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Autore: KikiShadow93    25/03/2014    9 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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«Mettici più impegno!» la riprende per l'ennesima volta Marco, sferrandole un potente calcio nel fianco, facendola così cadere rovinosamente a terra.
Akemi non si da per vita e subito si rialza, snudando istintivamente le zanne in segno di minaccia.
«Possibile che tu ancora non abbia imparato niente?!» la sgrida con tono eccessivamente duro, mandandola in bestia. 'Perfetto.'
Marco sa bene che l'unico modo per farla battere sul serio, per scatenare il suo talento e la sua forza distruttiva, è farla arrabbiare. Di conseguenza ha preso ad essere il più odioso possibile durante i loro allenamenti, riuscendo così ad innescare in lei quel meccanismo di difesa micidiale di cui inconsciamente dispone.
Scatta in avanti, Akemi, provando ad afferrarlo. Ma Marco è decisamente più allenato di lei, più veloce e forte, quindi i suoi tentativi risultano vani.
C'è anche da dire, però, che Akemi non sta facendo realmente sul serio.
Dalla visita a sorpresa di Wulfric di due settimane prima, per lei è cambiato tutto.
Da quando ha scoperto il suo strano dono, consistente in piccole casse contenti delle bottigliette di vetro scuro, la sua vita ha preso una svolta diversa: la sua forza è aumentata considerevolmente, la sua anemia sparita, il suo aspetto è migliorato.
Detta così potrebbe anche sembrare una specie di cura miracolosa, un qualcosa su cui tutti quanti vorrebbero mettere le mani per migliorare la propria vita, ma non è così. Dopo un solo, piccolo assaggio di quel liquido scuro dall'odore penetrante e dal sapore dolce e allo stesso tempo ferroso, ha sviluppato immediatamente un forte senso di dipendenza, tanto da trovare assai difficoltoso berne solo metà dose al giorno. Infatti, dopo quel primo assaggio, si è scolata senza tanti ripensamenti due bottigliette di quello strano liquido, sentendosi immediatamente invincibile. Invincibile e incredibilmente diversa.
I suoi occhi brillavano di una luce nuova, ammaliante, i suoi capelli erano diventati più lucidi e forti, il suo corpo ancora più tonico e la pelle più liscia.
Ma non è stato solo il suo corpo a subire dei cambiamenti: di colpo si è ritrovata ad essere più aggressiva, soprattutto nelle ore notturne, e a provare il forte desiderio di far del male a diversi componenti della ciurma. È riuscita a trattenersi solo grazie all'amore smisurato che prova per loro, e per l'intervento di Ace quando ha provato a piantare una forchetta nella schiena lardosa di Teach.
Dopo questo evento ha capito che doveva andarci piano con quella roba, bere la dose in diversi momenti della giornata e, soprattutto, fare tutto quello che è in suo potere per rimanere tranquilla. Non si perdonerebbe mai se facesse del male a qualcuno, anche se quel qualcuno fosse Teach.
«Allora, mocciosa, sei già stanca?» la sfotte Marco, riportandola con i piedi per terra, provando a tirarle un pugno, che però viene parato.
Lo afferra con forza per un polso e prova a sferrargli un montante nel mento, senza però riuscirci e venendo a sua volta bloccata.
«Smettila di giocare!» le urla contro, sbattendola a terra con forza e scattando subito all'indietro per evitare il contrattacco «Vuoi che continuino ad ammazzarti in continuazione?!»
Akemi, punta nell'orgoglio, prova a scattare in avanti per tirargli un pugno, ma la Fenice la blocca immediatamente, rigirandosela tra le braccia come una bambola e tenendola ferma.
«Come farai quando ti troverai di fronte ad avversari davvero forti?» le stringe con forza i polsi, tenuti all'altezza del petto, bloccandole i movimenti, resistendo alla sua incredibile forza fisica.
Akemi lotta fino all'ultimo, ma non appena sente il respiro caldo della Fenice sul collo si immobilizza, puntando gli occhi nel grande specchio che ha di fronte, trattenendo il respiro.
Sente le ginocchia cedere, tanto che se Marco non la stesse tenendo crollerebbe a terra, lo stomaco in subbuglio e la bocca secca. Quando poi il pirata alza gli occhi, incrociando i suoi nel riflesso dello specchio, sente il cuore farle una capriola nel petto.
Rimangono fermi così, stretti e in silenzio, per un tempo che pare loro infinito. Il cuore di Marco batte stranamente veloce, i suoi occhi sono fissi in quelli di ghiaccio della ragazza che trema impercettibilmente tra le sue braccia, le sue mani hanno allentato considerevolmente la presa, tanto da scivolare lentamente sulle mani fredde di lei, stringendole appena, e la sua strafottenza è improvvisamente svanita, lasciando spazio ad una forte confusione.
Abbassa gli occhi, guardando il profilo delicato della ragazza come ipnotizzato e in poco Akemi volta la testa per poterlo guardare negli occhi, rapita dal battito frenetico del suo cuore.
I loro occhi sono puntati gli uni in quelli dell'altra, i respiri si fondono, le labbra si sfiorano appena.
«Marco, dove sei?» il richiamo forte di Ace li fa sobbalzare e staccare come se si fossero scottati. Si guardano sotto shock, consapevoli di ciò che sarebbe successo e in pochi istanti il primo comandante esce dalla palestra a passo di carica, lasciandola da sola con i suoi pensieri.
'Cosa diavolo mi è saltato in mente?! È una ragazzina, l'ho vista crescere, l'ho pure tenuta in braccio!' si passa le mani sul volto frastornato, andando in contro al secondo comandante, che lo saluta con un sorriso radioso.
«Va tutto bene?» gli domanda sempre con una certa allegria, mettendogli un braccio attorno alle spalle mentre si dirigono con passo calmo verso la stiva per controllare come sono messi con i rifornimenti.
«Tutto bene, si.» risponde sbrigativo il maggiore, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
Anche se non vorrebbe, anche se si concentra per non pensarci, non riesce ad evitare di rivedere nella sua mente lo sguardo quasi ipnotizzato di Akemi che lentamente si avvicinava al suo. Non riesce a non pensare al suo corpo, che in breve tempo si è sviluppato al punto da farla sembrare una giovane donna di circa venticinque anni. Non riesce a non pensare al suo inquietante sorriso pieno di allegria quando scherza con lui o con gli altri, ai suoi modi di fare infantili, al suo impegno quando l'allena, ai gesti dolci che rivolge al suo capitano.
'Non poteva restare una mocciosa rompicoglioni?! No! Doveva crescere e diventare ancora più rompicoglioni di quanto già non fosse!'
Akemi, nel frattempo, si è messa ad allenarsi da sola con i pesi, rimuginando incessantemente su quel bacio mancato. Non capisce come sia potuto accadere, cosa sia successo a quel ragazzo tanto arrogante e freddo per lasciarsi andare così, per avvicinarla tanto. Ci pensa e ci ripensa, senza però riuscire a giungere a nessuna conclusione.
'Io non gli piaccio, non in quel senso. Si, insomma, lui ha Bay... io non sono di certo alla sua altezza, sotto tutti i punti di vista.'
Rimette a posto il bilanciere con un movimento frettoloso e frustrato, mettendosi a sedere e passandosi le mani sul viso imperlato di sudore.
Quando poi vede il proprio riflesso nello specchio, non riesce a non paragonarsi alla piratessa dai capelli turchesi.
Vede il proprio corpo magro, la pelle tesa grazie ai muscoli sviluppati, l'addome su cui s'intravede una lieve tartaruga, la carnagione incredibilmente pallida, gli occhi tanto chiari da sembrare quasi quelli di un cieco. Si vede e non riesce a vedere altro che una ragazza strana, una specie di mostro bizzarro che veste sembianze umane.
'Lei è normale. Lei non crea problemi. Lei è forte, è bella e femminile. Io... io sono strana. Ho i denti aguzzi, gli artigli neri, un carattere intrattabile che non riesco a cambiare, una spiccata aggressività che non si spiega, sono dipendente da quella brodaglia che mi ha rifilato quel pazzo. Io sono semplicemente sbagliata.'
«Ehi!»
Volta la testa verso l'ingresso, sorridendo nel modo più dolce che può al quarto comandante, arrivato a tenerle compagnia.
«Come mai da queste parti?» gli domanda alzandosi da terra e andandogli in contro, mettendosi l'asciugamano sulle spalle e dirigendosi al suo fianco verso la propria cabina per una bella doccia.
«Non posso avere voglia di passare un po' di tempo con la mia adorata sorellina?»
Akemi si blocca in mezzo al corridoio e lo guarda con l'aria di chi la sa lunga, facendolo sbuffare.
«Non ti si può nascondere niente, vero?» si passa una mano dietro al collo con fare nervoso, Satch, sospirando forte. Non voleva rivelarle niente per non farla preoccupare, ma sapeva che sarebbe stato difficile, se non impossibile.
«Babbo non si è sentito molto bene un paio d'ore fa.» ammette con dispiacere, sentendo una stretta allo stomaco di fronte al suo sguardo sgomento «Non preoccuparti, le infermiere si sono già occupate di lui. Vedrai che entro stasera sarà come nuovo.»
Malgrado senta la sua sincerità, Akemi non riesce a credergli. Sa che la salute di suo padre non è delle migliori, che un peggioramento potrebbe essergli anche fatale, quindi non riesce a credere alle parole del pirata.
Una lacrima scarlatta le riga la guancia pallida e Satch di slancio l'abbraccia, stringendola forte al petto.
«Akemi, credimi: va tutto bene, ok? Ran e le altre sanno fare il loro lavoro, è in buone mani, ok? Andrà tutto bene.» prova a rassicurarla, con scarsi risultati «Akemi, guardami.»
La ragazza alza gli occhi sul viso gentile dell'uomo e un timido sorriso le increspa le labbra rosee.
«Ti prometto che andrà tutto bene, ok? Ricordati sempre che in ogni caso ci saremo sempre noi al tuo fianco. Va bene?»
Annuisce piano, passandosi il dorso delle mani sugli occhi per pulirsi, finendo solo con l'impiastricciarsi le guance.
«Vai a lavarti, forza.» le da un'amichevole pacca sul sedere per allontanarla e solo in quel momento si rende definitivamente conto di quanto sia cresciuta.
I ricordi di quando era piccola e spensierata riaffiorano prepotentemente, facendo spuntare sul suo viso un sorriso amaro.
'La vita è stata ingiusta con te in tanti modi, sorellina... ma non devi disperarti. Tutti noi saremo sempre al tuo fianco.'
La guarda sparire in fondo al lungo corridoio e un forte senso di gioia lo pervade, lasciando trasparire dagli occhi l'orgoglio che un padre può provare nei confronti di un figlio. Perché lei praticamente è tutto: amica, compagna, sorella, figlia. Ha trovato in lei tutto quello che gli mancava. Certo, tutto tranne che un amante, ma per questo non si fa problemi. In fondo, ogni volta che sbarcano, gli va assai bene con il gentil sesso.

