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Autore: OpunziaEspinosa    23/03/2014    15 recensioni
Edward e Bella sono vicini di casa.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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!!! AVVISO IMPORTANTE !!!
Di recente ho fatto delle scelte, scelte che hanno ridotto drasticamente il mio già limitato tempo libero, quindi la possibilità di continuare a scrivere fanfiction.
Onestamente non sono ancora pronta a lasciarmi alle spalle Edward e Bella, ma devo farlo, almeno per ora.
Non scomparirò del tutto, continuerò ad essere presente qui su facebook, ma non aggiornerò più La Ragazza dell’Interno 23B.
Grazie a chi mi è stato vicino in questi anni, a chi ha le
tto e commentato le mie storie, a chi mi ha aiutata a migliorare. 
Vi porto nel cuore 
Opu


 


Capitolo 3
 
“Che cosa è successo qui?” domandò Edward, guardandosi intorno esterrefatto.
Non c’era più traccia del piccolo appartamento semplice ma ordinato della notte prima. I giocattoli di Marie erano sparsi ovunque; cumuli di panni ― sporchi o puliti, non sapeva dirlo ― ricoprivano il divano; il tavolo era invaso da decine di volantini, buste, ed etichette con stampati degli indirizzi; a terra, una serie di scatoloni e sacchetti di plastica ingombrava il passaggio; il lavello della minuscola cucina a vista era ricolmo di stoviglie sporche; addirittura la tenda dell’unica finestra presente nella stanza era stata strappata dall’infisso, ed ora penzolava in maniera poco elegante, lasciando filtrare la luce al neon intermittente della pizzeria che si trovava sull’altro lato della strada.
“È stata una giornata pesante,” si giustificò Isabella, cercando di sovrastare il pianto isterico di Marie che si contorceva come un’indemoniata tra le sue braccia.
Edward non replicò. Si limitò a squadrarla da capo a piedi, forse in modo troppo diretto. Isabella era stanca, un vero disastro, peggio della notte prima. Inoltre non si era ancora lavata i capelli.
Lei sembrò leggergli nel pensiero, e gli regalò un sorriso tirato. “Marie mi ha dato del filo da torcere, oggi. È così curiosa… Starle dietro è un’impresa. È persino riuscita a staccare la tenda dalla finestra. Ed io non ho neppure trovato il tempo per farmi una doccia…”
Sospirando, Edward infilò il cellulare ed il volantino del cinese in tasca e tese le braccia per accogliere Marie. Moriva di fame, ma era chiaro che la cena avrebbe dovuto aspettare ancora. “Su, dalla a me,” disse. “Magari riesco a calmarla come è successo ieri notte.”
Isabella ebbe un attimo di esitazione. Quello che stava facendo non le sembrava corretto, e la faceva sentire in colpa. In fondo cosa sapeva di quel ragazzo? Nulla, solo che era gentile. E chi, al giorno d’oggi, fa qualcosa per pura gentilezza, apparentemente senza desiderare niente in cambio? Nessuno. Lo aveva imparato a proprie spese in quelle poche settimane a Seattle.
Ma da sola non ce la faceva più, aveva bisogno di una mano. Così, alla fine, la stanchezza vinse sulla diffidenza e sui dubbi, ed Isabella lasciò che Edward prendesse Marie.
Lui cominciò a passeggiare per la stanza, cullando la piccola. “Signorina, così non va bene,” la rimproverò dolcemente, distorcendo la voce in modo buffo, un modo che fece sorridere Isabella. “Stai facendo venire un esaurimento a tua madre! È questo che vuoi? Non vuoi bene alla tua mamma? Certo che le voi bene! E allora devi fare la brava, devi― ”
Marie rispose contorcendosi, strepitando, e rigurgitando una dose consistente di saliva e latte sul braccio di Edward.
“Dio, che schifo!” esclamò lui disgustato, chiudendo gli occhi e facendo una smorfia. “Marie!”
