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Autore: nobodyishopeless    23/03/2014    1 recensioni
Arianne ha diciasette anni e paura del cancro. Arianne ha una cotta per Mattia che inizialmente ignora, ma quando lo verrà a sapere se ne approfitterà. Andrea è amico di Carlo, il fratello di Arianne, Andrea ha ventisette anni e ha perso la testa per Arianne che non sembra accorgersene.
-Dal primo capitolo-
Era l’Italia corrotta, era l’Italia dell’insoddisfazione e della rivolta, era l’Italia dell’afa estiva che appiccica i vestiti ai corpi, era l’Italia del futuro invisibile, era l’ Italia della tecnologia, era l’Italia della crisi, era l’Italia delle canzoni dei Modà ad ogni Sanremo, era l’ Italia degli amori sbagliati, era l’Italia dei giudizi continui. Era l’Italia in cui vivevo i miei diciassette anni.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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L'eroe nero è un cavaliere con l'armatura incrostata di sangue è sporco...
ma nega sempre incessantemente di essere un eroe.

-Frank Miller

 
 


Capitolo XII.
 
Arianne.
 
Alla quarta ora mi ero persa a guardare fuori  dalla grande finestra accanto al mio banco, ero stanca, non facevo altro che leccarmi le labbra sentendo il sapore metallico del sangue, la testa era soggetta a potenti capogiri, ma per le prime due ore era andato tutto bene, nessun calo di zuccheri o svenimento, dopo la seconda ora suonò la campanella che annunciò l’inizio dell’intervallo, mi ero alzata dal mio banco già scarabocchiato da matite evidenziatori e pennarelli indelebili, avevo sentito il bisogno di fumare per far fronte allo stress che il primo giorno di scuola mi aveva provocato. Alla quarta ora le palpebre si chiudevano senza che potessi impedirlo, ero spossata e la testa mi faceva male, pesando sulle mie spalle come una forza insopportabile.
-Ar… tutto bene?- mi domandò in un sussurro la mia amica Giorgia. Io annuii sentendo il mio viso perdere colore, la salivazione aumentare e la nausea cominciare a farsi sentire, una nausea paragonabile ad una coltellata nello stomaco, e intanto lo spillone tra le costole affondava sempre di più causandomi dei brividi, un fiotto di succhi gastrici mi risalì l’esofago bruciandomi la gola, mi piegai a lato del banco per non sporcare il libro di letteratura aperto sulla prima pagina di Machiavelli, e il quaderno di letteratura già scritto di appunti, vomitai la colazione mentre la professoressa di italiano con il suo caschetto biondo spiegava a macchinetta. In un attimo l’attenzione delle mie compagne fu su di me, Giorgia mi passò un fazzoletto con cui mi pulii le labbra, mentre l’odore rancido del contenuto del mio stomaco arrivò alle mie narici in fretta stordendomi ulteriormente. La voce sciolta dell’insegnante si era fermata, la donna si tolse gli occhiali bianchi e mi squadrò con gli enormi occhi azzurri.
-Scocco ti senti bene?- domandò la donna chinandosi su di me. La vista mi si annebbiò per un attimo, le parole morirono in gola e poi divenne tutto buio.
Mi risvegliai in ospedale, accanto a una macchina che non sapevo cosa fosse, faceva un suono strano, gli occhi mi bruciavano e anche la gola, rivolsi lo sguardo fuori dalla finestra era buio, il sole doveva essere tramontato da un pezzo, mi guardai intorno, era la stessa stanza da cui me n’ero andata quella mattina, tastai sul comodino bianco e freddo alla ricerca del mio telefono, ma non lo trovai, mi guardai ancora intorno e adocchiai il mio zainetto appeso a un gancio al muro accanto al mio giubbino di pelle nera. Sospirai rumorosamente conscia del fatto che nessuno poteva sentirmi, ero sola, completamente sola in quella stanza spoglia puzzolente di ammoniaca, strisciai i palmi sulle lenzuola ruvide. Da un lato volevo chiamare l’infermiera, dall’altro però non volevo che quella tranquilla solitudine che stavo vivendo venisse in qualche maniera turbato, perché infondo mi piaceva. Avevo sempre trovato piacevole la solitudine, ero la classica ragazza che si chiudeva in sé stessa, che sembrava estroversa ma in realtà si teneva tutto per sé, non dicevo mai qualcosa di concreto, quando mi confrontavo con la gente operavo il gioco del prestigiatore, ma intanto i miei demoni ristagnavano dentro di me, tra gli organi interni, alcuni si annidavano nell’intestino, tra le arterie.. e chi lo sa? Magari alcuni erano proprio la causa del mio cancro, del mio male. Me l’ero chiesto così tante volte da quando avevo scoperto la mia malattia, non avevo paura della morte, in realtà era la vita che mi terrorizzava incredibilmente. Restai nel buio con le ossa dolenti e la testa vuota, poi i flash dei momenti prima di svenire presero il sopravvento, il vomito, la mia insegnante che mi scrutava, la classe che mi fissava e il buio.
 
