mai capito se quel tipo di
abbigliamento formale gli piacesse o no. Era costretto a indossare quel vestito
dai rigidi canoni dell’alta società e lui detestava le costrizioni, ma non
poteva negare che gli accentuasse la figura snella e lo mettesse in risalto tra
le persone.
Lanciò
un’altra occhiata alla ragazza attraverso lo specchio. Dormiva tranquilla,
rannicchiata sotto le lenzuola. Con una scrollata di spalle, prese il telefono
e scrisse un messaggio. Una decina di minuti dopo lesse la risposta e sorrise:
non avrebbe potuto andare meglio di così.
Si chiuse
la porta d’ingresso alle spalle lasciando Verity ancora addormentata nel suo
letto. Presto le avrebbe dimostrato cos’era in grado di fare.
La
limousine era già in attesa sotto casa e l’autista gli aveva aperto lo sportello,
invitandolo a salire. Michael si accomodò sul sedile posteriore, sorridendo
alla donna seduta dentro. – Buonasera, Duchessa.
–
Michael. – la donna gli riservò un sorriso che non arrivò agli occhi. – Sono
felice di vederti in perfetta forma. – parlava francese senza riuscire a
nascondere l’accento fiammingo.
– Anch’io
sono felice di vedermi in forma, Duchessa, ma non mi aspettavo che venissi fin
qui per farmi i complimenti. Cosa ti ha portato a Parigi? – accettò con un
cenno della testa il bicchiere di Champagne che la donna gli porgeva, e Michael
ne approfittò per esaminarla. L’abito in seta color vinaccia le ricadeva sul
corpo, mettendo in risalto la vita sottile e le braccia nude ben tornite. I
capelli neri erano raccolti in uno chignon alto fermato da un vistoso gioiello
d’oro a forma di narciso coordinato con la cintura. Nonostante i suoi quasi
cinquant’anni, Duchessa era ancora
una donna splendida, capace di far girare la testa a molti uomini e per un po’
lui era stato tra questi.
Fece
tintinnare il bicchiere contro quello della donna senza distogliere gli occhi
da quelli freddi che lo guardavano. – Sono qui per te, Michael caro. Mi
mancavi. La tua ultima bravata alla banca di Monaco ha fatto il giro del mondo
ed è arrivata anche alle orecchie di questa povera donna sola.
Michael
posò il bicchiere sul tavolino della limousine, senza berne neanche una goccia.
Dubitava che Duchessa potesse definirsi una ‘povera donna sola’ con quell’aria
da innocente e il suo furto non era stata una bravata, ma un capolavoro
organizzato con cura. – Hai avuto la tua parte per quel lavoro. – sussurrò.
–
Ovviamente, – Duchessa gli posò una mano sul braccio facendosi più vicina. – ma
mi chiedevo, se questo tuo lavorare in proprio non ti stia facendo stancare. –
il sorriso di Duchessa si allargò fino ai molari e Michael si costrinse a
spostarle dietro l’orecchio un ricciolo che le era sfuggito dall’acconciatura.
Doveva mantenere la calma e affascinarla, solo così poteva spuntarla con lei. –
Dovresti parlarne con me prima di accettare un lavoro. – proseguì lei. – Potrei
consigliarti. Eviteresti gli errori di valutazione.
Michael
soffocò la risposta tagliente che
voleva darle. – So come comportarmi, Duchessa, grazie per l’interesse. Sono
convito di poter gestire sia il lavoro in proprio, sia quello che mi dai. – si
allontanò da lei, riguadagnando il proprio
spazio. Toccarla lo faceva sentire più sporco di quanto già non fosse.
– Come
sta tua sorella Angéline? Ieri è
stata magnifica al suo saggio di violino. Amazing Grace, giusto? Un’opera
difficile da suonare, dovrei portarle i miei omaggi. – la minaccia di Duchessa
gli congelò il sangue nelle vene e la donna sogghignò, gustandosi la sua
reazione. – Pensavi che non lo sapessi, Michael? Non succede nulla ai miei
protetti senza che io lo venga a sapere. Ricordartelo per eventuali colpi di
testa.
Michael
le sollevò il mento con un dito, guardandola dritta negli occhi. – Lascia fuori
da questa storia mia sorella. Non provare a toccarla e non minacciarmi,
Duchessa.
