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Autore: ElenCelebrindal    22/03/2014    2 recensioni
Questa è la storia della vita di Legolas. Da quando era un bambino fino alla sua partenza per le Terre Immortali. Bambino, ragazzo e adulto, tutto quello che ha passato assieme a suo padre Thranduil, le sue amicizie e i suoi scontri, tutto riunito in questa fan fiction.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Legolas, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvenimenti

Piccola premessa: sono in dovere di informarvi che Tauriel, nella storia originale di Peter Jackson, ha seicento anni, mentre qui ne ha settecento. La maggior parte dei riferimenti alla vita di Tauriel sono gli originali di Jackson, mentre pochi sono inventati da me. 

“Tauriel Moryaniel, fai il tuo ingresso e presentati al popolo di Eryn Galen. Una grande guerriera merita grandi titoli. Quali saranno le tue intenzioni se verrai nominata Capitano?”
“Le mie intenzioni saranno tra le più nobili osservate da questo popolo”.
“Sulla tua vita e sulla terra in cui viviamo, giuri di portare sempre obbedienza al tuo sovrano?”
“Amin gwesta sen”
“Giuri di mettere il tuo arco e la tua spada al servizio della giustizia?”
“Amin gwesta sen”
“Giuri di dedicare la tua vita alla protezione di questo regno e, se necessario, della Terra di Mezzo?”
“Amin gwesta sen”.
“Allora alzati, Tauriel figlia della Foresta. Io ti nomino Capitano della Guardia. Ora voltati, e accogli i tuoi guerrieri”.
Lo sguardo di Tauriel era fiero, quando si voltò, e il suo viso si aprì in un sorriso quando gli Elfi la acclamarono, accettandola come loro nuovo capitano.
Legolas le sorrise, mentre batteva le mani per lei, ricordando il giorno che Thranduil gli aveva detto che l’avrebbe scelta come Capitano.
 
[flashback]
“Adar, hai riflettuto sulla proposta che ti ho fatto ieri?”, domandò Legolas a suo padre, ch’era appena uscito dalle sue stanze e si stava sistemando meglio la corona.
“Certo, e ho deciso. Hai ragione, Tauriel è valorosa come pochi, e non ci sono dubbi che non desidererei trovarmela di fronte in battaglia. Manderò qualcuno a chiamarla non appena sorgerà il sole, e se accetterà diverrà Capitano”, rispose Thranduil, afferrando il suo scettro di quercia.
Poi aggiunse: “Ma un pensiero mi è giunto alla mente. Siamo sicuri che tu vuoi Tauriel come Capitano solo per la sua abilità?”.
Legolas tacque, capendo all'’istante l’allusione del padre: aveva forse capito che Tauriel gli piaceva?
Era comprensibile che non volesse una cosa del genere, dato che Tauriel era una semplice guerriera, che aveva visto molto raramente le aule del palazzo, a differenza di sua madre Vendë, che viveva nelle sale.
Perciò rispose, evasivo: “Adar, non solo per la sua abilità, poiché è un’eccellente stratega e sa obbedire agli ordini”, ma aggiunse mentalmente: «E si, perché mi piace».
Così non mentì.
Thranduil strinse gli occhi, ma non aggiunse nulla e si congedò dal figlio.
 
[fine flashback]
 
