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Autore: IamShe    20/03/2014    7 recensioni
Shinichi è uscito trionfante dallo scontro con l’Organizzazione, e a distanza di tre anni, si gode a pieno la sua vita di detective nazionale ed ammirato da tutti. Non gli manca nulla, neanche l’amore di Ran. Ma quando tutto sembra andare per il verso giusto, qualcuno sfrutterà l’ingegno della sua amica Shiho per proiettarlo in un mondo che il suo cervello, altrimenti, non avrebbe mai perseguito: quello della criminalità. E non potrà più sfruttare la sua intelligenza, che presto scoprirà arma della sua stessa tortura, ma qualcosa che il suo mito Holmes riteneva stupido e debole, da evitare: le sue emozioni.
- - - - -
Shinichi non seppe come muoversi: sebbene conoscesse a memoria la sua cucina, non aveva la minima idea di dove si nascondessero i criminali che li avevano sorpresi.
«Cosa volete?» chiese, girandosi intorno e cercando di ripararsi. Pensò ad un piano che potesse mettere in salvo tutti, ma il suo istinto lo fece voltare verso la sua fidanzata: Ran giaceva a terra con gli occhi chiusi, respirando normalmente. Questa fu l’ultima cosa che vide.
«Te», fu l’ultima che sentì.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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T o r t u r e d  M i n d

 
Nono capitolo Ninth chapter Neuvième chapitre  Il profumo dell'infinito Noveno capìtulo Neunten Kapitel 第九章 아홉 번째 장 
 
 
 



Shinichi non capì immediatamente cosa stessa accadendo, né recepì subito le sue parole. Sbatté più volte le palpebre come a cercare di convincersi di aver ascoltato bene, ma aveva perso il filo del discorso e non riusciva più a recuperarlo. Perché avrebbe dovuto essere suo?
«Scusami?» chiese, incredulo.
«Io ti amo, Shinichi» confessò la giovane, il cui vero nome era Ichigo. «Mi sei sempre piaciuto, e all’improvviso si è come materializzato davanti a me uno dei miei sogni più grandi... Io e te insieme, mentre tutto il mondo era il nulla.»
“Questa è pazza” pensò il detective, basito.
«L’ultima cosa che avrei voluto era ammazzarti» confessò ancora la ragazza. «Io ti volevo soltanto mio! Ho seguito tutti i tuoi casi fin da quando eri un detective di poco conto, poco più che quindicenne, io ci sono sempre stata per te e con te, solo che tu non lo sapevi. Ho un diario con ogni caso che hai risolto, e con una tua foto sul luogo del delitto.»
Shinichi rabbrividì, e indietreggiando, “ok, questa è totalmente pazza” si disse.
«E da sempre sei affiancato da lei» strinse i denti, stizzita. «Cosa ci trovi in lei? È una fifona, ha paura di tutto, piange sempre, non ha un minimo di intuito! Lo so che adesso ti sembrerò pazza...»
“Ma dai” la sfotté mentalmente, cercando di mantenersi serio.
«Ma sono abbastanza sicura che sia io la donna perfetta per te! D’altronde qualche giorno fa, c’era una bellissima sintonia tra noi. Lo ricordi no?» sorrise, con convinzione, ma Shinichi rimase impassibile, con lo sguardo glaciale.
«Non ricordavo nulla, mi hai spinto a credere fossi tu la mia ragazza» disse. «Ma posso assicurarti che per te non provo nulla, e questo lo sentivo distintamente... anche se non ricordavo niente.»
La tristezza si impossessò del volto di Midori. «Cosa?»
«Non proverò mai niente per te, nemmeno se mi forzi a crederlo. L’amore non si decide. Invece...» e sorrise, dando uno sguardo a Ran, ancora addormentata sotto di loro, «...appena ho visto la fifona qui presente, è stato diverso. Non saprei spiegartelo, è qualcosa che va oltre la mia razionalità.»
«Ma io...»
«Mi dispiace interrompere questa tenera e sdolcinata conversazione», una voce interruppe quella di Midori, che sbiancò e girò il capo di scatto, ritrovandosi di fronte alla figura robusta e alta di Akira.
«Ma dato che Kudo è riuscito ad ammazzare il suo migliore amico, adesso io dovrei ammazzare lui.»
 
§§§
 
Gli uomini di Akira esultarono in silenzio, sorridendo e ridendo alla vittoria della missione. Lasciarono velocemente il posto, assicurandosi che nessuno li vedesse fuggire via e cominciarono a canticchiare strane canzoni in rotta verso la macchina.
«Siamo stati dei grandi!»
«Vero!» replicò un altro, entusiasta, quando poi, guardandosi intorno, disse sconcertato: «Ma Akira dove è andato? Non lo vedo più.»
«Veramente se ne è andato già da parecchio» lo informò un altro, con un’evidente nota di fastidio. «Noi facciamo il lavoro e lui si prende il merito.»
Perfino un altro di loro annuì, aprendo la portiera dell’auto con la chiave. Ma una voce li fermò e li fece voltare all’unisono.
«Buongiorno, signori» disse.
Dietro di loro vi erano Sato, Takagi e Shiratori. Affiancati da decine di poliziotti.
 