– Io non
minaccio nessuno, Michael caro. Mi fraintendi, ma capisco che le tue parole
affrettate siano dettate dalla stanchezza. Ti ho fatto lavorare molto in questi
ultimi mesi. – con la coda dell’occhio, Michael vide l’autista mettere una mano
sotto la giacca, ma questi si rilassò a un cenno di Duchessa. – Fai bene il
lavoro di stasera e ti garantisco che tua sorella godrà di una speciale
protezione da parte mia. Ti avevo promesso questo, no? – si avvicinò al suo
orecchio, solleticandogli la pelle. – Tu lavori per me e nessuno farà mai del
male ad Angéline. Una protezione con i miei uomini migliori, ventiquattro ore
su ventiquattro ovunque lei sia.
Michael
si sistemò il papillon, ritrovando l’autocontrollo.
Angéline.
Prima di
tutto, veniva Angéline. – Molto bene. – doveva tenere a mente il bene di sua
sorella. – E in futuro ti consulterò, se ho in mente qualche nuovo lavoro.
– Tuo
padre sarebbe fiero di te. Hai ereditato la sua saggezza, Michael.
– E anche
il suo lavoro. – concluse lui in trappola.
– Sarebbe
stato uno spreco, – passò un dito sul risvolto della sua giacca. – con il tuo
talento non ereditare anche il suo lavoro. Anche se hai un tocco più pulito del
suo. Nessun omicidio, nessuna traccia, nessun indizio riconducibile a noi.
Vorrei più collaboratori come te. – guardò fuori dal finestrino oscurato e
sorrise, vedendo la torre Eiffel. – Siamo arrivati.
La
limousine si fermò ai piedi della torre e quando l’autista aprì lo sportello,
Michael fu il primo a scendere, offrendo la mano a Duchessa. – È tutto pronto?
– chiese alla donna.
–
Ovviamente, mio caro. – rispose stringendogli il braccio – Mi dispiace solo
aver lasciato a casa Jamie. Gli sarebbe piaciuta una serata del genere.
Cercò di
ricordarsi chi fosse Jamie. Duchessa non era sposata e non aveva figli. Gli
unici uomini che avessero mai avuto a che fare con il suo letto duravano al
massimo un mese e poi lei se ne stancava. Michael era durato la bellezza di
centottantasei giorni, che lui aveva contato come un carcerato. Quando la donna
si era stufata di lui aveva riassaporato l’aria di Parigi come se fosse stato
in carcere – Jamie, sarebbe? –
domandò per puro scrupolo.
– Un mio
protetto. Un ragazzo molto dotato.
Michael
si liberò del pensiero del nuovo giocattolo di Duchessa e alzò lo sguardo sulla
torre Eiffel illuminata. Là, al primo piano, c’era il suo obiettivo: un
diamante grosso come un uovo di quaglia e prima della fine della serata,
l’avrebbe consegnato alla sua ricattatrice.
Sempre porgendo
il braccio alla donna, si diresse verso uno degli ascensori. Per quella serata
erano chiusi al pubblico e vi si poteva accedere solo tramite invito.
Squadrò
dall’alto in basso due addetti alla sicurezza che invitavano le persone davanti
a loro a passare attraverso il metal detector. Sorrise quando
l’allarme del rilevatore scatenò le ire di un paio di donne.
– Dopo
stanotte avrò bisogno di un periodo di pausa. – mormorò Michael approfittando
del trambusto. Stava tirando la corda, aveva consegnato se stesso a
quel mondo molti anni prima e Duchessa era solo la punta dell’iceberg, dietro
di lei, c’erano personaggi molto più pericolosi. Lei gli strinse il braccio e
lui sentì le unghie laccate attraverso gli strati di tessuto.
– Per
quale motivo, mio caro? – il tono era amabile, ma gli occhi verdi lo
trapassarono come pugnali.
– Vado
all’università e magari ogni tanto
dovrei andare a dare gli esami e seguire qualche lezione.
La
tensione sul suo braccio si sciolse appena. – Potrei aiutarti anche per questo.
– interruppe la conversazione quando passarono attraverso il blocco di
sicurezza. – Non dovresti prendere gli esami troppo sul serio.
Con la
scusa di sistemarle un orecchino, Michael si avvicinò al suo orecchio. – Già,
potresti, ma stasera si creerà un gran polverone e vorrei tenere il profilo
basso per un po’. – e aveva bisogno di passare un po’ di tempo con la ragazza
che dormiva nel suo letto e studiarla. – E poi, andare all’università mi piace.