Aveva corso un bel rischio quel giorno, ma ora non gli importava, perché aveva una scusa più che giustificabile per essere tanto felice per lei, e cercò di essere il più credibile possibile, per non far insospettire maggiormente suo padre.
Quando la folla si disperse, rimasero solo Tauriel, Legolas e Thranduil, che disse: “Molto bene, Tauriel. Ora che sei Capitano, ricorda sempre il tuo giuramento. Per oggi puoi ritenerti libera, ma da domani ti voglio pronta ad adempiere al tuo ruolo. Niente scuse”.
Tauriel si inchinò: “Ma certo, hír nîn. Se volete scusarmi, io ora andrei”, disse, in tono cortese, prima di salutare chinando la testa anche Legolas e dirigersi fuori, probabilmente per uscire sotto la pioggia che cadeva incessantemente da quella mattina.
Tauriel adorava la pioggia, lo aveva detto al principe quando era ancora una ragazzina: erano stati spesso insieme, perché era una buona amica con cui confidarsi, anche se non aveva una bella storia alle spalle.
All'’età di soli cinque anni aveva perso entrambi i genitori, in un’imboscata degli orchi, aveva raccontato Tauriel a Legolas.
Erano fuori dalla foresta, e alcune di quelle creature vagabonde, reduci della sconfitta di Sauron, erano piombate improvvisamene su di loro, brandendo delle terribili sciabole.
I suoi genitori erano riusciti ad ucciderli tutti, ma le ferite da loro riportare si rivelarono troppo gravi da curare, e morirono in pochi giorni, e Tauriel venne affidata alle cure di una delle amiche della madre, e con lei era rimasta fino alla sua entrata nella guardia elfica.
Legolas aveva cominciato a passare molto tempo con lei sin da quando Tauriel era una bambina, e con il passare del tempo aveva compreso di provare qualcosa per l’Elfa, sebbene non sapesse ancora bene che sentimenti fossero, ma le piaceva, in tutti i sensi.
“Ho un compito per te, Legolas”.
Le parole del padre riscossero il principe dai suoi pensieri: “Si, adar?”.
“Ho bisogno che tu ti diriga a sud del bosco. Sai bene che ormai questa foresta è chiamata Bosco Atro, e che l’influenza maligna è caduta su di noi, ma mi occorrono più informazioni. Desidero che ti avvicini il più possibile a Dol Guldur, ma senza rischiare troppo. Cerca di scoprire cosa si nasconde lì dentro. Ho qualche sospetto, ma mi servono certezze”.
Thranduil era sicuro che ci fosse Sauron dietro tutto quello, ma era restio a rivelarlo al figlio, ma gli servivano ulteriori informazioni e non avrebbe saputo individuare persona migliore per quel compito.
Dall’anno 1100 della Terza Era un potere sconosciuto e oscuro si era abbattuto su Eryn Galen, e proveniva dalla vecchia fortezza di Dol Guldur.
Inizialmente, Thranduil ipotizzò che si trattasse di semplici ombre del passato, ma con il passare del tempo, e la venuta di oscure creature, non ne fu più tanto sicuro.
Legolas non era del tutto all'’oscuro, ma non conosceva tutto ciò che il padre avea scoperto e si limitava a obbedire agli ordini quando ne riceveva, e combatteva i ragni sempre in aumento senza ritirarsi mai, senza indugiare o rinunciare alla caccia.
E ora stava per avvicinarsi a quel posto che gli era stato proibito, tempo prima, perfino di scorgere da lontano.
Indossava abiti troppo elaborati per un’impresa del genere, così si diresse alla svelta nella sua camera e si cambiò, sostituendo la lunga veste da cerimonia con un completo da viaggio, e completò il tutto con la sua leggera armatura, che non aveva mai abbandonato neppure quando aveva abbandonato il posto di Capitano.
Quindi mise in spalla arco e faretra e recuperò i suoi lunghi pugnali; poi uscì a passo svelto, superando ogni elfo che incrociava sui corridoi, oltrepassando solo i decorati portali delle sale.
Suo padre aveva lasciato intendere di non portare alcuno con sé, e Legolas non avrebbe trasgredito.
Sarebbe stato un lungo viaggio a piedi, ma al principe non facevano paura le lunghe distanze, anzi, adorava camminare tra gli alberi del bosco, purtroppo ora chiamato Taur-nu-Fuin in memoria del passato.
Quando ebbe superato di molto la città tra gli alberi, però, si accorse che qualcuno lo stava seguendo, da sopra i rami, e si fermò.
Con un gesto fulmineo impugnò l’arco e incoccò una freccia, puntandola tra le fronde dell’albero che aveva dinanzi e tendendo la corda.
Una voce provenne dall’alto: “Non scoccare, sono io”, e venne seguita prontamente da Tauriel, che saltò giù dall’albero e atterrò a pochi passi da Legolas, che si rilassò e si rimise l’arco in spalla: “Cosa ti è saltato in mente, Tauriel? Non è nemmeno il tuo primo giorno da Capitano e già vorresti infrangere le regole? Non puoi seguirmi”, disse, anticipando le parole dell’elfa.
Tauriel sorrise: “Non sto contravvenendo ad alcuna regola od ordine. Come hai detto, non è ancora il mio primo giorno da Capitano. E poi, io posso seguirti, principe. Fino ad un certo punto, desidero aiutarti”, ribatté.
Il principe scosse la testa: “A volte sei impossibile. Non ho mai conosciuto un elfo tanto testardo in vita mia, a parte forse mio padre. E va bene, vieni pure se desideri, ma prima che cali la notte devi tornare indietro, o il re si adirerà”, capitolò, sebbene in fondo al cuore esultasse per la presenza di Tauriel.
“Allora sbrighiamoci!”, esclamò lei, e con un agile balzò risalì sull’albero da cui era scesa, mentre Legolas la seguiva da terra.
Non incontrarono avversità per tutto il giorno e, come promesso, prima della sera Tauriel si voltò indietro, augurando buona fortuna al principe, che la salutò con un minimo di rimpianto.
