I Pais erano senza alcun ombra di sospetto dei Fanciulli del Cielo, delle anime pure con poteri che andavano oltre l’immaginazione della gente comune. Erano emblema e certezza di purezza e santità, guide, saggi, guaritori, sanatori della terra, potenze, quasi dei. Provvedevano al suolo, al tempo atmosferico, alle nascite, alle morti, alle cure, all’istruzione.
Le porte della chiesa erano il limite tangibile e vero tra la realtà e la sacralità materiale delle loro vite. Tutti le avevano attraversate solo due volte nella vita: alla nascita, quando venivano purificati, e alla morte, prima di essere seppelliti. I riti erano spiati, bellissimi e solenni, da ragazzini imberbi. Passata quella fase, l’edificio diventava un monumento invalicabile e rispettato.
Era una struttura di proporzioni mastodontiche, rispetto alle altre in città. Caratterizzata da decine di guglie con sottilissime finestre colorate, era stata eretta in marmo grigio chiaro lucidato a specchio. Nessuno sapeva come fosse stata costruita, visto che non si vedevano giunture tra le pietre, nè malta sembrava tenerla in piedi. Era semplicemente lì, immutabile, ed era il solo ed unico edificio a estendersi fino alle mura di detriti e a sostituirne un pezzo con una parete.
E ora Alamas si fermava in mezzo alla navata, spostando lo sguardo attorno. I suoi piedi poggiavano sul marmo ma non vedeva niente altro. Poi di colpo un fruscio di stoffe e la luce. Spaventato, osservò freneticamente il soffitto. La luce pioveva da fori di varie dimensioni e si rifletteva ovunque: sulle colonne possenti che delimitavano la navata, sulle vesti dei Pais che volteggiavano attorno a lui mugugnando il loro canto ipnotico, sulle statue amorfe e sinuose, fino al bacile largo in metallo che si trovava al fondo della navata stessa. Cercò di capire meglio. Le navate erano almeno tre, e tutte convergevano in un abside liscio, al centro del quale stava il bacile interrato. Ovunque erano sparsi piccoli bracieri d’incenso profumato ed il fumo saliva e svaniva in larghe volute.
Era tutto alieno e assurdo, e non riusciva a muoversi. Al-Maut l’aveva lasciato e se ne stava rapidamente andando alla vasca assieme agli altri.
Solo quando una mano lo toccò, lui si riebbe. Vide un prete anziano e dai capelli ancora scuri, col tipico abito blu cupo a tunica e la pietra bianca al collo. Parlò con una voce finalmente umana.
-Seguimi.-
Fu portato in silenzio nella navata sinistra, e lì trovò numerose porte che conducevano agli altri ambienti della chiesa. La stanza in cui lo portò l’uomo era spoglia: un misero tavolo in legno, un cesto, alcuni panni piegati, un armadio.
-Spogliati e dammi tutto quello che desideri tenere con te. Sai scrivere, Alamas di Malkut?-
-Sì, so scrivere.-
-Allora lì c’è l’argilla e lo stilo. Andremo a casa tua a prendere ciò che desideri, se Malaak-Al-Maut acconsentirà. Indossa quel perizoma e riunisciti al tuo signore. E prego che ti faccia fare un bagno. Sei sudicio come un ratto di fogna.-
Lo spregio delle sue parole lo rianimò come una doccia fredda. Si spogliò sotto l’occhio del prete e schifato cercò di tenersi le armi.
-Quel metallo è talmente schifoso che il solo vederlo è un insulto. -
E così gli vennero requisite. Nudo, si infilò la collana d’argento stondata, poi il perizoma di lino pulito. Non aveva altro. Neppure denaro. Sbattuto di nuovo nella chiesa, per la prima volta cominciò a domandarsi in che diavolo di situazione si fosse andato a cacciare.
E lui che voleva solo ammazzarlo…