Duchessa
si fermò davanti alle porte del vecchio ascensore. – Molto bene, – disse
lisciandogli una piega invisibile dello smoking. – Fino alla fine di settembre.
E voglio essere buona: questa tua pausa non influirà sul nostro accordo.
Michael
guardò fuori dalle finestre mentre salivano. Parigi si era appena tolta la
veste da giorno; quella severa, del business e dello studio, ammantandosi di
luci, pronta a catturare le persone per trascinarle nel fascino misterioso
della vita notturna fatta di musica e alcol. Due facce della stessa medaglia.
Due vite diverse, stessa anima. Un
po’ come lui.
La mano
di Duchessa si posò sulla sua e Michael si chiese come una mano così morbida e
minuta potesse tenerlo a un guinzaglio tanto corto.
– Tu sei
nato per questo. – disse Duchessa facendo un cenno alla Parigi notturna. –
Potrai essere sempre dolce con Angéline, potrai comportarti da cavaliere e
farti tutte le donne che vorrai, ma ricordati che mi appartieni. Come mi
apparteneva tuo padre. – aggiunse fredda. – Ti ha lasciato in eredità una vita
fatta di ombre e bugie. Scegli bene a chi vuoi raccontarle Michael. – il
ragazzo irrigidì la mascella infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni.
Ombre e
bugie. Questo gli aveva lasciato, era vero. Ma anche qualcos’altro. Qualcosa
che ogni giorno cresceva dentro di lui, facendolo diventare più forte. Un
giorno sarebbe riuscito a proteggere da solo sua sorella liberandosi una volta
per tutte del giogo di Duchessa. Si riscosse dai suoi pensieri quando
l’ascensore arrivò al primo piano dove si trovava il ristorante e la sala
esposizioni.
I suoi
occhi allenati cercarono le vie di fuga più rapide nel caso la faccenda si mettesse
male e la mano gli volò alla tasca interna della giacca dove teneva qualche
attrezzo da lavoro.
Soddisfatto,
porse il braccio sinistro a Duchessa e si mescolarono tra gli esponenti
dell’alta borghesia europea. Fecero il giro osservando i quadri e le stampe, ma
tenendo sempre sotto controllo il diamante esposto al posto d’onore, sotto una
teca antiproiettile.
Si
fermarono davanti ad una vecchia foto in bianco e nero della Torre Eiffel. – Il
pacchetto che ti ho chiesto è già al suo posto?
– Sì,
sotto il bancone del bar. Uno dei baristi lavora per me. L’ha sistemato durante
il precedente turno di lavoro.
Ghignò a
quella rivelazione. – Mi chiedo chi non lavori per te.
– Mi
chiedo cosa te ne faccia di quell’oggetto. – rispose lei. – Il vetro è
antiproiettile.
Michael
la tirò a sé, prendendola per la vita. – Hai detto bene, antiproiettile. Questo
non vuol dire infrangibile. – mormorò.
La lasciò
andare e si avvicinò alla teca per esaminare il diamante. Sotto la forte luce
delle lampade la pietra scintillava come se fosse animata da un fuoco
interiore. Catturò la sua attenzione e, come succedeva solo con sua sorella, il mondo intorno a lui smise di esistere.
Voleva
quel diamante. Voleva tenerlo in mano anche per pochi minuti e mostrarlo a
quella ragazza fredda e altezzosa che lo aveva rifiutato per ben due volte. Lui
era il migliore e quel furto l’avrebbe dimostrato.
– Smetti
di fissare il diamante come se volessi mettertelo in tasca. – gli sussurrò
Duchessa. La condusse verso un cameriere che offriva champagne su un vassoio
d’argento per distrarsi da quel tesoro che lo attraeva come una falena alla
luce.
– Strano.
– rise porgendole il bicchiere. – È proprio quello che voglio fare. Mettermelo
in tasca. – l’occhiata fredda di Duchessa gli fece allargare il sorriso sulle
labbra. – Non prenderla così male, chiunque vorrebbe mettersi in tasca quel
diamante. Non sono l’unico con lo sguardo affamato. – fece un cenno alle signore
al centro della sala che fissavano il diamante come se le loro vite
dipendessero da quello. – Come vedi è un pensiero ricorrente. Per dar meno
nell’occhio dovresti avere anche tu quello sguardo.
