“Like
a bird without wings,
I would rise, but robeless.”
“To the low earth you sink, an angel dwelling
In the dingy world.”
Da Hagoromo
Teinosuke Asada camminava particolarmente soddisfatto. La giornata era
cominciata con un luminoso sole, un tempo gradevole per una passeggiata
all’aperto e un appuntamento che lo stava aspettando al parco.
Sì, non c’era niente che andava male. In ufficio il lavoro non mancava mai, ma
poteva ben dire di aver fatto il suo meglio e di essere perfetto nel ruolo di
capoufficio. Anzi, e di questo ne era certo, se continuava di questo passo non
era lontana una promozione. Il signor caporeparto si era lasciato sfuggire un
commento del genere, l’ultima volta che l’aveva incrociato alla mensa. A conti
fatti e con il suo tono cauto della circostanza ufficiosa di tale confidenza si era complimentato per aver portato ordine nell’ufficio. A quanto ne sapeva
Asada, il suo diretto predecessore aveva creato non pochi problemi ed era per
questo stato cacciato in qualche ufficio di poca importanza da cui con molte
difficoltà sarebbe uscito… lasciando così un posto libero per lui.
“Ce ne fossero di giovani uomini come lei, Asada-san!” aveva commentato il
caporeparto.
Aveva vinto la partita, capì. Fino a quel momento lo avevano tenuto d’occhio,
per vedere se riusciva ad affrontare lo stress del comando. E lui aveva superato
la prova, brillantemente e con tanto di lode.
Ma non era solo il successo lavorativo a lasciarlo soddisfatto – o meglio, non
solo quello. Miyashita-san aveva alla fine ceduto e detto di sì.
Dopo che ebbe raggiunto l’agognata promozione, Asada sapeva cosa mancava per
coronare la sua vita: una donna. Adeguatamente bella, adeguatamente educata,
adeguatamente elegante; il tipo di donna che non avrebbe sfigurato al braccio di
un futuro caporeparto.
Saya Miyashita era perfetta sotto ogni punto di vista, compresa un’ottima
famiglia, a quanto sapeva non proprio ricchissima ma dal pedigree
impeccabile. La loro figlia era una delle tante office ladies, prese
nell’azienda in attesa del matrimonio. Con un uomo come lui, ad esempio.
Asada sorrise fra sé e sé. Oh, non erano ancora arrivata a quello, ma di certo
un giorno, dopo essersi conosciuti, avrebbe affrontato la dichiarazione ed era
certo di poter scucire dalle caste labbra di Miyashita-san un sì.
Quando l’aveva invitata per un appuntamento, aveva inizialmente rifiutato per
ben due volte; ma non era forse un segno di modestia? Asada era pronto a
dichiarare la sua preferenza ad una donna del genere piuttosto che alle tante
civettuole office ladies che ogni giorno cercavano di ingraziarsi i suoi
superiori portando il the alle loro scrivanie e indossando una gonna almeno di
due centimetri più corta di quel che il buon gusto consentiva.
Asada si fermò, spaziando lo sguardo per ammirare la vista perfetta di quella
giornata perfetta. Aveva scelto il posto giusto, come sempre: un delizioso colle
erboso, che a destra lasciava intravedere il laghetto con le carpe e più sopra
era ombreggiato da un rigoglioso susino, fortunatamente ancora in fiore. Fare
una buona impressione rientrava tra le sue tante regole.
Si accorse che, per fortuna, avevano installato una bella panchina dallo stile
europeo per gustarsi sia la vista del susino che quella del lago. E così poteva
anche stare sicuro che la sua compagna non si sarebbe lamentata a star seduta
sull’erba. Le donne stavano attente se badavi a queste attenzioni, e Asada non
voleva di certo sbagliare. Si assicurò che la panchina fosse pulita (la vernice
era un po’ scrostata, ma il metallo non si era arrugginito) e si sedette,
voltato appena di lato per ammirare la fioritura dell’albero.