«Beh, in quanto a provviste siamo messi abbastanza bene. Dovremmo reggere tranquillamente fino alla prossima isola.» afferma sovrappensiero Ace, grattandosi la nuca distrattamente.
Marco, al suo fianco, non ha ascoltato neanche una parola. In parte è preoccupato per Barbabianca dopo essere stato informato dal compagno del suo malore, in parte ha addosso un'ansia incredibile per l'incontro che a breve avrà con Akemi. Perché lui non è stupido come lei e non la eviterà come una lebbrosa per una sciocchezza simile.
Se però ripensa alla sciocchezza in questione, non riesce a non prendere in considerazione l'idea di abbassarsi al suo livello di idiozia e cominciare ad evitarla. Sorgerebbe però il problema che gli altri noterebbero quel il cambiamento e gli farebbero un sacco di domande scomode. Perché a lui è ovvio che le farebbero, perché psicologicamente stabile e non incline ad esplosioni di rabbia incontrollata come Akemi.
Preso dai suoi mille pensieri, Marco non si rende neanche conto di essersi seduto al suo posto a mensa.
'Quando ci sono arrivato?'
Solo in quel momento, inoltre, si rende conto degli sguardi preoccupati dei fratelli, intenti a fissare insistentemente le pagine del giornale che Blamenco tiene stretto tra le mani.
'Che è successo?' allunga la testa pure lui per riuscire a capire cosa abbia suscitato in loro tanto interesse -pure in Ace!- ma l'arrivo delle due piratesse, intente a scherzare tra loro, lo manda nel panico.
'E se Halta sapesse? E se lo venisse a sapere chiunque di loro?! Cazzo!'
Sposta repentinamente gli occhi non appena incrocia quelli chiari di Akemi, non vedendo così l'espressione scocciata della minore.
'Sono un'idiota...' pensa sconsolato, tornando a leggere l'articolo che, poco a poco, lo sta sconvolgendo profondamente, forse più di quel bacio mancato.
'Chi diavolo può aver fatto una cosa simile?'
Halta si siede tranquillamente al suo posto, affiancata immediatamente dall'amica, e le espressioni turbate dei compagni accendono in lei una forte curiosità «Ehi, che sono quei musi lunghi?»
«Non hai letto il giornale?» le domanda Jaws con voce dura, tenendo le braccia incrociate al petto ampio e muscoloso.
La comandante nega con la testa, voltandosi poi verso Akemi, che a sua volta muore dalla curiosità di sapere cosa sia successo di così grave.
«Neanche io.» afferma infatti la corvina, cercando gli occhi di Ace, preoccupata che possa essere successo qualcosa al suo adorato fratello «Qualcosa di grave?»
«Qualcuno ha ammazzato due Draghi Celesti.» mormora Atmos, ancora intento a leggere.
«E occorre essere così tristi? Quei bastardi meritano la morte.» scherza Akemi, tirando un sospiro di sollievo, facendo un ampio sorriso ai compagni. Sorriso che si spegne immediatamente di fronte alle loro espressioni dure.
«Mostraglielo.» ordina Satch a Blamenco, che a sua volta passa il giornale alle due ragazze.
Halta lo afferra con decisione e comincia a leggere a voce bassa, consapevole che la ragazza al suo fianco la può sentire distintamente.
«“Ritrovati questa mattina, nella loro residenza, due Draghi Celesti assassinati. Entrambi sono stati drogati con una forte tossina paralizzante che non avrebbe permesso loro di urlare per chiedere aiuto ed in seguito sono stati spellati vivi. Una sostanza urticante è stata poi ritrovata sui loro corpi. Ancora ignote le identità degli assassini che hanno compiuto il massacro, si sospetta che siano gli stessi che nelle ultime settimane stanno disseminando terrore e morte in giro per varie isole del Nuovo Mondo e, ora, anche nella Rotta Maggiore.”»
«Porco cazzo.» afferma Akemi, lasciando trapelare un certo stupore. In effetti, per quanto non gli dispiaccia per la morte di quegli infidi bastardi, sa bene quanto sia difficile avvicinarli. Ucciderne due nella loro stessa residenza è una cosa da considerare pressoché impossibile!
'Perché mai l'avranno fatto?'
«Gira la pagina, c'è allegata la fotografia e il resto dell'articolo.» consiglia loro Izo, giocherellando distrattamente con il cibo che ha di fronte. Se ne pente immediatamente però, dal momento che dopo averla vista gli è passato completamente l'appetito!
Akemi, senza esitare neanche un secondo, volta la pagina, sgranando gli occhi per il disgusto. È vero che nei suoi incubi ha visto tante cose brutte, tra cui tutta la ciurma fatta a pezzi, lei stessa che veniva mangiata o roba del genere, ma vedere la fotografia di due cadaveri completamente spellati e pieni di vesciche sulla pelle viva le fa una certa impressione. Inoltre, sul muro alle loro spalle, sono ben visibili diversi disegni e una scritta fatti con il sangue che è stato loro tolto e messo in due grossi secchi di metallo.
«Per Dio...» mormora con un filo di voce Halta portandosi una mano alla bocca, cercando con tutta sé stessa di trattenere un conato di vomito «Chi mai sarebbe capace di una cosa simile?»
«Akemi, sai tradurre la scritta dietro di loro?» le domanda con tono duro Marco, guardandola finalmente negli occhi.
Akemi, seppur senta la forte tentazione di saltare dall'altra parte del tavolo e prenderlo a testate per il suo atteggiamento indisponente, riabbassa semplicemente gli occhi sulla macabra fotografia.
“Dødsfall er bare begynnelsen”, legge in silenzio quelle parole con attenzione, cercando di decifrarle, senza però riuscire a cavare un ragno dal buco.
«La morte è solo l'inizio...»
Sgrana gli occhi come se si fosse risvegliata da un brutto sogno, trattenendo il respiro. L'ha sentita, ne è sicura. Dopo venti giorni di assoluto mutismo, in cui l'ha visto solo in ricordi appartenenti ad una vita lontana e quasi irreale, eccolo che torna a farle visita nella sua mente, serio come poche volte in vita sua.
'Tu lo capisci?'
Come era prevedibile, però, dopo essersi lasciato scappare quella traduzione se ne è tornato nel suo angolo oscuro e lontano da lei, lasciandola di nuovo sola con mille e più dubbi.
«La morte è solo l'inizio.» afferma dopo un attimo di silenzio, con voce sicura e ferma.
«Come puoi dirlo con tanta sicurezza?» le domanda Halta, guardandola con aria circospetta. In fondo ogni volta che assume quell'espressione assorta fissando il vuoto, vuol dire che sta parlando con lui.
«Lasciamo perdere.» risponde freddamente Akemi, buttando di lato il giornale e andandosene con passo svelto, più che decisa a prendersi una boccata d'aria per riordinare le idee.
'Perché non mi parli più, brutto mentecatto? Sono curiosa di sapere quale assurda ragione hai trovato per evitarmi. Sapevi benissimo anche prima che ti dicessi di sparire che la tua presenza non era ben gradita, che non avevo assolutamente voglia di sentire tutte le tue stronzate, eppure non mollavi neanche un secondo la presa. Te la sei presa, per caso?'
Quando, dopo quale minuto dalla sua silenziosa domanda, non sente arrivare nessuna risposta dal diretto interessato, un forte senso di angoscia l'assale.
'Non mi vuoi neanche tu... così come non mi volevano loro.'
L'idea di essere stata abbandonata, scaricata come un rifiuto, torna dolorosamente nella sua mente, facendole provare una forte fitta al cuore.
Fissa l'orizzonte con sguardo malinconico, trovandosi per l'ennesima volta a domandarsi che aspetto abbiano, se assomiglia ad uno dei due, quale sia la loro voce.
Si trova di colpo a fantasticare su di loro, a figurarseli nella mente. S'immagina una ragazza dai folti capelli neri e i lineamenti delicati, probabilmente troppo giovane per prendersi cura di un bambino, e un uomo più maturo, dai brillanti occhi azzurri come il cielo d'Agosto.
'Peccato solo che non lo saprò mai...'
Si dirige con passo calmo verso la polena, le mani nelle tasche posteriori dei pantaloncini corti e la testa china. I capelli le ricadono ai lati del viso non appena si toglie gli occhiali da sole dalla testa per riparare i sensibili occhi dalla fastidiosa luce che li fa pizzicare.
Da due settimane, infatti, sembra aver sviluppato una forte fotofobia che le provoca un discreto fastidio ad esporre gli occhi alla luce. Allo stesso tempo, però, ha sviluppato quella che, secondo lei, è l'inutile capacità di vedere chiaramente al buio.
'Si dice che la vita sia come una favola... beh, allora la mia è stata scritta male.'


