All I want
is
all I need
is
to find somebody.
Non
so da quanto sono fermo immobile ad osservare ciò che è appena nato ai miei
piedi, calcolare il tempo in cui i miei occhi si perdono in tanta bellezza non
è nemmeno nei miei piani, ma devo essere fermo ormai da diversi minuti. Le
persone intorno a me sfilano silenziose come anime smarrite, gli occhi persi su
qualunque cosa li possa distrarre, sono solo anche se circondato da decine di
passanti, ma non mi importa in questo momento, ho appena aiutato il mondo e lui
ha aiutato me.
«Che
cosa meravigliosa.»
La
voce proviene alle mie spalle, mi fa sussultare, immediatamente mi volto e, di
riflesso, tento di nascondere l’iris sbocciato con il mio corpo, ma è
impossibile non notare i fili d’erba verdi che hanno timidamente raggiunto i
miei piedi e che contrastano fortemente con il nero dell’asfalto.
Davanti
mi trovo una ragazza, forse mia coetanea, forse più giovane, non riesco a
distinguerlo bene. I lunghi boccoli neri le incorniciano il viso, elegante, sul
quale aleggia un sorriso dolce e amichevole. Tuttavia i suoi occhi sembrano
appannati, spenti, mi ricordano inevitabilmente quelli della ragazza seduta in
fila accanto a me al Banco dei Sogni.
Lei si sporge di poco, quel tanto che basta per notare la trasformazione del
mio sogno:
«Lo
hai fatto apposta?» mi domanda.
Io
mi sento ancora confuso per tutto quello che è successo nell’arco della
giornata, una giornata che sarebbe dovuta andare diversamente.
«Non
capisco.» le dico ed è vero, non ho idea di ciò a cui si sta riferendo.
«Il
fiore, lo hai fatto sbocciare qui apposta?» chiede nuovamente, superandomi e
chinandosi accanto all’iris bianco.
«No.
È stato…il vento.»
Non
mi crederà mai, nessuno crede al vento, perché qui non soffia più da interi
anni. Addirittura alcuni dicono che si sia estinto.
Ma
lei sorride, sinceramente, si alza in piedi e si avvicina a guardarmi. Scoprire
di non essermi sbagliato, scoprire che i suoi occhi castani sono realmente
spenti, però, mi rattrista.
«Dici
davvero? Il vento?»
Annuisco.
«Stupendo.»
esclama e torna a concentrarsi sul fiore.
Mi
sento più spaesato di prima, il che significa che non ho idea di che pesci
pigliare:
«Aspetta,
ma tu mi credi?» le domando avvicinandomi a lei, che subito alza gli occhi e
risponde:
«Perché
non dovrei? Guarda che cosa meravigliosa hai fatto nascere.»
Indica
l’iris e io lo guardo. Effettivamente è meraviglioso e pensare che è nato da
quel piccolo pezzetto di carta che non ho avuto la forza di vendere mi fa pensare
a cosa sarebbe potuto succedere se il vento mi avesse strappato dalle mani
l’intero foglio in cui avevo rinchiuso il mio sogno. Chissà, magari sarebbe
potuta crescere un’intera foresta.
«Come
ti chiami?» mi chiede all’improvviso.
«Steve.»
In
realtà il mio nome è Stephen, Espoir, ma a nessuno
importa veramente sapere il nome dell’altro, non completo, non in questa città
e, forse, nemmeno in questo mondo.
La
ragazza mi tende la mano:
«Io
sono Jocelyn.»
Appena
le nostre mani si toccano lei sorride per la terza volta in poco tempo:
«Sono
felice di averti incontrato.» dice e subito dopo continua:
«Tu
hai ancora il tuo sogno, Steve.»
Sgrano
gli occhi, profondamente sorpreso da ciò che ha appena detto. Come ha fatto,
come è riuscita a capire che il mio sogno si è salvato, che il mondo me lo ha
restituito?
«Come
lo sai?» domando immediatamente, affamato di risposte.
Lei
indica il fiore con un cenno della mano:
«L’iris,
è nato dal tuo sogno, no? Questo vuol dire che il mondo se lo è preso, se n’è
nutrito e te lo ha restituito, è così che funziona, da sempre.»
