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Autore: Pineapple__    25/03/2014    7 recensioni
"Fino a che punto si è disposti a sacrificarsi per proteggere ciò che più si ama?"
La storia si svolge su un'isola fredda e deserta, dove il capitano Law viene esiliato dalla Marina in cambio della salvezza della sua ciurma. Ma, un giorno, mentre è impegnato a contemplare il mare in tempesta, la sua attenzione viene attratta da una cesta bruciacchiata. Il canestrino nasconde una piccola neonata, arrivata da chissadove, come per uno scherzo del destino sull'isola di Law. Il chirurgo è scettico a riguardo, ma decide di crescere come la piccola come fosse sua figlia. Comincia così una conversione per il nostro spietato capitano, il quale scoprirà quanto sia meraviglioso, e a volte pericoloso, voler bene a qualcuno.
Genere: Azione, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Cambia il cielo
Cambia la musica dell’anima
Ma tu resti qui con me
Tra lo stomaco e i pensieri più invisibili
E da lì non te ne andrai.

-Giorga, Quando Una Stella Muore-
 
 
 
 
La bambina soffiò con forza sul piccolo cupcake panna e cioccolato, spegnendo la fiammella che torreggiava candelina colorata di un tenue rosa. Una mano istoriata di segni neri si appoggiò fugace sulla sua testa, carezzandole la setosa chioma bruna, per poi essere ritratta pochi secondi dopo. L’uomo distolse con inimmaginabile lentezza lo sguardo ghiacciato dall’immagine della pioggia che all’esterno scrosciava inclemente e lo posò su quella sorridente figura che gli stava offrendo una metà di quel fin troppo melenso dolcetto.
 
“No, grazie, Yuki. Non ho fame.” sorrise Law, tentando un tono rilassato.
 
In realtà, dentro di lui infuriava una tempesta di dimensioni bibliche. Cercava in tutti i modi di nascondere la sua inquietudine, in modo da non far cadere anche la piccola nel suo stesso angoscioso vortice. Se lo meritava. Un po’ di tranquillità dopo quei giorni nei quali ne erano successe di tutti i colori era d’obbligo, almeno il giorno del suo compleanno. Ma sapeva che, di lì a poco, avrebbe dovuto affrontare l’ennesima sfida per salvare Yuki e anche se stesso; l’ennesima battaglia per la sopravvivenza. Osservò la bimba mangiare con gusto il cupcake, domandandosi se il mondo, là fuori, fosse fin troppo spietato e crudele per lei.
 
Si sbatté il palmo della mano sulla fronte, cercando di darsi un contegno. Lui era Trafalgar Law, Il Chirurgo della Morte. Non si sarebbe fatto intimidire da un plotone di Marines, nemmeno da quel fenicottero trasandato. Avrebbe combattuto con le unghie e con i denti. Tutto, pur di proteggere sua figlia, e sapere di avere l’uomo di fumo dalla sua gli regalava un’impercettibile senso di leggerezza. La castana si pulì la bocca dai rimasugli di pasta al cioccolato, per poi andarsi a sedere tra le gambe del padre. Appoggiò la schiena al suo torso e respirò profondamente, lasciando che due accoglienti e muscolose braccia la circondassero.
 
“Non mi piace la pioggia, papà.” sentenziò lei scrutando fuori dalla vetrata.
 
“E’ per questo che abbiamo appeso lui, no?” disse il pirata additando il piccolo fantasmino che penzolava davanti alla finestra.
 
La piccina annuì e sorrise, spostando quei suoi brillanti smeraldi sulla statuetta costruita con l’ausilio di due fazzoletti, un pennarello e un elastico. Era fantastico vederla tanto impegnata in quella cosa che stava facendo, anche se era così effimera. Ma la sua Yuki era così, nelle cose che faceva metteva tutto l’impegno che poteva. Anche se le cose non le riuscivano sempre alla perfezione (quel povero pupazzetto era uscito mezzo strabico) ammirava la sua dedizione e sarebbe stato uno onore averla nella sua ciurma.
 
“Quel Teru Teru Bozu scaccerà la pioggia e domani verrà il sole!” esclamò sorridente la bambina.
 
“Già, verrà il sole.” ripeté spostando con innaturale lentezza lo sguardo sull’orologio a muro.
 
Ormai segnava le dieci e mezza. Le dieci e mezza della sera del quattro dicembre. Sarebbe stata una notte indelebilmente macchiata di liquido scarlatto, non sapeva se suo oppure dei marines, che avrebbe marchiato la candida neve. Ma non davanti agli occhi di Yuki. Non avrebbe permesso che fosse inerme spettatrice di quella maledetta danza di morte. Non ancora. Si alzò e si diresse verso la cassettiera, facendo segno alla piccola di seguirlo. Estrasse un nastro violaceo da un ripiano del mobile e si inginocchiò davanti a lei, che lo guardava lievemente stranita.
 
