Prologo
Non
era certo la prima volta
che mi trovavo faccia a faccia con la morte. Una parte di me la
bramava,
prima di lei tutto il mio essere la
aspettava ogni giorno. Adesso invece provavo persino paura. Tutto era
successo
così velocemente che non ero riuscito a controllarlo.
Sentivo
che non avrei provato
dolore, e il dolore non mi avrebbe comunque mai terrorizzato. Tuttavia
un dolore
profondo pulsava nel mio cuore, sapendo che mi trovavo di fronte ad un
abbandono più importante per me di qualsiasi altro momento.
Ma non c’era più
nulla da fare. Chiusi gli occhi e, con un sospiro, attesi quasi
impaziente che l'angoscia finisse, con la morte nel
cuore.
1
Un incontro inaspettato
Dannata
pioggia.
Come al
solito non stavo sognando, ma dormire era una delle mie
attività
preferite ed
essere interrotto, oltretutto da semplice pioggia, una delle cose che
odiavo.
Pensai con rammarico che il letto non era mai stato più
comodo e
la casa più calda e accogliente, nonostante non amassi
particolarmente il mio striminzito appartamento. Fortuna che c'era
l'indispensabile, e dopo aver sistemato la maggiorparte delle mie cose,
potevo almeno dire che era una riproduzione in miniatura della mia
vecchia casa. Ovviamente niente di paragonabile, visto che la mia
precedente abitazione era una splendida enorme villa. Sbuffai e andai
alla finestra. “Che tempaccio”, pensai. Mi voltai e
alla
vista
del calendario sperai di non averlo mai fatto. Era il primo giorno di
scuola in
quella stupida cittadina, Forks.
...”Perchè vuoi andartene?” Che
richiesta stupida...e irritante. Ma in
fondo lo comprendevo. Mia madre l’aveva già
abbandonato tempo fa, ed ora io lo
lasciavo nuovamente solo. Ma non ero tipo da sensi di colpa. Dovevo
andarmene.
E poi era ovvio che non avrebbe potuto mai capire era il mio bisogno di
libertà, anzi di solitudine. Mio padre era un uomo
semplice...
Mi
riscossi dai
miei
pensieri, pensando che non volevo prediche da professori o roba simile,
soprattutto non nel primo giorno di scuola. A dire il vero ero
leggermente
infastidito, non avevo il minimo desiderio di incontrare una mandria di
stupide pecore. Se non altro, la massa era sicuramente ridotta rispetto
alla mia metropoli nativa. Avevo passato l’estate in quell'
appartamento che era di mia madre,
evitando di fare conoscenze inutili, evitando di comportarmi da persona
educata quando non mi andava. Meno persone vedevo, meglio stavo. Mi
guadagnavo da vivere lavorando la sera
come pianista in locali. Amavo suonare il piano e quando udivo le dolci
melodie capaci di sprigionarsi nell'aria dalla semplice pressione sui
tasti, una pace quasi irreale m’inondava e non
m’importava più del resto del mondo.
Feci
colazione e lasciai
tutto sul tavolo. Per quel che poteva interessarmi, nella remota
possibilità che
qualcuno fosse venuto a casa mia, l’unica persona di cui mi
sarebbe importato
era colei che riposava in Paradiso, mia madre. Almeno questo era
ciò che
speravo. Com’era possibile che fosse diverso?
Girai
le chiavi nel pick up e
un assordante rumore mi inondò le orecchie. Amavo i motori,
ma per sopravvivere
i primi tempi avevo venduto la mia favolosa auto, ormai unico ricordo
della mia
vecchia vita, e con una parte mi ero comprato quel
“nuovo” orrendo rottame.
D’altronde la cittadina era fin troppo piccola e a poco
serviva una vera auto.
Però c’era qualcosa che amavo di Forks. Amavo quei
boschi fitti e oscuri, quell’aria
così pulita e silenziosa rispetto alla grande, per
dimensioni non certo perchè migliore, New York.
Arrivai
a scuola.
Avevo ovviamente previsto che non sarebbe stata come un liceo della
Grande Mela, e la cosa non mi dispiaceva. Un agglomerato di costruzioni
rosso scuro circondata dall' immancabile vegetazione, con l'insegna
"Forks High School". Niente di
diverso da ciò che avevo immaginato, e tutto sommato mi
piaceva,
con tutto quel verde e quella pace per me nuova. Di certo non avevo
avuto aspettative di alcun tipo. Ero sicuro che non ci sarebbe stato
niente di attraente nel mondo per me, da quandomia madre mi aveva
lasciato.
Mi
diressi verso la
segreteria, una donna dai capelli esageratamente rossi e grassoccia
attirò la mia
attenzione. “Ciao, posso esserti utile?”
“Buongiorno.
Mi chiamo Edward
Masen.”
“Ah
si certo, capisco. Riporta questi
moduli firmati alla fine della giornata. Benvenuto”.
Sul tavolo erano infatti sparsi, in un modo fastidiosamente
disordinato, una gran quantità di inutili carte, che mio
malgrado fui costretto a raccogliere. Mi dileguai velocemente dicendo
che non volevo essere in ritardo alle lezioni proprio il primo giorno.
Presi
la mappa della scuola e
la memorizzai velocemente. Prima ora, inglese. Ottimo, amavo la
letteratura.
Feci la conoscenza del professore e mi sedetti ad un posto vuoto senza
nessuno
accanto. Che fortuna, pensai. Niente scocciatori.
Il
tempo passò abbastanza
velocemente, riuscivo ad evitare chi cercava di attaccar bottone e
degli sguardi curiosi da cittadina di provincia non me ne importava
granchè. Vagavo distrattamente con la mente fingendo
attenzione mentre seguivo le lezioni, finché non fu ora di
pranzo. Giunsi in una sala piuttosto grande
rispetto alle aule che avevo visto sino ad allora. Andai a sedermi in
un posto vuoto, contento che ce ne fossero, incurante degli sguardi di
quasi tutta la scuola.
Una ragazza bruna e snella, dai tratti dolci ed evidentemente sicura di
sé, forse troppo, venne a
sedersi al mio tavolo. Doveva essere una popolare, perché
molti ragazzi si
girarono a guardarci infastiditi. A me tuttavia non interessava.
Stranamente,
le ragazze mi trovavano sempre attraente, nonostante non rivolgessi
loro la
minima attenzione. La ragazza si presentò e
cominciò a ciarlare incurante del
fatto che non le davo retta. Improvvisamente il mio sguardo
incrociò due occhi
profondi neri come la notte, grandi e meravigliosamente dolci.