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Autore: AlessiaDettaAlex    23/03/2014    6 recensioni
Storia interamente revisionata (8/11/2017)
È la storia di una diciottenne. Una giovane che si scopre innamorata della sua migliore amica e non riesce ad accettarlo. Quindi se vi aspettate farfalle, rose e fiori è il racconto sbagliato. Questa che sto scrivendo è piuttosto la storia di dolore e tragedia di una ragazza che ne amava un'altra.
Trecento metri è la distanza che separa le loro case. Ma la verità è che alla fine di questo racconto Alex ne avverte molta di più.
"Lo conoscevo a memoria il profumo di Lyn. Era profumo di casa, un odore che mi faceva sciogliere il cuore. Se chiudo gli occhi e mi concentro riesco a sentirlo anche adesso, a più di un anno di distanza."
[Capitolo 5]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10 o Fidanzamento

Epica.
Ecco come avrei potuto definire la festa di compleanno che di lì a poche ore avrebbe radunato tutti gli amici più cari che avevo in un unico luogo. E tutti lì a festeggiare me e la mia maggiore età.
L’ansia da preparativi che affliggeva me e mia madre in quelle ore non riusciva ad intaccare minimamente le rosee aspettative che nutrivo per quella serata. Potrei dire che ci fosse un’unica cosa che mi inquietava solo a pensarci: l’idea che tutti quelli che conoscevo mi avrebbero vista con un vestito. E i capelli lisci. E anche dei tacchi. Dio, e che tacchi! Purtroppo mia madre mi aveva obbligata a comprarli nel momento stesso in cui acquistammo il vestito e in fondo me lo sarei dovuta aspettare, ma mi era ancora difficile realizzarlo.
A pensarci con attenzione ciò che davvero mi disturbava nel profondo era il pensiero che Lyn mi avrebbe vista così: una gioia ai suoi occhi, un martirio ai miei, perché avere un paio di trampoli sotto i piedi e un gonnellino che lasciava scoperto più del dovuto mi impediva di propormi per quella serata come suo cavaliere. Senza parlare del trucco!
Ma le sorprese che mi attendevano si palesarono ben prima dell’inizio della festa.
Per la precisione a un certo punto del pomeriggio mi ritrovai Giorgia e Lyn attaccate al campanello di casa mia, armate di benda e un ghigno malefico.
«Ehi Alex!» cominciò Lyn appoggiandosi al cancelletto.
«Abbiamo una sorpresina per te, dovrai essere rapita», continuò Giorgia.
Già me lo immaginavo: io bendata e legata come un pollo a fare bungee jumping giù dal tredicesimo piano del grattacielo del lungomare.
Gio mi tenne ferma per le braccia e Lyn da dietro mi bendò legandomi ben stretta. Persino in quell’occasione avvertii il sangue guizzarmi nelle vene al tocco delle dita di Lyn sul mio viso; respirai il suo profumo e quell’istante divenne eternità. Ma venne il momento di scendere dalle nuvole quando mi sentii spinta dentro una macchina – probabilmente guidata da uno dei loro genitori – mentre loro si sedevano una davanti e l’altra accanto a me. Le portiere sbatterono con forza e solo da quel suono intuii che Lyn non era quella accanto a me.
«Alex, non puoi immaginare neanche lontanamente cosa ti abbiamo combinato…» fece Giorgia al mio fianco.
«Mi auguro per voi che non sia niente che mi rovini i capelli appena piastrati…»
No, cioè, quasi non potevo crederci di averlo detto.
«Eh?!» esalò Lyn, «Gio, ma siamo sicure di aver preso l’Alessia giusta? Non la riconosco»
«Come mi hai chiamata? Alessia?! Lyn, sono io a non riconoscere te»
Ci fu una pausa in cui l’unico suono imperante era quello dell’acceleratore appena schiacciato da chi guidava.
«Ma davvero ti stai preoccupando per i tuoi capelli?»