Legolas non trovò sicuro fermarsi, quella notte, non in un posto dove rischiava molti pericoli dov’era, quindi proseguì il cammino, orientandosi grazie alle luminose stelle sulla via da prendere.
Raramente era passato per quei sentieri, anche da giovane, poiché suo padre gliel’aveva sempre vietato, ma ora calcava quei sentieri poco battuti e quasi scomparsi, arco in pugno e pronto a estrarre una freccia, senza alcun timore.
La notte arrivò e passò, e così il giorno, che trascorse senza attacchi eventuali di ragni o altre creature.
Quando la luna fu alta nel cielo, però, ed era solo una minuta falce, un piccolo taglio luminoso nel buio cielo notturno, Legolas udì dei rumori che promettevano ben poco di buono.
Non si fermò, ma incoccò una freccia e camminò con l’arco teso, pronto a difendersi o ad attaccare.
D’improvviso, una sagoma enorme oscurò la luce della luna, e Legolas finì per poggiare una mano su una sostanza appiccicosa.
La ritrasse immediatamente: “Naith!” (Ragnatele!), esclamò, puntando l’arco contro quello che era un gigantesco ragno, nero più della notte.
Prima che l’orrenda creatura ebbe il tempo di scagliarsi su di lui, Legolas scoccò, e la freccia colpì con estrema precisione.
Il ragno cadde dai rami e finì a terra, morto, ma altri stavano rapidamente giungendo, e ben presto il principe si ritrovò circondato.
Non batté ciglio, era già capitato in situazioni simili, e restò immobile, attendendo che i ragni facessero la prima mossa.
Quando uno di loro cominciò a muoversi, velocemente Legolas incoccò nuovamente e scagliò una freccia dopo l’altra, uccidendo una a una tutte le bestie che lo minacciavano.
Inaspettatamente, però, finì dritto in una delle loro ragnatele, e un braccio gli rimase bloccato nella tela appiccicosa, rendendo vano ogni tentativo do attaccare a distanza.
Legolas estrasse uno dei suoi lunghi coltelli con la sinistra e uccise i rimanenti ragni, per poi tagliare la ragnatela e recuperare l’arco, caduto a terra.
Si accertò che nessun ragno fosse ancora in vita e, una volta sicuro, si rimise in cammino, più vicino che mai a Dol Guldur.
Dovette rallentare il passò, però, perché altri gruppi di ragni lo assalirono e, cosa preoccupante, si ritrovò a fronteggiare anche alcuni orchi: pochi, ma abbastanza da farlo insospettire e preoccupare della situazione.
Quando riuscì finalmente a scorgere la vecchia fortezza salì sugli alberi e affrettò il passo, muovendosi di ramo in ramo per non attirare troppi nemici.
Cercò di raggiungere Dol Guldur in quel modo, ma presto dovette accantonare l’idea, perché nelle vicinanze di quel luogo gli alberi si facevano più spogli e i rami scricchiolavano inquietantemente.
Era giunto fino all'’entrata, quando un gruppo molto più consistente di orchi lo prese di sorpresa, assalendolo alle spalle e circondandolo, mentre altri giungevano, a cavallo di orribili mannari e armati fino ai denti.
Un’energia maligna trapelava da Dol Guldur, tale che Legolas non aveva mai avvertito, e per la prima volta in vita sua il principe ebbe paura.
Paura di morire, perché non vedeva molte possibilità di entrare fronteggiando tutte quelle creature malvagie.
Così, non ci pensò due volte, prima di voltarsi e uccidere gli orchi alle sue spalle, per poi fuggire dalla direzione cui era venuto, lasciandosi alle spalle la vecchia fortezza e tutti gli orrori che nascondeva, correndo alla massima velocità consentitogli dalle gambe.
Sapeva che stava disubbidendo ad un chiaro ordine di suo padre, ma non sarebbe mai riuscito a scoprire qualcosa in più su Dol Guldur, era troppo ben sorvegliata e non c’era modo di entrarvi.
Imboccò i sentieri più sicuri che riuscì a trovare, ma non abbandonò mai la presa sull’arco, che tendeva ogni volta che udiva un rumore sospetto o notava delle ombre che si muovevano nel buio.
Non smise di correre finché non fu al sicuro nei confini del Reame Boscoso, e solo allora rallentò fino a fermarsi al margine della città del bosco, poggiandosi ad un tronco e sedendosi di schianto a terra.
Restò immobile in quella posizione per molto tempo, riflettendo su cosa dire a suo padre, ma alla fine non riuscì trovare delle motivazioni più convincenti e, sospirando, si rimise in piedi e imboccò la via per il palazzo, rassegnandosi al sicuro ennesimo rimprovero di Thranduil.
Si domandò dove fosse Tauriel in quel momento: probabilmente girovagava per la foresta al comando di un gruppo di guardie, come spesso faceva lui stesso, oppure, come sperava, si trovava a palazzo perché era rientrata prima.
A quello pensava mentre attraversava il ponte sul Taurduin, per ritardare il più possibile ciò che gli avrebbe messo in testa Thranduil.
Ma, quando i portali si chiusero dietro di lui, riportò la sua attenzione su ciò che doveva riferire al padre, che lo accolse con il suo solito fare altezzoso: “Molto bene, Legolas. Sei tornato. Quali notizie mi porti da Dol Guldur?”.
Legolas esitò, guardando una a una le guardie presenti, poi rispose, a testa china: “Adar, io… ecco, non sono riuscito ad avvicinarmi abbastanza alla vecchia fortezza per scoprire qualcosa di relativamente importante. Sono dovuto fuggire, non avevo altra scelta. Gohano nîn” (Perdonami).
Thranduil lo fissò con sguardo gelido: “E cosa ha costretto un valoroso guerriero come te alla fuga?”, gli chiese, dall’alto del suo trono.