«Scala reale.» Vista poggia con teatralità le carte sul barile su cui stanno giocando, sorridendo fiero «Siamo dodici a zero. Sicura di voler continuare?»
«Chi arriva prima a quindici?» borbotta Akemi, massaggiandosi le tempie.
Tutti quelli che stanno osservando quell'ardua lotta non riescono a trattenere le risate di fronte all'improponibile sfortuna che la ragazza ha al gioco. Perché non si è mai vista una persona così incapace di vincere a un qualsiasi gioco d'azzardo o simili! Anche a ruba mazzo perde miseramente!
«C'è da riconoscere che non molli.» le sorride allegramente Vista, facendola sbuffare.
'Almeno non punta più i soldi!' pensa sollevato, dal momento che l'idea che qualcuno la ripulisse di qualsiasi cosa non appena messo piede a terra l'aveva sfiorato più volte.
«Riuscirò a vincere almeno una volta, eh!» sbotta determinata mentre mescola le carte con estrema concentrazione, più che decisa di farsi spiegare da Speed Jill come barare non appena saranno lontani da occhi indiscreti.
Barbabianca, dal suo seggio, li osserva distrattamente mentre iniziano la tredicesima partita e l'idea di andare a prendere per un orecchio la discola figlia lo sfiora. È troppo umiliante farsi battere così spudoratamente!
Quando, un paio d'ore prima, l'aveva sentita urlare come una matta perché voleva giocare a scacchi, si era scompisciato dalle risate. Vederla battere i piedi a terra come una bambina, con i pugni stretti lunghi i fianchi, gli ha ricordato incredibilmente quando da piccola voleva mangiare qualcosa fuori dai pasti, o quando voleva assolutamente imparare ad usare una spada o una pistola, o quando voleva stare a tutti i costi al timone.
'Eri così piccola ed ingenua...' pensa sorridendo nostalgico, guardandola mentre pesca l'ennesima carta sbagliata.
'Ora sei una giovane donna piena di talento, una campionessa in erba. Un giorno sono sicuro che farai grandi cose, figlia mia. Il tuo nome sarà conosciuto in tutti i mari. Sarà proprio il dolore che ti porti dentro a farti crescere, a farti raggiungere la vetta. Non temere, quindi: arriverà il tuo momento.'
All'improvviso un forte dolore gli attanaglia il petto, tanto da mozzargli il respiro. Dolore che poi si irradia nel braccio sinistro e lungo il collo.
Trattiene a stento un forte conato di vomito, piegandosi lievemente su sé stesso, mentre un senso di debolezza e affaticamento gli impediscono di respirare regolarmente.
Le infermiere notano questo strano gesto e presto gli si avvicinano.
«State bene, capitano?» gli domanda timidamente Tachi, attirando involontariamente l'attenzione di Akemi, adesso voltata verso il genitore con sguardo incredibilmente attento.
Barbabianca nel frattempo respira sempre più faticosamente, tenendosi una mano sul petto. Non riesce neanche a chiamare l'aiuto di Ran, un po' per orgoglio e un po' per il troppo dolore provato e il poco fiato nei polmoni.
Ma la donna, arrivata in quel momento sul ponte dopo essere stata chiamata da una delle compagne, accorre immediatamente in suo aiuto.
«Aiutatemi a portarlo immediatamente nella sua cabina!» ordina con tono duro e subito Fossa e Blenheim accorrono al suo fianco per accompagnarlo. L'uomo, però, dopo una fitta più acuta delle altre, si lascia cadere in avanti, in arresto cardiaco e respiratorio.
«FATE PRESTO!»
Sul ponte della nave si scatena velocemente il caos: tutti accorrono, le infermiere urlano in preda al panico e alla rabbia, l'adrenalina sale dentro ognuno di loro insieme alla paura.
Non era mai successo prima che si sentisse così male e non erano realmente preparati alla cosa.
Akemi, immobilizzata dal terrore di poterlo perdere, di perdere colui che nella sua vita conta più di chiunque altro, il suo amore, il suo papà, fissa la scena con gli occhi sgranati e le lacrime che silenziosamente le rigano le guance pallide.
Alcuni dei suoi compagni sono immobilizzati al suo fianco di fronte alla cabina dove le donne si sono chiuse con il capitano moribondo, pervasi dalla paura dalla testa ai piedi. Vorrebbero aiutare, darebbero volentieri il loro cuore se questo significasse salvarlo*, ma sanno perfettamente che sono completamente inutili in quel momento.
Akemi li guarda con aria sconvolta, arrivando velocemente ad una conclusione.
'È colpa mia... è solo colpa mia. Dovevo insistere di più con Týr, dovevo entrare in coma e assillarlo fino all'esaurimento nervoso... invece l'ho lasciato stare. L'ho lasciato stare e non ho scoperto il suo segreto, non ho scoperto come poterlo guarire...'
Chiude con forza gli occhi, stringendo i denti per la rabbia che le sta facendo ribollire il sangue.
'Týr!' urla nella sua mente, furiosa come mai lo era stata prima d'ora.
Da parte dell'uomo però non riceve alcuna risposta, cosa che la manda ancora più in bestia.
Un ringhio profondo le squarcia la gola, la furia diventa tangibile.
'Týr, brutto figlio di puttana, lo so che ci sei! Dimmi immediatamente come aiutarlo! Me lo avevi promesso!'
«Parli con me?» finalmente le risponde, il tono strafottente come sempre, una leggera risata derisoria segue quelle semplici parole.
'Si, con te, STRONZO!'
«Quanto sei scurrile...» è divertito oltre ogni limite e ciò non fa altro che alimentare la sua furia.
'Aiutami subito.' ordina perentoria, aprendo finalmente gli occhi, vedendo il caos che regna sulla nave. Tutti urlano preoccupati, la loro angoscia è visibile, il dolore è contagioso.
«Non rispondo certo ai tuoi ordini, mocciosa.»
'Su-bi-to.' sibila minacciosa, stringendo i pugni fino a piantarsi i lunghi artigli nella carne. Il sangue cala denso e lento dalle ferite, ma quel dolore non la sfiora neanche. La preoccupazione per le sorti del suo adorato padre le occupa completamente la mente, insieme alla rabbia cieca contro quel pazzo imbroglione.
«Prova a sconfiggermi, ragazzina. Se ne sarai in grado, ti dirò cosa potrà giovare alla sua precaria salute.»
I suoi occhi fiammeggiano, il suo corpo si muove da solo, animato da una rabbia oscura, profonda, primitiva. La sua mano corre ad afferrare una delle pistole appese ai fianchi del sedicesimo comandante, immobilizzato dalla preoccupazione al suo fianco. L'afferra con decisione e fa due passi indietro; lo sguardo fermo, determinato, folle.
«Akemi?» sussurra Halta con una preoccupazione crescente nella voce, avviso che fa voltare di scatto tutti quelli che la circondano.
Akemi non la degna neanche di uno sguardo, traendo un lungo respiro. Poi semplicemente mette la pistola tra le labbra, la stringe con i denti per farsi forza e preme il grilletto. Il sangue schizza copioso, il corpo cade a terra senza vita.
«NO!» Satch si precipita al suo fianco, sollevandola da terra e scuotendola con forza.
Gli occhi della ragazza rimangono aperti, vuoti.
«NO! AKEMI?! NO!»
Halta si porta al suo fianco, mettendogli una mano sulla sua per calmarlo «Calmati.» ordina perentoria, puntando lo sguardo sulla sorella che giace morta tra le braccia del compagno «Si sta già rimarginando.»
«Perché cazzo lo ha fatto?!» urla Ace, in preda ad una crisi isterica.
«Voleva Týr...» risponde con un filo di voce la piratessa, passandole una mano sul viso pallido e freddo.
«Chi?» domanda senza capire Ace, buttandosi in ginocchio al suo fianco, prendendo involontariamente una mano di Akemi tra le sue.
«L'uomo dei sogni. Si chiama Týr.» risponde semplicemente Halta, chiudendole gli occhi.
«Che cazzo di nome è?» domanda un più che confuso Izo, in piedi di fronte a tutti loro. Non sa cosa fare, chi aiutare e come.
Marco, inginocchiato vicino alle gambe della compagna, le posa con delicatezza una mano sul ginocchio, guardandola con una tristezza struggente «Forza ragazzina...»