Andrea.
 
Il mio cellulare squillò attirando la mia attenzione, era quasi mezzogiorno e nella mia testa non faceva che ripresentarsi l’incontro avuto poche ore prima con Mattia, grosse domande si affollavano tra i miei flashback. Lui l’amava? Avrei dovuto raccontare tutto ad Arianne?  Lei lo amava ancora? Ci sarebbe mai stata una possibilità per me? Le mie domande non facevano altro che ossessionarmi e probabilmente non avrebbero mai avuto una risposta, avrei fatto finta che l’incontro con Mattia non fosse mai avvenuto e per il resto mi sarei esclusivamente occupato di salvare lei, di combattere il suo male. Quella telefonata mi fece abbandonare le seghe mentali, Arianne era stata nuovamente ricoverata, aveva vomitato in classe e poi era svenuta. Una sensazione a me conosciuta si fece largo tra l’intestino e lo stomaco, senso di colpa. Avevo premuto io sulla commissione perché la dimettessero per il primo giorno di scuola, non volevo che il tumore condizionasse la sua quotidianità, la quotidianità di una ragazza adolescente che frequentava il terzo anno di liceo, ma la verità era che il tumore avrebbe inevitabilmente cambiato la sua vita, non potevo illudermi del contrario, né tantomeno illudere lei, sarebbe stato scorretto e ingenuo. Mi vestii in fretta e mi sciacquai il viso cercando di svegliarmi. Feci una corsa per arrivare all’ospedale, sforando incredibilmente il limite di velocità della statale. Parcheggiai al mio posto, di fronte all’ingresso sud della struttura, afferrai la mia tracolla marrone e a passo spedito mi diressi all’ascensore numero quattro pieno di gente tra infermieri, medici e assistenti.
-Lara  in che stanza hanno portato Arianne.. ehm cioè la signorina Scocco?- domandai a Lara, la caposala quarantenne meridionale che era da poco stata trasferita in quell’ospedale.
-Numero 216, la stessa che aveva lasciato ieri, è passato Anton prima, era su tutte le furie, ha minacciato di farti sentire dalla commissione, io ho cercato di calmarlo, in fondo non hai ucciso nessuno..- cominciò a parlare la donna.
-Grazie Lara, me la vedo io.- tagliai corto, mi infilai il camice lungo e mi diressi nella camera di Arianne, non ero di turno quel giorno, era il mio giorno di riposo, ma non importava, lei era l’unica cosa che contava per me in quei momenti.
Entrai nella stanza e la trovai addormentata sotto le coperte bianche con la flebo appena cambiata e l’elettrocardiogramma attivato che produceva alcuni suoni. Afferrai la cartella clinica e diedi una rapida ma approfondita occhiata ai fogli compilati dalla calligrafia cicciottella del mio collega Emilio. Aveva avuto un calo di zuccheri, mi ero raccomandato di farla mangiare alle infermiere prima di farla uscire dall’ospedale, il suo corpo era già debole per via della chemio, sarebbe bastato poco per farla crollare, avrei dovuto immaginarlo. Mi passai una  mano sul viso e mi sedetti accanto al suo letto ad osservarla dormire, il suo petto appena coperto dal lenzuolo bianco, rimasi lì finché una chiamata sul mio cercapersone, lessi il numero della camera che riteneva la mia presenza, era la 208 la signora  Melliccu era ad uno stadio terminale di cancro all’utero, una delle pazienti più gravi che avevo in quel momento, mi alzai di scatto e mi precipitai otto camere indietro, nella stanza della donna. La poveretta  stava avendo un attacco cardiaco.
-Il carrello delle emergenze presto!- gridai ad una delle infermiere della stanza che si precipitò fuori, notai vicino al letto della donna dai capelli grigi, la figlia trentenne che piangeva.
-Portate fuori la signorina perfavore!- gridai di nuovo all’altra infermiera, quella mora.
Il carrello delle emergenze fece il suo ingresso rapido spinto dalla prima infermiera che avevo comandato.
 Presi le piastre, già attive. L’infermiera mora  mi fu accanto in un lampo e cominciò a spalmare il gel conduttore e protettore attorno alla posizione in cui si trovava il cuore.
-Carica a duecento- ordinai alla bionda che eseguì.
-Libera.-
Nessun risultato, l’ECG suonava piatto. Quel suono tormentava le mie notti ormai, era sempre difficile riuscire a non coinvolgersi nei casi, soprattutto se sei un oncologo e sai perfettamente cos’è il cancro, come consuma le persone, come le cellule si ammalano e muoiono, io lo sapevo bene e quel fischio acuto e prolungato era la mia paura più grande.
Biiiiiip. Biiiiip.
 