All’istante Isabella cominciò a saltellargli intorno, cercando di riprendersi la piccola. “Santo cielo, Edward, mi dispiace!” Non si era mai sentita tanto imbarazzata e mortificata. “Senti, lasciamo perdere, torna pure di là, mi occupo io di lei. Non ti preoccupare, me la cavo da sola…”
 Edward sospirò. In fondo era solo un po’ di vomito di neonato, giusto? Nulla di grave, o di eccessivamente rivoltante. Poteva farcela.
“Tranquilla, non c’è problema,” disse, avvicinandosi al divano ed afferrando una salvietta dal cumulo di panni. La annusò, diffidente. “Questa è pulita, vero?”
“Sì, certo,” confermò Isabella. “Ho fatto il bucato stamattina. Devo solo sistemare tutto nell’armadio.”
Mentre Edward ripuliva il faccino paffuto di Marie ed il proprio braccio, Isabella sentì una morsa stringerle il cuore. Quello non era compito del vicino di casa. Quello era compito suo, o al massimo di Jake, suo marito, il padre di sua figlia. Ma Jake se ne era andato lasciandole sole, e lei non sapeva neppure dove fosse ora esattamente.
Cos’era successo al ragazzo che giurava di amarla? Al ragazzo che aveva insistito così tanto per convincerla ad uscire con lui?
Era scomparso il giorno stesso in cui lei gli aveva confessato di essere incinta, e dal matrimonio in poi le cose tra loro erano andate sempre peggio.
Persa nei ricordi, Isabella faticò a rendersi conto che Marie aveva smesso di piangere. Edward passeggiava avanti e indietro per la stanza, facendola ballare, volare, e mostrandole un sonaglino che lei provava ad afferrare ridendo come una pazza.
“Come è possibile?” chiese Isabella scioccata. Quello che vedeva non era reale, andava al di là della sua comprensione. “Lo hai fatto anche ieri notte… Spiegamelo, come ci riesci?”
Edward si strinse nelle spalle. Era stupito quanto lei, ma in fondo parecchio divertito. “Non ne ho idea. A quanto pare le piaccio.”
Isabella si avvicinò, gli occhi spalancati ed increduli. “Sì, ma… ma è assurdo… non ha senso…”
Edward e Marie stavano bene insieme, era evidente. Ma Edward era un perfetto sconosciuto per sua figlia. Come poteva sentirsi così tranquilla con lui? Tranquilla al punto di smettere di piangere e fare i capricci. Tranquilla al punto di giocare e ridere come una pazza.
“Hai già cenato?” le chiese improvvisamente Edward, distogliendola un’altra volta dalle sue riflessioni. Con una mano reggeva Marie ed il sonaglino, con l’altra estraeva un depliant dalla tasca dei jeans. “Io muoio di fame.”
“No,” balbettò Isabella, “in effetti no.”
“Cinese?”
“Ehm… sì, va bene…”
“Cosa ordino?”
Isabella afferrò il volantino che Edward le tendeva, e rimase di sasso quando lo vide avvicinarsi al tavolo e, con la mano libera, ed in modo piuttosto sbrigativo, iniziare a riordinare per fare spazio alla loro cena. Era così sicuro di sé, così a proprio agio… C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella scena, eppure profondamente rassicurante.
“Allora? Hai deciso?” le chiese. Marie, con le manine tese, gli esplorava la faccia, il naso e la bocca e rideva. Lui la lasciava fare, per nulla infastidito. Sembrava non avesse fatto altro in tutta la sua vita: occuparsi di bambini.
Isabella diede un’occhiata al menù stropicciato, soprattutto ai prezzi. Aveva quasi esaurito il budget settimanale facendo la spesa, quel giorno. Non poteva permettersi di spendere altro denaro. “Ehm… una zuppa di pollo e funghi con mais…”
“Solo questo?”