Dove sei? Dove sei andato, lurido cane bastardo? Mi volevi, no? Volevi uno scontro con me, giusto? Bene, sono qui adesso. Vieni a prendermi!
«Ingoiare un proiettile per vedermi? È il gesto più folle e teatrale che qualcuno abbia mai compiuto per me.» derisorio come sempre, arrogante come poche volte lo era mai stato. Nei suoi occhi brilla una strana luce, un desiderio fin'ora represso. La sua voglia di sangue, di battaglia, è così forte che forse riuscirei pure a toccarla con mano.
«Allora dimmelo subito, se sei così sorpreso.» so bene che le mie parole sono inutili, che sono un completo spreco di fiato, ma non posso scattare verso di lui così apertamente. La distanza che ci separa sarebbe solo un vantaggio per lui, e so bene che pure lui lo sa. Mi gira in torno, lentamente, come un predatore che ha appena messo alle strette la preda.
«Non mi frega niente di essere sorpreso.» sogghigna divertito, mettendosi in guardia. Il suo corpo è teso, i muscoli pronti a scattare, gli occhi attenti «Vediamo di cosa sei capace, mocciosa.»
Non posso attendere. Dovrei, perché gli sto offrendo un vantaggio notevole, ma c'è di mezzo la vita di mio padre.
Scatto in avanti velocemente, determinata ad affondare gli artigli nella tenera carne del suo collo pallido, venendo però abilmente evitata.
Sa come muoversi, alle spalle deve avere una scia di sangue e morte così lunga che probabilmente dovrebbe farmi rabbrividire, ma non posso permettergli di vincere. Non questa volta.
Scatto di nuovo, riuscendo ad avvicinarlo a sufficienza per potergli tirare un pugno che però viene tranquillamente parato.
Sa come mi muovo, sa qual è il mio stile di combattimento, per cui sono in netto svantaggio.
«Tutto qui?» sfotte prontamente, sogghignando e colpendomi in pieno volto con un destro ben assestato, facendomi cadere a terra. Fa male, il sangue scende lento e caldo dallo zigomo rotto, ma fa più male l'idea che mio padre sta soffrendo, che la sua vita è in parte nelle mie mani.
«Non hai ancora visto niente...» faccio leva sulle braccia per alzarmi, ma lui è decisamente più veloce.
Con una forza di cui non lo credevo capace mi piazza un calcio nello stomaco, piegandomi in due, non permettendomi di rialzarmi.
Si mette a cavalcioni su di me e mi afferra saldamente per i capelli, tirandoli in modo doloroso.
Una sequenza di pugni mi colpiscono dritto al volto, offuscandomi la vista.
«Sei debole!» urla, in preda ad una specie di delirio. La follia è così chiara nei suoi occhi blu che mi spaventa, mi disarma. Come posso competere con una tale potenza? Come ho potuto pensare di riuscirci?
«Non meriti la tua immortalità!»
Cos'è questo calore che sento? La runa... la runa della conoscenza sta bruciando, dolorosa quanto i pugni che mi vengono inferti. Nella mia mente vedo immagini veloci, ricordi non miei, tecniche che non conosco, e il mio corpo risponde da solo a questo nuovo flusso di forza interiore.
Con tutta la potenza di cui dispongo riesco a tirargli una ginocchiata in mezzo alla schiena, facendolo sbilanciare in avanti, tanto da permettermi di sgusciare di lato.
Mi acquatto al suolo, guardandolo mentre fa lo stesso. Mi fissa con astio crescente, le zanne snudate e gli artigli in bella mostra. Pensi di spaventarmi? Beh, sappi che lo stai facendo. Ma sappi anche, Týr, che non sarai tu a fermarmi. Niente e nessuno si frapporrà tra me e la mia famiglia, nessuno me li porterà via, neanche la morte stessa. Tu sai come raggirarla, lo so, e io adesso pretendo la tua infinita conoscenza. E tu me la darai... me la darai a qualsiasi costo.
Stavolta a scattare è lui, furioso e fuori controllo; prova ad artigliarmi al viso, mancandomi per un soffio.
Balzo agilmente all'indietro, cercando di prendere le distanze, cercando di evitare il più a lungo i suoi attacchi, sperando di poter capire la sua strategia di attacco e prevedere le sue mosse.
Purtroppo per me, però, non ha un vero stile: è guidato da un istinto animalesco, furioso e potente.
Ma in questa sua furia, mista ad una determinazione mai vista prima, riesco a scorgere il suo punto debole, così chiaro ma comunque ben celato: la sua stessa furia. È così assetato di sangue, brama così tanto la vittoria che è disposto a tutto pur di ottenerla, lasciandosi guidare esclusivamente dall'istinto.
Ti ho capito. So come reagire.
Paro l'ennesimo colpo, afferrandogli con forza i polsi e riuscendo a calciarlo dritto al petto, sbalzandolo all'indietro. Il bastardo però è duro a cedere e si rialza subito con uno scatto agile.
Non demorderà mai e io non ho il tempo sufficiente per stancarlo e batterlo.
Devo trovare un arma vera, qualcosa che sia in grado di stenderlo.
Mi graffia violentemente all'addome, squarciando la pelle in profondità, costringendomi a cadere in ginocchio.
Perdo troppo sangue e le ferite che mi infligge con gli artigli tardano a rimarginarsi. Aspetta: gli artigli! Sono questi la chiave!
Provo a graffiarlo a mia volta, notando una vaga preoccupazione nei suoi occhi. Si, è questo. Lui teme questo attacco e non credeva che sarei arrivata alla conclusione giusta, non prima di avermi battuta.
Beh, Týr, mi dispiace, ma hai sbagliato i tuoi calcoli: tu sei forte, probabilmente lo sei anche più di mio padre, ma, come mi consigliasti tempo addietro, ho imparato a leggere tra le righe e sto imparando a leggere te.
So che nei tuoi discorsi senza senso, in realtà un senso c'è sempre; so che dietro le tue richieste insensate c'è un disegno ben preciso. So che sei furbo, tanto quanto me.
Siamo simili, adesso me ne rendo finalmente conto, e mai avrei pensato che ne sarei stata felice.
Posso batterti. Posso salvarlo.
«Sei sveglia.» mormora, ghignando divertito «Ma sarai alla mia altezza?»
Non gli lascio il tempo di aggiungere altro, scattando in avanti il più velocemente possibile, riuscendo a raggiungerlo: una gomitata nel mento, un pugno nello stomaco, i suoi colpi che rispondono ai miei, feroci e animaleschi.
Siamo simili, è vero, ma siamo diversi. Perché adesso so come combatti, l'ho capito, ma tu non sai cosa ho visto nella mia mente, non sai cosa posso fare io.
Scatto di lato, riuscendo a raggirarlo, colpendolo con una ginocchiata in mezzo alla spina dorsale. Con la forza che ci ho messo dovrebbe essersi spezzata, ma lui rimane perfettamente in piedi.
«Non male.» ammette, voltandosi verso di me. I suoi occhi sono sempre più freddi, furiosi.
«Non sopravvalutarti mai, ricordi? Potrebbe essere il tuo ultimo errore, ricordi? È stato il tuo primo consiglio.»
Veloce come un fulmine, potente come l'esplosione di un vulcano, me lo ritrovo addosso; mi ha rotto il braccio destro e ha piantato con violenza gli artigli nella spalla sinistra.
Vuole impedirmi che usi le braccia, è ovvio.
Ma non posso lasciarmi sopraffare, non ora che la vittoria è così vicina.
Il mio corpo, però, è messo male. Il viso tumefatto, con il sangue che sgorga sugli occhi gonfi, mi impedisce di vedere come dovrei, di percepire odori e suoni come sempre. Il graffio all'addome e quelli sparsi sulle gambe fanno sempre più male, bruciando in modo insopportabile, e i movimenti sono pesanti e faticosi.
«Te ne stai accorgendo, vero?» ghigna soddisfatto, intensificando la presa sulla mia spalla, che velocemente si intorpidisce «La tossina rilasciata dai miei artigli a contatto con la tua pelle ti sta paralizzando. Presto sarai come una delle farfalle che collezionavo: bellissima, ma inerte.»
«Io non sono una farfalla...» mormoro, mentre la fatica a respirare diventa sempre più opprimente «...io... sono... un Demone!»
Seppur con fatica, sono riuscita a sollevare un braccio, tanto da riuscire ad afferrargli i capelli alla nuca e ad abbassarlo al mio livello. Gli mollo così la più forte testata che mai in vita mia ho tirato, rompendogli il setto nasale.
Si scansa velocemente, bestemmiando sonoramente.
È il mio momento, la mia ultima possibilità...