§§§
 
“Hattori”, il suono del cognome del migliore amico risuonò nella sua mente come un’eco lontano e martoriante. Fu come cadere nel vuoto, senza nemmeno poter godere della sensazione che prima o poi sarebbe finita in uno sfracello. Shinichi stava precipitando dentro di sé, senza direzione o senso, continuava soltanto a precipitare, e a perdere tutte le sue funzioni cognitive. “Hattori.”
«Akira!» sbottò Midori nel vederlo avvicinarsi, mentre il detective era impallidito e cominciava a sudare freddo. Con tutto quello che era successo in quella giornata, aveva completamente dimenticato di aver suggerito, tempo prima, a quella banda di criminali il modo migliore per poter uccidere Heiji. Il suo corpo cominciò a tremare, colpito da un improvviso attacco d’ansia: alla fine, l’aveva ucciso davvero?
“No, non è possibile” rise, incredulo, cercando di auto convincersi. “Non posso averlo fatto davvero... non a lui... n-non è vero...”
«Che bel quadretto.»
«Akira, stai calmo» provò Midori. «Sai che tuo fratello ha ucciso volontariamente? Questa è una follia ormai, lasciamola perdere, ti prego!»
“Non so nemmeno dove l’hanno portato...” pensò tra sé e sé con le iridi azzurre divaricate, ignorando completamente l’uomo che avanzava verso di lui. “Ieri stavano dicendo qualcosa sul terrazzo...”
«Pazza ci sarai te» sputò fuori l’uomo arrabbiato.
«Akira... ti prego...»
«E dunque eri innamorata di questo qui?» rise il criminale, come se si stesse divertendo, «mio dio, Midori o come cavolo ti chiami, sei proprio pessima.»
«Non azzardarti a fargli del male!» sbottò ancora lei, lacrimando impaurita. «Lui non c’entra! Ha fatto solo il suo lavoro, il suo dovere!»
«Anche Hattori aveva fatto soltanto il suo dovere. Com’è che non ti vedo in pena per lui?» la sfotté Akira, mentre Midori indietreggiava lentamente verso Shinichi, con le gambe che la reggevano appena. Akira puntava contro di loro una pistola, ma lei aveva ancora la sua tra le dita, ed avrebbe potuto utilizzarla. Ma Shinichi aveva detto che suo padre non sarebbe stato fiero se avesse ucciso qualcuno, ma se avesse ucciso un criminale? Così alzò anche la canna della sua pistola verso il suo socio delinquente, che sorrise con spavalderia, piuttosto che impaurire.
«Brava, uccidimi pure» rise, soggiogandosi di loro. «Così Kudo avrà sulla coscienza due omicidi anziché uno. Dimmi, detective, come ci si sente ad aver ucciso il tuo migliore amico?»
Shinichi non rispose, incapace a recuperare tutta la sua sicurezza e audacia per cercare di zittirlo. Aveva davvero ucciso Hattori? Lui che gli era rimasto sempre accanto, lui che era corso quando l’aveva sentito al cellulare, lui che era caduto nella sua trappola perché si fidava troppo del suo amico, lui che l’aveva sempre aiutato, lui che da sempre era stato dalla sua parte?
«Ma dai, hai capito tutto poi» sussurrò Akira. «Io volevo farvi provare esattamente le stesse emozioni che abbiamo provato io e mio fratello. Io volevo portarti “dalla mia parte”, sì, ma non dalla parte della criminalità... ma nel mondo in cui non esistono funzioni mentali precise e funzionanti... laddove non ti accorgi di quel che sta accadendo, dove la razionalità non esiste!»
Premette l’indice sul grilletto, puntando alla sua testa. «E se anche io adesso non ti uccidessi, tu moriresti di questo: per le torture che la tua mente ha ricevuto, per l’impossibilità a vivere con la consapevolezza di aver ucciso una delle persone più care che avevi» disse, come se stesse sputando veleno. «Dunque, ringraziami anche, Kudo. Ti risparmio il dolore...», e premette il grilletto.
Ma il colpo non raggiunse mai il cervello del detective. Midori aveva sparato nello stesso momento, e Ran si era alzata, facendo crollare a terra Akira, salvandogli la vita. Tutto successe nel giro di qualche secondo: diversi poliziotti entrarono in camera coi fucili alle mani, puntandoli contro Midori e Akira, mentre Ran assestò un colpo alla nuca del criminale, privandolo dei sensi.
«Dovevo agire in questo momento, vero, Shinichi?» chiese conferma al fidanzato, come preoccupata, perché non poté fare a meno di notare il suo sguardo perso e vuoto. «Shinichi?»