Isabella annuì, incerta.
“Sei sicura? Cosa hai mangiato oggi a pranzo?”
“Una tazza di cereali con il latte…”
“Nient’altro?”
Non ricevendo alcuna risposta, Edward cominciò a studiarla con attenzione, facendola arrossire violentemente. Lo faceva spesso: la fissava, o la squadrava da capo a piedi, puntandole addosso i suoi profondi occhi verdi. Forse aveva intuito che era senza soldi?
Dopo una manciata di secondi, Edward accostò il cellulare all’orecchio.
“Ciao Linh, sono Edward,” disse quando il take‒away rispose. “Vorrei una zuppa di pollo e funghi con mais, un riso alla cantonese, una doppia porzione di maiale in salsa agrodolce, una doppia porzione di verdure miste saltate, due fette di torta alle mandorle, una birra e una soda. Metti tutto sul mio conto, e di’ a Choni di citofonare al 23B, non al mio interno.”
Perfetto, Edward aveva capito la ragione per cui Isabella non voleva ordinare altro, e lei si vergognò come una ladra.
“Non era necessario,” balbettò imbarazzata, contorcendosi le mani. “Non ho tanta fame…”
Edward fece spallucce, e tornò a far giocare la piccola con il sonaglino. “Quello che avanza lo metti in frigo,” si limitò a rispondere. Sembrava divertirsi un mondo, e Marie con lui. “Mentre aspettiamo la cena ti potresti fare una doccia,” le disse poi. “Resto io con tua figlia.”
Isabella strinse le braccia al petto e si morse le labbra. “Ne sei sicuro?”
Edward si voltò e le sorrise. Il sorriso più dolce e rassicurante che lei avesse mai visto. “Certo, vai pure. Choni non sarà qui prima di mezz’ora.”
Ancora una volta Isabella si chiese se si poteva fidare davvero. Continuava a ripetersi che non sapeva nulla di Edward, e che nessuna madre sana di mente lascia la propria figlia alle cure di un perfetto sconosciuto. Lei lo aveva fatto, la notte prima. Si era addormentata lasciando Marie sola con Edward. Davvero un pessimo esempio di maternità.
Di nuovo Edward le lesse nel pensiero. “Non ti fidi, vero?”
Isabella voleva fidarsi di lui. L’istinto le diceva che poteva farlo, ed anche Marie, che chiaramente lo adorava. La ragione, però, continuava a trattenerla, a farla sentire in colpa.
“Non è che non mi fidi,” confessò, “di sicuro sei un bravo ragazzo, e sei stato molto gentile con noi. Ma se ci pensi bene, alla fine, io ancora non so chi sei…”
Edward soppesò a lungo le parole di Isabella, così a lungo che Isabella pensò di averlo offeso.
Edward, però, non si era offeso. Stava solo cercando di mettersi nei panni di quella ragazzina, di guardarsi, dall’esterno, con gli occhi di lei. Probabilmente, al suo posto, avrebbe avuto gli stessi dubbi, le stesse perplessità. Perché la stava aiutando? Perché si occupava di sua figlia? Perché le offriva la cena?
Neppure Edward sapeva rispondere con esattezza. Sapeva solo che doveva farlo. Voleva farlo. Si sentiva stranamente protettivo nei confronti di Isabella e di Marie. Chiaramente non avevano nessun altro al mondo, erano sole. Come poteva far finta di niente?
“Hai ragione,” le disse infine, per rassicurarla. “Non sai nulla di me, ed io so pochissimo di te. Ma ti giuro che ti puoi fidare. Quando tornerai da quella doccia mi troverai ancora qui, con Marie e la nostra cena. Parleremo, e potrai farmi tutte le domande che vuoi. Allora, che ne dici?”
Isabella lo fissò a lungo negli occhi, senza provare imbarazzo o vergogna, questa volta, solo immensa gratitudine. Non rispose. Si limitò a sorridergli, sapendo che non sarebbe riuscita a proferire parola senza scoppiare a piangere.