Come ogni giapponese che si rispetti, anche Teinsouke Asada apprezzava i
ciliegi. Era anzi quello che organizzava, insieme ad altri irriducibili, l’hanami
aziendale ogni primavera. Ma per suo gusto personale doveva ammettere che il
susino aveva una bellezza sua propria che nessun ciliegio, neppure quelli
celeberrimi di Kyoto, riusciva a eguagliare. I petali sembravano piccole piume.
Nella sua intera vita, Teinosuke Asada non aveva mai accarezzato alcun animale,
ma era certo che le piume di un cigno o di un fenicottero o di qualsiasi altro
uccello dalle ali bianche e dal nome poetico avesse la morbidezza e la
luminosità dei fiori di susino.
Era un posto perfetto in una giornata perfetta. Si poteva considerare
soddisfatto. La prima impressione è quella che conta, pensava constatando quanto
fosse vero: il buon successo al lavoro, di cui anche Miyashita-san sarebbe
rimasta impressionata. Gli aveva detto di sì, dopotutto.
Sentendosi di umore allegro, tanto che se non fosse stato un rispettabile
signore in giacca e cravatta si sarebbe messo a fischiettare come soleva fare da
giovane, Asada attese che la sua signora arrivasse.
Con un po’ di disappunto constatò che lei era in ritardo. Se lo aspettava – le
donne erano sempre in ritardo – ma con una punta di rammarico si ricordò che
anche lui era in largo anticipo. La prossima volta non sarebbe successo. Essere
in ritardo era scortese, ma affrettarsi era da principianti. Non era più un
ragazzino al suo primo appuntamento!
Asada sentì con sollievo dei passi. Si voltò, con in viso un’espressione pronta
a sorridere qualora avesse visto Miyashita-san affrettarsi verso di lui. Fu deluso
dal constatare che non era lei.
Solo per un attimo.
Il buon senso gli suggeriva di voltare la testa dall’altra parte, ma era
difficile staccare lo sguardo da una donna. Era davvero bella! Non di una
bellezza squillante e un po’ volgare, ma dai lineamenti puri e dal viso
bianchissimo come non se ne vedevano ormai più. Vestiva in modo semplice, senza
neppure un filo di trucco, e camminava con passo aggraziato, la testa alta e i
lunghi capelli sciolti che la rendevano dignitosa e sicura di sé.
Asada si accorse che la stava fissando da troppo tempo; cosa avrebbe detto
Miyashita -san se fosse arrivata in quel momento e lo avesse visto seguire con
tanta intensità un’altra? Le donne hanno un sesto senso infallibile per certi
dettagli, e lui non voleva rovinare il loro appuntamento per uno stupido
litigio.
Stizzito, si accorse che la sconosciuta era ferma a pochi passi da lui, lo
sguardo rivolto alla pianta di susino in piena fioritura. Con un assurdo senso
di orgoglio Asada approvò. Lui aveva sempre pensato che il susino fosse la più
bella pianta del parco, ma poche persone sembravano pensarla allo stesso modo.
Quella donna possedeva certamente uno spiccato gusto estetico, probabilmente era
cresciuta in qualche buona famiglia anche se i suoi abiti, pur essendo portati
con una certa eleganza, non sembravano costosi ed erano di taglio semplice.
Ad Asada venne in mente un’attrice teatrale che aveva frequentava il salotto del
padre quando lui andava al liceo: era una persona che attirava su di sé gli
sguardi, inevitabilmente, senza neppure sforzarsi di essere graziosa, proprio
come la donna che gli stava di fronte.
Un attimo dopo Asada si raggelò d’indignazione. Si era accorto troppo tardi che
lei si era mossa, e che si era seduta accanto a lui, sulla sua panchina. Questo
non era ammissibile. Per quanto dovesse sforzarsi di mostrarsi indifferente e non
stizzito e furioso, Asada imprecò mentalmente contro la sfacciataggine della
sconosciuta. D’accordo, erano in un luogo pubblico, ma perché proprio lì, dove
c’era lui, un uomo sconosciuto? Come se niente fosse! E quel che era peggio:
erano in una posizione isolata e lui stava aspettando Miyashita-san. Il suo
perfetto appuntamento sarebbe cominciato male.