«Noi siamo entrati nel momento giusto, vero, Kudo?», domandarono invece gli agenti, compiacendosi tra loro per come la missione fosse andata.
Midori osservò il tutto con incredulità, mentre i poliziotti la disarmarono e le puntarono due fucili alla testa, obbligandola a stare ferma. Le sue mani vennero intrappolate in delle manette troppo strette per poter pensare ad altro. Ma lei non ci badò, il suo sguardo era solo per il detective.
E lui era come se non fosse lì.
«Shinichi...» disse Ran, alzandosi ed avvicinandolo. «Ehi...»
«Dove sono?» chiese lui improvvisamente, come destandosi da un incubo. «Gli ispettori Sato e Shiratori non ci sono. Loro dovrebbero condurre le missioni in assenza di Megure. Dove sono andati?»
«Ehm...» balbettò uno dei poliziotti, in difficoltà. «Alla centrale ho sentito che vi era un’emergenza all’Haido Hotel.»
«Heiji.» Disse spontaneamente il suo nome, senza neanche rendersene conto. Superò i poliziotti velocemente, scontrandosi con le loro spalle, sperando che si attenessero al protocollo che lui aveva suggerito loro poche ore prima: arrestare Akira e Midori, e portarli in centrale. Ma non era quello il momento di pensarci. In realtà, quello non era il momento di pensare a nulla.
Non ragionò mentre prendeva la sua moto e accendeva il motore, non ragionò vedendo Ran seguirlo e saltare in sella, non ragionò quando sfrecciò velocemente per le strade di Tokyo, rischiando tamponamenti ed incidenti. In fondo, ammise, era tremendamente impulsivo anche lui, a volte. E gli succedeva solo in due casi, lo sapeva: Ran, intoccabile e sua, e Hattori, che a modo suo e di soppiatto era entrato dentro di lui, sconvolgendogli la vita. La sua mente non connetteva più nulla, aveva un solo ed unico obiettivo: trovarlo, parlargli, salvarlo.
Quando arrivò all’Haido Hotel, il sole era ormai calato del tutto. Il cielo si era sfumato di azzurro-blu, le numerose stelle lo illuminavano con eleganza e dolcezza al cospetto di una meravigliosa luna piena. Lasciò andare la moto senza cura, facendola sbattere a terra, non curandosi dei passanti che lo guardarono allibiti.
Corse verso l’interno, seguito da Ran, che durante il tragitto e per tutto il tempo non gli aveva chiesto né detto nulla. Il detective si fermò improvvisamente, chiedendosi da che parte dovesse andare e dove potesse essere. Poi ricordò, mentre il suo cuore accelerava: “cella frigorifera”.
Fece scattare le gambe in avanti, dritto verso il ristorante dell’albergo, che ricordava fosse al piano inferiore. Quando il receptionist gli chiese cosa volesse, Shinichi si fermò un istante per metabolizzare cosa stesse accadendo. Guardò l’uomo con gli occhi spalancati e il fiatone, il viso pallido e le mani tremanti.
«Per caso di qui è passato un ragazzo alto, dalla carnagione olivastra e con un evidente accento di Osaka?!» specificò, agitato e impaurito. Era la caratteristica di Heiji che, per assurdo, lo divertiva di più e che non avrebbe mai potuto ignorare. Quell’accento così strano, che se mai avesse voluto provare ad imitare si sarebbe beccato un bel pugno in faccia, perché ad Hattori dava fastidio che uno di Tokyo potesse parlare come lui, nella sacra lingua del Kansai. Però adesso non era più divertente; quell’accento, adesso, risuonava fastidiosamente nella sua mente e non scemava più via. Adesso lo odiava.
«Ehm... mi sembra di sì» disse l’uomo, stranito dal comportamento del detective. «Ma parecchio tempo fa. È andato verso la cucina.»
Shinichi sentì le gambe tremare, ma le obbligò a correre verso quella dannata cella frigorifera per salvarlo. Superò la cucina con velocità sorprendente, lasciando cadere dietro di sé pentole e forchette, e obbligando Ran ad evitarle per non inciamparci dentro. Quando furono davanti alla cella frigorifera, Shinichi cominciò a bussarci dentro con violenza.
«Hattori!?»
Ran deglutì, terrorizzata, rendendosi conto che dall’altra parte non proveniva nessuna risposta. Vi era un silenzio tombale, spezzato soltanto dal respiro pesante di Shinichi e dal cognome di Heiji che echeggiava nell’ambiente con angosciante paura. Il detective si rese conto che c’era un codice per aprire la porta, da inserire in un tastierino numerico alla sua destra. Un codice. Un codice a dividerlo dal suo migliore amico.
