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Autore: Laurie    03/07/2008    0 recensioni
Mukashi, Mukashi: letteralmente "C'era una volta", raccoglie trenta racconti dove le fiabe e le leggende giapponesi si fondono con storie del Giappone moderno.
Terzo racconto: Morte per acqua
Parlare con i morti è naturale per lei, quasi più che parlare con i vivi, ma questa volta il defunto che Yukiko dovrà affrontare sarà molto diverso dal solito...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Like a bird without wings,
I would rise, but robeless.”
“To the low earth you sink, an angel dwelling
In the dingy world.”


Da Hagoromo



Teinosuke Asada camminava particolarmente soddisfatto. La giornata era cominciata con un luminoso sole, un tempo gradevole per una passeggiata all’aperto e un appuntamento che lo stava aspettando al parco.
Sì, non c’era niente che andava male. In ufficio il lavoro non mancava mai, ma poteva ben dire di aver fatto il suo meglio e di essere perfetto nel ruolo di capoufficio. Anzi, e di questo ne era certo, se continuava di questo passo non era lontana una promozione. Il signor caporeparto si era lasciato sfuggire un commento del genere, l’ultima volta che l’aveva incrociato alla mensa. A conti fatti e con il suo tono cauto della circostanza ufficiosa di tale confidenza si era complimentato per aver portato ordine nell’ufficio. A quanto ne sapeva Asada, il suo diretto predecessore aveva creato non pochi problemi ed era per questo stato cacciato in qualche ufficio di poca importanza da cui con molte difficoltà sarebbe uscito… lasciando così un posto libero per lui.
“Ce ne fossero di giovani uomini come lei, Asada-san!” aveva commentato il caporeparto.
Aveva vinto la partita, capì. Fino a quel momento lo avevano tenuto d’occhio, per vedere se riusciva ad affrontare lo stress del comando. E lui aveva superato la prova, brillantemente e con tanto di lode.
Ma non era solo il successo lavorativo a lasciarlo soddisfatto – o meglio, non solo quello. Miyashita-san aveva alla fine ceduto e detto di sì.
Dopo che ebbe raggiunto l’agognata promozione, Asada sapeva cosa mancava per coronare la sua vita: una donna. Adeguatamente bella, adeguatamente educata, adeguatamente elegante; il tipo di donna che non avrebbe sfigurato al braccio di un futuro caporeparto.
Saya Miyashita era perfetta sotto ogni punto di vista, compresa un’ottima famiglia, a quanto sapeva non proprio ricchissima ma dal pedigree impeccabile. La loro figlia era una delle tante office ladies, prese nell’azienda in attesa del matrimonio. Con un uomo come lui, ad esempio.
Asada sorrise fra sé e sé. Oh, non erano ancora arrivata a quello, ma di certo un giorno, dopo essersi conosciuti, avrebbe affrontato la dichiarazione ed era certo di poter scucire dalle caste labbra di Miyashita-san un sì.
Quando l’aveva invitata per un appuntamento, aveva inizialmente rifiutato per ben due volte; ma non era forse un segno di modestia? Asada era pronto a dichiarare la sua preferenza ad una donna del genere piuttosto che alle tante civettuole office ladies che ogni giorno cercavano di ingraziarsi i suoi superiori portando il the alle loro scrivanie e indossando una gonna almeno di due centimetri più corta di quel che il buon gusto consentiva.
Asada si fermò, spaziando lo sguardo per ammirare la vista perfetta di quella giornata perfetta. Aveva scelto il posto giusto, come sempre: un delizioso colle erboso, che a destra lasciava intravedere il laghetto con le carpe e più sopra era ombreggiato da un rigoglioso susino, fortunatamente ancora in fiore. Fare una buona impressione rientrava tra le sue tante regole.