“Dimmi , Yuki, che regalo vorresti per il tuo compleanno?” domandò fissandola con velata dolcezza.
 
“Mi piacerebbe tanto andare allo zoo, papà!” cinguettò allegramente.
 
“Va bene, ti porterò allo zoo. E’ una promessa.” asserì bendandole con cura gli occhi.
“Papà…” lo chiamò con voce più smorzata “Che succede? Perché mi hai bendata?”
 
“Beh, è un gioco. Una caccia al tesoro dove non puoi usare né la vista né l’udito.” mentì caricandosela delicatamente in braccio.
 
“Neanche l’udito?” si lamentò scherzosamente, coprendosi le orecchie con le mani.
 
“Esatto. Hai presente la canzoncina che ti piace tanto? Ecco, cantala finché non siamo arrivati.” si raccomandò caricandosi in spalla gli unici due zaini.
 
“Va bene, papà. Mi fido di te.” sussurrò e iniziò a cantare quella cantilenante nenia.
 
Teru Teru Bozu
Teru Bozu
Ashita tenki ni shite o-kure
Itsuka no yume no sora no yo ni
Haretara kin no suzu ageyo…
 
Restò per qualche secondo a rimirare smarrito la piccola figura che stringeva tra le braccia. Le labbra livide si muovevano timidamente, a ritmo della quasi inquietante canzoncina. Quelle parole che aveva pronunciato l’avevano sbigottito; possibile che Yuki fosse al corrente di quello che sarebbe successo quella notte? A sentire la sua sentenza di pochi secondi prima, il corsaro immaginò di non aver operato con abbastanza segretezza. Si maledisse e, anche se non lo dava a vedere, sapeva che la sua bambina aveva paura. La strinse ancora di più a se, come nel tentativo di rasserenarla. Lei si fidava del suo papà. Law non avrebbe mai potuto tradire la sua fiducia.
 
Spalancò la porta e sgusciò all’esterno con passo felpato. Aveva lasciato di proposito le luci accese nel tentativo di depistare per almeno qualche minuto i Marines. Si girò un solo istante, scrutando all’interno dalla finestra che dava sul salotto. Ringraziò mutamente quella casa che, accogliente e calda, li aveva protetti perfettamente dal gelo dell’isola. Il suo sguardo ricadde sul divano di pelle marrone. Riuscì a vedere di nuovo se stesso, con un piccolo fagotto gorgheggiante tra le braccia. Quegli anni erano passati così in fretta che non aveva nemmeno avuto il tempo di rendersene conto. Digrignò i denti e si calò la visiera del cappello sugli occhi, cominciando a correre verso la scogliera.
 
La pioggia continuava a cadere, imperterrita e scrosciante, sciogliendo pericolosamente la neve sotto di lui. Il terreno fangoso scivolava sfuggente sotto di lui, rischiando più volte di farlo cadere. I fulmini squarciavano incessantemente il cielo, illuminandolo a giorno per effimeri secondi, per poi sparire lasciandosi dietro un potente fragore di tuoni. Percepiva la piccola sussultare ad ognuno di quegli assordanti boati. Le posò una mano sulla testa e si accorse che era bagnata fradicia e tremava dal freddo, ma continuava a cantare ostinatamente. Trafalgar voltò la testa dietro di sé per controllare la situazione e quello che vide gli fece raggelare il sangue nelle vene.
 
Riusciva a scorgere le luci delle navi della Marina che attraccavano sbrigative al piccolo molo dell’isoletta. Un’ondata di panico assalì le sue membra, intorpidendole. Nonostante il suo netto vantaggio sentiva montare in lui un crescendo di ansia misto ad agitazione. Accelerò ancora di più la sua corsa, per quanto fosse stato possibile, e strinse rabbiosamente la Nodachi nella mano. Se fosse arrivata l’ora di combattere, non avrebbe esitato. Law non avrebbe mai potuto tradire la sua fiducia.
 
Teru teru bozu
Teru bozu
Ashita tenki ni shite o-kure
Watashi no negai wo kiita nara
Amai o-sake wo tanto nomasho…
 
Arrivò senza più fiato nei polmoni alla scogliera. Ansima, generando nell’etere delle dense nuvolette lattee. Piantò lo sguardo sul mare oscuro e tempestoso, attraversato a più riprese da enormi cavalloni d’acqua che galoppavano inclementi e si infrangevano sulle erose pareti dello strapiombo, cercando disperatamente la nave che li avrebbe tratti in salvo. Nulla, solo un’immensa distesa d’acqua agitata e gorgogliante si estendeva cupa davanti a lui. Un senso di disperazione lo assalì, ormai sentendo l’alito dei Marines gravare sul suo collo. Voltatosi completamente, estrasse la spada e la posizionò davanti a sé. Trasse un lungo e pesante respiro, avvistando quegli odiosi uomini dalla candida divisa che spiccava nella tetra notte, farsi strada lungo il sentiero in precedenza percorso dal Capitano, brandendo pistole e lunghe sciabole. Tese la mano e ghignò, sadico.
 