Provò tutte le parole che gli vennero in mente in quel momento, cercò di ragionare e pensare ma la sua mente non connetteva e non aveva alcuna intenzione di sforzarsi.
«Hattori...» mormorò, con le parole che gli morivano in gola e il fiato che si fermava e i polmoni che si strinsero su se stessi. Si accasciò sulle sue ginocchia, lasciando strisciare le dita e le unghie sulla porta blindata della cella frigorifera, mentre uno stridulo rumore di ferro spezzava il silenzio di quella cucina al piano inferiore dell’Haido Hotel.
«Shinichi...» lo chiamò Ran, mentre le lacrime le bagnarono copiosamente le guance. «Shinichi... Hattori è...» ma non riuscì a concludere, perché ormai era inutile anche parlare. Il detective infatti non la sentì: il suo sguardo era preso dalla porta e dalla sue unghie conficcate in essa.
“Heiji...” pensò, col palato secco e le fauci aride. “Heiji, non tu... non io...”
Poi i suoi occhi si spalancarono improvvisamente: “ma Sato e Shiratori, chi li ha...” pensò, quando la sua mente ebbe la facoltà di ragionare per un secondo, ma una voce lo fermò, e non gli diede il tempo di concludere.
«Ma che stai facendo?» disse, e Shinichi si voltò, e il suo cuore si bloccò improvvisamente. Quell’accento di Osaka, quella voce. Heiji era dietro di lui, sorridente, con solo una coperta sulle spalle. Heiji era lì, e dietro di lui vi erano Kazuha e Shiho.
«Hattori!» sbottò entusiasta Ran, piangendo dalla gioia, mentre Shinichi era paralizzato dalla sorpresa.
«Si può sapere perché Kudo urla il mio nome? Mi ha stonato un timpano!» ridacchiò, mentre le due ragazze accennarono un lieve sorriso.
Shiho aggiunse con una ben velata gioia: «credo che sia tornato ad essere lui», mentre Hattori scosse il capo, «il vecchio Kudo non avrebbe mai urlato il mio nome in questo modo, quindi è probabile sia impazzito» disse, e sorrise.
Shinichi si chiese se stesse sognando o meno, e gli venne una gran voglia di chiedere a qualcuno di loro se potessero dargli un pugno, tanto per capire se riuscisse a provare dolore. Ma ciò che aveva avvertito quando aveva pensato che lui fosse morto era troppo vero per non essere realtà.
«Ma... c-come hai fatto a salvarti?»
Lui indicò col capo Shiho. «Ci ha salvati lei.»
«Miyano?» la chiamò Shinichi, e lei riconobbe la stessa intonazione che metteva sempre quando la chiamava. Era proprio lui.
«Ho seguito Toyama verso l’albergo, ma lei non se ne è accorta. Quando sono arrivata, una banda di criminali l’ha tramortita e legata nella cella. Io ho aspettato in disparte che se ne andassero, ma ho capito che stavano aspettando che Hattori arrivasse per ucciderli definitivamente. Così ho pensato che era meglio aspettarlo - dato che da sola contro una decina di uomini armati potevo far nulla, far credere a loro che il piano fosse riuscito e poi salvarli. Intanto ho chiamato la polizia, che li ha prontamente arrestati all’uscita dell’albergo. E per fortuna, ero lì quando hanno inserito il codice per intrappolarli e rallentare i soccorsi. Per la cronaca, era “morte”. Direi che la fantasia non è il loro forte.»
«Ci stavo per rimettere le penne» rise Heiji, come se non fosse accaduto nulla, mentre Kazuha gli regalò un’occhiata truce. Era incredibile come il suo fidanzato riuscisse a minimizzare le cose.
«Ma piuttosto, perché sei qui ad urlare il mio nome tu?» chiese all’amico, con una vena di allegria. «E come hai fatto a recuperare la memoria?»
«Io...», Shinichi era a corto di parole. Aveva fatto una corsa pazzesca, terrorizzato all’idea di aver ucciso il suo migliore amico, aveva superato tutti i limiti orari e lasciato dieci poliziotti con due criminali in casa sua. Aveva passato giorni infernali, dove ignorava chi davvero fosse stato, dove aveva vissuto con dei delinquenti, e dove per poco non aveva mandato a monte tutti i suoi più cristallini principi. Era così stanco e stressato che avrebbe potuto addormentarsi anche all’in piedi.
“Perché tutte a me...”
Fece scivolare le gambe sul pavimento, appoggiando la schiena alla porta della cella frigorifera, e premendosi il capo tra le mani.
«Perché succedono tutte a me?!» sbottò, e dopo un attimo di stupore generale, strappò un riso a tutti.
Anche a se stesso.
 