Si accorse che, per fortuna, avevano installato una bella panchina dallo stile europeo per gustarsi sia la vista del susino che quella del lago. E così poteva anche stare sicuro che la sua compagna non si sarebbe lamentata a star seduta sull’erba. Le donne stavano attente se badavi a queste attenzioni, e Asada non voleva di certo sbagliare. Si assicurò che la panchina fosse pulita (la vernice era un po’ scrostata, ma il metallo non si era arrugginito) e si sedette, voltato appena di lato per ammirare la fioritura dell’albero.
Come ogni giapponese che si rispetti, anche Teinsouke Asada apprezzava i ciliegi. Era anzi quello che organizzava, insieme ad altri irriducibili, l’hanami aziendale ogni primavera. Ma per suo gusto personale doveva ammettere che il susino aveva una bellezza sua propria che nessun ciliegio, neppure quelli celeberrimi di Kyoto, riusciva a eguagliare. I petali sembravano piccole piume. Nella sua intera vita, Teinosuke Asada non aveva mai accarezzato alcun animale, ma era certo che le piume di un cigno o di un fenicottero o di qualsiasi altro uccello dalle ali bianche e dal nome poetico avesse la morbidezza e la luminosità dei fiori di susino.
Era un posto perfetto in una giornata perfetta. Si poteva considerare soddisfatto. La prima impressione è quella che conta, pensava constatando quanto fosse vero: il buon successo al lavoro, di cui anche Miyashita-san sarebbe rimasta impressionata. Gli aveva detto di sì, dopotutto.
Sentendosi di umore allegro, tanto che se non fosse stato un rispettabile signore in giacca e cravatta si sarebbe messo a fischiettare come soleva fare da giovane, Asada attese che la sua signora arrivasse.
Con un po’ di disappunto constatò che lei era in ritardo. Se lo aspettava – le donne erano sempre in ritardo – ma con una punta di rammarico si ricordò che anche lui era in largo anticipo. La prossima volta non sarebbe successo. Essere in ritardo era scortese, ma affrettarsi era da principianti. Non era più un ragazzino al suo primo appuntamento!
Asada sentì con sollievo dei passi. Si voltò, con in viso un’espressione pronta a sorridere qualora avesse visto Miyashita-san affrettarsi verso di lui. Fu deluso dal constatare che non era lei.
Solo per un attimo.
Il buon senso gli suggeriva di voltare la testa dall’altra parte, ma era difficile staccare lo sguardo da una donna. Era davvero bella! Non di una bellezza squillante e un po’ volgare, ma dai lineamenti puri e dal viso bianchissimo come non se ne vedevano ormai più. Vestiva in modo semplice, senza neppure un filo di trucco, e camminava con passo aggraziato, la testa alta e i lunghi capelli sciolti che la rendevano dignitosa e sicura di sé.
Asada si accorse che la stava fissando da troppo tempo; cosa avrebbe detto Miyashita -san se fosse arrivata in quel momento e lo avesse visto seguire con tanta intensità un’altra? Le donne hanno un sesto senso infallibile per certi dettagli, e lui non voleva rovinare il loro appuntamento per uno stupido litigio.
Stizzito, si accorse che la sconosciuta era ferma a pochi passi da lui, lo sguardo rivolto alla pianta di susino in piena fioritura. Con un assurdo senso di orgoglio Asada approvò. Lui aveva sempre pensato che il susino fosse la più bella pianta del parco, ma poche persone sembravano pensarla allo stesso modo. Quella donna possedeva certamente uno spiccato gusto estetico, probabilmente era cresciuta in qualche buona famiglia anche se i suoi abiti, pur essendo portati con una certa eleganza, non sembravano costosi ed erano di taglio semplice.
Ad Asada venne in mente un’attrice teatrale che aveva frequentava il salotto del padre quando lui andava al liceo: era una persona che attirava su di sé gli sguardi, inevitabilmente, senza neppure sforzarsi di essere graziosa, proprio come la donna che gli stava di fronte.