«Halta...» la voce di Satch è rotta dalla paura, le sue mani tremano.
Halta, dal canto suo non sa cosa rispondergli.
Il corpo della sorella continua ad avere degli spasmi, a riempirsi di graffi e tagli, lividi e sangue denso. L'addome è completamente sfregiato, con delle diramazioni scure che mostrano le vene avvelenate. Lo stesso è accaduto in diversi punti delle gambe, e adesso anche della spalla, con diramazioni salgono sul collo, fino all'occhio, e scendono sul petto, in direzione del cuore.
Ha capito che sta combattendo, ma non sa cosa fare.
Ace aveva pensato di svegliarla bruciandole la pelle con un oggetto incandescente, unico metodo che conoscono per riportarla alla realtà, ma la ragazza gliel'ha impedito.
«Stanno combattendo, l'ha sfidata per una ragione.» pure Marco l'ha capito, pur non conoscendo a fondo la questione. Neanche per un istante ha tolto la mano dal suo ginocchio, sperando di infonderle un minimo di forza e speranza, che i suoi compagni invece sembrano non avere assolutamente.
«Akemi, siamo tutti al tuo fianco!» urla Halta, sperando di infervorarla «FAGLI IL CULO, SORELLA!»

Il suo odiosissimo ghigno non accenna ad andarsene.
I suoi occhi continuano a brillare, adesso di una luce diversa: orgoglio, appagamento, gioia.
«La piccola Akemi...» mormora divertito, alzando a stento un braccio e sfiorandomi lo zigomo tumefatto.
I suoi movimenti sono lenti, forzati. Il veleno che risiede nei miei artigli, conficcati nel suo fianco, sta facendo il suo effetto assai velocemente: il respiro affannato, i movimenti affaticati.
Ci sono riuscita. Ho battuto Týr.
«Capisci cosa ti dicevo, ragazzina? Tu brami tutto questo: tu vuoi uccidere, vuoi sentire la vita dei tuoi avversari nelle tue mani e vuoi troncarla...»
«Ti sbagli, Týr. Non voglio ucciderti, non così, non ora. Voglio solo che tu mi dica quello che voglio sapere.»
Ridacchia appena, svanendo lentamente dalle mie mani.
«NO! CAZZO!»
«La risposta è dentro di te... adesso, in realtà, ti sta colando anche addosso.»


Apre lentamente gli occhi, facendo tirare un sospiro di sollievo ai fratelli ancora inginocchiati al suo fianco.
Le fa male tutto il corpo, quasi non riesce a muoversi. Ma non può attendere oltre. Ha capito a cosa si stesse riferendo quel mentecatto ed è pienamente determinata a portare a termine quel folle tentativo.
Si alza a fatica, trattenendo il respiro per il dolore che quel semplice gesto le causa, e subito Halta la soccorre, provando a trascinarla in infermeria. Ma Akemi non è della stessa idea e con un movimento brusco la scansa, spingendola di lato, e con passo instabile si dirige verso la cabina del capitano, mugolando di dolore ad ogni singolo passo.
'Ce la posso fare...' pensa, respirando a fatica.
I fratelli provano ad avvicinarla per fermarla, convinti a portarla in infermeria per occuparsi delle sue assai precarie condizioni, ma Akemi non ne vuole sapere.
La vista all'occhio sinistro si offusca sempre di più, fino a scomparire. Lentamente anche l'udito all'orecchio sinistro svanisce, facendole salire sempre di più il panico.
'La tossina... sta distruggendo tutti i sensi e intaccando il sistema nervoso!'
Con il respiro sempre più corto giunge finalmente alla porta della cabina, lasciata socchiusa, e ormai quasi priva di energie la spalanca.
«Akemi, vattene immediatamente!» le urla contro Ran, mentre le altre infermiere continuano a dannarsi per combattere quella maledetta malattia.
Akemi non l'ascolta neanche, barcollando con le ultime energie fino al letto del genitore, dove finalmente si blocca.
Con una fatica disumana si porta il braccio destro, quello rotto in più punti e che ancora pare non essere stato raggiunto dalla tossina, fino alla bocca. Morde con violenza l'avambraccio, squarciandosi la pelle e lasciando che il sangue esca copioso.
Solo a quel punto allunga l'arto verso la bocca del padre e lascia che dei rivoli densi e scuri gli colino in gola, cercando nel frattempo di resistere alla presa salda delle infermiere sul suo corpo che provano a trascinarla via.
'Forza... riprenditi...'
Si concentra con tutta sé stessa sull'orecchio destro e, malgrado i suoni le arrivino più ovattati e confusi, riesce lo stesso a distinguere il battito dell'uomo che si regolarizza. Anzi, le sembra quasi che batta con più vigore.
Non appena vede i suoi occhi aprirsi lievemente, come se si stesse svegliando da un sonno profondo e rigenerante, un largo sorriso si apre sul suo viso. È fiera di sé stessa e della sua misteriosa natura.
Questo suo momento di profonda gioia dura poco però: le forze l'abbandonano di colpo, il sangue perso è decisamente troppo, e il suo corpo cede allo sforzo eccessivo, accasciandosi di colpo a terra con un rumore sordo.