“La fortezza era ben sorvegliata, adar. Non solo ho incontrato un numero maggiore di ragni, lungo la via, ma Dol Guldur era invasa da orchi e mannari. Sono stati loro a costringermi alla fuga, ché erano in numero troppo soverchiante, benché sia un valoroso guerriero come affermi”, rispose il principe, con voce leggermente tremante.
Temeva la collera del padre, l’aveva già sperimentata e non voleva rivivere quell’esperienza.
Ma, incredibilmente, Thranduil sorrise, sorprendendo non poco Legolas, che disse: “Adar, perché stai sorridendo?”.
“Sto sorridendo perché non mi hai deluso fuggendo. Anzi, sono felice che tu l’abbia fatto, perché altrimenti avrei rischiato di perdere il mio unico figlio. Anche se sei rimasto al limite della fortezza, mia hai portato abbastanza informazioni”.
Thranduil scese dal trono e si mise di fronte al figlio, mettendogli una mano sulla spalla: “Hai fatto un buon lavoro, ora riposa. Sarai libero da qualsiasi impegno per tutta la settimana, capisco come ti senti ora”, disse.
Legolas sorrise: “Hannon le, adar”, disse, prima di congedarsi e chiudersi nella sua stanza, rinunciando al proposito di vedere Tauriel.
I giorni che seguirono furono relativamente tranquilli, tranne per le guardie che andavano e venivano dal palazzo, recando notizie più o meno confortanti al re, che sempre più spesso se ne stava nelle sue stanze, dietro la sua scrivania, a pensare sulle decisioni da prendere.
Legolas uscì nuovamente alla scadere della settimana, quando suo padre gli ordinò di unirsi alle guardie e di pattugliare il confine del Reame, per evitare alle malvagie creature che infestavano il bosco di invaderli.
Colse l’occasione e si riavvicinò a Tauriel, che stava controllando la punta di una freccia: “Tauriel, posso parlarti un momento?”, le chiese, rigirandosi tra le mani uno dei suoi coltelli.
Lei rimise al suo posto la freccia: “Ma certo, principe”, rispose.
“So di potermi fidare di te. E, volevo domandarti: tu cosa avresti fatto se ti fossi ritrovata a dover fronteggiare un folto gruppo di nemici? Insomma, più di quanti tu ne abbia mai affrontati”.
Si sedette accanto a lei e non smise di fissarla un attimo, mentre rispondeva: “Forse sarei rimasta a combattere, anche a costo della mia vita. Non abbandono tanto facilmente una missione quando la intraprendo e cerco di portarla sino alla fine”.
Legolas abbassò leggermente la testa, turbato da quella risposta.
Tauriel avrebbe avuto il coraggio di restare, ma lui era fuggito senza pensarci due volte, abbandonando l’esito della missione al fallimento.
Un velo gli cadde sugli occhi, e Tauriel lo notò, ché domandò: “Legolas, makoi le pedin sen?” (Legolas, perché dici questo?).
Il principe tornò a immergere i suoi occhi in quelli dell’elfa: “Perché io sono fuggito, Tauriel. Sono fuggito dinanzi ai miei nemici quando il loro numero divenne per me insostenibile. Non sono rimasto a combattere, ho rischiato di compromettere tutto con il mio comportamento”, rispose, con un fil di voce.
Il Capitano sorrise lievemente: “La fuga non è sempre un male, Legolas. Non siamo fatti tutti allo stesso modo. Così come io sarei rimasta a combattere, anche morendo nel tentativo, tu hai scelto la via della fuga, della salvezza. Ognuno ha le sue caratteristiche che lo contraddistinguono, e non perché sei fuggito potrei giudicarti male. Anzi, salvandoti la vita hai forse agito in modo molto più saggio di quanto avrei fatto io. Non struggerti per questo, non serve a nulla”, lo consolò.
Legolas riuscì a ritrovare il sorriso: “Hannon le”.
Tauriel riusciva spesso a tirarlo su di morale, ed era una delle caratteristiche che amava più in lei, anche se non lo avrebbe ammesso.
Non ancora.
“Di niente, principe. Ora, vogliate scusarmi, ma ho dei compiti da svolgere”, concluse Tauriel, rimettendosi in piedi e tornando dalle guardie.
Legolas stette a guardarla per qualche istante, poi pece la medesima cosa con le guardie a lui assegnate per quel giorno.
Gli anni passarono, e mentre la malvagità che si spargeva da Dol Guldur aumentava gli Elfi cominciavano a starsene sempre più sulle loro, uscivano raramente dai confini ben protetti del Reame, fatta eccezione per l guardie, sempre al seguito di Tauriel e Legolas.
Il principe, infatti, aveva deciso di ricoprire il ruolo di vice-capitano, quando il precedente scelse di abbandonare l’incarico, e Thranduil era stato molto fiero della sua scelta.
Non conosceva, però, il motivo per cui era rientrato nell’esercito, e non avrebbe mai dovuto scoprirlo prima del tempo.
Ma Thranduil aveva compreso da molto che Legolas aveva cominciato ad innamorarsi di Tauriel, glielo leggeva negli occhi, e lo tirava fuori dalle loro lunghe conversazioni e i rapporti sulla situazione che il figlio gli portava regolarmente.
Tuttavia, Legolas non venne a sapere nulla e così si arrivò all'’anno 2770 della Terza Era, quando le sentinelle di confine riportarono a palazzo una notizia poco rassicurante.
Legolas era accanto al trono del padre, quando Varnon, di pattuglia al confine nord-orientale, si presentò al cospetto del re: “Aran Thranduil, ho delle notizie che temo non vi piaceranno. Strani avvenimenti ci hanno messo in allarme, e si vocifera che il drago Smaug sia in procinto di riconquistare Erebor”, disse, in ginocchio dinanzi al trono.
“Erio” (Alzati), disse qualche minuto dopo Thranduil con voce ferma, per poi continuare quando Varnon fu in piedi: “Fa’ ritorno al confine e attendi”, ordinò semplicemente.
Varnon si inchinò nuovamente e si congedò, dirigendosi velocemente all'’uscita.