Mi innervosii e sbuffai.
«Ho pagato quasi quaranta euro per questa piega imbarazzante, almeno falla arrivare alla festa!»
Sentii la mano confortante di Giorgia posarsi sulla mia spalla.
«Stai tranquilla, non ti getteremo in mare… forse»
E ridacchiarono.
In quel momento ebbi chiara una cosa: fortunatamente si compiono diciotto anni una volta sola.
Passarono circa dieci minuti prima di sentire la macchina parcheggiare e i miei aguzzini tirarmi su dal sedile. Mi presero sotto braccio e mi condussero all’interno di un edificio. Cercai di memorizzare ogni singolo suono che giungeva da quel nuovo ambiente, per riuscire ad identificarlo in qualche modo, ma non mi riuscì.
«Questo posto puzza di ospedale…» feci arricciando il naso.
«Errore… altrimenti sarei già svenuta» commentò Lyn.
Effettivamente era così. Lyn odiava gli ospedali. O meglio, non è che li odiasse per principio, ma ogni volta che ci entrava, dopo aver aspirato a lungo l’odore acre dei disinfettanti misto al sangue rappreso, sveniva. Era matematico: non riusciva a stare in piedi per più di cinque minuti. Io, sinceramente, non l’avevo mai vista svenire; ma devo ammettere che a sentirmelo raccontare sembrava una scena piuttosto esilarante. Ora non so se mi metterei a ridere se la vedessi svenire di fronte a me.
Fatto sta che mi ritrovai improvvisamente seduta su quello che doveva essere un morbido divano. Prima di poter cominciare a tastare curiosa l’ambiente intorno a me – ignorando di proposito l’eventualità di fare brutte figure con della ipotetica gente presente – una delle mie due accompagnatrici mi levò la benda.
«Dove siamo?»
Non riuscii a riconoscere il posto. Mi giravo, spaesata, cercando un appiglio in qualche angolo particolare o in qualche segno che fosse significativo, ma niente. Era del tutto simile a un salotto, ma di quelli lussuosi, con al centro due lunghi divani perpendicolari di velluto rosso, piante sgargianti ad ogni angolo e scalinate che partivano vicino a un bancone di legno, in cui un omino incravattato sorrideva nella nostra direzione; quel particolare mi fece pensare alla hall di un albergo, ma mi servivano degli altri elementi per esserne sicura. In quel punto la puzza di prima si trasformava in odore di pulito misto a quello pungente del legno degli antichi mobili intarsiati, affianco ai divani. Un intruglio che, a dire il vero, mi disgustava.
Le ragazze mi si pararono di fronte e mi consegnarono una lettera, scritta con una grafia minuta ma riconoscibile. Capii subito di cosa si trattava.
La lessi tutta d’un soffio, sorridendo alle dolci parole di Daniele nei miei confronti. Quel ragazzo mi stupiva sempre con la sua sincerità e apertura totale. Sembrava che non gli importasse troppo dei miei dubbi o delle mie difficoltà, lui mi amava e basta. Finché esistevo a lui andava bene così.
«Alex, guarda un po’ chi c’è…»
Giorgia mi risvegliò dalle mie riflessioni. Alzai lo sguardo e lo indirizzai verso le mie migliori amiche: dietro di loro, con una valigia e uno zaino sulle spalle, tutto trafelato ma con un sorriso luminoso, c’era Daniele.
«Dani, tu… sei nel bel mezzo del periodo delle lezioni in università… che ci fai qui?!» sbarrai gli occhi, con le mani che mi tremavano.
Lui si avvicinò, lasciando a terra i bagagli. Si fermò di fronte a me e mi tese la mano che io afferrai prontamente per alzarmi.
«Sono qui per te, per la tua festa»
Sentii il cuore balzarmi in gola e non potei fare a meno di abbracciarlo con forza, gesto che lui doveva aver sicuramente apprezzato.