Nero.
Nero assoluto.
Come ho fatto a tornare qui? Da quello che ho capito anche l'ultima volta ero morta, anche se per pochi secondi, quindi non può dipendere da questo.
Provo ad alzarmi, pronta ad affrontarlo di nuovo, ma non ci riesco. Il corpo è completamente paralizzato, e per di più ci vedo solo da un occhio. Fantastico. Se ora mi mette le mani addosso sono morta sul serio!
«Non sforzarti.»
Provo a voltare la testa di lato per vederlo, ma è tutto inutile. Merda!
«Non avere paura. Non voglio farti niente.» afferma con tono calmo, avvicinandosi sempre di più.
Finalmente lo vedo al mio fianco, tranquillo e fresco come una rosa.
«Tra poco ti riprenderai, tranquilla.»
Si siede accanto a me in tutta tranquillità, esaminandomi minuziosamente. Non so se essere spaventata o meno.
«Perché hai voluto combattere? Non potevi direttamente dirmi che era il mio sangue la “miracolosa cura”?» domando dopo qualche istante, durante il quale ha cominciato a passare le sue fredde dita sui vari graffi che mi ha fatto, e che sorprendentemente non si stanno rimarginando come dovrebbero.
«No.» risponde secco, per poi rivolgermi un sorriso furbetto «Ricorda: la violenza e la forza bruta risolvono alla grande qualsiasi problema!»
«E io che pensavo che discutere civilmente fosse la chiave per risolvere le dispute...»
«Col cazzo.»
Rimaniamo in silenzio e lui non smette neanche per un istante di toccarmi le ferite.
«Guariranno?» gli domando speranzosa, facendo immediatamente saettare i suoi occhi nei miei. Mi ero quasi dimenticata quanto fossero belli...
«Si, ma ti resteranno le cicatrici sull'addome e sulla spalla. Ho piantato gli artigli troppo in profondità.» risponde con un sorriso colpevole, facendo spallucce «E, tranquilla, riavrai la vista. È un effetto collaterale della tossina.»
«Anche i miei artigli farebbero così?»
«Probabile, anche se gli effetti di tanto in tanto cambiano. Solo una cosa è sempre uguale, cosa che rende i nostri artigli assolutamente letali.»
«Cioè?» in realtà vorrei domandargli “pezzo di stronzo, perché non mi hai mai detto subito queste cose?!”, ma so che è meglio evitare. È troppo permaloso.
«Inibiscono gli effetti di qualsiasi Frutto del Diavolo, tanto da rendere il possessore di un Rogia innocuo come un agnellino.»
Lo guardo sbalordita come mai in vita mia, ammutolita. Che scherza, per caso?
«Se per caso ti stai domandando perché io sto bene, è perché sono già morto.»
«Veramente mi stavo domandando se mi prendevi per il culo o meno...»
Scoppia in un'allegra risata, tanto forte da farlo piegare in due con le braccia attorno all'addome. È strano vederlo così allegro.
Lentamente sento il corpo riacquistare una certa mobilità e pure l'occhio cieco ricomincia a mettere vagamente a fuoco. Giusto l'ombra di Týr, ecco.
«La prossima volta che ripeterai questo processo, ricordati di somministrargli pochissime gocce di sangue. È una fortuna che sia ancora vivo e che non abbia riscontrato effetti collaterali, ma penso che dipenda dalla sua considerevole mole.» si sdraia calmo al mio fianco, prendendomi una ciocca di capelli tra le dita e facendo una treccina stretta.
«Anche il tuo sangue è curativo?» gli domando immediatamente, senza riuscire ad attirare la sua attenzione.
«In piccole dosi si, come per determinati tipo di immortali.»
«Ma tu sei morto!»
«È solo un modo per definirci, tutto qui. I modi per uccidere un immortale si trovano sempre e la Belladonna ne è un chiaro esempio.»
«Perché allora non sono morta?»
«Chissà...» risponde vago, senza nascondere un lieve sorrisetto divertito. Possibile che non riesca mai a dire le cose come stanno? Che debba sempre essere così fottutamente ambiguo ed enigmatico? Però per stavolta forse è meglio se non tiro troppo la corda... in fondo mi ha già rivelato più del solito!
Anche se...
«Týr?» lo richiamo voltando la testa verso di lui, senza riuscire a distogliere i suoi occhi dai miei capelli. Cosa ci trova di tanto interessante non riesco proprio a capirlo.
«Mh?»
«Tu, per caso, sai dirmi chi sono i miei genitori?» domando con una vaga speranza nel cuore. In fondo sembra sempre sapere di tutto e di più, quindi magari sa anche questo.
«Perché me lo chiedi?» domanda inarcando un sopracciglio, senza scomporsi più di tanto. E anche stavolta mi sono sbagliata...
«Perché vorrei sapere qualcosa su di loro... almeno che aspetto hanno.»
«Capisco.» ammette sospirando, alzando finalmente gli occhi su di me «Non è necessariamente una fortuna sapere chi sono i tuoi genitori, sai? Prendi me, per esempio: mia madre non mi diede mai attenzioni e morì che avevo appena quattro anni, mentre mio padre odiava sia me che mio fratello. Provò a farci fuori non so quante volte.»
«Come avete fatto a cavarvela?» domando incuriosita, afferrandogli una mano e osservando l'anello che porta al mignolo. È piccolo, d'oro bianco, con una pietra di madreperla lucente.
«Mio fratello. Era sempre lui a salvarmi il culo.» ammette ridacchiando, osservando le nostre mani con un vago interesse «Nessuno poteva tenergli testa, neanche un intero esercito.»
«Ma ho visto che siete morti entrambi... come è successo?»
«Erano tempi diversi quelli. Noi vivevamo in un piccolo villaggio in mezzo ai ghiacci. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, scoppiò un'epidemia. La gente moriva in preda a sofferenze e deliri, pochi erano ancora incontaminati, tra cui noi due. Io decisi di andare in un villaggio non molto distante dal nostro dove viveva una donna con cui avevo una specie di storia e lui mi seguì per proteggermi. Non mi lasciava mai andare da solo... era più protettivo nei miei confronti che con i suoi figli!» ride un poco, passandosi la mano libera sul viso, per poi riprendere a raccontare «Camminavamo in un bosco, era freddo. Non mancava molto e saremmo arrivati a destinazione, quando abbiamo sentito uno strano rumore alle nostre spalle. Lui prese la spada e mi disse di non muovermi. Si allontanò e io rimasi da solo ad ascoltare lo scontro; il cuore mi batteva all'impazzata, ero terrorizzato. Poi ho sentito un urlo, forte, straziante, ma non ho fatto in tempo a muovermi che qualcosa mi è caduto sul collo e mi ha... ferito. Sono caduto a terra, mi bruciava tutto il corpo, pensavo che mi sarebbe scoppiato il cuore da un momento all'altro, ma non m'importava: dovevo raggiungere mio fratello. Così mi sono trascinato verso di lui, trovandolo riverso a terra mezzo morto. Il resto lo conosci.»
Rimango in silenzio, sorpresa. Sembra una cosa paradossale.
Riesco finalmente a voltarmi su un fianco, seppur a fatica, e pure ad alzarmi col busto sorreggendomi sul gomito. Fortunatamente l'osso del braccio sembra essere come nuovo.
«E dopo?» domando sempre più presa dai suoi assurdi racconti.
«Dopo cosa?» domanda a sua volta, guardandomi incerto.
«So che non è finita così. Ti ho visto morire in un altro modo, su una spiaggia.»
Si lascia sfuggire una risata divertita, portandosi una mano sugli occhi «E io che pensavo di poterti fregare.»
«Allora?» insisto, poggiandogli la testa sul petto in un gesto completamente spontaneo di cui rimaniamo entrambi incredibilmente sorpresi.
«Allora... il resto te lo racconto un'altra volta.» sorride beffardo, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Ma-»
«Niente ma. Te lo racconterò un'altra volta, promesso. Tu però adesso devi svegliarti, i tuoi amici ti aspettano.» schiocca le dita con fare teatrale e lentamente sparisce in una nube grigia, lasciandomi con un sorriso assai divertito «A presto.»


