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Autore: thecitysmith    27/03/2014    1 recensioni
"In un mondo dove le città sono personficate, la Città di Parigi non si vede da secoli, allontanata dagli orrori della guerra e da tutto il peggio che l'umanità le ha sempre offerto di sé.
Enjolras sogna di incontrare Parigi, e di condurre la Città verso un domani migliore.
Quello che non sa é che adesso Parigi é un cinico ubriacone che si fa chiamare Grantaire."

| traduzione dell'omonima storia su ao3 di barricadeuse e piuma_rosaEbianca |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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PB 8

(È così che comincia)


Grantaire sapeva essere silenzioso quando voleva. Avrebbe potuto sconvolgere i suoi amici, ma decenni passati a scivolare nell'ombra e nascondersi nelle folle gli rendevano facile risalire le scale del café Musain senza che nessuno lo notasse.


Attento come un animale braccato, Grantaire si guardò intorno prima di sedersi nel punto più lontano possibile. Aveva il fiato corto, tremava per l'ansia. Era la prima volta, in così tanto tempo, che si lasciava cambiare da qualcuno, o almeno gliene dava la possibilità. Non sapeva cosa stesse facendo. Aveva bisogno di bere.


Poi, Enjolras lo vide. Grantaire non seppe come avesse fatto. Era dall'altra parte del café, circondato di gente, nel bel mezzo di un discorso appassionato, eppure i suoi occhi blu riuscirono a trovare Grantaire. Si girò e sorrise, un lampo di luce improvviso; come un fulmine, o del fuoco.


Gli altri lo notarono e presto gli furono tutti attorno, accogliendolo a braccia aperte dalla sua "malattia". Nonostante il chiacchiericcio familiare, l'aria era cambiata. Era successo qualcosa e non si poteva tornare indietro. Grantaire lo guardò. Enjolras non lo raggiunse, non provò a fare niente, non si aspettava niente da lui adesso che sapeva. Lo guardò e basta, e aspettò che fosse Grantaire a farsi avanti.


Non fu a quell'incontro. Ma entrambi sapevano che sarebbe successo, alla fine.


(Una lenta, strana danza)


Nelle settimane successive, si girarono attorno lentamente. Grantaire si morse la lingua per non parlare durante gli incontri e Enjolras si costringeva a distogliere lo sguardo ogni volta che lo vedeva prendere una bottiglia. Non stava funzionando. Rendeva solo le cose più tese. Alla fine, dopo una riunione, ebbero una furiosa discussione per tutta la strada verso l'appartamento di Enjolras. Quando arrivarono alla porta, Grantaire si accorse che il suo leader non aveva mai parlato del suo essere una Città, e, in cambio, Enjolras si era accorto che Grantaire parlava per esperienza, non cinismo.


Si guardarono e, di nuovo, respirare divenne un po' più facile.


No, decisero, litigare non era la soluzione. Ma adesso, invece che interrompere le riunioni, discutevano durante le loro passeggiate. Grantaire mostrò a Enjolras parti di Parigi che nessuno conosceva (non le catacombe però, quelle mai) e in cambio Enjolras insisteva spesso perché Grantaire si fermasse a mangiare con lui, o perfino per la notte.


(Grantaire si chiese se il suo impavido condottiero non stesse cercando di evitare che ritornasse al sudicio appartamento. Enjolras non mancava mai di fargli notare

che era probabilmente poco salutare, ogni volta che si trovavano lì. Grantaire non glielo aveva fatto notare perché, bé- "La mia Parigi non si abbasserebbe mai a vivere in mezzo a tutto questo sporco" - e l'associazione avrebbe decisamente fatto male ad Enjolras.)


Non era stato un idillio istantaneo, ma era stato meglio.