Il principe guardò il padre: “Hai intenzione di andare in loro aiuto?”, domandò.
“Non lo so ancora. So che andrò, per ora. Poi deciderò cosa fare”, rispose il re, prima di alzarsi e scendere dal trono, mentre diceva: “Da’ l’ordine di prepararsi. Partiremo fra meno di due ore”.
“Be iest lîn” (Secondo i tuoi desideri).
Grazie alla loro rapidità e al loro valido addestramento, gli elfi dell’esercito furono pronti a partire appena prima dello scadere del tempo concesso dal re, che si mise in testa all'’esercito in groppa alla sua alce.
Spostò lo sguardo sul figlio: “Tu rimani qui”, disse.
“Lau, im aníron maetho!” (No, io voglio combattere!”), protestò Legolas.
Thranduil lo guardò severamente: “Non mi ripeterò. Gwao hi”, (Vai ora) replicò perentorio.
Legolas, furioso, abbassò lo sguardo e fece ritorno al palazzo, passando tra due ali di guerrieri che si spostavano al suo passaggio e chinavano la testa.
Era un bravo combattente, perché suo padre non lo voleva al suo fianco?
Si chiuse nella sua stanza e rifiutò qualsiasi contatto con chiunque, cercando di far sbollire la rabbia che provava nei confronti di suo padre, che l’aveva ancora una volta escluso dagli avvenimenti della Terra di Mezzo.
Dopo qualche ora sentì bussare alla porta, ma si chiuse in un ostinato silenzio e non aprì.
Il bussare si fece più insistente e una voce gli arrivò da dietro il legno: “Legolas, apri questa porta! Non mi interessa se sei un principe, non costringermi a buttarla giù!”.
Legolas sorrise; solo una persona aveva il coraggio di parlargli in quel modo, e sapeva che diceva sul serio: quella porta non avrebbe resistito ancora per molto, perciò si alzò dal letto e abbassò la maniglia: “Non ci tengo a farmi sfondare la porta, Tauriel. Perciò smetti di bussare o colpirai me e non il legno”, disse, mentre apriva.
L’elfa, a quanto poteva capire il principe, era arrabbiata almeno quanto lui, a giudicare dallo scintillio preoccupante che aveva negli occhi, ma con la differenza che sembrava meno risentita.
“Non sarà stando chiuso qui dentro che farai sbollire la rabbia, principe. Dopotutto, Thranduil ha impedito anche a me di seguire l’esercito, nonostante io sia il Capitano della Guardia. So perché ha fatto questo nei miei confronti, ma credo tu immagini già perché lo ha impedito a te. Tu sei troppo importante per lui, non vuole rischiare di perderti affrontando il drago. Mi hai raccontato cosa è successo contro i serpenti del nord. Forse non vuole che accada di nuovo, non vuole che tu ci vada di mezzo. Cerca di capirlo, Legolas. Ti vuole bene, anche se si comporta in modo altezzoso e ha un atteggiamento di superiorità. Coraggio, cerchiamo di scaricare la tensione. Ti va di allenarti assieme a me?”.
Legolas si sentì confortato da quelle parole: Tauriel riusciva a guardare nei cuori delle persone, e si fidava di ciò che diceva.
Perciò annuì e la seguì ai campi d’addestramento, ma con il pensiero sempre rivolto al padre, in guerra di nuovo senza lui al suo fianco.
Erano arrivati tardi, Thranduil lo sapeva.
Vedeva il fumo che impregnava l’aria, sentiva l’odore della morte.
E, soprattutto, sentiva urla, urla che gli arrivavano acute e gravi alle orecchie: voci di donne, bambini e uomini in preda al panico, che cercavano di mettersi in salvo.
La città di Dale era completamente distrutta, la furia del drago l’aveva rasa al suolo, aveva ucciso i suoi abitanti e compiuto una strage, prima di avventarsi su Erebor per appropriarsi dell’oro che vi si trovava.
Thranduil fermò il suo esercito sul ciglio di una bassa altura, da dove vedeva distintamente molti Nani che uscivano da Erebor, correndo disperati per salvarsi la vita.
E vide anche il giovane Nano Thorin alzare la testa e guardare lui, urlando: “Aiutateci!”, agitando una mano per invocare il loro soccorso, spingendo allo stesso tempo i suoi compagni via dalla Montagna, le cui porte si chiusero con un colpo secco e rimbombante.
Thranduil chinò la testa, mentre i ricordi gli invadevano la mente…
[flashback]
Quattro guardie dietro di lui, e i Nani più nobili di Erebor dinanzi.
Thranduil camminava lento e solenne sulla liscia passerella di pietra che conduceva al trono di Thrór, re sotto la Montagna, e teneva lo sguardo fisso sul Nano, che se ne stava seduto comodamente, senza muoversi o fare altro.
Si fermò a poca distanza dal re, e le guardie lo imitarono, arrestandosi qualche passo dietro di lui.
Thranduil piegò le labbra in un lieve sorriso e piegò leggermente la testa, mentre Thrór sorrideva a sua volta e suo figlio Thráin si avvicinava con uno scrigno tra le mani.
Si fermò lontano dal trono del padre, ma comunque davanti a quest’ultimo.
Thranduil si avvicinò lentamente, osservando quello scrigno e cercando di immaginare cosa vi fosse custodito all'’interno, e la sua curiosità venne presto soddisfatta.
Il Nano aprì lo scrigno, mostrando il suo contenuto: Thranduil spalancò gli occhi di fronte a tale bellezza.
Chiare e cristalline, come illuminate da pura luce lunare, delle gemme bianchissime sfavillavano all'’interno dello scrigno, belle come non ne aveva mai viste in precedenza.
Il re tese una mano, anche solo per toccare quella meraviglia, ma Thráin chiuse di scatto lo scrigno, mancando di poco le dita di Thranduil, che sgranò gli occhi, offeso.
Sollevò lo sguardo sul re e sorrise, un lieve sorriso che lasciava trapelare tutta l’offesa arrecatagli e la promessa di una vendetta.
Poi voltò le spalle ai Nani e uscì, così com’era entrato.
 