”Room.”
 
La cupola si espanse, inglobando una buona quantità di uomini. Era certo che non sarebbe stato difficile eliminare cinquecento Marines. Scattò fulmineamente in avanti, tenendo saldamente la piccola su un avambraccio, mentre utilizzava l’altro braccio per colpire i nemici. Si rallegrò al solo pensiero di poter strappare ancora qualche cuore dal petto della gente. La cosa che lo preoccupava maggiormente era l’individuo che sarebbe arrivato di lì a poco, quando ormai tutti i marinai sarebbero già periti. Quel bastardo era così, gli piaceva prendersela comoda.
 
”Mes.”
 
Si fece agilmente strada tra quegli uomini armati fino ai denti, sferrando invisibili fendenti che si disperdevano nell’aria gelida. Ogni singolo muscolo cardiaco che il Chirurgo faceva allegramente saltare fuori dal torace dell’avversario veniva immediatamente tagliato. Spruzzi di sangue e gemiti di Marines morenti si susseguirono per quegli interminabili minuti. Il denso liquido scarlatto si mescolava al terreno limaccioso, conferendogli un tetro colorito grigiastro. Ogni nuovo nemico che si apprestava ad arrivare dal sentiero antistante veniva brutalmente freddato. La sua furia assassina si placò solo quando non ebbe sterminato l’intero plotone di Marines.
 
Ansò esausto, appoggiandosi al manico della Nodachi piantata a terra, nel tentativo di riprendere fiato dalla faticosa sfida. Osservò soddisfatto i corpi senza vita degli uomini; dopo otto anni fu meraviglioso ritornare alle vecchie abitudini. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Il corvino udì un sarcastico battito di mani approssimarsi a loro e dei passi cadenzati provenire dallo stesso viottolo. Dalla fitta boscaglia sbucò sogghignante un uomo alto, vestito con inconfondibili abiti sgargianti. Il corsaro ringhiò, stringendo forte contro di sé la bambina che ancora, irremovibile, continuava a intonare la canzoncina. L’uomo calciò barbaramente il cadavere di uno dei Marines che gli intralciava la strada, proseguendo il suo cammino verso Trafalgar.
 
“Non avvicinarti!” gridò lanciandogli un’occhiata raggelante.
 
“Sei davvero uno stupido se pensi che ti lascia andare via con quella piccola miniera d’oro, Law.” sghignazzò indicando divertito Yuki.
 
“Questo lo dici tu… Joker.” minacciò con aria di sfida.
 
“Law, perché ti preoccupa tanto quello che faremo a Yuki?” Si leccò sadico le labbra. “Lei non dovrebbe essere nulla per te.”
 
Il corvino corrugò la fronte, assumendo un’ espressione di profonda collera. Forse quell’estrinsecazione sarebbe stata azzeccata nel primo periodo di convivenza con la piccina, quando la considerava una noia, una piccola pulce gorgheggiante. Ma con il tempo cominciò a cambiare, Law. La bambina diventò l’unico legame che il Chirurgo durante il suo periodo di prigionia poteva avere e che era intenzionato a mantenere. E in quel momento, vedendo davanti a se l’uomo che aspirava a strapparla dalle sue braccia, una tale bile gli saliva al cervello.
 
Sfrecciò verso di lui e, grazie ad una rapida successione di Shambles, riuscì a teletrasportarsi dinanzi a lui, assestandogli una violenta ginocchiata in viso, crinandogli una lente dei ridicoli occhiali dalle lenti violacee. Law indietreggiò. Si sistemò alla meglio la piccola sull’avambraccio, arrivando alla conclusione che non era certo una passeggiata combattere  trasportando una bambina di almeno venti o venticinque chili.
 
“Mi importa, stupido fenicottero, mi importa! Questa bambina non sarà mia figlia, ma la amo come se lo fosse.! E’ l’unica persona a cui tengo che mi è rimasta. Mi salvato dalla solitudine e io la salverò da te!” rivelò, furibondo, ringraziando che Yuki non stesse ascoltando.
 
Il biondo lo guardò storto per qualche secondo, per poi scoppiare fragorosamente a ridere. Il pirata lo squadrò in cagnesco, sempre non riuscendo a meravigliarsi della sua snervante reazione ilare. L’unica cosa che lo lasciava perplesso era la sua posa, fin troppo statuaria e immobile per il Doflamingo da lui conosciuto. Allarmante era la posa delle mani, anchilosate come se stesse manipolando i suoi soliti fili. Il moro indietreggiò, fino a raggiungere l’orlo del precipizio; non si fidava assolutamente dell’apparente quiete del fenicottero. Improvvisamente, l’aria venne fesa da una voce gracchiante e maledettamente familiare.
 