Enjolras, ora che non sentiva di essere preso in giro davanti ai suoi luogotenenti, tratteneva la sua crudeltà. La maggior parte delle volte, anche dopo aver discusso, finivano per rilassarsi in un silenzio amichevole: Enjolras impegnato a scrivere, Grantaire a sfogliare i suoi libri di storia e a sottolinearne gli errori.


("Dio, davvero l’hanno interpretato così?"

"Ah, mi ricordo la Riforma. Che confusione. Il re di Londra - Enrico qualcosa - dovette spiegarle cinque volte la differenza fra Cattolici e Protestanti. Ci rinunciò quando lei iniziò a dire che il paganesimo era più facile, dato che gli alberi non chiedevano niente."

"Se incontrassero davvero Roma sarebbero terrorizzati. Quella donna beve come, bé, come me."

"Non mi ricordo questa guerra. C'eravamo davvero in questa guerra?"

"Ahahahah, avresti dovuto vedere la faccia di Oslo! Era furioso."

"Una volta ero un monaco."

"Nessuno di noi partecipò a questa battaglia; eravamo tutti intenti a smaltire l’ubriacatura della festa di compleanno di Praga."

"Bé, di certo non é andata così."

"Oh Dio, non i Franchi!"

"Grantaire, smettila, ti prego." Ma stava ridendo e Grantaire ghignò.

"Stessa cosa che hanno detto i Franchi.")


(sempre a girarsi intorno, cercando di tenere il tempo)


Passavano la maggior parte delle notti svegli. Era il momento in cui Grantaire parlava della sua Cittadinanza. Non osava farlo durante le loro passeggiate, anni di cautela gli avevano insegnato che una singola parola nel posto sbagliato poteva richiamare i soldati all'istante. (In realtà la sua ricerca era scemata rapidamente dopo Napoleone, ma preferiva non correre il rischio).


Lo faceva, non perché Enjolras gliel’aveva chiesto, ma proprio perché no l’aveva fatto. E così Grantaire diede tutte le informazioni che si sentiva di dare, e che sapeva non avrebbero messo a disagio Enjolras. Nonostante cosa ne pensasse l'altro, c'erano moltissime cose che gli umani non potevano capire riguardo alle Città, e onestamente non avrebbero neanche voluto farlo. Grantaire parlò solo degli ultimi decenni. Anche i più sensibili fra gli umani trovavano snervante quando parlava di aver conosciuto Carlo Magno, o combattuto contro i Vichinghi. Strane piccole creature, gli umani.


"Non parlo tanto spesso quanto vorrei con i miei fratelli e sorelle." ammise, gesticolando. Enjolras stava facendo finta di leggere, ma la sua immobilità tradiva il suo interesse. "Non è come con gli altri, che sapevo non mi avrebbero permesso di nascondermi. Volevo tenere vivi i contatti con loro. Sono la mia famiglia. Ma... non hanno mai capito. La maggior parte di loro si interessano di politica e stanno vicino a persone importanti, così non capivano quale fosse il mio problema. Quando arrivò Napoleone dovetti tagliare completamente ogni contatto. Non potevo fidarmi di loro."


"Erano così disposti a tradirti?"


"Erano influenzati dai loro abitanti. E' difficile da spiegare - quando la gente decide qualcosa - ti dà alla testa. Possiamo esserne travolti se non stiamo attenti."


"Scavalcano le tue opinioni?"


"Le opinioni della gente sono le nostre. La maggior parte del tempo. Ricordo quanto sia stato difficile ignorare i richiami di Napoleone mentre tutti lo amavano. Fortunatamente, nonostante la Città di Parigi lo venerasse, io, Grantaire, non lo facevo."


"Quindi avete una volontà propria," Enjolras era sollevato. Era difficile pensare che le persone fossero capaci di togliere la libertà a qualcuno, persino a una Città (non erano proprio le più indipendenti delle creature). "Quindi ha anche una personalità oltre alla tua Cittadinanza."