[fine flashback]
 
Thorin gli lanciò un’ultima occhiata, piena di supplica, ma Thranduil fece voltare l’alce e ritirò i suoi guerrieri.
Non avrebbe rischiato la vita dei suoi sudditi contro l’ira del drago, solamente perché un Nano, che tempo prima aveva provocato uno screzio enorme, stava chiedendo il loro aiuto.
Silenziosi erano giunti sin lì, e silenziosi andarono via, lasciandosi alle spalle la morte e la desolazione che Smaug aveva creato, lasciando a sé stessi i Nani che avevano tradito il re.
 
 
“Combatti davvero molto bene, hai proprio meritato il titolo di Capitano”, osservò Legolas, mettendo giù i coltelli, imitato subito da Tauriel, che li ripose nelle guaine.
“Ho passato tutta la vita ad addestrarmi per entrare nell’esercito”, disse lei, sedendosi su di una grossa radice che sporgeva dal terreno.
I due avevano combattuto a lungo, tanto che ormai il sole rasentava il profilo dell’orizzonte e il cielo si stava tingendo di rosso, dando alle nuvole una sfumatura aranciata.
Il principe sedette accanto all'’elfa: “Come mai hai scelto di entrare nell’esercito?”, le domandò.
“Come mai questa domanda, principe?”.
“Non lo so. È da qualche tempo che me lo chiedo”.
Tauriel sospirò, piegando le gambe e abbracciandosi le ginocchia: “Credo sia perché ho perso i genitori. Fin da bambina piccola non faccio che pensare  a loro, alla loro morte per mano di quelle maledette creature: ho passato molte notti insonni a causa degli incubi che mi turbavano la mente. Poi, osservando alcuni guerrieri, ho deciso di provare a combattere. Così, per gioco, senza una ragione precisa. E ho scoperto che se combatto, se mi concentro su questo, riesco a non pensare al mio passato. C’è spazio solamente per le armi che ho in pugno, e per il nemico che ho dinanzi. Ho impiegato la forza che mi infonde la rabbia che provo verso tutto ciò che è oscuro, e mi sono imposta di dare sempre il massimo in ogni cosa. Così sono riuscita ad entrare nella guardia elfica e ora sono Capitano”.
Legolas la osservò, cercando di vedere in lei tutto ciò che aveva appena detto: la vedeva, la guerriera, ma non era mai stato in grado di cogliere i sentimenti che la animavano, ciò che provava quando combatteva o semplicemente dava degli ordini.
Sotto quella luce, Tauriel le piaceva anche più di prima.
Quando il sole fu ormai tramontato, e le prima stelle cominciarono ad apparire, il principe disse: “Credo sia il caso di tornare. Le luci di Elbereth si stanno accendendo in cielo, e la luna non tarderà a sorgere”.
Si alzò, ma Tauriel restò ferma dov’era.
“Vai tu. Io resto qui ancora per un po’”, disse alzando solo gli occhi.
Legolas annuì e fece ritorno a palazzo, ma sentiva che c’era qualcosa che lo inquietava, ma che non riusciva a spiegarsi.
Andò a dormire con quella sensazione addosso, e quando chiuse gli occhi vide solo un immenso muro di fuoco, circondato da immagini di morte.
 