Ma no, ma no, si tranquillizzò, le donne saranno state anche gelose, ma avrebbe
semplicemente fatto finta di nulla, continuato ad aspettare e all’arrivo di
Miyashita-san mostrarsi come se lui non avesse la più pallida idea del perché la
donna fosse seduta accanto a lui. Infondo lui non la conosceva davvero!
Asada si voltò verso la sconosciuta. Era troppo bella, ecco il problema:
vestitela di stracci, e tutti l’ammirerebbero lo stesso. Pur sapendo di apparire
incivile, si schiarì la voce e disse: “Perdoni, signora, ma sto aspettando
qualcuno.”
Quando si voltò, Asada vide i suoi occhi nerissimi, e tolse almeno dieci anni
dall’età che le aveva dato in precedenza. Andava male: era pure giovane.
“Che coincidenza. Anch’io sto aspettando qualcuno.”
“Già, le coincidenze…” disse Asada senza fiato, mentre avrebbe dovuto
inorridirsi di fronte alla mancanza di giudizio della donna che avrebbe dovuto
capire dalla sua frase quanto fosse sgradita la sua presenza.
“E’ un peccato che la persona da me aspettata non verrà mai.”
“Come mai?” chiese, suo malgrado, l’uomo che avrebbe voluto aggiungere:
“Chiunque la lasci da sola ad aspettare è un pazzo.”
“Perché non tornerà,” aggiunse la donna con tranquillità e con un delicato
sorriso. “Perché se n’è andato per sempre. Ma mentre passeggiavo, mi sono
ritrovata qui, davanti a questo susino, e mi sono ricordata che a lui piacevano
gli alberi.”
Una vedova. Ecco spiegato. Una vedova malinconica, forse in cerca di una spalla
su cui piangere. Ma Asada non l’avrebbe di certo offerta. Espresse la sua
simpatia con una frase di circostanza, per scoraggiare qualsiasi ulteriore
tentativo di approfondire il discorso, e si ostinò a non dare ulteriore
importanza alla donna.
“Anche a lei piace questo albero.”
“Signora, è un’attenta osservatrice e ha ragione. Non c’è nessun altro che
apprezza questo meraviglioso albero. Vede? E’ uno dei pochi susini la cui
fioritura può essere ammirata come un’opera d’arte che la natura crea.”
Lei rise con spensieratezza improvvisa e insolita in una signora di tale
dignità, come se fosse tornata ad essere una bambina.
“Usate delle belle parole,” spiegò, “la vostra ammirazione è davvero sincera,
dunque.”
“Assolutamente.”
“Ma dite, avete notato i fiori del susino? Sono delicati, bianchi come piume,
luccicanti nella rugiada del mattino e nel crepuscolo. Non le sembra un albero
su cui è stato steso un velo di piume?”
Asada rabbrividì, per un attimo, avvertendo qualcosa di indefinibile nel tono di
lei – come se la donna gli avesse rivelato un terribile segreto.
“Ora che me lo fa notare…” Asada si voltò verso i rami del susino, verso i
petali scossi dal vento. “Mi ricorda l’hagoromo, sì.”
“Hagoromo?”
“L’abito di piume. Quello della dea, intendo.”
La donna lo fissò con sguardo penetrante, prima che i suoi occhi si
rimpicciolirono mentre sorrideva.
”Lo chiamano così. Non lo sapevo…”
Lo stava forse prendendo in giro? Asada pensava – anzi, sapeva – che la storia
della dea celeste fosse famosa in ogni canto del Giappone. Forse quella donna
era straniera: in effetti aveva la pelle troppo chiara ed era più alta delle
donne giapponesi che conosceva. O chissà quale passato aveva alle spalle. D’un
tratto divenne guardingo.