«Tu
come fai a esserne sicura?»
«Me
lo hanno insegnato.»
Rimango
immobile a fissarla, inebetito. Mi sento stupido e confuso, ma proprio non so
come reagire. Chiunque sia questa ragazza è la prima persona che incontro che
mi tende la mano sorridendomi e presentandosi senza sembrare infastidita dal
fatto di doverlo fare. Ma la cosa che più mi sorprende in lei è che sa cosa
lega il nostro mondo ai nostri sogni e io non avevo mai incontrato nessuno,
prima, informato su questo.
«Posso
chiederti chi te lo ha insegnato?» riesco a domandarle infine.
Lei
alza leggermente le spalle e sorride ancora. Nel suo sorriso c’è tutta la luce
che i suoi occhi hanno perso.
«Un
amico. Tempo fa mi ha aiutata e mi ha illustrato tutto quello che c’è da sapere
sul legame che abbiamo con il nostro mondo, cose che ormai nessuno spiega più,
nemmeno ai bambini.»
«E
dove lo hai incontrato?»
«Lui
ha incontrato me. Se vuoi, posso presentartelo.»
Abbasso
lo sguardo, per pensare, e quello si posa immediatamente sul fiore. C’è davvero
un legame, misterioso, magico, che ci unisce al nostro mondo attraverso i
nostri sogni, una cosa di una potenza inimmaginabile che nessuno sa spiegare
realmente o dimostrare. Tuttavia lei sembra davvero sapere ciò di cui sta
parlando, forse è per questo che non si è stupita minimamente nel vedere l’iris
bianco e l’erba al posto del bitume nero.
«Ma
lui, cosa può insegnarmi?» le chiedo dopo essermi preso tempo a sufficienza per
pensare.
«Quello
che vuoi. Può aiutarti ad aprire gli occhi su quello che fanno al Banco dei Sogni, può aiutarti a
ritrovare la speranza anche una volta venduto il tuo sogno.»
Una
risata di scherno esce spontanea dalla mia bocca. Jocelyn assume un’espressione
sorpresa e pare rattristarsi.
«Mi
stai dicendo che è una specie di guida spirituale?» le chiedo.
Non
voglio essere offensivo nei suoi confronti, ma vedere l’infinità di persone che
ci circondano, persone che hanno venduto ciò che avevano di più profondo, di
più personale, mi fa chiedere come possa, un solo uomo, aiutare veramente
qualcuno a tenersi stretto qualcosa che, a quanto pare, non aveva per loro tanto
valore quanto può averlo per me.
Ma
lei subito risponde, con fermezza:
«No,
non è niente del genere. È solo un amico, una persona che ascolta veramente ciò
che qualcuno può avere da dire. Lui mi è stato accanto e mi ha davvero aiutata
a non cadere nel baratro dopo che ho venduto il mio sogno.»
La
sua notizia mi coglie alla sprovvista. Ecco perché i suoi occhi mi sono parsi
tanto spenti, proprio come quelli della ragazza al Banco dei Sogni: ha venduto il suo sogno.
Nonostante
tutto lei la forza di sorridere ancora ce l’ha, riesce a capire quanto bello
possa essere un semplice fiore sbocciato dal nulla, cosa che il resto delle
persone pare non notare neanche, perché continuano a passarci accanto fingendo
di non vederci.
«Scusami.»
sussurro, sentendomi uno stupido.
«Non
preoccuparti. Piuttosto, sei sicuro di non voler incontrare Vinny? Può esserti
d’aiuto veramente.»
«Ma
come può aiutarmi? Voglio dire, io non ho venduto il mio sogno, l’ho riavuto
indietro e al Banco non vogliono più
vedermi, di cosa avrei bisogno in più? Il mio sogno è salvo.»
«Davvero
sei felice, solo per questo?»
La
sua voce accarezza il mio udito, le sue parole risuonano come un monito nella
mia mente e mi costringono a pormi delle domande.