Il re, assieme all'’esercito, tornò due giorni dopo, e Legolas si precipitò a controllare, più preoccupato che mai.
Ma si preoccupò ancor di più quando vide che nessuno sembrava aver combattuto: ogni armatura e arma era immacolata, e tutti erano sereni e tranquilli.
Tutti, tranne Thranduil, che sembrava lievemente irritato.
Quando rimase solamente il padre, Legolas si avvicinò: “Adar, cosa è accaduto? Non sembra che abbiate combattuto una battaglia”, disse.
Thranduil lo fissò dritto negli occhi, un gesto che, Legolas sapeva, gli ricordava sempre la moglie: “Infatti non siamo scesi in battaglia. Non contro un drago”, rispose, ma sembrava troppo evasivo.
Il principe strinse gli occhi: “Come sarebbe a dire? Tu non ti saresti tirato indietro, non l’hai fatto contro i serpenti del nord”.
“Forse l’ho fatto proprio in memoria di quello”.
“Io non credo, adar. Chi dovevi aiutare? Non certo Dale, ho sentito che è stata rasa al suolo prima del vostro arrivo”.
“No, non erano gli Uomini di Dale”.
“E allora chi?”.
Suo padre esitò: “I Nani di Erebor”, rispose.
Poi non aggiunse nient’altro; diede le spalle al figlio e si diresse alle sue stanze, senza più rivolgerli la parola o indirizzargli uno sguardo.
Legolas aggrottò le sopracciglia, turbato perché aveva compreso il motivo per cui non era sceso in battaglia.
Ma cercava in tutti i modi di convincersi che non era così, che suo padre non avrebbe mai lasciato a sé stessi tutti quegli individui, seppure Nani, solamente perché si erano rifiutati di concedergli le gemme che gli avevano mostrato.
C’era un altro motivo, doveva essercene un altro.
A questo pensava il principe, mentre si ritirava in biblioteca.