“Avanti, signora, non mi dica che non ha mai sentito parlare della dea e del suo
manto! Ne hanno fatto uno spettacolo bellissimo nel teatro cittadino, neppure da
molto.”
“Conosce bene la storia, sembra anzi che le piaccia.”
“A dire il vero, sì.” Asada ammise. Finché parlava quel bel viso sarebbe stato
rivolto verso di lui – e accidenti, lei era la più bella fra quante ne avesse
mai incontrare. Una tale classe, una tale disinvoltura tutta rivolta verso di
lui.
Asada dimenticò completamente Saya Miyashita, l’appuntamento e che ora fosse.
“Lei ha ragione, signora. Ho visto molte volte lo spettacolo, in varie
compagnie. Sono andato fino a Tokyo, una volta. Le assicuro, è il più bel pezzo
che sia mai stato scritto per il teatro. Non lo conosce? E’ un peccato. La
grazia della dea, il ballo finale… non si trova più tale eleganza, se non in
poche persone che ancora apprezzano le buone cose del passato.”
”Mi racconti la storia. Chi trova il manto divino?”
”Un pescatore. Su un albero in riva al mare.” Sorrise, nel suo modo più
accattivante. “Proprio come ha detto lei prima, un manto su un albero.”
La donna sorrise, ma nulla di più, sembrava non aver colto il suo complimento e
tuttavia Asada proseguì sicuro di aver catturato l’attenzione della sua
ascoltatrice.
“E così il pescatore decise di portare con sé l’hagoromo, capisce, perché era un
oggetto prezioso e di una bellezza unica. Era un pescatore che sapeva il valore
degli oggetti.”
“E’ probabile. Oggetti che non sono di questo mondo suscitano ammirazione anche
ad occhi inesperti. Ma mi parli della dea, sono curiosa del suo giudizio. Non
era suo quel manto?”
“La dea, la dea… lei era l’epitome della bellezza, sì, ed era pura come una
vergine celeste dev’essere. E’ strano che lei non conosco la storia,” Asada ebbe
un altro soprassalto di orgoglio a notare come la donna lo ascoltava
attentamente. “Bene, lei chiese al pescatore di ridargli la sua vesta, e lui
acconsentì.”
“Un uomo gentile. Il mondo ne è raro.”
“Lei dice? Ma sono certo che al mondo non esista uomo capace di resistere alla
preghiera di una bella donna.”
Ammiccò soddisfatto, convinto di aver dato una buona impressione. Parlare di
teatro gli metteva sempre buon umore, anche se lui ne capiva ben poco e spesso
durante gli spettacoli si annoiava. Ma era convinto che l’arte desse un fascino
in più, un’aura di raffinatezza che molti uomini moderni trascuravano
scioccamente; quale modo migliore di destare l’attenzione femminile se non
discorrendo di argomenti gentili, eleganti ed effimeri? Fiori e abbigliamento
erano fuori discussione, troppo poco mascolini. Asada, che nella sua vita aveva
letto a malapena un pugno di classici, si era buttato con passione sulla
letteratura, convinto che bastasse leggere i succinti sommari delle opere per
sostenere una conversazione. Il teatro era stato una benedizione: poteva
coniugare il suo lato di cultore dell’arte con la frivola vita mondana, senza
perdere troppo tempo sulle pagine di un Genji Monogatari.
La bella donna accennò ad un lieve incedere del capo, che voleva sicuramente
essere un assenso umile alla convinta affermazione di Asada.
“Continui a parlare, se non le dispiace. Il suo discorso si sta facendo
interessante.”