«Oltretutto questo in cui siamo ora è l’hotel dove alloggerò stanotte, prima di ripartire domani»
«Hotel? Ma tu abiti qui! Perché sei in un hotel quando puoi tornare a casa tua?»
«Perché… a dire il vero i miei non lo sanno, non gli ho detto nulla» ridacchiò colpevole.
«Che cosa?» esalai io.
Lyn mi venne affianco e mi tirò una gomitata.
«Su, Alex, non fare la difficile… ha risparmiato per un mese solo per potersi permettere questa scappatella oggi e venire da te, ovviamente con la nostra cooperazione» strizzò l’occhio a Giorgia.
«Non posso crederci… voi siete tutti pazzi!»
Non sapevo se ridere o piangere. Nel dubbio, mi buttai nuovamente tra le braccia di Daniele, affondando il viso sulla sua felpa calda.

A un’ora dall’inizio della festa era tutto pronto.
Mia madre posizionò sul tavolino gli ultimi tramezzini rimasti mentre io facevo prove di camminata coi tacchi su e giù per la stanza d’oratorio che avrebbe accolto i miei ospiti. Il mio vestito aderente, verde acqua, accompagnava perfettamente le forme del mio corpo magro. Sospirai e con l’indice e il medio spostai una ciocca di capelli lisci dietro l’orecchio, su cui risplendeva un orecchino a stella dorato. Gli stivaletti neri con tacco dieci erano piuttosto belli, dovevo ammetterlo, ma già sentivo che non sarei durata molto prima di scambiarli con le ballerine di riserva che avevo giudiziosamente portato. Il filo di matita, il rossetto e l’ombretto verdino che mi mascheravano di finta perfezione il viso, erano la ciliegina sulla torta.
Ma quando la festa iniziò, ogni preoccupazione sparì.
Rividi persone che avevano segnato la mia infanzia, amicizie che avevano attraversato parte della mia adolescenza e i cugini con cui ogni anno, la notte di Natale, giocavo a “dodici tocchi a mezzanotte” a casa di nostra nonna. Dovetti anche prendere coscienza delle persone che, seppur care, quella sera non sarebbero potute esserci.
Lyn – accompagnata dal resto del gruppetto – arrivò in ritardo, ma questo non mi stupì. Mi meravigliai piuttosto che indossasse dei pantaloni. Certo, eleganti, ma pur sempre dei pantaloni.
«Ehi, piccoletta», la incalzai tentando di darmi un tono da playboy, «il mondo si è ribaltato? Io in gonna e tu in pantaloni?»
«Sì, guarda, non sai quanto ho dovuto sudare oggi pomeriggio per prepararti gli scherzi – a quella parola deglutii – e alla fine non ho fatto in tempo a comprarmi un vestito nuovo come avrei voluto».
«Se ti può consolare, sei bellissima lo stesso» feci accarezzandola col pollice e l’indice sotto il mento.
«Lo so» civettò lei, lanciandomi uno sguardo che mi mozzò il fiato.
Proprio in quel momento una mano grande si posò sulla mia spalla, obbligandomi a voltarmi stizzita. Ma incrociare il viso di Dani mi addolcì immediatamente.
«Alessia, sei così bella stasera! Non ho parole» mormorò lui emozionato.
Io gettai un’ultima occhiatina di congedo a Lyn e poi feci un inchino sgraziato verso il ragazzo che mi aveva rivolto la parola.
«Ti ringrazio!»
«Vorresti ballare con me?»
«Su una canzone di Lady Gaga? Se proprio ci tieni…» ridacchiai io, ascoltando il brano appena partito dalla riproduzione casuale della playlist scelta apposta per la serata.
«Beh, meglio di niente» fece lui tendendomi la mano.
Faticai a dire sì. Soprattutto perché ero davanti a Lyn e non avevo pianificato di dovermi mostrare, oltre che in abiti femminili, anche accondiscendente verso un uomo. Questo fatto mi faceva piangere il cuore.