 
***
 
Quaranta minuti più tardi Edward e Isabella erano seduti uno di fronte all’altra, intenti a consumare la propria cena, mentre Marie dormiva profondamente nella sua carrozzina.
“Allora, Isabella…”
“Bella,” lo interruppe lei, “chiamami Bella, lo preferisco.”
“Ok, Bella. Cosa vuoi sapere?”
Dunque, che voleva sapere. Tutto, in realtà. Edward la incuriosiva. Innanzi tutto non riusciva a capire perché lui fosse così gentile con loro. E poi si sentiva strana in sua presenza. Provava sentimenti contrastanti. Sentimenti che non si addicevano ad una donna sposata, madre di una bambina di sei mesi. Sensazioni che cercava di ignorare, ma che non riusciva a nascondere, soprattutto quando arrossiva violentemente. Edward era un ragazzo molto attraente, ed era difficile restare immune al suo fascino.
“Non saprei,” gli disse, “parlami un po’ di te. Quanti anni hai, di dove sei, che lavoro fai… cose così.”
Edward ingoiò il boccone che stava masticando e poi bevve un sorso di birra direttamente dalla bottiglia. “Ho ventidue anni, ventitré a giugno, ed ho sempre vissuto a Seattle. Sei mesi fa ho lasciato la facoltà di medicina, i miei se la sono presa e mi hanno cacciato di casa. Per qualche settimana ho dormito sul divano di un amico, poi ho trovato questo appartamento. Fa schifo, ma costa poco. Per mantenermi faccio un po’ di tutto. L’imbianchino, il cameriere, il barista… quello che capita. Il mio vero lavoro, però, è un altro.”
“Quale?” chiese Isabella, sempre più intrigata dalla storia di Edward.
“Il musicista. Suono il basso in un gruppo indie‒rock, i Breaking Dawn, e scrivo la maggior parte dei pezzi.”
“Siete famosi?”
Edward sorrise, fiducioso. “Non ancora, ma lo saremo presto, ne sono sicuro. Tu, invece? Qual è la tua storia?”
Isabella si incupì e smise di mangiare. “Ehi, tranquilla,” le disse Edward, notando il suo improvviso malumore, “non sei obbligata a raccontarmi nulla, se non vuoi.”
Lei scosse la testa, e gli regalò un sorriso timido. Edward era stato gentile ed onesto: gli doveva altrettanto.
“Ho diciotto anni, diciannove a settembre. Diciotto mesi fa ho conosciuto un ragazzo, Jacob. Abbiamo cominciato ad uscire. Lui giurava di amarmi, ed anch’io ero innamorata. O almeno credevo di esserlo. Tre mesi dopo ero incinta. Ci siamo sposati, perché ci sembrava la cosa giusta da fare per Marie. Volevamo che crescesse in una famiglia normale. A Forks, però, non c’era lavoro, così ci siamo trasferiti a Seattle. Jacob ha dei parenti qui. Gli hanno offerto un posto come meccanico nell’officina di famiglia.”
Isabella smise di parlare. Edward attese in silenzio che lei fosse pronta a continuare.
“Abbiamo capito fin da subito di aver commesso un errore. Non facevamo altro che litigare, discutere per ogni più piccola cosa. La vedevamo in modo diverso su tutto. Io volevo che lui si assumesse le proprie responsabilità, che la smettesse di comportarsi come un ragazzino, che si trovasse un lavoro decente e mettesse la testa a posto. Jake mi accusava di soffocarlo, di non lasciargli spazio. Credevo che le cose sarebbero migliorate dopo la nascita di Marie, ma invece sono peggiorate. Usciva ogni sera, ci lasciava sempre sole. Spendeva quasi tutti i soldi che portava a casa. Alla fine se ne è andato.”
“Ed ora dov’è?”
