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Autore: Sen    24/03/2014    4 recensioni
Il fumo denso della sigaretta saliva al cielo lentamente.
La notte scura, di quell’indaco marcato, rendeva le stelle iridescenti e fredde.
La luna era scomparsa, nera come un disco vuoto, una mancanza necessaria.
Lei socchiuse gli occhi bistrati, lunghi e scuri, come quelli di un gatto.
Le labbra rosse e lucide avevano lasciato un segno sul filtro bianco e sottile.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Le Onde dell’Egeo

La sesta ora dopo il riposo pomeridiano* sorprese Sisifo ancora impegnato in un’udienza del Grande Sacerdote Sage in persona, gli occhi pericolosamente prossimi alla chiusura, la mente che ormai si sintonizzava su canali assolutamente estranei alle problematiche così minuziosamente descritte.

Lo sguardo corse a Sasha, seduta scomposta sul grande trono, a soffocare uno sbadiglio che poco si addiceva alla dea della guerra giusta.

Sisifo abbozzò un sorriso sperando nella pietà di un evento qualsiasi che distogliesse il sacerdote dalla sua, ormai unilaterale, esposizione.

Scosse il capo, impercettibilmente: lui non avrebbe dovuto comportarsi così, lui, il primo Santo d’Oro, colui che aveva personalmente riportato a casa Athena, ancora bambina.

Colui che l’aveva condannata ad una vita di sacrificio

Colui che avrebbe guidato gli altri Santi nella guerra ormai imminente contro le truppe di Hades.

Colui che avrebbe scatenato la Guerra Sacra e visto morire i suoi stessi compagni.

Sage aveva smesso di parlare, ormai, esortandolo a raggiungere la mensa comune, dove avrebbe condiviso la cena con tutti gli altri.

Lo sguardo che il giovane rivolse alla dea era di puro cordoglio.

 

“Quindi stasera possiamo andare giù a Rodorio?” prese la parola El Cid, colorando la scandita e fluente parlata greca con un pesante accento spagnolo.

Manigoldo rise sguaiato, dando di gomito ad un infastidito Rasgado “Ti manca già la picciridda?”

“Vedi di comportarti come un uomo e non come una comare di paese...” lo redarguì questi con una punta di sarcasmo, dirigendosi a lunghe falcate verso la scalinata esterna.

“Quello che faccio e con chi lo faccio sono solo affari miei” concluse lo spagnolo trovando i ciottoli del selciato un panorama particolarmente interessante.

Albafica si limitò a commentare con quella che poteva apparire ad un’attenta seconda occhiata una piccola smorfia.

“Che poi spiegami che cos’ha la francesina che ti attizza tanto. Meglio i meloni di Filothea, dico io!” continuò Manigoldo accendendosi una sigaretta. “O forse conosce qualche tecnica che noi ignoriamo, eh? Dovrei farci un giro anche io…”

Un pugno lo colse, potente e inatteso, sulla guancia sinistra, facendo volare la sigaretta lontana, in uno scompiglio di braci, un filo di sangue, stupito, gli macchiò il ghigno irriverente.

“Non osare.”

Serio, El Cid era un uomo d’onore e di poche parole. Per questo sapeva essere spaventoso quando si alterava.

“Ehi, ehi, non ti scaldare. Minchia!” concluse l’italiano massaggiandosi la guancia.

Sisifo li seguì sorridendo. Malgrado tutto, di tanto in tanto, tendevano a dimenticare di essere uomini abituati a giocare con la potenza delle stelle delle quali erano custodi, e i rari e sparuti momenti di tranquillità erano accolti e vissuti come veri e propri miracoli all’interno della loro vita sospesa.

La capacità di provare sentimenti, anche solo lontanamente umani, era un lusso che pochi avevano la possibilità di permettersi.

Poi il suo sguardo limpido si posò sulla figura d’ombra scomodamente accomodata sullo sperone di roccia che dava direttamente sul mare.