Sono
felice? Davvero felice? È difficile da capire, è difficile trovare la risposta
anche per me. La verità è che mi sento smarrito e sempre più confuso. Fino a
ieri la mia vita era la monotonia più assoluta, ma ancora avevo la forza di
alzarmi e sorridere a qualcuno, ridere per qualcosa, sperare. Ma il solo gesto
di aver scritto il mio nome su quel foglio bianco, rinchiudendo il mio sogno,
il solo fatto di aver provato a venderlo, mi fa capire che in realtà non sono
abbastanza forte. Ho tentato di omologarmi al resto della massa per paura di
vivere nella mia solitudine, perché sempre più persone smettono di avere a che
fare con me, si allontanano, incluso Mark, il mio migliore amico, che
nell’ultimo periodo è sempre più chiuso e assente.
Il
mio silenzio dura da troppo tempo, Jocelyn mi viene incontro rivolgendosi a me
con la sua piacevole voce:
«Fidati
di me, Steve. Conoscerai persone che sanno quello che provi, qualcuno con cui
condividere le tue giornate. Avrai modo di distrarti da questa città grigia,
tornare a dare un valore diverso al tuo tempo.»
Alzo
lo sguardo sui suoi occhi e vederli lì, assenti, nonostante la vitalità che mi
ha mostrato fin da subito, è una spiacevole sensazione. Per quale motivo si è
fatta questo?
«Perché
vuoi aiutarmi?» le chiedo.
La
domanda mi esce spontanea non appena realizzo che è proprio questo che lei sta
tentando di fare.
«Perché
so come ti senti, so che infondo quello che vuoi è trovare qualcuno che possa
esserti d’aiuto. So che ti senti in trappola.» Abbassa lo sguardo: «Proprio
come me.» mormora infine e non sono neanche sicuro di aver afferrato le parole
esatte.
Ma
in fin dei conti capisco che ha ragione. Non potrei sopportare di continuare a
vivere le stesse cose ogni giorno, vedere i medesimi posti, le solite persone,
non potrei riuscirci ancora. Sono semplicemente stanco della mia vita e le cose
non cambierebbero con del semplice oro in più, mi serve aiuto.
«Davvero
questo Vinny si farebbe carico anche dei miei problemi?»
Lei
sorride:
«Lui
non si fa carico dei problemi di nessuno. Semplicemente ti spiega che continuare
a credere nel tuo sogno è la cura per tutto, per il nostro mondo e per te. E, fidati,
non serve sapere altro.»
Non
capisco dove vuole arrivare, ma mi ha incuriosito. Forse, posso distruggere la
monotonia della mia vita conoscendo persone nuove, persone come me. Forse posso
rendere più interessanti le mie giornate, consapevole che da qualche parte c’è
qualcuno che ha voglia di ascoltarmi, ascoltare il mio modo di vedere il mondo.
«Dove
posso incontrarlo?» chiedo a Jocelyn, deciso a vedere fin dove gli avvenimenti
hanno intenzione di condurmi, dopo l’inaspettata piega assunta.
Lei
fruga nella sua borsa, che non avevo notato fino a questo momento. Estrae una
penna e un piccolo cartoncino, scarabocchia in fretta qualcosa e mi allunga il
tutto.
«È
qui che ci riuniamo, di solito. Fino a domani Vinny non torna, è andato fuori
città, da Jason. Ma domani potrai venire qui e parlare con lui e, credimi, sarà
veramente felice di conoscere una persona come te, Steve.»
Leggo
l’indirizzo segnato sul pezzetto di carta e un brivido mi attraversa da parte a
parte, al pensiero che l’ultima cosa scritta su una base bianca che ho tenuto
in mano è stato il mio sogno.
Non
appena alzo gli occhi verso la ragazza, lei mi saluta:
«A
domani.»
Si
allontana subito, prestando particolare attenzione a non pestare alcuno dei
piccoli fili d’erba o dei germogli nati precedentemente insieme all’iris
bianco.
Io
faccio scivolare nuovamente i miei occhi sulle lettere eleganti e frettolose
scritte da Jocelyn, domandandomi come possa essersi sentita vedendo il fuoco
argentato bruciare lentamente il suo nome e, con esso, anche il suo sogno.
Tutto
ciò che è successo nell’arco della giornata mi ha confuso ancora più di prima.
Non so cos’è successo, non so cosa pensare, non so nemmeno come sentirmi.
Eppure, nel mio profondo, sento una piccola scintilla, una piccola speranza.
Forse,
finalmente, qualcosa può cambiare.