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Autore: Sama_013    23/03/2014    2 recensioni
A volte la vita non fa altro che portarti a delle scelte e a volte quelle scelte potranno essere pericolose, rischiose, dolorose. Arrivi a un certo punto della tua vita che dovrai scegliere e in quel momento non desidererai altro che cadere nel baratro da sola senza scegliere, senza rimpiangere di averli amati entrambi. Nella mia vita fino ad ora non ho fatto altro che mantenere segreti e a volte posso solo pensare che anche la mia vita è una bugia come tutte quelle altre menzogne che ho raccontato per nascondermi. E la scelta più difficile che può farti la vita è scegliere tra chi amare. Chi odiare. Chi voler bene. E a chi mentire. E quando quelle due scelte sono due persone che fino a quel momento non ti hanno fatto altro che ridere, piangere, fatto sentire amata, tradita, e sofferente l’unica scelta che puoi fare in quel momento è quella di non commettere più sbagli. Così chiudi gli occhi e pensi che a volte, a un certo punto della tua vita dovrai scegliere, e quella scelta non farà altro che renderti la vita peggio di come era prima.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Everything has changed

Come tutto può cambiare.


Capitolo
1

Un leggero ronzio si faceva largo nella mia mente. Scorreva lentamente come quando versi dell’acqua in un bicchiere.
Poi si faceva sempre più vicino, e quel ronzio cominciava ad essere più forte e più fastidioso, e stavolta era come versare un intera brocca d’acqua in un bicchiere, così velocemente da far cadere tutta l’acqua fuori, completandola in un fastidioso Splash.
Era impossibile continuare a tenere gli occhi chiusi con quello stupido rumore che mi ronzava in testa, così lentamente mi decisi ad aprire le palpebre.
Non sapevo esattamente cosa aspettarmi, ma di certo non mi sarei mai aspettata di vedere quattro mura completamente rivestite di bianco.
Era una stanza parecchio spoglia. C’era una sola finestra al mio lato destro, mentre a quello sinistro c’era un porta chiusa con due persone dall’altro lato del vetro che parlavano intensamente. Continuai a guardarmi intorno, facendo cadere il mio sguardo sul comò al mio fianco e a una poltrona blu.
Poi finalmente il mio sguardo si posò su un corpo mezzo morto deposto su un letto. Le gambe non si muovevano ed erano ben nascoste sotto un pesante lenzuolo bianco. Le braccia erano molto deboli e come le gambe quasi non riuscivano a muoversi.
Erano completamente fasciate, dalle spalle fino ai polsi, e dal sinistro fuoriusciva un tubicino che era poi collegato ad una flebo.
Le mani sembravano libere, tranne per qualche dito fratturato. Il torace si alzava e riabbassava molto, molto lentamente.
Il dolore alle costole doveva essere infernale. Era infernale, perché quel corpo era il mio. Cercavo di muovere le dita dei piedi o delle mani, ma l’unica cosa che riuscivo a fare era sentire dolore dappertutto. Provai ad alzarmi un paio di volte, ma il risultato rimaneva sempre lo stesso: inchiodata saldamente ad un letto. Così, mi limitai a vagare ancora un po’ con lo sguardo, fino a quando non incontrai uno specchio. Esso rifletteva il volto giovane di una ragazza.
Era pallido, con sfumature di rosso sulla fronte e di viola su parte degli zigomi. Per il resto era completamente sfreggiato, con qualche graffietto rosso su parte del mento e della tempia. Una fasciatura pesante copriva il sopracciglio destro e saliva su a coprire parte dei capelli biondo cenere.
Gli occhi verdognoli erano gonfi e le palpebre erano viola. Le labbra avevano un colorito strano. Nella parte intatta erano rosee, mentre dall’altra erano completamente spaccate e piene di un rosso vivo, esattamente come il sangue. Ero messa male, davvero male.
Così male, che non riuscivo quasi a parlare. Le parole mi si smorzavano in gola lasciando uno stridulo urlo al posto delle parole che avrei voluto dire.
Non ero nemmeno certa che quel viso riflesso nello specchio fosse il mio, perché io non ricordavo nulla.
Non ricordavo quando ero arrivata lì o perché mi trovavo in una stanza d’ospedale. Non ricordavo con certezza me stessa.
Se avevo una famiglia o dove si trovava casa mia. Non ricordavo nemmeno il mio nome. Non sapevo nulla di me.
Sapevo semplicemente che il mio corpo era completamente morto e disteso su un letto bianco. Avevo tre dita fratturate.
Sicuramente qualche costola rotta e se non bastasse un viso completamente irriconoscibile con tutti quei punti, quelle fasce e quei graffi.
Sapevo semplicemente di essere un vecchio rottame buttato su uno stupido letto, rinchiusa tra quattro mura bianche, sentendosi debole e indifesa, come un uccellino sul suo nido, senza più una madre, che cercava di volare ma incapace di farlo.




















 
  
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