«Akemi!» senza tante cerimonie e con assai poca delicatezza, Halta stringe con forza le spalle della ragazza stesa nel lettino dell'infermeria, trattenendo a stento lacrime di gioia.
È stata fuori gioco per ben tre ore, durante il quale si è mangiata le mani fino ai gomiti per l'impazienza di vederle aprire gli occhi.
«Sei stata coraggiosissima!» le strilla direttamente nell'orecchio, facendola gemere di dolore.
«Halta, mi stai facendo male!» strilla a sua volta, staccandosela finalmente di dosso.
Si guardano con aria sbalordita per qualche secondo, finché entrambe poi scoppiano in un'allegra risata.
«Sei stata una vera tigre!» si congratula di nuovo, sorridendole raggiante e scompigliandole i capelli in un gesto affettuoso.
«Angelo, tigre, pantera... che cazzo di bestia sono?!» scherza sorridendo allegramente la minore, staccandosi in fretta e furia le varie flebo dalle braccia che le stavano reinserendo il sangue perso in corpo.
Alza di scatto lo sguardo sulla sorella, come ridestatasi di colpo, e il suo sguardo si riempie di timore «Babbo?! Come sta?!»
Il sorriso di Halta, se possibile, si allarga ancora di più e quasi in uno squittio esclama «Meravigliosamente!»
Tira un sospiro di sollievo, Akemi, passandosi le mani sul viso e alzandosi subito dopo con uno scatto veloce.
«Le infermiere hanno detto che devi stare ferma!» la riprende immediatamente la comandante, provando a bloccarla per un braccio, venendo però trascinata dalla sorprendente forza della minore.
«Che si fottano!»
Cammina con passo svelto fin dentro la mensa, dove trova tutti i compagni intenti a mangiare e a parlare allegramente.
Il chiacchiericcio muore non appena la vedono entrare, sempre con Halta appesa al suo pallido braccio, e in pochi secondi esplode un boato di gioia e di acclamazioni.
Ma ad Akemi queste attenzioni non importano minimamente: i suoi occhi sono completamente catturati dalla figura imponente del genitore, seduto compostamente al suo posto, che le allarga le braccia in un chiaro invito. Invito che accetta immediatamente, correndogli incontro e saltandogli tra le braccia, non riuscendo a trattenere le lacrime di gioia che adesso imbrattano la possente spalla dell'Imperatore.
«Mi hai salvato la vita, piccola scellerata...» mormora trattenendosi dallo scoppiare a piangere a sua volta, stringendo con possessività e amore il corpo esile e muscoloso della ragazza «I tuoi fratelli mi hanno detto ciò che hai fatto.» aggiunge subito dopo, fingendosi arrabbiato.
Akemi alza gli occhi su di lui, guardandolo con aria spersa «Hai intenzioni di sgridarmi...?»
Barbabianca, dopo un breve istante di assoluto mutismo in cui l'ha guardata con sguardo estremamente duro, scoppia in una fragorosa risata che rimbomba per tutta la nave.
«Forse la prossima volta!» scherza stringendola di nuovo a sé, baciandole affettuosamente la testa.
È raro vederlo lasciarsi andare a gesti simili, ma dopo una giornata carica come quella nessuno se ne sorprende. In fondo la ragazza si è mangiata un proiettile, ha combattuto contro un qualcosa che nessuno di loro può vedere che l'ha ridotta ad uno straccio e si è praticamente dissanguata per salvargli la vita: un po' di affettuosità se la merita tutta!
«Ho avuto paura di perderti...» mormora Akemi, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo e inspirando il suo odore a pieni polmoni, cercando di calmare la tempesta interiore che la destabilizza.
«Non ci pensare.» le tira su il mento con delicatezza, guardandola dritto nei suoi grandi occhi chiari «Grazie a te adesso sono come nuovo! Mi sento sano come quando avevo vent'anni!»
Gli sorride raggiante, Akemi, abbandonando finalmente la salda presa dal suo collo e accomodandosi meglio sulle sue gambe.
«Stasera mangio qui con te!» esclama felice, afferrando un coscio di pollo e mangiandolo direttamente con le mani, proprio come quando era bambina.
L'Imperatore la guarda con fierezza, lasciandola fare e mettendosi a sua volta a mangiare.
Parlano tra di loro, Akemi gli racconta piuttosto nel dettaglio del suo combattimento, sorprendendolo. Gli racconta a grandi linee di Týr, sorvolando su alcuni dettagli scomodi che potrebbero fargli passare completamente il buon umore e che la metterebbero nei casini.
«E così sei riuscita a batterlo, eh?» domanda incredulo, prendendole una mano nella sua per guardarle gli artigli «Beh, direi che ora i marines dovranno stare attenti!» afferma subito dopo scherzosamente, facendola sorridere.
«Babbo, ti dispiace se vado a farmi una doccia e a riposare un paio d'ore? Dopo monto la guardia, non vorrei crollare addormentata!»
«Ti accompagno fuori, tanto ho finito.»
I due salutano i presenti, camminando l'uno al fianco dell'altra, finché Akemi arriva all'imboccatura del corridoio che la porterà nella sua stanza. Solo allora Barbabianca la blocca per un braccio, guardandola con uno smisurato amore negli occhi e una profonda riconoscenza.
«Ti ringrazio per il tuo coraggio, figliola. Sono davvero orgoglioso di te.»
Le posa un lieve bacio tra i capelli corvini e finalmente la lascia andare, dirigendosi a sua volta verso la propria stanza. Ha bisogno di riposarsi e di mettere in ordine le idee. Se ripensa che ha bevuto il sangue di sua figlia gli viene il voltastomaco, ma allo stesso tempo non riesce a non pensare a quanto adesso si senta di nuovo in forma smagliante.
'Nessuno dovrà saperlo, o Akemi potrebbe trovarsi in guai seri
La mia nanetta coraggiosa... e pazza. Come ricompensa accontenterò la sua prossima folle richiesta senza fiatare!
'
Si sdraia nell'ampio letto, fissando il soffitto con sguardo vuoto.
Un sorriso si dipinge lentamente sulle sue labbra, nascosto dai folti baffi.
'Complimenti anche a te, Marco. Sei stato un maestro eccezionale.'