Non aspettava altro! Asada lisciò il ciuffo di capelli perfettamente in piega e
riprese con maggior sicurezza: “Ciò che ammiro di più in Hagoromo è la
perfezione del personaggio femminile. Se lei avesse visto lo spettacolo, mi
capirebbe meglio. Cercherò di spiegarlo. Pensi a quanto più delicato possa
esserci nella natura del nostro paese. Un ciliegio effimero… ecco, così è come
si muove la nostra tennyo. Anche con i pesanti paramenti del teatro – ha
presente, vero? La maschera, l’abito, l’elaborata acconciatura con i pettinini
d’oro - si muove con grazia. Sembra che riesci ad afferrarla ma subito dopo ti
sfugge come una sciarpa di seta dalla mani.” Asada annuì, compiaciuto
dall’ultimo paragone che aveva rubato ad un critico. “Sì, effimera… ma anche
solenne in quegli abiti. So che alcuni non amano più il teatro nō proprio perché
sembra così antiquato, ma le confesso che io lo seguo soprattutto per questo. E
perché non dovrei? Sono orgoglioso di quanto ha creato il mio paese, così come
lo può essere un italiano delle sue opere d’arte o un americano del progresso
della propria nazione.”
“Pensieri ammirevoli. Ma fin’ora mi ha parlato solo della dea…”
“Perdoni. Sono un pessimo narratore. Cosa vorreste sentire?”
“Perché non del pescatore? Non le sembra un personaggio importante, anzi
essenziale, alla rappresentazione?”
”Dite bene,” concesse l’uomo con un sorriso che annunciava già un’obiezione. “E
stavo proprio per parlarne. Ma personalmente io preferisco la tennyo, se non vi
offendete naturalmente.”
Lei non diede mostra di capire il goffo ammiccamento di Asada. Era una donna
fredda, o forse abituata ad ascoltare con rispettoso assenso… Asada continuò.
“Il pescatore… sapete, molti lo considerano maleducato per il trattamento che
riserva alla dea. Perché mai, io chiedo. E’ normale ammirare la bellezza. E lui
era a contatto con il sacro, il divino… niente di strano che abbia perso la
testa. Penso anzi che l’ammirazione che provava per il vestito di piume e per la
dea fosse onorevole, così intenso, come quello di un… cavaliere servente!”
Asada non aveva neppure idea di cosa fosse un romanzo cortese, e aveva ricordato
l’espressione per puro caso, certo però che suscitasse la curiosità della sua
interlocutrice. Cosa che avvenne.
“Cavaliere servente, avete detto?”
”Signora, sono quei cavalieri che nutrono una speciale devozione per le loro
dame. E’ una tradizione… penso che sia inglese.”
“Se non erro, lei disse che c’era una ballo alla fine dell’opera. Per quale
celebrazione venne eseguito?”
”Era un richiesta del pescatore. Come pegno per restituire l’hagoromo… Sì, so
già la sua obiezione. Io sono convinto che il pescatore voleva esprimere la sua
ammirazione per la tennyo. Le chiese di danzare perché era rimasto colpito da
lei. Quale modo migliore di onorarla se non con una danza? La dea era una
ballerina. Aveva bisogno di un pubblico, di qualcuno per cui danzare… chi altri
meglio di un uomo, anche se era un umile pescatore?”
La donna sorrise con modestia. Oh quanto aveva aspettato quella reazione! Asada
ne fu deliziato. Un tocco di luce aveva rischiarato quel viso delicato come un
uccellino rendendolo ancora più bello. Quanto avrebbe voluto vederla in un
kimono a fiori, leggiadro, con un piccolo ventaglio tra le sue manine fragili!
“Così lei sostiene che la dea doveva ballare per lui?”
“Doveva… diciamo che… cosa le costava?”
“Signore, tale danza ha un alto prezzo,” la voce di lei si abbassò di colpo,
come se stesse per confidare un segreto. “Non ha in verità alcun prezzo, neppure
quello di una veste dalle ali candide. E il pescatore non si accontentò di una
sola danza, per quanto destinata solo a occhi divini. Lui ingannò la dea. Le
giurò di consegnarle la veste ma le diede solo una manciata di piume, vuote come
le sue promesse. La dea era disperata: le era preclusa la via del cielo, la
terra le era adesso ostile. Cosa poteva fare? Il pescatore l’accolse in casa
sua, ma pretese che fosse sua moglie. Oh sì, e si tenne la veste e la donna!”