Duchessa
guardò con fare superiore le donne che si accalcavano attorno al diamante,
spingendosi le une contro le altre per avere la visuale migliore. Si strinse le
braccia intorno al corpo, mettendone in risalto le curve. – Perché dovrei
buttarmi lì in mezzo, quando tra qualche ora potrò ammirarlo in separata sede?
– Hai una
gran fiducia nelle mie capacità.
Duchessa
posò il bicchiere su un vassoio vuoto. – Direi che sei il migliore.
– Non hai
bisogno di dirmelo. So di esserlo.– rispose lui puntando gli occhi sull’orchestra
in un angolo della sala. – Ora, visto che abbiamo un po’ di tempo prima dello spettacolo,
che ne pensi di concedermi un ballo? – le porse la mano, invitandola. Ballare
con Duchessa era qualcosa che un uomo sano di mente non si sarebbe mai perso.
Lei era nata per quello e al fortunato a cui concedeva l’onore erano concessi
pochi minuti sotto i riflettori mentre accompagnava una delle donne di più
potenti del mondo.
La portò
vicino all’orchestra insieme ad altre coppie che stavano ballando. – Sai, Michael, dovresti venire alla mia
festa di Capodanno. – disse Duchessa stretta tra le braccia del ragazzo. – Ti
potresti divertire.
– E tu
potresti mettermi in mostra. – rispose, mascherando l’irritazione. Odiava la
villa di Duchessa, ci aveva passato fin troppe ore, sia da bambino quando
accompagnava il padre, che da adulto. – Come un tuo cucciolo al guinzaglio.
– Non
credere di essere il centro del mondo. Sei carino, ma non sei indispensabile.
Il mio era un atto di cortesia senza secondi fini.
Le labbra
di Michael si curvarono in un sorriso di scherno. Dubitava che Duchessa
concedesse ‘atti di cortesia’. Dettato dalla musica tirò a sé la donna che gli
poggiò la testa sulla spalla. – Su una cosa ti sbagli Duchessa. Io non credo di essere il centro del mondo.
Lo so per certo. Ora, non ti dispiace se inizio a lavorare e la smetto con i convenevoli?
La serata inizia a essere noiosa.
– Ti
annoia la mia compagnia? – chiese lei fermandosi. Doveva essere uno schiaffo
per Duchessa, la donna che da sola riusciva a tenere testa a molti uomini
potenti. Le aveva detto che era noiosa e Michael non poteva divertirsi di più.
– Diciamo
che quel bel sasso luccicante laggiù è più interessante. – fece due passi
indietro e si infilò i guanti, prima di mettere una mano in tasca prendendo una
piccola pallina di plastica. L’oggetto era inerte, conteneva solo del fumogeno
che serviva a creare confusione e a nascondere le tracce.
Attirò
l’attenzione su di sé. – Signore e signori, mi dispiace interrompere questa
bellissima serata fatta di champagne, falsi sorrisi ed esorbitanti donazioni,
ma ci sono alcune cose importanti che richiedono la vostra cortese attenzione.
– schiacciò la sfera tra due dita e il fumo invase la sala, scatenando il
panico. – Ora se non vi dispiace, – proseguì Michael intessendo la sua magia. –
Siete pregati di dormire. – infuse in
quella parola tutti i suoi poteri e il susseguirsi di tonfi sordi lo informò
che la gente si era addormentata. Tra qualche ora si sarebbero risvegliati senza
ricordarsi di lui di lui. Sarebbe stato un’ombra nella notte.
Evitando
di pestare i corpi, si avvicinò al bancone del bar per recuperare l’oggetto che
gli serviva, ma un coltello si piantò nel legno a pochi centimetri dalla sua
mano, vibrando minaccioso. Quello non se lo aspettava.
Si girò
con i sensi in allarme, chiedendosi chi gli avesse lanciato un coltello. In
mezzo al fumo, in un angolo della sala, brillava una luce. Assorbì la cortina
fumogena, rivelando un giovane con i capelli ricci e la pelle ambrata. Teneva
in mano una vecchia lanterna e lo guardava con rabbia. Michael riconobbe la
divisa dei membri dell’orchestra e trattenne un’imprecazione. Strinse i denti,
era un inconveniente che poteva rovinargli il piano preparato tanto
accuratamente.
–
Risveglia queste persone. – ordinò secco il musicista. – Subito. – parlava
francese, ma con un morbido accento meridionale.
– Gli
stranieri si divertano a lanciarmi addosso oggetti contundenti. – rispose
ironico.