§§§
 
«Oh, tutto è bene quel che finisce bene» sorrise Hattori, allegro come poche volte era stato prima d’allora. Era forse la sensazione di aver ritrovato il suo migliore amico, che stranamente lo stava evitando da quando s’erano incontrati, la convinzione che la giustizia avesse vinto di nuovo sulla criminalità, o magari la bellezza di vivere la vita quando poco prima hai avuto l’opportunità di morire.
«Dunque sono stati tutti arrestati, no? Non c’è possibilità che vadano ancora in giro a privare la gente della loro memoria?»
«No» accertò Sato, concludendo di scrivere il suo rapporto giornaliero. Da quando Megure era stato in ospedale, tutto il lavoro era gravato su lei e Shiratori. Takagi si godeva i benefici di essere ancora un agente, senza le responsabilità degli ispettori: per qualche attimo, lo invidiò. «Le telecamere messe in giro per Tokyo sono state tutte recuperate. Anche il proprietario del Pandemonium è stato arrestato, e la macchina adesso è sotto sequestro. E difficilmente tornerà a privare la gente dei suoi ricordi. Vedremo un po’ che ne penserà il governo.»
«Ma la denuncia nei confronti di Kudo è stata ritirata, no? Quei poliziotti l’hanno capito che doveva essere assolto da ogni accusa?»
«Sono stati mandati appositamente nella missione a casa sua per ascoltare tutto ciò che avevano da dire con Akira. Si sono ricreduti.»
«Oh, ma è una bellissima notizia!» squittì il detective, voltandosi verso l’amico, che però distolse lo sguardo imbarazzato. Da quando erano usciti da quella cucina, Shinichi non gli aveva ancora rivolto la parola.
«Ehi, Kudo, hai sentito?» riprovò, ma fu Ran a salvarlo dal timore che Hattori potesse capire perché avesse urlato a squarciagola il suo nome.
«Perché ricercavano Shinichi?» chiese la karateka, stranita.
«Per associazione a delinquere» disse Sato, «all’occhio di qualcuno risultava essere un complice.»
«Che assurdità!» sbottò lei, e Hattori annuì.
Il detective di Tokyo si schiarì la gola, ma un leggero rossore non tendeva a scemare dalle sue guance. «Come sta... l’ispettore Megure?»
«Bene, è uscito dall’ospedale» rispose la donna. «Adesso è a casa a godersi le cure di Midori. La sua però.»
Shinichi abbozzò un leggero sorriso. Era stato un criminale per pochi giorni ed aveva quasi ucciso Heiji e l’ispettore, senza contare che Ran era stata imprigionata da lui stesso. Aveva battuto ogni record. Anche se sospettava che non esistessero record di gente che perdesse la memoria e poi diventasse un criminale, ma non aveva voglia di pensarci.
Dopo aver rilasciato diverse deposizioni alla polizia, i ragazzi furono lasciati andare. Stanchi, si diressero tutti a casa di Shiho e Agasa, l’unica che non era stata profanata dei delinquenti e l’unica che per un po’ non sarebbe stata sotto sequestro. Quando il dottore li vide, preparò ad ognuno di loro un bel piatto di riso al curry e tanta frutta e diversi dolci, che la scienziata però non gli permise di mangiare.
«Ragazzi, è stata una brutta esperienza, però si è risolto tutto...» cercò di rincuorarli il dottore, notando una generale tristezza. «L’importante è che non si sia fatto male nessuno.»
Ma non vi fu risposta, tutti concentrarono i loro occhi soltanto sul riso al curry che avevano davanti. Soprattutto Shinichi, che sebbene fosse stato assolto da tutte le accuse e non avesse ucciso nessuno, era tremendamente silenzioso. La cena volò via velocemente, nel giro di circa cinque minuti. La fame era tanta, ma molto più profonda era la voglia di dormire e riposarsi. La voce del dottore fu l’unica che ascoltarono quella sera, e il rumore del riso che si rompeva tra i denti l’unico che si gustarono. Agasa diede due futon ai ragazzi, Shiho si accomodò sul divano, mentre Ran e Kazuha nel letto della scienziata.
Shinichi osservò il soffitto a cupola della casa del professore e provò a concentrarsi solo su quello, immaginandolo come un buco nero che potesse portarsi via tutto quello che aveva passato in quei giorni. E ci buttò dentro Heiji che stava per morire, Ran in quella cantina, il suo risveglio, il momento in cui gli avevano iniettato il siero e quando si era trovato faccia a faccia con loro al porto. I suoi flashback, prima col liquore e poi solo con la pelle della fidanzata.
Diede uno sguardo all’amico, che dormiva scomposto sul suo futon e a tratti russava pure, sia alla scienziata, che sembrava appisolata con grazia sul divano. Ma da come batteva le sue ciglia, troppo velocemente per qualcuno che stava dormendo, capì che era sveglia.
«Miyano?»
Gli arrivò un solo mugugno come risposta.
«Ti ho svegliata?» chiese, poi rise per come la domanda suonasse ovvia. Lei sbuffò.
«Che c’è Kudo? Mouri non ti ha dato il bacino della buonanotte e lo vuoi da me?»
«Miyano!»
«Se vuoi mi alzo e te lo do» rispose, seppur tra le righe ironiche era possibile scorgere una sorta di felicità.
«Smettila di dire idiozie» si lamentò. Sospettò che l’imbarazzo non lo avrebbe mai più lasciato. «Già oggi quell’altra mi ha fatto una dichiarazione d’amore.»
Shiho sbatté più volte le palpebre, allargando le iridi. «Ma chi?»
«Midori... o Ichigo. O come vuoi chiamarla.»
«La rossa?»
Lui annuì, strusciando la testa sul cuscino. «Lei.»
La scienziata rise per qualche istante, poi si zittì. «Dunque? Mi hai svegliata per parlare delle tue spasimanti? No perché facciamo mattina.»
Shinichi alzò il capo e la guardò insospettito. «Mi stai facendo un complimento?»
Lei sbuffò di nuovo, abbassando le palpebre. «Kudo, cosa vuoi?»
Shinichi avvertì le guance imporporarsi. «Niente... volevo solo... solo...», poi si voltò verso Hattori. «Ma secondo te sta dormendo sul serio?»
Shiho scosse il capo, sospirando incredula. «Dormi anche tu, Kudo.»
«Ma...»
«Non mi devi ringraziare» disse velocemente, in un sussurro. Shinichi allargò le palpebre, sorpreso per come avesse capito tutto all’istante, poi sorrise.
«Notte» disse lui, chiudendo gli occhi.
«Aspetta» lo richiamò Shiho, accavallando le gambe sui cuscini del salotto. «Avevi ragione, sai. Brutti o belli che siano, i ricordi sono tutto quello che ci appartiene e che ci rende unici.»
Lui curvò le labbra all’insù. «Sono felice tu abbia cambiato idea.»
«Non te l’ho mai detto...» disse, e sospirò. «Ma lo sai già
Shinichi rise, socchiudendo gli occhi.
Recepì il suo grazie tra le righe di una vita vissuta tra criminali, nella la rinascita di una donna che adesso aveva tutto ciò che potesse desiderare sotto il cielo stellato di Tokyo.
 