La notte è calata e il buio avvolge completamente l'enorme nave.
Marco, nella sua cabina, si rigira per l'ennesima volta nel letto. Per quanto ci provi, ormai da ore, non riesce proprio a prendere sonno.
Prima, non appena aveva finito di mangiare, era andato nella cabina di Akemi per chiarire quanto successo quella mattina, trovandola però placidamente addormentata.
Vederla stesa nel suo letto, calma e in pace, con un lieve sorriso ad incresparle gli angoli delle labbra, si è sentito sciogliere e non ce l'ha fatta a svegliarla.
Aveva pensato di parlarle il giorno dopo, di mettere in chiaro le cose anche a costo di ferirla, ma proprio non ce la fa a tenersi dentro al cuore questo macigno.
Si alza così dal lette, dopo essersi messo in fretta e furia i pantaloni, si dirige a grandi falcate fino al ponte principale, venendo accolto da una brezza leggera e un dolce canto.
«Imba wimbo - wa upepo - wakati unajiwa na
Imba wimbo - wa upepo - wakati ndoto tamu
Lala mpaka usiku uisheni
Upepo wa usiku - wimbo wanko na
Wimbo wangu inaendelea milele»
È un canto delicato e melodioso, come se fossero le parole più dolci mai dette.
Marco, dal basso della sua postazione, guarda la compagna con sguardo rapito per qualche istante, per poi riprendersi di colpo. Si arrampica velocemente fino a raggiungere la coffa, dove la ragazza è intenta a fissare il circondario.
«Come mai ancora in piedi, comandante Marco?» il suo tono è piatto, freddo, distaccato. Ha faticato molto per tenerlo lontano, per evitare i suoi occhi, e adesso lui è alle sue spalle.
«Come sapevi che ero io?» le domanda incerto il comandante, dandosi subito dopo dell'idiota. 'Questa sa sempre tutto! Era ovvio che mi avrebbe intercettato.'
Akemi si tocca distrattamente la punta del naso, senza staccare gli occhi dall'orizzonte e per un breve istante le pare di scorgere qualcosa in cielo, un animale piccolo e nero che svolazza frenetico, lo stesso che spesso vede fuori dal suo oblò. 'Cosa vuoi da me, bestiaccia?'
Marco rimane in silenzio, lo sguardo fisso a terra, mentre raccoglie tutto il suo coraggio per affrontare quella spinosa conversazione. Il problema più grande, però, sta proprio nell'iniziare.
«Cosa stavi cantando?» le domanda per rompere il ghiaccio, tenendo la testa china e preparandosi menalmente il discorso su cui rimugina da tutto il giorno.
«Non so cosa sia... l'ho sentita in uno dei miei sogni...» ammette con un filo di voce, ripensando a quella calda e rassicurante voce che sussurrava quelle parole melodiche, che però non riesce a capire. La cosa più strana, forse, sta nel fatto che non fosse Týr a cantare e anche il fatto che non sia intervenuto con i suoi soliti commenti.
Marco, ormai sicuro della propria decisione, trae un respiro profondo e le si avvicina di un passo. 'Via il dente, via il dolore.'
«Penso che sia meglio se prendiamo delle distanze.» afferma con tono duro, pentendosene immediatamente. È vero, non vuole assolutamente intraprendere una relazione con lei, ma non vuole neanche perderla.
Quando Akemi finalmente si volta per guardarlo, sente tutta la sua sicurezza svanire in un secondo e il forte desiderio di stringerla di nuovo tra le braccia lo pervade. Ma desiste dal farlo, rimanendo immobile al suo posto, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo indecifrabile.
«E perché?» gli ringhia contro la giovane, senza riuscire a smuoverlo minimamente.
«Lo sai.»
«No invece, non lo so!» si volta completamente verso di lui, sostenendo il suo sguardo e puntando i pugni sui fianchi, furiosa.
«Sai anche te cosa sarebbe successo se non fosse arrivato Ace!» la sua maschera dura e quasi indifferente si sgretola velocemente, lasciando spazio ad un turbinio di emozioni contrastanti.
«Sarebbe stata una cosa così grave?» si fissano con aria truce e bastano pochi secondi affinché Akemi fraintenda il suo silenzio «Ah, capisco. Siccome sono una specie di mostro non vado bene!» gli urla contro, girandosi di scatto per non mostrargli il sottile velo vermiglio che le ricopre gli occhi.
«Come?» realmente non ha capito da dove si sia tirata fuori quell'affermazione, ma ormai c'è troppo dentro e vuole capire fino in fondo.
«Già, sai cosa? Scusa se non sono come Bay, scusa davvero!» gli artigli neri sono piantati violentemente nel parapetto, mentre la runa dietro l'orecchio sinistro comincia a pizzicare fastidiosamente.
«Ma ti ascolti quando parli?!» le urla contro, afferrandola con forza per un braccio e provando a rigirarla per poterla vedere in volto, venendo però allontanato con altrettanta forza «Pensi veramente che sia quello il problema? Beh, nel caso direi che sei più scema di quanto uno potesse immaginare!»
Akemi si volta di scatto, facendolo pentire tutto in un colpo quando nota le righe rosse sulle sue guance.
«Allora qual è il problema?!»
«Tutto è un problema, Akemi! Cazzo, siamo pirati, rischiamo di morire da un momento all'altro!»
«Io rischio già di morire da un momento all'altro!»
«E io non posso permettermi di affezionarmi a te!» Akemi non ha idea di come ribattere, non avendo preso neanche per un istante in considerazione questa eventualità.
Riprende fiato, Marco, abbassando la testa e passandosi le mani sul viso in un movimento esasperato «Non lo potrei sopportare...»
Rimangono in silenzio per svariati minuti, ognuno ripensando a quanto è stato detto, a quanto ormai la situazione tra loro sia cambiata irrimediabilmente, finché Akemi, con tono duro e rabbioso, spezza quel silenzio «Sei un codardo.»
Marco alza gli occhi su di lei, incredulo, ma non ha tempo di controbattere che lei lo precede «È facile nascondersi, vero? È facile dire “lasciamo stare, farà meno male”, vero? Peccato solo che non farà mano male, Marco, anzi, sarà molto peggio, perché vivrai sempre con il pensiero “e se invece lo avessi fatto? Sarebbe stato orrendo come pensavo o forse sarei stato felice?”. Ma sai cosa ti dico? Io non ho alcuna intenzione di star male per te, per la tua codardia e per tutte le stronzate di cui ti sei convinto per poter dire di avere ragione. Forse per te non è ancora chiaro, ma la vita è breve e va vissuta a pieno, giorno per giorno, ora per ora. Ma tu questo non lo capisci. Tu non vedi la vita scorrere rapida come la vedo io.»
Rimane ammutolito, fissandola con sguardo perso mentre la voglia di stringerla a sé e dirle che andrà tutto bene diventa sempre più forte, insopportabile.
«Adesso vattene, per favore. Se dobbiamo prendere delle distanze, è meglio cominciare da subito, così sarà più semplice per te convincerti che tutto questo non sia mai successo.» si volta lentamente, Akemi, decisa ad ignorarlo come lui vuole, fissando la Luna crescente che brilla alta sopra le loro teste, beandosi della sua luce chiara e rassicurante.
Ma la sua decisione va in frantumi nel momento esatto in cui la Fenice l'afferra con forza per una spalla, girandola velocemente, inchiodando i suoi occhi neri nei suoi.
Il respiro le muore in gola, il cuore batte più velocemente, tutto intorno a lei svanisce: rimane solo lui, con i suoi penetranti occhi neri che fiammeggiano nell'oscurità che li avvolge e le sue mani forti che la immobilizzano.
Tutto si muove al rallentatore: i loro volti si avvicinano, i cuori battono all'unisono e le labbra si uniscono in un casto bacio.



*Con questa battuta forse ho esagerato, ma li ho sempre visti attaccati al loro capitano in maniera quasi maniacale. Poi, detta onestamente, io darei qualsiasi cosa per salvare mio papà in caso di necessità, quindi non vedo perché loro debbano essere tanto diversi. Tutti eccetto quella merda in decomposizione di Teach... quel fetente...


Angolo dell'autrice:
Buon salve a tutti quanti! :D

MARCO SI È SVEGLIATO!!!

Dai, andiamo per punti:
Questa volta il titolo ha un doppio significato: il primo è ovvio, ovvero riguarda il fatto che Marco ha ceduto all'attrazione che prova nei suoi confronti, il secondo invece riguarda il fatto che Akemi ha -seppur in parte- accettato la sua natura demoniaca. Non scendo nel dettaglio, non so se si può definire proprio demone, però lei la vede così. (E non le do tutti i torti eh) ...ODDIO HO PAURISSIMA DI DELUDERVI QUANDO SAPRETE TUTTO! >.<
La malattia di Newgate si è fatta sentire (che malattia sia non si sa, ma chissene! Io, per metterci una complicazione seria, ho descritto nel modo migliore che potessi un infarto) e qui finalmente Akemi tira fuori i coglioni e affronta Týr. (Ma sarà riuscita a batterlo perché è davvero forte? .___.)
Anche se ve lo avevo detto, lo ripeto: Týr è permaloso e il fatto che lei abbia “alzato” la voce lo ha fatto chiudere a riccio nel suo mutismo. Ma ora è tornato, contorto come è sempre stato! Ma andrà migliorando, non temete: lentamente i due arriveranno a fortificarsi a vicenda, e non solo da un punto di vista fisico.
Poi arriva la parte che -suppongo- aspettavate: il primo bacio tra questi due imbecilli! :D Non sono scesa nel dettaglio volutamente. Non so perché ma così mi da l'aria di più dolce, meno forzato... boh! Poi questa chiusura servirà per aprire il prossimo capitolo :D in cui, a mio avviso, un po' potrei shockarvi... ma allo stesso tempo avrete modo di capire di più. (Spero non troppo in realtà xS)

Un grazie di cuore adesso va a Vivi Y, Monkey_D_Alyce, Portogas D SaRa, Lucyvanplet93, Okami D Anima, Yellow Canadair, Law_Death, Aliaaara, iaele santin e ankoku per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato lo scorso capitolo! Siete dei tesori! :3
Ringrazio anche tutti coloro che mi seguono e che trovano quanto meno decente questa storia folle che sto portando avanti. :)

Anche per questa volta mi dileguo, augurandovi una buona settimana!
Un bacione a tutti
Kiki

PS: se a qualcuno di voi interessa, ecco com'è adesso -più o meno- la nostra protagonista (immaginatela con i tatuaggi che ha per adesso, più muscolosa e senza il pallino azzurro in mezzo agli occhi xD): http://it.tinypic.com/r/w1co3/8

Anche questa immagine non è stata scelta a caso ;)

PPS:La canzone è presa dalla colonna sonora del film “Mighty Joe Young”.
Questa è la traduzione inglese:
Sing a song
and for a moment
you will be visited by the wind
Sing a song
and for a moment
dream sweetly of the wind

Sleep now until the night is dawn
the wind and the night song, they are there
however the song, my child, will go on forever.

Questa (all'incirca) è quella italiana:
Canta una canzone
e per un momento
sarai visitato dal vento
Canta una canzone
e per un momento
sogna dolcemente del vento
Dormi adesso fino a quando la notte è l'alba
il vento e la canzone notte, ci sono
tuttavia la canzone, il mio bambino, andrà avanti per sempre.
(Prendetevela con Google traduttore per gli errori! ;) )

  
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