Il
ragazzo batté un paio di volte le palpebre preso alla sprovvista, ma si riprese
estraendo un mazzo di carte dalle tasche. – Tre di Spade. – una delle carte si
illuminò e gli apparve in mano una spada corta a tre punte. – Ora, – continuò
lui puntandogliela contro. – sveglia queste persone.
Michael
si guardò le unghie curate, tenendo sempre
sotto controllo l’altro ragazzo con la coda dell’occhio. In momenti del genere
far perdere il controllo al proprio avversario lo avrebbe messo in vantaggio.
La gente furiosa agiva d'istinto e l’istinto uccideva come una spada. – Perché
dovrei farlo? Il fatto che tu abbia una spada in mano, non vuol dire che sappia
anche usarla. – rotolò sul fianco quando il ragazzo gli lanciò contro la spada
andandosi a conficcare accanto al pugnale.– Sembra un gioco divertente, –
commentò con un risata. – fa provare me. – strinse le mani intorno all’elsa
dell’arma, ma quando la estrasse, la spada tornò a essere una carta. – imprecò
sottovoce. Si era dimenticato di quel piccolo particolare che suo padre gli
aveva spiegato molti anni prima.
– Gli Arcani liberi non possono usare le
carte che possiedono gli altri. – lo
prese in giro ed estrasse di nuovo il suo mazzo. – In forma umana, Cavaliere di
Bastoni. – la carta brillò, ma anziché un’arma apparve un uomo con tratti mediorientali
e una lunga tunica dai colori sgargianti. In mano aveva un pesante bastone in
legno nero con incastonate delle borchie d’ottone. – Immobilizzalo. – ordinò il
ragazzo con sguardo truce.
L’uomo brandì
il bastone contro di lui, tirandogli un colpo di lato che Michael evitò
saltando sul bancone in marmo del bar. Quando il bastone lo sfiorò, una vampata
di calore lo lasciò senza fiato e grondante di sudore.
– Salti
come una scimmietta. – commentò l’uomo con un ghigno.
Si lasciò
cadere dietro il bancone del bar per recuperare l’oggetto che gli serviva e
ripararsi da un attacco alle ginocchia. Sotto i suoi occhi, il bastone colpì la
bottigliera sciogliendo lo specchio antichizzato.
Una
pioggia di vetri fusi e alcolici bollenti gli caddero addosso, costringendolo a
rotolare di lato.
Strinse i
denti. La gamba destra si stava riempiendo di vesciche. A carponi, percorse la
pedana fino al barista addormentato. Trovò sotto la cassa l’oggetto che aveva chiesto
a Duchessa e lo strappò mettendolo in tasca.
Sì rialzò
e saltò oltre il bancone facendo leva su una mano, evitando il Cavaliere di
Bastoni e si ritrovò davanti il ragazzo che prima gli aveva lanciato contro la
spada.
Per una
frazione di secondo si squadrarono. Aveva gli occhi neri e i capelli ricci,
forse del sud della Francia o della Spagna, ma qualcosa gli diceva che avrebbe
dovuto riconoscere quello sguardo spaventato. Il momento di tranquillità
esplose come una bolla di sapone e Michael gli sferrò un pugno, spedendolo
contro le sedie. – La prossima volta presentati prima di attaccarmi.
Corse
verso la teca che conteneva il diamante con le orecchie tese per cogliere altri
eventuali attacchi. Strappò dall’involucro rivelando un generatore di ultrasuoni
da applicare e una piccola pistola a colpo singolo.
Lo
spostamento d’aria improvviso lo avvertì dell’attacco e riuscì a evitarlo per
un soffio. Il bastone del Cavaliere attraversò il vetro antiproiettile e fuse
la teca. Grosse gocce di vetro incandescente caddero sulla moquette bruciando il tessuto. – Una scimmietta
davvero agile.
Distrusse
il resto della teca con un movimento di polso, lanciando vetri ovunque.
Michael
rotolò via evitando l’attacco al fianco sinistro. Se fosse arrivato a segno,
gli avrebbe sfondato le costole e sarebbero stati guai seri. – Sarò anche una
scimmietta, ma tu sei leggiadro come un bisonte zoppo. – si spostò verso il
diamante, tenendo sempre sott’occhio il Cavaliere. Gli insegnamenti di suo
padre gli tornarono in mente e i polsi gli tremarono per l’agitazione. Aveva
una carta di bastoni in forma umana con tanto ci capacità di usare il fuoco.