§§§
 
La bocca del detective di Osaka si aprì in un rumoroso e scomposto sbadiglio, accompagnato da una tazza di caffè amaro e qualche biscotto. Il suo futon con le coperte raggrinzite e stranamente tendenti al limite destro del materasso affiancava quello del suo migliore amico, che però sembrava ancora dormire serenamente. Anche la scienziata, sul salotto, apparentemente immobile, era avvolta in un sonno ristorante e riposante. In fondo, erano stati giorni estenuanti, ed avevano accumulato tanta stanchezza da poter dormire per giorni. Eppure lui era stato il primo a svegliarsi tra tutti, sebbene ancora non riuscisse a capacitarsi di cosa fosse stanco Agasa.
«Ciao Hattori.»
Perso nei suoi pensieri non si accorse immediatamente che accanto a lui, intorno al bancone circolare del professore, si fosse seduta Ran. Anche lei stava sbadigliando ed aveva due occhiaie violacee a truccarle il viso, che le donavano un aspetto stanco ma allo stesso tempo rilassato.
«Ciao Ran» la salutò, passandole il caffè. «Come mai già sveglia?»
«Potrei farti la stessa domanda» rispose con un sorriso, versando abbondante zucchero nella tazza. «Dormito bene?»
Lui rise, strofinandosi i capelli e lasciando una mano in essi. «Mi piacerebbe dirti di sì... quindi sì.»
«Se ti può consolare, neanche io ho dormito molto.»
«Ripensavo a quello che abbiamo passato e a come tutto sia stato così assurdo...» confidò Heiji, facendo roteare la tazza tra le sue dita per riscaldarsi. «Ancora non riesco a capacitarmene.»
«Io solo adesso mi sto rendendo conto di esser stata operata ad una coscia una settimana fa» sorrise, come se fosse inconcepibile. «Eppure, guardalo» indicò Shinichi con gli occhi. «Quanto vorrei avere il suo temperamento. Sembra che niente possa distruggerlo.»
Heiji scoppiò in una risata, scuotendo il capo e dando un sorso al suo caffè amaro. «Non credere. Non ha dormito bene neanche lui... e sono anche abbastanza sicuro che adesso sta solo facendo finta di dormire.»
«Dici?» si sorprese la ragazza, per poi cambiare espressione e sfumandosi di allegria. «Shinichi non fare l’asociale, vieni a fare una bella colazione con noi.»
Lo osservarono entrambi, ma lui non si mosse di un millimetro. Aveva un braccio piegato dietro la testa ed una mano che gli sfiorava l’addome, nella solita e classica posizione supina.
Ran si voltò verso Heiji. «Secondo me dorme.»
L’amico fece una smorfia divertita. «No, ci sta solo ignorando. Come al suo solito...» disse, poi abbassò la voce e disse sottovoce: «o almeno, come ignora sempre me.»
Lei rise, portandosi la tazza alla bocca. Il calore e l’odore del caffè le donarono un dolcissimo tepore.
«Lui non ti ignora per niente» ribatté lei, ripensando a come lo aveva visto impallidire alla notizia della sua morte, ed a come era fuggito verso l’hotel per cercare di salvarlo. E come aveva urlato il suo nome quella volta.
Heiji scosse il capo, come se volesse far trapelare un po’ di amarezza. «Già, praticamente non mi parla proprio più ormai» le rivelò, sussurrandolo in modo che solo lei ascoltasse. «Forse avrebbe voluto che facessi di più... non so.»
Ran rimase per un po’ a bocca aperta, allibita.
“Ma come... non lo ha sentito urlare il suo nome come un indemoniato?” pensò, ma poi si rese conto che Shinichi era davvero difficile da interpretare, e lei ne era pienamente a conoscenza. Era come se sapesse nascondere alla perfezione le sue emozioni dietro un muro, che però crollava appena vedeva avvicinarsi una palla demolitrice davanti. Pazientò qualche secondo per deglutire il caffè, poi virò di nuovo lo sguardo verso il suo detective, sorridendo con malizia. Aveva un conto in sospeso con lui.
