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Autore: Lechatvert    25/03/2014    3 recensioni
Dicono che delle persone si serbino, in genere, tre ricordi.
Di lei, da qualche parte nella mia mente, ne conservo soltanto due, entrambi popolati da quella paura che fa tremare le gambe, quel terrore del buio che fa piangere i bambini quando si soffia sulla candela per spegnerla.

Cominciarono a chiamarla طّ, Qitt, Gatto.
Ma si sa, quando i gatti muoiono, muoiono soli e lontani dal mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Altro personaggio, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Sef Ibn-La'Ahad
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dove cresce l'erba gatta

Ventiseiesimo – promesse non mantenute
(https://www.youtube.com/watch?v=Lud6ZIo-urE)





La guardia che mi teneva d’occhio giorno e notte, sola nell’ultimo piano della torre dove da secoli erano collocate le carceri, morì esattamente una settimana dopo il mio imprigionamento.
Era un ragazzetto piuttosto basso, muscoloso quanto bastava per reggere una balestra, sbruffone oltre ogni limite ma non particolarmente intelligente. Aveva un paio di occhietti scuri così piccoli che, quando una freccia lo colpì dalla tromba delle scale, uno di loro parve sparire sotto la punta di metallo.
Crollò proprio dinanzi alla mia cella, durante un normale turno di ronda.
Io, che leggevo alla luce del minuscolo lucernario di cui la mia cella era dotata, feci appena in tempo ad accorgermi della sua dipartita.
Quando accantonai la lettura per portarmi vicino alle sbarre, non fu difficile dedurre da chi provenisse quel colpo.
Gli unici uomini capaci di colpire un uomo in un occhio con l’ausilio di una sola freccia. Imaad, che purtroppo per me era trapassato da anni, e il figlio maggiore di Altaïr.
In quel momento, non fui certo quale dei due potesse essere più probabile veder sbucare da dietro l’angolo dell’atrio.
« Darim! », chiamai, optando per ciò che mi pareva meno profano.
Un Assassino vestito di bianco comparve dall’oscurità delle scale, camminando verso la mia cella con il volto ancora coperto dal cappuccio.
Si accucciò dinanzi a me, buttando a terra l’arco con il quale aveva commesso il suo omicidio e la sacca che portava su una spalla.
« Ti dovrai accontentare di me », mi rispose la voce femminile di Anbar, mentre si abbassava il cappuccio sulle spalle.
Alzai un sopracciglio.
« Tuo padre non mi aveva mai detto di averti insegnato a tirare con l’arco ».
Lei alzò le spalle, iniziando a frugare nella borsa.
« Mio padre ha nascosto molte cose a molte persone », rispose, lapidale. « Non mi ha lasciata completamente fuori dal mondo ». Prese a tastare la cappa della guardia, girando il corpo per raggiungere le tasche interne. « Niente chiavi », commentò, arricciando le labbra in un’espressione delusa. « Ma ho comunque qualcosa per te ». Aprì la sacca, prendendo a frugare all’interno con foga. Alla fine, mi porse una bisaccia. « Acqua », spiegò. « Non te ne devono dare molta, quassù. Sei dimagrito ».
Assieme alla bisaccia, allora, mi porse anche un sacchetto di datteri e semi.
Erano settimane che non buttavo giù altro che croste di pane vecchio e radici rinsecchite vecchie di anni, eppure non toccai cibo. Mi avventai invece sull’acqua, buttandone giù quanta più potei assicurandomi però di non svuotare la bisaccia. Se volevo andare avanti senza moire di sete, mi sarebbe servita.
« Quali notizie, dalla fortezza? », chiesi, dando un ultimo sorso.
Anbar alzò le spalle.
« Stanno provando a mettere su un consiglio, ma anche uno stupido capirebbe che è una manovra di Abbas per prendere il potere. Per ora, si sta temporeggiando a causa di qualche scettico che ancora resta fedele ad Altaïr. Tempo di farli fuori e sarai il primo a ricevere un processo da quel gruppo di debosciati ».