Gli occhi del colore del cielo al tramonto che si perdevano tra le onde del mar Egeo.

La maschera copriva il volto, il dolore il suo cuore.

 

Melina aveva appoggiato stanca una mano sui capelli castani della giovane Francine; le sue ciocche si accendevano di riflessi dorati alla luce del sole al tramonto.

“Vedrai che stasera si farà vivo.” concluse facendo l’occhiolino al suo riflesso nello specchio.

La ragazza sfoderò uno dei suoi rari, spontanei sorrisi.

“Sei sicura, madame?”

Melina rise, questa volta, al francese che si mischiava col greco.

“Ma certo, ma certo, bambina!”

Sfilò un fiore di Ibisco dal bouquet di fianco alla porta del salone e lo sistemò nell’acconciatura di lei.

“Sei così bella, tesoro mio” le sussurrò, materna. “Quel giovane, nella sua condanna, è fortunato.”

Je ne comprends pas” pigolò lei, sgranando gli occhi e voltandosi di scatto.

Melina sospirò sedendosi stancamente sulla poltrona vicina.

“Tu sei venuta da lontano, Francine, probabilmente il destino ti ha mandata qui, da me. Compris?

Aspettò paziente che la ragazza annuisse prima di continuare.

“Questo posto è diverso da tutti gli altri e quei ragazzi che soddisfi col tuo corpo sono eroi che potrebbero non arrivare a domani.”

Si accese una sigaretta con movimenti lenti e calcolati, scorgendo la zazzera di capelli nerissimi che correva per il piccolo sentiero al limitare delle prime case.

“Per questo, Francine, fai tesoro dell’amore che provi per lui e, in cambio, donagli tutta te stessa.” Studiò i suoi occhi riempirsi di lacrime, mentre il sole si tuffava nel mare.

 

Era a disagio, per la prima volta dopo tanti anni; probabilmente non si sentiva così da quando si era accorta, per puro caso, che la persona che si agitava sopra di lei era il marito della sua migliore amica.

Ora, invece, il ragazzo ansante sotto di lei, che spargeva capelli di grano sul cuscino, era un cavaliere di bronzo.

Aumentò il ritmo, sperando di riuscire a portarlo in fretta alla conclusione, pregando che non si accorgesse di nulla.

Era raro che un guerriero di una casta così alta arrivasse a lei.

Solitamente i suoi clienti erano civili o soldati semplici, le cui capacità e percezioni erano assolutamente innocue.

Tranne lui...

Scacciò con uno sforzo immane il ricordo di quella notte, la prima volta, nella quale lui era venuto da lei, per le medesime ragioni per le quali lei aveva sempre declinato gli inviti della zia.

Rimanere nascosti, essere ombra.

E lui, in fondo, nonostante l’aspetto, il destino e la sua forza spaventosa, era soltanto un uomo.

Una notte senza luna, il mare in tempesta, il tuono a dividere i cieli e lui, il cui cosmo sovrastava tutto il resto, soffocandola, l’aveva presa tra le braccia e l’aveva amata, come un uomo possiede una donna.

Come uno che non ha nulla da perdere.

E da allora per sempre, nelle notti senza luna.

Un cavaliere di bronzo, tuttavia...

Ricordò all’ultimo momento di gemere ed ansimare, simulando un piacere che le era capitato di provare rarissime volte.

Tranne con lui...

Il sollievo arrivò quando finalmente lo avvertì tendersi e quindi sospirare soddisfatto.

“Devo andare” sibilò asciutta dopo essersi ripulita velocemente e rivestita di fretta.

“Signora...” ma lei lo interruppe.

“Lascia i soldi sul comodino, caro” aggiunse con dolcezza. “Spero di rivederti presto” mentì schioccandogli un rapido bacio sulle labbra.