«Shinichi, che dici? Vogliamo raccontare ad Hattori cosa è successo dopo che Akira è stato arrestato?»
Aspettò circa due secondi, poi il volto del suo fidanzato si girò verso di loro con gli occhi assottigliati e un sopracciglio inarcato. La risposta era così palese da essere comica; sembrava dirle “non ti azzardare”.
«Uh, ma guarda, eri sveglio allora» ridacchiò lei, mentre Heiji non parve minimamente sorpreso; li seguiva con gli occhi, stranito.
«Cos’è successo dopo l’arresto di Akira?» chiese, allora, ma nessuno parve rispondergli.
«Ho passato giorni infernali, se non ho neanche il diritto di dormire...» simulò di spazientirsi Shinichi, sia per zittire Heiji, sia per mascherare l’imbarazzo che stava provando in quel momento.
“Che razza di idee vengono a Ran di prima mattina?” si chiese, quasi disperato.
«Ma cos’è successo?» riprovò quello di Osaka, sempre più curioso.
«Hattori, devi sapere che...»
«RAN!» le urlò lui contro, arrossendo.
«Che c’è, Shinichi?» ridacchiò lei, godendosi quel momento di puro divertimento.
«Smettila di dire idiozie.»
«Ma se non ho neanche cominciato!»
«Si può sapere che è successo?» chiese di nuovo il giovane, spostando lo sguardo da destra a sinistra come ad una partita di tennis.
«Devi sapere, che quando Akira è arrivato...», ma una mano le coprì la bocca impedendole di continuare. Girandosi, vide dietro di sé il suo ragazzo.
«Insomma!?» si spazientì Heiji, esasperato.
«Non ti azzard...», Shinichi provò ad intimorire Ran, che intanto ridacchiava divertita sotto le sue dita, quando uno sbuffo ed una voce lo bloccò.
«Oh insomma... Kudo era preoccupato che per colpa sua tu fossi morto. Così, dopo che Akira è stato arrestato, lui è corso all’hotel come un indemoniato gridando il tuo nome ovunque per trovarti e salvarti la vita... e quando è arrivato davanti alla cella frigorifera e tu non rispondevi, era ormai convinto tu fossi morto, e per poco non s’è messo a frignare come un poppante» concluse Shiho, apparentemente ancora addormentata e con gli occhi chiusi dal sonno.
«MIYANO!» gridò Shinichi, ormai completamente arrossito ed infastidito.
«Kudo, come la fai difficile» si lamentò la ragazza, coprendosi le spalle con la coperta.
«Cioè... ma quindi eri preoccupato per me?!» si accese di gioia Hattori, con gli occhi luminosi come fari. Sul suo viso apparve un sorriso bellissimo, che però non intenerì per nulla il suo collega detective.
«Ma quando mai!»
«Preoccupato soltanto? Si stava disperando» rinforzò il concetto Ran, a dispetto del suo ragazzo.
«Ran!»
«E cosa ha detto!? Ah no, lo immagino già!» si incuriosì quello di Osaka, felice come un bambino che non aspettava nemmeno la risposta. Difatti, assunse un tono melodrammatico e cominciò, a suo parere, ad imitarlo: «Oh, Heiji, mio amico, come farò senza di te! Unica mente geniale che riesce a seguirmi, non potrò più vivere la mia vita senza di te! Mi manchi amico mio! Torna da me!»
Ran scoppiò a ridere, annuendo col capo. «Una cosa del genere.»
«EEEEH!?» si lamentò Shinichi, che mai come allora aveva voglia di dimenticare tutto. «Ma non diciamo cazzate!»
«Ma come sei dolce!» sbottò Heiji, entusiasta. Poi saltò giù dallo sgabello e poggiando sgraziatamente la tazza col caffè sul bancone, si spinse verso l’amico, allargando le braccia. «Vieni qui! Fatti abbracciare!»
«Hattori!» si scansò velocemente Shinichi, rosso d’imbarazzo. «Allontanati! Mi fai senso!»
«E dai, fatti abbracciare!» gli ripeté, inseguendolo nella villa del professore, con le braccia allargate ed un sorriso a trentadue denti stampato sulla bocca. «Shin-chan! Vieni dal tuo migliore amico!»
«Stammi lontano!»
«E non fare il timido!»
«HATTORI!!!»
 