Un attimo dopo Asada si raggelò d’indignazione. Si era accorto troppo tardi che lei si era mossa, e che si era seduta accanto a lui, sulla sua panchina. Questo non era ammissibile. Per quanto dovesse sforzarsi di mostrarsi indifferente e non stizzito e furioso, Asada imprecò mentalmente contro la sfacciataggine della sconosciuta. D’accordo, erano in un luogo pubblico, ma perché proprio lì, dove c’era lui, un uomo sconosciuto? Come se niente fosse! E quel che era peggio: erano in una posizione isolata e lui stava aspettando Miyashita-san. Il suo perfetto appuntamento sarebbe cominciato male.
Ma no, ma no, si tranquillizzò, le donne saranno state anche gelose, ma avrebbe semplicemente fatto finta di nulla, continuato ad aspettare e all’arrivo di Miyashita-san mostrarsi come se lui non avesse la più pallida idea del perché la donna fosse seduta accanto a lui. Infondo lui non la conosceva davvero!
Asada si voltò verso la sconosciuta. Era troppo bella, ecco il problema: vestitela di stracci, e tutti l’ammirerebbero lo stesso. Pur sapendo di apparire incivile, si schiarì la voce e disse: “Perdoni, signora, ma sto aspettando qualcuno.”
Quando si voltò, Asada vide i suoi occhi nerissimi, e tolse almeno dieci anni dall’età che le aveva dato in precedenza. Andava male: era pure giovane.
“Che coincidenza. Anch’io sto aspettando qualcuno.”
“Già, le coincidenze…” disse Asada senza fiato, mentre avrebbe dovuto inorridirsi di fronte alla mancanza di giudizio della donna che avrebbe dovuto capire dalla sua frase quanto fosse sgradita la sua presenza.
“E’ un peccato che la persona da me aspettata non verrà mai.”
“Come mai?” chiese, suo malgrado, l’uomo che avrebbe voluto aggiungere: “Chiunque la lasci da sola ad aspettare è un pazzo.”
“Perché non tornerà,” aggiunse la donna con tranquillità e con un delicato sorriso. “Perché se n’è andato per sempre. Ma mentre passeggiavo, mi sono ritrovata qui, davanti a questo susino, e mi sono ricordata che a lui piacevano gli alberi.”
Una vedova. Ecco spiegato. Una vedova malinconica, forse in cerca di una spalla su cui piangere. Ma Asada non l’avrebbe di certo offerta. Espresse la sua simpatia con una frase di circostanza, per scoraggiare qualsiasi ulteriore tentativo di approfondire il discorso, e si ostinò a non dare ulteriore importanza alla donna.
“Anche a lei piace questo albero.”
“Signora, è un’attenta osservatrice e ha ragione. Non c’è nessun altro che apprezza questo meraviglioso albero. Vede? E’ uno dei pochi susini la cui fioritura può essere ammirata come un’opera d’arte che la natura crea.”
Lei rise con spensieratezza improvvisa e insolita in una signora di tale dignità, come se fosse tornata ad essere una bambina.
“Usate delle belle parole,” spiegò, “la vostra ammirazione è davvero sincera, dunque.”
“Assolutamente.”
“Ma dite, avete notato i fiori del susino? Sono delicati, bianchi come piume, luccicanti nella rugiada del mattino e nel crepuscolo. Non le sembra un albero su cui è stato steso un velo di piume?”
Asada rabbrividì, per un attimo, avvertendo qualcosa di indefinibile nel tono di lei – come se la donna gli avesse rivelato un terribile segreto.
“Ora che me lo fa notare…” Asada si voltò verso i rami del susino, verso i petali scossi dal vento. “Mi ricorda l’hagoromo, sì.”
“Hagoromo?”
“L’abito di piume. Quello della dea, intendo.”
La donna lo fissò con sguardo penetrante, prima che i suoi occhi si rimpicciolirono mentre sorrideva.