"Dio, non chiedermelo. L'ultima volta che qualcuno ha chiesto a Città del Vaticano se le Città avessero un'anima o meno è crollato completamente e ha digiunato per tre settimane." Si interruppe, pensoso. "A Marsiglia piacerebbe risponderti. Ha un certo gusto per la filosofia da quando ha avuto i primi contatti coi Greci."


"Davvero? Non mi dispiacerebbe discuterne con lui," disse Enjolras senza pensare, poi sobbalzò e alzò gli occhi dal suo lavoro, realizzando che Marsiglia non era semplicemente un altro studente da reclutare. Grantaire sventolò una mano con aria noncurante.


"E' tutto a posto. Tecnicamente l'hai anche incontrato- ci hai beccati a giocare a domino insieme."


"Era lui?" Enjolras sembrava sconvolto.


"Già. Una strana coincidenza. Era lì per qualche ragione che non ricordo," Marsiglia aveva sempre avuto una bellissima voce, La Marsigliese ne era una prova, e spesso cantava per guadagnarsi da vivere quando viaggiava. Aveva abbastanza soldi per pagare da bere a Grantaire, ed era tutto quello su cui l'altra Città si era concentrata.


"Vi ho interrotti," disse Enjolras all'improvviso.


"No, ho fallito nel fare quello che mi avevi chiesto. Ci hai visti e te ne sei andato. Non hai interrotto niente, ho scelto io di seguirti." (perché il senso di colpa lo aveva colpito come una secchiata di acqua ghiacciata. Marsiglia -che spesso si comportava come un indesiderato fratello maggiore senza curarsi delle loro età effettive- aveva riconosciuto lo sguardo affranto sul suo volto e aveva sospirato, "sciocco". Senza subbio gli avrebbe rifilato una serie di avvertimenti sull'amore, ma Grantaire era già per strada a scusarsi con un impassibile Enjolras).


Per fortuna Enjolras stava già cambiando argomento, "Straordinario. Non vi assomigliate tanto." No, decisamente no, Marsiglia era abbronzato grazie al suo mare, e dove Grantaire aveva cicatrici da battaglia, Marsiglia aveva macchie scure rimanenti dalle molte epidemie che gli avevano strappato i suoi figli fin troppe volte.


(un ricordo. Stare seduto al suo fianco mentre Marsiglia piangeva e delirava fra le coperte madide di sudore, la sua bellissima voce ridotta a un gridare rauco. Bordeaux aveva sorretto la Città malata, e nonostante fosse distrutta era inamovibile. I suoi occhi incontrarono quelli di Parigi al di sopra della testa di Marsiglia e si domandarono se stessero per perdere un altro fratello a causa del dolore e dell'olezzo dei cadaveri bruciati per le strade)


"Le persone hanno questa impressione sbagliata dalle città Spagnole, dato che loro hanno tutte capelli ed occhi scuri credono che tutte le Città degli stessi stati si assomiglino. E' totalmente sbagliato." Stava balbettando. Perché stava balbettando? Era sempre pungente e acuto quando parlava, ma ogni volta che veniva menzionata la sua Cittadinanza si trasformava a un ragazzino emozionato. Da qualche parte, Londra stava ridendo di lui.


"Davvero?" Enjolras era affascinato. Le sue lezioni, essendo le Città una materia scolastica a parte che tutti dovevano seguire, così come la matematica o le lingue, erano apparentemente sbagliate. (molto sbagliate, se credevano a quei libri che Grantaire aveva appena smontato)


"Sono solo loro ad essere così. La verità è che siamo molto diversi. Non dire mai che tutte le città Scandinave sono imparentate solo perché sono quasi tutte bionde- a meno che tu non voglia iniziare una rissa. Nella famiglia di Londra sono tutti molto diversi ma tutti parenti. Non c'è un vero schema. Come la mia, siamo tutti diversi tranne per gli occhi, abbiamo tutti gli occhi azzurri."