§§§
 
Shinichi si sfilò la maglietta, facendola scivolare per il capo e scompigliandosi i capelli. Lo specchio davanti a lui gli ricordò di quella volta quando, in quella villa di criminali, aveva visto Heiji e Ran accanto a sé, ancora prima che potesse capire chi fossero davvero. La sua camera non aveva proprio niente a che fare con quell’altra: era calda e familiare, e sebbene ormai i mobili erano datati alla sua nascita, non li avrebbe cambiati per nulla al mondo. Sbuffando, gettò la maglia sul letto, nel momento esatto in cui avvertì la porta scricchiolare sotto il parquet in legno. Sperò non fosse Heiji, che in quei giorni non faceva che assillarlo.
«Ehi, non scendi giù a mangiare?» gli chiese Ran, poggiandosi allo stipite della porta. Lo sguardo della karateka cadde per qualche secondo di troppo sul petto scoperto del suo fidanzato, che le mandò uno sbuffo come risposta.
«Perché sei così scocciato?» domandò lei, intuendo il suo stato d’animo.
«Perché tu non hai taciuto con Hattori riguardo quel fatto?» domandò lui. «Adesso non fa che mandarmi messaggi a tutte le ore su quanto io lo ami e quanto non riesca a fare a meno di lui!» sbottò, esasperato.
«È stata Shiho a rivelare tutto» gli ricordò, ma lui prontamente rispose: «Sei stata tu a mettere in mezzo il discorso però.»
Ran rise appena. «Shinichi... stai esagerando, dai. È una cosa bella provare emozioni!»
«Non quando si tratta di Heiji Hattori.»
Lei gli si avvicinò, chiudendo la porta dietro di sé, e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Vuoi sapere perché non ho mantenuto il tuo... grande segreto?»
«Ci terrei tanto.» Replicò, fingendosi stizzito. Un po’ lo era davvero: le attenzioni e le continue smancerie che gli aveva rivolto Heiji in quei due giorni lo stavano facendo esasperare. Lui non era certo un tipo da sdolcinerie del genere!
«Bene. Tu perché non mi hai detto di essere andato a letto con quella?» domandò lei, mutando tono improvvisamente, e il detective si rese conto che preferiva quello di prima.
«Come scusa?» inarcò un sopracciglio, stranito.
«Midori. L’ha detto lei.»
«Io non sono andato a letto con Midori!» ribatté, leggermente arrossito.
«Ah sì? E a cosa si riferiva lei quando ha detto “quella notte... c’era una bella sintonia tra noi”?» chiese Ran, con la fronte aggrottata e le mani sui fianchi. «Ti giuro che non mi sono arrabbiata perché sapevo che eri senza memoria, e dunque... ho capito... in un certo senso. Però non credere che l’abbia dimenticato! Non posso, davvero.»
Shinichi rimase senza parole per qualche istante di troppo, che altro non fecero che spazientire ancora di più la sua fidanzata. «Hai... Hai frainteso, Ran. Non ci sono andato a letto... cioè, quasi.»
«Quasi?» specificò lei, con una smorfia e gli occhi fiammanti.
«Sì, mi sono fermato.»
«E perché?»
«Perché...» e ricordò di quella sera e di come l’odore del Paikal gli sconvolse la mente e i sensi, di come tornò e rivisse il suo primo incontro con Heiji, e di come svenne pochi minuti dopo. Il dolore che aveva avvertito nel suo primo flashback e primo segnale che la sua memoria stesse tornando era ancora ben vivo nella sua testa. Tornò al presente e guardò la sua ragazza avvolta da un fascio di fiamme pronto a divorarlo. «Perché... avevo cominciato a ricordare qualcosa...»
Ran sembrò accendersi di gioia. «Ti sei ricordato di me allora!?»
Shinichi ebbe l’impressione che fosse giusto acconsentire, anche solo per non spegnerle quel sorriso entusiasta che aveva acceso sul suo viso. «Ehm... sì.»
«Shinichi...» mormorò la fidanzata, lacrimando quasi. «Ma è una cosa bellissima!»
Corse verso di lui e si gettò tra le sue braccia, aggrappandosi al suo collo ed intrecciando le gambe intorno alla sua schiena. Il detective si ritrovò ad indietreggiare per qualche passo, preso alla sprovvista, poi ricambiò l’abbraccio, stringendola a sé ancora più forte. Affondò la testa nell’incavo della sua spalla, e socchiudendo gli occhi, permise che l’odore alla fragola gli risalisse su alle narici senza procurargli alcun dolore.
«Te l’ho sempre detto, detective, tu sei migliore del tuo caro Holmes...» sussurrò Ran, appoggiata col capo alla sua spalla e con le dita nei suoi capelli corvini.
«Ah sì?» sorrise Shinichi, improvvisamente felice.
«C’è qualcosa che va oltre il cervello e la razionalità, oltre l’intelligenza e le intuizioni; quel qualcosa che il tuo mito non sapeva nemmeno come provare. E adesso hai la certezza che quel qualcosa non ti ha mai reso più debole di lui, soltanto più forte e sicuro, e non devi vergognartene. Senza il tuo cuore e le tue emozioni, tu non saresti riuscito a cavartela» disse, poi gli prese il viso tra le mani ed unì le loro bocche. Il loro fu un bacio semplice, diretto, spontaneo e familiare. «E io ti amo, Shinichi Kudo, soprattutto per questo. Per il fuoco che divampa dentro il ghiaccio che ti circonda.»
Shinichi sorrise, abbassando lo sguardo, imbarazzato. «Sei tu a far divampare quella fiamma, Ran.»
«Eh, no, c’è anche il tuo caro Hattori ad alimentarlo...» lo sfotté lei, maliziosa. Shinichi ricambiò lo sguardo, poi assumendo un sorriso sadico, le afferrò i fianchi e la sbatté sul letto, facendola rimbalzare sul materasso. Ran gemette, divertita, mentre lo vide piombare su di lei con un cuscino tra le mani. Lei lo imitò, e provò a contrastarlo col cuscino sotto il suo capo, ma fu inutile: Shinichi fu più veloce e le assestò una cuscinata in faccia, che le fece cadere il suo dalle mani. Lei provò a fare l’offesa, ma il fidanzato cadde su di lei e la baciò.
«Hattori non profuma di fragola» le disse.
Ran socchiuse gli occhi, ispirando il suo fiato sul collo. Non gliel’aveva mai detto, ma anche lui profumava di un’essenza particolare, impossibile da dimenticare, che ti penetrava nel cervello e nel cuore, sconvolgendoti i sensi.
Lui sapeva di azzurro e di cielo.
«Shinichi, tu profumi di infinito.»


NOTA: La scena in cui Shin corre e si dispera per l'amico, gridando il suo nome, è presa/ispirata al volume 23 (caso della Symphony). Qui le scan: http://www.mangareader.net/139-8274-3/detective-conan/chapter-228.html .

Me:
Eccomi qui! :) prima d'ogni cosa mi scuso coi recensori dello scorso capitolo per non aver risposto alle loro recensioni, ma non sono stata a casa in questi giorni e difatti non ho avuto neanche il tempo di controllare il capitolo e... be', ho dovuto un po' posticipare l'aggiornamento rispetto al solito orario XD Bene, siamo alla fine, ovviamente il mio Heiji si è salvato e grazie a Shiho, e tutto è bene ciò che finisce bene... sebbene Shin abbia qualche problema ad esternare i suoi sentimenti XD spero di non averlo reso OOC nel momento in cui cerca Heiji, in realtà mi sono rifatta molto al caso della Simphony, dunque dovrei esserci alla perfezione :)!
Che dire? Ehm... come al solito il finale che ho scritto non mi piace xD però va beh, spero che a voi faccia l'effetto contrario. E... niente. Adesso è il momento di salutarci, non so quando e se tornerò, quindi vi dico infinitamente grazie per tutto.
Grazie a quelli che l'hanno messa tra i preferiti, quella che l'hanno messa tra le ricordate e i seguiti.
Grazie a chi ha letto soltanto, a chi mi ha mandato mp, e a chi l'ha seguita da Facebook.
Grazie a tutti!!!



Un bacione grande!
Tonia
   
 
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