”Lo chiamano così. Non lo sapevo…”
Lo stava forse prendendo in giro? Asada pensava – anzi, sapeva – che la storia della dea celeste fosse famosa in ogni canto del Giappone. Forse quella donna era straniera: in effetti aveva la pelle troppo chiara ed era più alta delle donne giapponesi che conosceva. O chissà quale passato aveva alle spalle. D’un tratto divenne guardingo.
“Avanti, signora, non mi dica che non ha mai sentito parlare della dea e del suo manto! Ne hanno fatto uno spettacolo bellissimo nel teatro cittadino, neppure da molto.”
“Conosce bene la storia, sembra anzi che le piaccia.”
“A dire il vero, sì.” Asada ammise. Finché parlava quel bel viso sarebbe stato rivolto verso di lui – e accidenti, lei era la più bella fra quante ne avesse mai incontrare. Una tale classe, una tale disinvoltura tutta rivolta verso di lui.
Asada dimenticò completamente Saya Miyashita, l’appuntamento e che ora fosse.
“Lei ha ragione, signora. Ho visto molte volte lo spettacolo, in varie compagnie. Sono andato fino a Tokyo, una volta. Le assicuro, è il più bel pezzo che sia mai stato scritto per il teatro. Non lo conosce? E’ un peccato. La grazia della dea, il ballo finale… non si trova più tale eleganza, se non in poche persone che ancora apprezzano le buone cose del passato.”
”Mi racconti la storia. Chi trova il manto divino?”
”Un pescatore. Su un albero in riva al mare.” Sorrise, nel suo modo più accattivante. “Proprio come ha detto lei prima, un manto su un albero.”
La donna sorrise, ma nulla di più, sembrava non aver colto il suo complimento e tuttavia Asada proseguì sicuro di aver catturato l’attenzione della sua ascoltatrice.
“E così il pescatore decise di portare con sé l’hagoromo, capisce, perché era un oggetto prezioso e di una bellezza unica. Era un pescatore che sapeva il valore degli oggetti.”
“E’ probabile. Oggetti che non sono di questo mondo suscitano ammirazione anche ad occhi inesperti. Ma mi parli della dea, sono curiosa del suo giudizio. Non era suo quel manto?”
“La dea, la dea… lei era l’epitome della bellezza, sì, ed era pura come una vergine celeste dev’essere. E’ strano che lei non conosco la storia,” Asada ebbe un altro soprassalto di orgoglio a notare come la donna lo ascoltava attentamente. “Bene, lei chiese al pescatore di ridargli la sua vesta, e lui acconsentì.”
“Un uomo gentile. Il mondo ne è raro.”
“Lei dice? Ma sono certo che al mondo non esista uomo capace di resistere alla preghiera di una bella donna.”
Ammiccò soddisfatto, convinto di aver dato una buona impressione. Parlare di teatro gli metteva sempre buon umore, anche se lui ne capiva ben poco e spesso durante gli spettacoli si annoiava. Ma era convinto che l’arte desse un fascino in più, un’aura di raffinatezza che molti uomini moderni trascuravano scioccamente; quale modo migliore di destare l’attenzione femminile se non discorrendo di argomenti gentili, eleganti ed effimeri? Fiori e abbigliamento erano fuori discussione, troppo poco mascolini. Asada, che nella sua vita aveva letto a malapena un pugno di classici, si era buttato con passione sulla letteratura, convinto che bastasse leggere i succinti sommari delle opere per sostenere una conversazione. Il teatro era stato una benedizione: poteva coniugare il suo lato di cultore dell’arte con la frivola vita mondana, senza perdere troppo tempo sulle pagine di un Genji Monogatari.
La bella donna accennò ad un lieve incedere del capo, che voleva sicuramente essere un assenso umile alla convinta affermazione di Asada.
“Continui a parlare, se non le dispiace. Il suo discorso si sta facendo interessante.”