L’uomo
sputò per terra e lui approfittò di quel momento di distrazione per lanciarsi
sul gioiello senza curarsi del sistema d’allarme. Lo strappò dalla base
magnetica, le sirene esplosero nella torre. In pochi minuti sarebbe stata
circondata e lui doveva disimpegnarsi.
– Sai, –
disse Michael rivolto all’altro Arcano, il musicista. – Ti consiglio di
richiamare il tuo amico. – parlava lentamente guadagnando tempo per avvicinarsi
alle grandi finestre della sala. – Tra poco la polizia sarà qui e indovina chi
incolperanno per tutto questo disastro? – l’altro ragazzo si rialzò e si ripulì
la giacca dai vetri con calma e il puro odio negli occhi.
Qualcosa
in quello sguardo gli fece montare la rabbia, ma non aveva più tempo. O fuggiva
ora o mai più. – Non me. – precisò Michael con un ghigno quando sentì il freddo
della finestra contro la schiena. Fissò il trasmettitore a ultrasuoni contro il
vetro e lo accese, stringendo forte i denti. Si sentì il bip dell’attivazione, prima che la finestra esplodesse,
frantumandosi in un milione di pezzi e con essa tutte le altre finestre del
primo piano.
Michael
scoppiò a ridere, guardando la faccia sconvolta del ragazzo. Sì, era appena
finito in un mare di guai e lui non sarebbe rimasto per vedere come sarebbe
andata a finire. Con l’aiuto della sua magia si rese invisibile e si tuffò
nel vuoto. Frenò la caduta con
la pistola e il rampino magnetico, che facevano parte del pacchetto che
aveva
trovato sotto il bancone del bar. Era lunga appena quindici centimetri
e nel
calcio, conteneva cinquantacinque metri di cavo sottile
ultraresistente. Un
piccolo oggetto che gli tornava comodo nelle situazione disperate e che
lui aveva
fatto costruire da un ex-agente della Polizia Segreta giapponese che
doveva molti favori a Duchessa. Il rampino si attaccò alle travi
di metallo
della torre, permettendogli di fuggire da quella trappola mortale che
era
diventata la Torre Eiffel. Lo strappo della frenata gli mozzò il
respiro e
sentì un pericoloso scricchiolio alle ossa del braccio, mentre i
muscoli tesi urlarono di dolore.
In basso,
appena a un paio di metri da lui, la gente urlava spaventata e mentre le forze
dell’ordine circondavano il perimetro della torre. Ancora invisibile, lasciò
andare la pistola e ammortizzò gli ultimi metri da terra con le ginocchia.
Aveva
dovuto usare la sua via di fuga per le emergenze ed era furioso. Il suo doveva essere un colpo pulito e
facile, non avrebbe dovuto distruggere metà del primo piano. Quel colpo ora era
una macchia sulle sue abilità che qualunque persona interessata a lui avrebbe
potuto contestargli. Per tornare alla ribalta avrebbe dovuto progetta qualcosa
di altrettanto fantasioso e portarlo a termine senza intoppi o i suoi clienti avrebbero
perso la fiducia. Si tolse la polvere dallo smoking, maledicendo quell’Arcano
per avergli rovinato il piano e un Westwood che costava quanto un’auto nuova.
Mentre si confondeva tra la folla, gli tornò in mente la conversazione che ebbe
con suo padre mentre lo addestrava.
Sorrise,
sentendo il freddo del diamante contro la propria mano, avrebbe dovuto pensarci
prima e scegliere una soluzione ancora più facile. Nel suo letto dormiva una
Carta di Spade che avrebbe potuto usare come distrazione. In futuro avrebbe
potuto mandarla avanti per eliminare gli ostacoli. Forse era arrivato il
momento di aggiungere un nuovo Arcano al suo mazzo che gli facilitasse il
lavoro.
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NdA: Sono riuscita ad aggiornare, sembra quasi un miracolo. A causa di alcuni impegni ho dovuto saltare ben due settimane, ma spero che il capitolo vi piaccia lo stesso. Mia Dolcissima Bea, amante di Michael, sai che questo capitolo è dedicato a te. Il vero molto di Michael è questo. Un ladro geniale egocentrico come pochi.
Spero di riuscire ad aggiornare la prossima settimana. Ci provo, non prometto niente! <3
Un grazie a tutti quelli che leggono hanno messo tra i preferiti/ricordatii/seguiti