Al contrario, gli invitati alla mia festa sembrarono apprezzare quella che definivano la “coppia della serata”. Dopo un giro di balli scatenati, infatti, avevo dietro di me una fila di amiche pettegole che cercavano a tutti i costi di tirarmi fuori con le pinze chi fosse e cosa rappresentasse per me quel bel ragazzo moro con cui avevo ballato buona parte della serata.
Mi tolsi da quella situazione imbarazzante solo con l’inizio degli scherzi organizzati per me. Ma, per contro, fu l’apoteosi della vergogna: mi ritrovai a fare cose indecenti come gattonare per terra – vestita com’ero – mentre imitavo un lupo, a ballare danze hawaiane travestita da giapponese, a suonare una chitarra con le corde scordate – mi piangono ancora le orecchie – e a giocare a mosca cieca tastando malamente le facce ai miei ospiti. Alla fine di tutto ciò il premio per il mio coraggio era il regalo: un computer portatile, che mi sarebbe certamente servito sia per la maturità che per l’università.
Quando arrivammo alla torta ero già piuttosto stanca – tornavo lucida solo quando dovevo fare le foto con Lyn – e la festa finì tanto velocemente quanto era iniziata.
Dopo altre mille formalità i miei ospiti se ne andarono uno dopo l’altro, salutandomi con baci e auguri. Ma prima che potessi dirmi pronta per andare a dormire, Daniele mi prese per la mano e mi sussurrò all’orecchio:
«Ho bisogno di parlati. Possiamo uscire un attimo?»
Mi si mozzò il respiro all’istante. Senza capirne il perché, temevo quello che mi avrebbe detto.
Fuori dall’oratorio adibito a salone da feste c’era un giardino verdeggiante e un vialetto di ciottoli che brillavano al chiaro di luna. Alberi di specie diverse incorniciavano il perimetro e i lati della stradina, immobili a causa dell’aria stabile e gelida delle tre del mattino. Io mi strinsi istintivamente nel mio cappotto nero, mentre Daniele mi passava una mano intorno alle spalle. Ci fermammo a sedere su di una panchina di legno nascosta tra due giovani cespugli.
Lui cominciò a sorridere ansiosamente, tastandosi una tasca con le mani tremanti.
«Io non ho partecipato con gli altri al tuo regalo di compleanno, perché ci tenevo a fartene uno personalmente» iniziò rompendo il silenzio glaciale.
Lo guardai interrogativa mentre tirava fuori una scatolina quadrata di colore verde scuro, avvolta da un nastrino dorato. Mi mancò il fiato per la seconda volta.
«No, Dani, non dovevi!»
«Certo che dovevo. Aprilo!»
Gli sorrisi con dolcezza e feci come mi era stato detto. Sciolsi il nastro e aprii la scatola: all’interno c’era una catenina dorata col ciondolo a forma di cuore, tutto incastonato di brillantini azzurri.
«È bellissimo! Grazie!»
«Ti piace? Ero indeciso se prendertelo rosa o blu… ma poi ho deciso per il blu!»
«E hai fatto benissimo visto che non sopporto il rosa»
Lui rise per scaricare la tensione rimasta e lo stesso feci anche io. Quando ci quietammo i nostri sguardi rimasero incatenati per un tempo indeterminato. Quando notai che teneva gli occhi fissi nei miei con aria sognante mi affrettai a distogliere lo sguardo per l’imbarazzo.
«Alessia»
Intrecciai tra loro le dita delle mie mani e mi sforzai a rialzare gli occhi verso di lui.
«Ti amo»
Rimasi a bocca semiaperta. Mi aveva comprato una bellissima collana, spendendo non so quanto; era venuto da lontano per la festa del mio diciottesimo compleanno, alloggiando in un albergo nonostante quella fosse anche la sua città natale; e ora era qui, di fronte a me, a consegnarmi a cuore aperto tutto quello che provava, a metterlo nelle mie mani, trattandomi però con rispetto, senza la pretesa di ricevere qualcosa in cambio.