Non aspettava altro! Asada lisciò il ciuffo di capelli perfettamente in piega e riprese con maggior sicurezza: “Ciò che ammiro di più in Hagoromo è la perfezione del personaggio femminile. Se lei avesse visto lo spettacolo, mi capirebbe meglio. Cercherò di spiegarlo. Pensi a quanto più delicato possa esserci nella natura del nostro paese. Un ciliegio effimero… ecco, così è come si muove la nostra tennyo. Anche con i pesanti paramenti del teatro – ha presente, vero? La maschera, l’abito, l’elaborata acconciatura con i pettinini d’oro - si muove con grazia. Sembra che riesci ad afferrarla ma subito dopo ti sfugge come una sciarpa di seta dalla mani.” Asada annuì, compiaciuto dall’ultimo paragone che aveva rubato ad un critico. “Sì, effimera… ma anche solenne in quegli abiti. So che alcuni non amano più il teatro nō proprio perché sembra così antiquato, ma le confesso che io lo seguo soprattutto per questo. E perché non dovrei? Sono orgoglioso di quanto ha creato il mio paese, così come lo può essere un italiano delle sue opere d’arte o un americano del progresso della propria nazione.”
“Pensieri ammirevoli. Ma fin’ora mi ha parlato solo della dea…”
“Perdoni. Sono un pessimo narratore. Cosa vorreste sentire?”
“Perché non del pescatore? Non le sembra un personaggio importante, anzi essenziale, alla rappresentazione?”
”Dite bene,” concesse l’uomo con un sorriso che annunciava già un’obiezione. “E stavo proprio per parlarne. Ma personalmente io preferisco la tennyo, se non vi offendete naturalmente.”
Lei non diede mostra di capire il goffo ammiccamento di Asada. Era una donna fredda, o forse abituata ad ascoltare con rispettoso assenso… Asada continuò.
“Il pescatore… sapete, molti lo considerano maleducato per il trattamento che riserva alla dea. Perché mai, io chiedo. E’ normale ammirare la bellezza. E lui era a contatto con il sacro, il divino… niente di strano che abbia perso la testa. Penso anzi che l’ammirazione che provava per il vestito di piume e per la dea fosse onorevole, così intenso, come quello di un… cavaliere servente!”
Asada non aveva neppure idea di cosa fosse un romanzo cortese, e aveva ricordato l’espressione per puro caso, certo però che suscitasse la curiosità della sua interlocutrice. Cosa che avvenne.
“Cavaliere servente, avete detto?”
”Signora, sono quei cavalieri che nutrono una speciale devozione per le loro dame. E’ una tradizione… penso che sia inglese.”
“Se non erro, lei disse che c’era una ballo alla fine dell’opera. Per quale celebrazione venne eseguito?”
”Era un richiesta del pescatore. Come pegno per restituire l’hagoromo… Sì, so già la sua obiezione. Io sono convinto che il pescatore voleva esprimere la sua ammirazione per la tennyo. Le chiese di danzare perché era rimasto colpito da lei. Quale modo migliore di onorarla se non con una danza? La dea era una ballerina. Aveva bisogno di un pubblico, di qualcuno per cui danzare… chi altri meglio di un uomo, anche se era un umile pescatore?”
La donna sorrise con modestia. Oh quanto aveva aspettato quella reazione! Asada ne fu deliziato. Un tocco di luce aveva rischiarato quel viso delicato come un uccellino rendendolo ancora più bello. Quanto avrebbe voluto vederla in un kimono a fiori, leggiadro, con un piccolo ventaglio tra le sue manine fragili!
“Così lei sostiene che la dea doveva ballare per lui?”
“Doveva… diciamo che… cosa le costava?”