Angolo dell'autrice

Ebbene sì, alla fine ho aggiornato! Chiedo venia per il ritardo, ma la scuola mi ha tenuto molto impegnata e, per di più, fra un giorno esatto cominceranno le simulazioni d'esame, quindi tanto di cappello e riaggiornerò tardi, temo. Ma ora non pensiamoci e riflettiamo sulla storia...
...
...
...
Avete riflettuto abbastanza? Bene, allora spero che abbiate racimolato qualche parola, anche solo undici piccole paroline, da mettere in una recensione ^_^
Molto bene, detto questo vi lascio, ma non prima di aver ringraziato ancora una volta:


1) I miei carissimi lettori silenziosi
2) Ayumi_m, Elenwen, fredfredina, letizia2002, nadivolraissa, sara2001, Stana1 e solenne per aver mantenuto la storia tra le preferite
3) Anna Tentori, Chiaretta_6, Clar52a, Elenwen, ewan91, Medea_96, nadivolraissa e ReginadelleStelle per aver mantenuto la storia alle seguite
4) Elenwen, nadivolraissa e Satana1 per averla mantenuta tra le ricordate

E ringrazio Clar52a, che ha recensito il precedente capitolo :)

Non ho altro da dire, se non: meneg suilad, mellyn nîn, continuate a leggere perché è una passione intramontabile!

Dalla vostra Elfa


Hannon le

ElenCelebrindal

 
   
 
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