”TORAO, SALTA!”
 
Trafalgar sgranò incredulo gli occhi, domandandosi come fossero riusciti ad arrivare in gran segreto e non con i soliti schiamazzi di sottofondo. Scrollò le spalle e ghignò soddisfatto, retrocedendo di un altro passo e lasciandosi cadere nel vuoto. Portò una mano dietro il capo di Yuki e le sciolse con delicatezza il pezzo di stoffa, lasciandolo schizzare via nell’aria sferzante. La castana dischiuse gli occhi e guardò terrorizzata verso il basso, realizzando che stavano precipitando dalla scogliera.
 
”GOMU GOMU NO… AMI!”
 
Dopo un tempo che a entrambi era sembrato interminabile, vennero acciuffati da un complicato intreccio di dita gommose che bloccarono appena in tempo la loro caduta. Il Capitano non fece nemmeno in tempo a tirare un sospiro di sollievo che, inaspettatamente, dal orlo dello strapiombo spuntò nuovamente la possente figura dell’uomo dalla voluminosa pelliccia rosa. Si chinò verso di loro e alzò un indice verso l’alto, allargando ancora di più il suo malefico e sghembo sorriso.
 
Sentì come se qualcosa stesse tirando la piccola nella stessa direzione che stava indicando spasmodicamente il biondo. Un ennesimo fulmine squarciò l’atro cielo, illuminando visibilmente un filo. Un filo attorcigliato attorno alla vita di Yuki, la quale si aggrappava disperatamente al cappotto del padre nel tentativo di resistere all’attrazione del fenicottero. Evidentemente la lotta non era ancora finita e Doflamingo non aveva nessuna intenzione di lasciarsi sfuggire la piccina.
 
La strinse forte al suo petto, ostinato, ripetendosi mentalmente che non doveva perdere la calma. Ma quando un ronzio raggiunse le sue orecchie, realizzò che non c’era tempo di formulare complessi provvedimenti: quegli idioti avevano attivato il Coup de Burst e se non si fosse dato una mossa, Yuki sarebbe stata tranciata in due. La sua mente era talmente atrofizzata dal panico e dalla fretta, che solo in parte si accorse che la bambina stava lentamente lasciando la presa.
 
“Papà…” lo chiamò, pigolando. “Lasciami andare.”
 
Quelle parole furono come milioni di spilli che si conficcarono all’unisono nella sua pelle. La fissò allibito, accorgendosi dei suoi occhi gonfi di lacrime. No, non poteva lasciarla nelle mani di quel soggetto. Aveva promesso che l’avrebbe protetta a tutti i costi. Scosse angosciato la testa, . Per la prima volta dopo anni, sentì la paura strisciare viscida fin dentro la sua anima. E intanto il suono si faceva sempre più udibile. Più forte.
 
“E’ me che vuole, papà, tu non centri nulla…” sussurrò accarezzandogli una guancia.
 
“No, io non ti lascerò a Doflamingo! Non hai idea di quello che ti farà! Io… Io ti avevo promesso che saremmo andati allo zoo…” sospirò affranto, portandosi una mano sugli occhi.
 
La bambina allungò di poco il collo e gli schioccò un dolce bacio sulla guancia, come a volerlo ringraziare per tutto quello che aveva fatto per lei. Piano piano, i loro corpi persero aderenza. Il corvino incuneò i suoi occhi di ghiaccio, afflitti e doloranti, in quelli melliflui di lei. Della sua bambina, la sua Yuki. Quella piccola mocciosa che aveva cercato di sbolognare ad un qualsiasi Marine, quella pulce che ormai era diventata il suo stare al mondo. Solo una mano, ora, si stringeva l’una all’altra, come per darsi conforto. Un ultimo sorriso, un ultimo sguardo, un ultima carezza sulla pelle nivea.
 
“Ti voglio bene, papà…”
 
“Tornerò a prenderti, Yuki… Papà non ti lascerà qui…”
 
E tutto si annullò. Vide la sua bambina sbalzata in aria e presa in braccio dall’uomo che intanto sogghignava compiaciuto. Qualcosa di sconosciuto si mischiò alla pioggia battente. Calda, umida. Una lacrima gli rigò il volto mentre il galeone dalla testa leonina saettò via. L’isola si allontanava sempre di più e, con lei, anche Yuki.
 
Teru teru bozu
Teru bozu
Ashita tenki ni shite o-kure
Sorete mo kumotte naitetara
Sonata no kubi wo
Chon to kiru zo…


-SPAM TIME!-
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