« E Malika? »
La vidi sussultare.
« Sicuro di volerlo sapere? »
Non sussultai che un istante, ma ad Anbar bastò un istante del mio silenzio per scuotere il capo.
« Spaventata come un coniglio dopo averti fatto cadere in trappola », rispose. « L’hanno messa in una stanza d’ospedale, ben sorvegliata nel caso mi venisse l’idea di tornare a strangolarla ».
« Tu dove ti sei nascosta?»   
« Sono partita verso il Regno subito dopo la tua incarcerazione. Ho lasciato le mie figlie alle donne di un villaggio, ne avranno cura finché non sarò di ritorno ».
« Saresti dovuta andare dritta a Gerusalemme ».
Anbar roteò gli occhi, alzandosi in piedi, probabilmente alla ricerca di qualcosa per scassinare il lucchetto che mi teneva in gabbia.
« Se fossi andata a Gerusalemme sarebbero potuti passare mesi, prima di poter fare ritorno a Masyaf », spiegò. « Difficilmente ti avrei ritrovato vivo ».
Provò a spiccare un balzo verso l’alto per afferrare una trave sporgente dal muro di mattoni e provare a scardinarla, ma non arrivò a sfiorarla neanche con la punta delle dita. Allora, stizzita, si portò le mani ai fianchi, calciando il pavimento con fare seccato.
« Troverò il modo di farti uscire di qui », commentò.
Io mi accigliai.
« Non ci metterei la mano sul fuoco », replicai. « Dovessi anche trovare il modo di tirare giù la porta – e ne dubito – avresti comunque un vecchio da tirarti appresso. Non credo riusciresti a varcare la soglia della fortezza senza che qualcuno ti noti ». Sospirai pesantemente, trascinandomi debolmente verso il mio libro abbandonato sulla paglia. « Torna dalle tue figlie, Anbar », dissi dopo un istante. « Avresti dovuto salvarmi quando ne avevi la possibilità sui corridoi della fortezza. Sempre che non fossi io, il tuo bersaglio ».
Alle mie spalle, la sentii esitare.
« Lo eri », disse poi, strappandomi uno sbuffo ferito. « Ma non per il motivo che pensi ». Si interruppe e per un istante parve persino esitare. « Sef mi ha parlato molte volte di come finiscono i loro giorni le persone in queste celle; di certo non avrebbe voluto vederti morire qui dentro. Per questo pensavo … »
« Di darmi la grazia? », incalzai.
Lei sospirò.
« Di farti morire con dignità ».
Mi voltai e per un istante non facemmo altro che guardarci negli occhi.
Anbar era alta, dalla carnagione chiara a causa di tutto il suo star chiusa in ospedale, con i capelli nerissimi e gli occhi verdi di sua madre. Aveva uno sguardo deciso, forte, per niente specchio del dolore che sapevo aveva provato con la perdita di suo marito.
Osservandola sbuffare infastidita dalla mia reazione, mi chiesi da chi potesse aver ereditato tutta la fermezza che con ardore contraddistingueva il suo carattere. Forse, se negli anni precedenti mi fossi preso il tempo di conoscere più a fondo Qitt e Imaad, mi sarei reso conto di come anche loro erano feroci e valorosi.
Forse mi sarei addirittura stupito di come, fin da ragazzini, a loro bastasse un’occhiata per zittirsi a vicenda, a come non li avessi mai visti bisticciare o darsi contro. Di come Imaad tirava sua moglie fuori dai guai con pazienza e di come lei gli rimproverasse ogni spavalderia con nient’altro che un’occhiata delusa.
« Perché non mi hai ucciso? », chiesi, d’un tratto, smantellando con un respiro i ricordi che si sovrapponevano nella mia mente.
Anbar scosse il capo.
« Non mi sarei mai perdonata di mancarti e lasciarti ad agonizzare sul pavimento della tua stessa dimora », rispose. Sospirò, poi mi fece cenno di avvicinarmi nuovamente alle sbarre. « Ma ti ho portato un’altra cosa ». Frugò nella tasca della sua cappa e allungò verso di me il pugno chiuso.