Isabella si strinse nelle spalle. Posò il cucchiaio. L’appetito le era passato del tutto. “Non lo so. Jake non risponde alle mie chiamate. Mi ha mandato un messaggio, però. Dice che ha bisogno di tempo per riflettere. I suoi cugini sostengono che è tornato a Forks, ma io non gli credo. Jake non è mai andato d’accordo con i suoi.”
Edward era sconvolto. Anche a lui era passato l’appetito. “Non hai nessun amico che ti possa aiutare?”
“Pochi, e sono partiti tutti per l’università. Non hanno tempo per me.”
“Ed i tuoi genitori?”
Isabella si lasciò sfuggire una risata amara. “L’ultima volta che ho sentito mia madre è stato per dirle che Marie era nata. Non si è mai presentata per conoscerla. Ora vive da qualche parte in Florida con il suo nuovo fidanzato. Non hanno neppure una vera casa, credo stiano in un motel.”
“E tuo padre, invece?”
“Mio padre non ha mai apprezzato Jake. È sempre stato contrario all’idea che mi sposassi con lui. Lo considerava un poco di buono, ed aveva ragione. Ha smesso di parlarmi quando me ne sono andata di casa.”
Edward lanciò uno sguardo allarmato a Marie. “Stai cercando di dirmi che neppure lui conosce la bambina? Che non l’ha mai voluta incontrare?”
Isabella scosse la testa, gli occhi bassi e lucidi.
Edward era stato cacciato di casa, eppure non aveva mai dubitato del fatto che i suoi gli volessero ancora bene. Era più che altro una questione di principio, e di fiducia. Sapeva che, prima o poi, le cose si sarebbero sistemate, anche se i Breaking Dwan non fossero mai diventati famosi.
Sua madre, ad esempio, lo chiamava una volta alla settimana, di nascosto da suo padre, il più cocciuto dei due. E poi c’era sua sorella Alice, che lo sosteneva ed incoraggiava, ed i suoi amici, ed i membri del gruppo.
Edward non era solo, Bella sì. Bella non aveva più nessuno al mondo, solo Marie.
“Come fai a mantenerti,” le chiese, “i soldi ti bastano?”
Isabella si morse le labbra. Quello era un punto dolente. “Ho trovato qualche lavoretto che posso fare da casa. Correggo bozze per alcune riviste on‒line, imbusto depliant e materiale informativo, faccio biscotti e li vendo ad un chiosco itinerante…” Sospirò, prendendosi la testa tra le mani. La sua vita era un disastro, e non sapeva come uscirne. “No, Edward,” disse con voce tremante, “i soldi non mi bastano. Sto finendo i pochi risparmi che ho messo da parte, e c’è l’affitto, le bollette, i pannolini, il latte in polvere… Marie ha bisogno di un sacco di cose, ed io, io…”
Isabella smise di parlare. Se avesse continuato, avrebbe pianto di sicuro, e non voleva. Non le sembrava dignitoso.
Sollevò gli occhi velati di lacrime. Edward la fissava, un misto di preoccupazione e pena dipinti sulla faccia.
“Ti ho rovinato la serata, eh?” provò a scherzare. “Dimmi la verità: hai voglia di scappare a gambe levate.”
Edward non rispose. Isabella aveva ragione. Una parte di lui voleva andarsene, dimenticare Isabella e sua figlia Marie, non vederle né incontrarle mai più. Gli avrebbero portato solo guai. Un’altra parte di lui, invece, voleva disperatamente occuparsi di loro. Non capiva perché. Isabella aveva un marito, Marie un padre. Lui che c’entrava? Nulla.
Eppure…
“Ehi,” rassicurò Isabella quando vide una lacrima scenderle lungo la guancia, “non piangere. Troveremo una soluzione, d’accordo?”
Isabella annuì, poco convinta.
Ancora non sapeva come, ma Edward l’avrebbe aiutata.
   
 
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