Quel suono speravo che non avrei mai dovuto sentirlo nella stanza 216, deglutii e mi passai una mano sul volto sudato, l’infermiera bionda spense la macchina, quella mora mi guardava con la cartella ferma alla pagina del decesso, aspettandomi.
Alzai lo sguardo fino all’orologio sulla parete innanzi a me, appena sopra la porta della stanza.
-Ora del decesso l’una e quarantasette.- dissi con voce piatta, mi tolsi i guanti di lattice e li lanciai nel cestino accanto al comodino.
Uscii dalla stanza e trovai la figlia della paziente molto preoccupata.
-Dottore..- mi chiamò con un filo di voce, temendo per le cose che stavo per dirle, aveva ragione a temerle.
-Signorina Melliccu,  abbiamo cercato di rianimare sua madre, ma purtroppo se n’è andata.- dissi cercando di mantenere la voce ferma.
La donna di fronte a me cominciò a piangere con il volto angosciato.
-Mi dispiace.- dissi posandole una mano sulla spalla destra, lei si appoggiò a me continuando a piangere, mi veniva male a pensare a quante lacrime dei parenti dei miei pazienti avevano macchiato il mio camice bianco. Mentre consolavo la donna comparve Carlo all’inizio del corridoio e mi guardò salutandomi con la mano, gli rivolsi uno sguardo disarmato e poi mi staccai dalla donna.
-Signorina, se vuole andare a salutare sua madre può farlo, nella stanza troverà delle infermiere che le faranno firmare dei moduli per l’autopsia facoltativa e il trasferimento in obitorio, ancora condoglianze per la sua perdita.- le dissi, lei annuì e si avviò nella stanza trascinando i piedi.
Io mi avviai verso Carlo.
-Non so come tu faccia a fare questo lavoro.-  mi disse appena gli fui davanti.
-Già, mi hai preso nel momento peggiore. Sei qui per Arianne vero?- gli chiesi.
-Sì i miei lavorano quindi sono qua io.- rispose lui.
Cominciammo a camminare  lungo il corridoio.
-Ora  è stabile, sta dormendo… ha avuto un calo di zuccheri, ma nulla di preoccupante, è stata colpa mia, non avrei mai dovuto farla uscire dopo la chemio, era troppo debole.- confessai io portando le mani dietro la schiena.
-L’hai solo accontenta so quanto ci teneva, al posto tuo avrei ceduto anche io.- mi tranquillizzò Carlo.
-Se posso darti un consiglio sarebbe il caso di tenerla qua finché il ciclo di chemio non è finito, occuparsi seriamente di questo e poi farla tornare a scuola, qui c’è comunque un’insegnante potrà lo stesso studiare se lo vorrà.- introdussi l’argomento del ricovero in punta di piedi con molta cautela, vidi Carlo farsi pensieroso. Ci fu qualche attimo di silenzio.
-Devo parlarne con i mei.- rispose in un sussurro.
-Certo, fammi sapere.- dissi io con un mezzo sorriso.
Io non ero un eroe, non mi ero mai considerato un eroe, parecchie volte mi avevano definito tale, soprattutto quando salvavo i bambini dalla leucemia, gli raccontavano tutti che ero un eroe, ma non mi ero mai sentito tale, perché la mia armatura è incrostata di sangue, del sangue di tutti quelli che non sono riuscito a salvare, in realtà il cancro mi aveva portato via molti più pazienti di quanti avessi fatto io e la mia carriera era appena iniziata, ma ero già stanco e rassegnato al dover pulire la mia armatura.
 
 

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My corner:
Ciao a tutti e scusatemi per il ritardo, ho aggiornato prima di partire per la mia gita a Napoli,
ringrazio tutti quelli che hanno recensito gli scorsi capitoli,
forse non ve ne importerà nulla ma mi sono fidanzata *-* .
Vi lascio con il mio
Facebook: https://www.facebook.com/mar.efp
 Ask: http://ask.fm/MarEfp
a presto,  Mar.

  
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