“Signore, tale danza ha un alto prezzo,” la voce di lei si abbassò di colpo, come se stesse per confidare un segreto. “Non ha in verità alcun prezzo, neppure quello di una veste dalle ali candide. E il pescatore non si accontentò di una sola danza, per quanto destinata solo a occhi divini. Lui ingannò la dea. Le giurò di consegnarle la veste ma le diede solo una manciata di piume, vuote come le sue promesse. La dea era disperata: le era preclusa la via del cielo, la terra le era adesso ostile. Cosa poteva fare? Il pescatore l’accolse in casa sua, ma pretese che fosse sua moglie. Oh sì, e si tenne la veste e la donna!”
“Avanti, signora, queste sono favole per bambini.”
“Sarebbe bene ascoltarle. Ci rivelano ciò che abbiamo dimenticato. Come il fatto che la dea non scordò mai l’affronto subito. Visse con il pescatore, fu una moglie devota, partorì i suoi figli… ma non cantò mai più per lui e non dimenticò la sua dimora nei cieli. Aspettò. Quando lui fu ormai anziano, e stanco di gettare reti, i suoi figli morirono uno dopo l’altro. Solo allora lei lo tentò con il pensiero della veste di piume, la stessa veste che permetteva di volare, che permetteva di allontanarsi dalla terra e dai suoi dolori e dalle sue fatiche. Chi poteva resistere a quel pensiero?”
Il volto della donna gli era così vicino che Asada poteva vedere bene i suoi occhi nerissimi come gaietto, e le mani non più delicati accenni della bellezza femminile ma simili agli artigli di un rapace.
“Nessuno, signore, tanto meno uno sciocco mortale. Prese la veste di piume, la indossò, si slanciò dalla scogliera verso il mare ma ahimé! La veste non poteva sorreggere il suo peso di materia terrena e lui si sfracellò sulle rocce.”
La donna sorrise con truce soddisfazione.
Asada rabbrividì. Ma c’era un certo fascino nel vedere una simile bellezza venata da un furore senza appello.
“Lei… lei… ma cosa sta dicendo?”
La voce di Asada era debole. L’uomo si guardò attorno, a disagio di avere quella donna a fianco a sé quanto prima aveva desiderato avvicinarla. Oltre alla spalla di lei, sul sentiero che portava al susino e alla panchina dove erano seduti, vide ferma Saya Miyashita, con il suo adorabile completino da passeggio e la sua faccia da bambina cresciuta. Asada si accorse di come dovevano apparire loro due, seduti su una panchina tanto vicini che i loro respiri quasi si mescolavano. Si alzò, aprì la bocca per formulare un grido che fermasse Miyashita-san, per chiamarla a sé, per dirle che lui aveva bisogno di lei, per ammettere alle fine – sì, lo avrebbe ammesso, per una volta – che era stato uno sciocco a dare confidenza ad una donna sconosciuta, e chissà che donna era! Senza pudore, un’intrigante, forse impazzita!
Saya Miyashita si allontanò, e quando Asada si voltò di nuovo verso la panchina scoprì che non c’era più nessuno.

Marzo 2008 c) Laurie


Hanami: è tradizione che durante la fioritura dei ciliegi, in primavera, famiglie, gruppi di amici o colleghi di lavoro si riuniscano nei parchi per ammirare gli alberi in fiore.
Office Ladies: sono giovani donne che lavorano in aziende giapponesi, spesso ricoprendo ruoli di scarso rilievo, subordinate agli uomini. Tra i loro incarichi rientra anche il servire il the ai loro superiori o durante le riunioni. Molte opere giapponesi insistono sul fatto che molte office ladies frequentano aziende per trovare un possibile marito, e gli stessi uomini non disdegnano di sposare una di loro se è figlia di qualche dirigente per fare carriera. Dopo sposate molte di loro abbandonano il lavoro per dedicarsi alla famiglia.
Genji Monogatari: La storia del principe Genji è il primo romanzo giapponese, curiosamente scritto da una dama di corte, Murasaki no Shikibu.

Questa storia partecipa alla challange La Festa dei folli con il claim leggende giapponesi; il prompt usato per questa storia è "L'appuntamento".

  
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