Quando lo aprì nella mia mano, vi depositò dei semi piccoli e neri, dalla superficie ruvida come quella dei semi di papavero.
« Stramonio », mi disse, seria. « Se lo prendi prima di andare a dormire, non ti renderai conto di niente ».
 « Non volevi portarmi via? », chiesi.
« Ero pronta ad ogni possibilità. Se mi dovessero trovare qui, rafforzerebbero la difesa ed entrare diventerebbe più difficile ».
Si scostò dalle sbarre, compiendo qualche ampio passo sul corridoio delle celle, arrivando fino al tavolo dove i miliziani solitamente sedevano durante il turno, per poi tornare indietro con aria sconsolata.
Scosse il capo, premendosi due dita sulle labbra per apparire pensierosa.
« Forse, la guardia al piano inferiore … »
Io sospirai.
« Va’ a Gerusalemme e mettiti in salvo, Anbar », dissi, tornando verso i miei libri. « Le tue figlie hanno già perso un padre e la loro casa, non privarle di ciò che le resta ».
Anbar annuì, passandosi una mano sul collo.
« Non ti lascerò solo », rispose. « Avvertirò il Rafiq di Gerusalemme, manderò degli Assassini a prenderti ».
« Fa’ quello che devi fare, ma va’ lontano da qui prima che qualcuno noti che qualcosa non va ».
La guardai muovere piano il capo, mentre impacciata si assicurava una spada alla cintura che le stringeva i fianchi.
« Mi dispiace », mormorò, prima di voltarmi le spalle e avviarsi verso la tromba delle scale.
Io la bloccai facendo il suo nome.
« Fammi un favore », le dissi.
Lei si voltò a guardarmi e scosse subito il capo, come se con chissà quale sortilegio fosse stata in grado di leggere la mia mente.
« Non la porterò con me, se è questo che vuoi chiedermi », rispose, leggera.
« È la madre di mio figlio ».
Anbar alzò le spalle.
« Non del mio. Se non fosse stato per lei, forse Sef sarebbe ancora vivo. Per quanto mi riguarda, spero che Abbas faccia presto ad accorgersi che non gli è di più di alcuna utilità e che si liberi di lei nello stesso modo in cui si è liberato di mio marito ». Fece una pausa, tastandosi la casacca per controllare di non aver dimenticato nulla, dopodiché mi rivolse un’ultima occhiata. « Salute e pace, Malik ».
E detto ciò si dileguò con un paio di balzi sulla tromba delle scale, lasciando ad accompagnare la sua memoria soltanto un lieve rumore di passi che frettolosamente scendevano le scale.
Rimasi impalato a guardarla andare via, incerto se provare ancora a trattenerla o se accettare che, qualunque cosa avessi da dire non sarebbe mai stata abbastanza per farle cambiare idea.
Quella fu l’ultima volta che la vidi.






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Note d'autore
Ciao, sono stata in campeggio!
E laggiù ci sono i mattoni che potete sentirvi liberi di tirarmi per quest'assenza che non mi perdonerete mai e che siete più che giustificati a non perdonarmi.
Perché sì, sono stata nel campeggio della mia pigrizia e per questo non ci sono molte scusanti xD Quindi mea culpa su tutta la linea.
Scherzi (mica tanto) a parte, ho avuto un calo d'ispirazione da premio oscar, perché sapevo cosa scrivere ma non sapevo il come, cosa che puntualmente mi distrugge.
Ma dovrei aver recuperato ciò che è andato perduto, quindi il prossimo (e ultimo!) capitolo arriverà presto, I swear. L'epilogo, infine, è stato scritto talmente tanti mesi fa che ormai starà facendo la muffa u_u
Insomma: siamo a cavallo.
Mi scuso ancora una volta per questa sparizione marzolina, prometto di impegnarmi a rispettare la puntualità con cui ho iniziato (come si dice: uno parte sempre con le migliori intenzioni, ma  poi ... :P)

Tanti abbracci (i biscotti!),

Lechatvert


   
 
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