Al pensiero di tutto questo sentii un groppo alla gola e la forza di gravità che mi pressava il petto. Scambiai tutto questo per amore.
«Anche io…» sussurrai, ritraendomi però subito al contatto coi suoi occhi scuri.
Daniele sembrò non scomporsi e mi accarezzò una guancia con la mano; avvertii la leggera pressione delle sue dita, che mi incitavano ad alzare il viso. Io mi lasciai guidare dal suo tocco.
Lui mi baciò.
Fu un contatto non più lungo di qualche secondo, sobrio, purissimo: una semplice aderenza fra labbra. Quando mi lasciò, osservò:
«Non ti facevo così timida»
Il mio grugnito di disappunto lo fece sorridere, e il suo sorriso mi mandò a fuoco le guance.
«Da oggi quindi stiamo insieme?» chiese lui.
«Sì, proviamoci» dissi io, con fermezza.
Il secondo dopo, però, non ero più così certa di ciò che avevo fatto e detto. Ma, come al solito, di fronte a lui ignorai la morsa al cuore che mi diceva con chiarezza disarmante che quello non era ciò che volevo.
«Devo andare a casa, Dani»
«E io devo tornare in hotel»
«Domani non potrò venire a salutarti quando partirai… perciò fai buon viaggio»
«Mi dispiace non poterti rivedere» il suo sguardo si era scurito all’improvviso e prese le mie mani nelle sue, «ma se deve essere così… a presto, Alessia».
Io mi alzai e lui con me. Lo abbracciai affondando il viso gonfio delle lacrime che trattenevo sulla sua giacca nera, intrisa del suo profumo.
Era un profumo tutto maschile. Era così diverso da quello di Lyn. Le sue mani grandi e ruvide, le sue braccia muscolose e la pelle dura erano così diverse da quelle di lei. Diverse dal suo viso morbido, la sua pelle liscia e il suo corpo sinuoso dalle forme eleganti. E quel bacio… realizzai che era diverso anche baciare un ragazzo rispetto a una ragazza. Lyn era tutta un’altra cosa.
Accorgendomi di quei pensieri mi strinsi nelle spalle e feci sparire completamente la mia testa tra le sue braccia. Quando Daniele mi lasciò, ricacciai con rabbia le lacrime che spingevano per uscire. Lui non si meritava tutto questo. Per quella volta, solo per quella volta, volevo smettere di pensare. Smettere di paragonare sempre tutto a lei.
A dire il vero, mi opprimeva tutto di quella situazione; e soprattutto il dover prendere atto che ora avevo ufficialmente un fidanzato. Repressi con tutta la forza di volontà che avevo quel senso di schiacciamento, quelle lacrime amare, quella rabbia e quel dolore che provavo pensando al mio nuovo ragazzo, e mi auto-convinsi che era giusto così.
Ormai sapevo che l’unica strada che potevo seguire per evitare di ferirmi era smettere di amare Lyn. E il più velocemente possibile.





 
NoteDiGlo.
Beh, sì sono tornata.
Mi dispiace per voi, ma questa storia non la mollo, è troppo importante, dovessi finirla anche tra vent'anni >_<
Detto ciò... AUGURATE TUTTI BUON COMPLEANNO IN RITARDO AD ALEX!
Alex: potevi anche risparmiartelo!
Autora: cos'è, sei infastidita perché ti ho fatto mette con Dan? ;3
Alex: nosonoinfastiditaperchénonmihaifattomettereconLyn, va benissimo così, figurati.
Autora: qualcuno le faccia un massaggino, ne ha bisogno questa povera ragazza.

Se non siete completamente spariti, che ne dite di commentare? *O*
Gracias,
Videl.
   
 
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