 

“Era ora!” sbottò Agathê quando la vide arrivare, accaldata nel vestito a fiori azzurri. “Siamo tutte qui da moooltissimo tempo e tu arrivi solo adesso?!” concluse con le mani sui fianchi e una rosa tra i capelli. “La festa al tredicesimo tempio in onore di Athena Promachos sarà domani sera, lo sai? Domani sera!” rincarò accentuando l’urgenza della situazione con una brusca alzata di tono.

“Perdono!” scherzò Eranthe dissimulando l’imbarazzo con un sorriso.

La ragazza scosse i capelli castani legati in una morbida coda di cavallo, come una madre davanti al figlio incorreggibile e bofonchiando parole a mezza bocca che suonavano pericolosamente come un non so che fare con te.

La nonna era china su una composizione di fiori bianchi, la piccola Dimitra correva leggera come una farfalla, una coroncina di gerbere le impreziosiva il capo.

Non ancora, pensava lei, non portatemela via, ora, vi prego.

 

“Dovresti saperlo, no Agathê?, che lei è allergica al Santuario!” udì appena la voce nota di Mena, la cameriera del piccolo ristorante accanto all’emporio, dalla stanza vicina.

“Eh, magari alla gran dama non piacciono tutti quei bei ragazzi!” scherzò maliziosa Eulalia, del negozio di frutta e verdura.

“E ricordate sua madre? Povera, povera Erato! Era una ragazza così solare! Saliva due volte a settimana dal saggio Hakurei a preparargli il decotto per la sua schiena” aggiunse dall’alto del suo trono di salsicce la moglie del macellaio. “Ci credo che è fuggita lasciandola indietro...”

“Signore! Signore!” intervenne Agathê battendo le mani con voce secca e vagamente stridula. “Adesso basta cianciare, ché i fiori non si arrangiano da soli eh!”

 

Eranthe alzò gli occhi verso la nonna in uno sguardo apologetico al quale Areia rispose con un vago cenno della mano a dissipare i dubbi della nipote.

“Lasciale parlare! Così che le loro bocche prendano aria e perdano il puzzo di lucertola.” Scherzò a bassa voce, abbastanza, però, perché la bambina seduta sul suo grembo udisse e ridesse di pancia agli insulti contro sua madre.

“Scusatemi, nonna, Dimitra” chinò il capo a lavorare sul vaso di terracotta che aveva davanti.

Scusarsi per essere diversa da tutti, scusarsi per la sua stessa esistenza, figlia di una donna che si era trovata di fronte, una notte, di ritorno dal Santuario, un vero e proprio demone con tanto di ali, inviato come spia direttamente dall’Ade.

Un demone, che le aveva risparmiato la vita, rapito, forse, dai suoi occhi scuri.

Un demone che tanto malvagio poi non era, almeno con lei, almeno per i mesi successivi.

Un demone che, dopo poco più di un anno, si era ribellato al suo spaventoso capitano, ed aveva preferito fuggire assieme alla sua amata piuttosto che mettere in pericolo la vita di sua figlia appena nata.

Un demone, che aveva abbandonato per sempre la sua corazza nera, con tanto di ali, ed aveva scelto la vita.

 

“È che non voglio perderla, non ancora” concluse la donna il tono grave dissimulato dalla tonalità allegra della voce.

La nonna la guardò seria, le mani si fermarono un attimo e d’un tratto sembrò che il tempo steso si arrestasse.

“Bambina mia, ricorda: se un dio sceglie te alla nascita, e intercede per te con le Moire, prima o poi, tornerà a reclamare ciò che è suo.”**

 

Note:

Prima di tutto GRAZIE a Francine per il suo supporto e lavoro EGREGIO!!!

*Come mi ha fatto giustamente notare Francine le sigarette sono arrivate in Europa come cilindri solo nel 1850. Dato che mi servivano per accentuare la caratterizzazione dei personaggi, mi sono presa una piccola libertà anticipandole di qualche decennio!

** Questa frase è stata detta da mia nonna come “memento” per il mio diciottesimo compleanno.

  
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