“Avanti, signora, queste sono favole per bambini.”
“Sarebbe bene ascoltarle. Ci rivelano ciò che abbiamo dimenticato. Come il fatto
che la dea non scordò mai l’affronto subito. Visse con il pescatore, fu una
moglie devota, partorì i suoi figli… ma non cantò mai più per lui e non
dimenticò la sua dimora nei cieli. Aspettò. Quando lui fu ormai anziano, e
stanco di gettare reti, i suoi figli morirono uno dopo l’altro. Solo allora lei
lo tentò con il pensiero della veste di piume, la stessa veste che permetteva di
volare, che permetteva di allontanarsi dalla terra e dai suoi dolori e dalle sue
fatiche. Chi poteva resistere a quel pensiero?”
Il volto della donna gli era così vicino che Asada poteva vedere bene i suoi
occhi nerissimi come gaietto, e le mani non più delicati accenni della bellezza
femminile ma simili agli artigli di un rapace.
“Nessuno, signore, tanto meno uno sciocco mortale. Prese la veste di piume, la
indossò, si slanciò dalla scogliera verso il mare ma ahimé! La veste non poteva
sorreggere il suo peso di materia terrena e lui si sfracellò sulle rocce.”
La donna sorrise con truce soddisfazione.
Asada rabbrividì. Ma c’era un certo fascino nel vedere una simile bellezza
venata da un furore senza appello.
“Lei… lei… ma cosa sta dicendo?”
La voce di Asada era debole. L’uomo si guardò attorno, a disagio di avere quella
donna a fianco a sé quanto prima aveva desiderato avvicinarla. Oltre alla spalla
di lei, sul sentiero che portava al susino e alla panchina dove erano seduti,
vide ferma Saya Miyashita, con il suo adorabile completino da passeggio e la sua
faccia da bambina cresciuta. Asada si accorse di come dovevano apparire loro
due, seduti su una panchina tanto vicini che i loro respiri quasi si
mescolavano. Si alzò, aprì la bocca per formulare un grido che fermasse
Miyashita-san, per chiamarla a sé, per dirle che lui aveva bisogno di lei, per
ammettere alle fine – sì, lo avrebbe ammesso, per una volta – che era stato uno
sciocco a dare confidenza ad una donna sconosciuta, e chissà che donna era!
Senza pudore, un’intrigante, forse impazzita!
Saya Miyashita si allontanò, e quando Asada si voltò di nuovo verso la panchina
scoprì che non c’era più nessuno.
Marzo 2008 c) Laurie
Hanami: è tradizione che durante la fioritura dei ciliegi, in primavera,
famiglie, gruppi di amici o colleghi di lavoro si riuniscano nei parchi per
ammirare gli alberi in fiore.
Office Ladies: sono giovani donne che lavorano in aziende giapponesi, spesso
ricoprendo ruoli di scarso rilievo, subordinate agli uomini. Tra i loro
incarichi rientra anche il servire il the ai loro superiori o durante le
riunioni. Molte opere giapponesi insistono sul fatto che molte office ladies
frequentano aziende per trovare un possibile marito, e gli stessi uomini non
disdegnano di sposare una di loro se è figlia di qualche dirigente per fare
carriera. Dopo sposate molte di loro abbandonano il lavoro per dedicarsi alla
famiglia.
Genji Monogatari: La storia del principe Genji è il primo romanzo giapponese,
curiosamente scritto da una dama di corte, Murasaki no Shikibu.
Questa storia partecipa alla challange La Festa dei folli con il claim
leggende giapponesi; il prompt usato per questa storia è "L'appuntamento".