Pensò di offrirsi di presentare Enjolras ai suoi. Ghignò pensando alla reazione della sua famiglia, chiedendosi se Enjolras avrebbe compreso cosa davvero significava quel gesto. (e poi ci pensò meglio, alla reazione della sua famiglia, dopo aver ricevuto troppe lettere imbarazzanti, piene di deliri poetici su statue di marmo e dei perfetti. Grantaire impallidì. Forse era meglio che Enjolras non li conoscesse. In effetti, pensò alle facce entusiaste di Lione e Bordeaux, la cosa migliore era tenerlo il più lontano possibile da loro).


(Ma la musica diventava sempre più veloce e loro sempre più vicini)


Le candele erano quasi consumate. La notte avanzava dagli angoli della stanza, ma nessuno dei due uomini aveva voglia di muoversi. Grantaire era sdraiato sul divano, con Enjolras seduto a fianco a gambe incrociate, un piede che sfiorava un polpaccio di Grantaire. Quell'intimità casuale era ormai diventata la norma.


Erano in silenzio per il momento. Grantaire non aveva bevuto dall'ora di pranzo. Non che fosse sobrio, no, aveva semplicemente trovato un nuovo modo per andare avanti. Grantaire si concentrava solo su Enjolras, bloccando il dolore delle strade (i mattoni appoggiati alla sua schiena a pezzi) e godendosi il sole.


Era un po' strano a vedersi, Grantaire che si sedeva vicino ad Enjolras, con la testa ciondolante, gli occhi fuori fuoco. Era come se fosse in trance. Non potevano farlo in pubblico. Ma Enjolras amava aiutarlo senza dargli l'idea di trattarlo con sufficienza. Così quando erano al Musain trovava sempre il modo di sfiorargli una spalla mentre passava, per dargli qualcosa su cui concentrarsi. Anche adesso erano seduti a pochi centimetri di distanza.


Forse non era molto sano, ma funzionava. Grantaire canticchiava fra sé e sé, sentendosi caldo come non faceva da anni. La presenza di Enjolras era calore, non c'era altro modo di descriverlo. Le strade erano attutite quando si concentrava sul battito cardiaco del biondo. Se si concentrava abbastanza, riusciva perfino a sentire le sue emozioni, piccole onde che si espandevano dal suo corpo. La passione, l'intensità c'erano sempre, ma ora erano leggermente sottotono, una risacca tranquilla. Grantaire aprì gli occhi.


"Sei turbato."


"Ho ricevuto una lettera da mia madre," Enjolras ammise alla fine.


Grantaire si sollevò a quelle parole. "Pensavo avessi tagliato ogni ponte con loro, come gli altri."


"L'ho fatto- è solo che- ogni tanto mi scrive qualcosa del genere, implorandomi di tornare a casa. Non capisce perché sto facendo questo, o cosa significhi. Vuole solo che torni a casa." Strinse la lettera così tanto da accartocciarla. Grantaire gli toccò la mano delicatamente. "Starò bene. Ho solo bisogno di qualcosa per distrarmi."


"Io non parlo con Rouen da secoli," offrì Grantaire.


"A causa di Jeanne?" Grantaire sospirò. Enjolras, nonostante tutta la sua perfezione, non aveva tatto, ma non lo faceva per cattiveria. Annuì. Enjolras si accigliò. "Ebbe davvero una parte in tutto quello? Credevo che alle Città non fosse permesso prendere certe decisioni..."


"No, scegliamo di non farlo. Non c'è davvero una legge. E' come se- non troveresti mai una Città che cerca di essere eletta o guida eserciti. Sono faccende umane. Ovviamente non è sempre stato così, in passato."


"Ah sì, quando le Città erano venerate come Dei," Enjolras grugnì. Grantaire ghignò. "Non era vero, no?"


"Sì che lo era," si sentiva meglio vedendo lo sguardo scioccato sul volto del suo capo.


"Ti veneravano? Come cosa? Di cosa eri il Dio?" Grantaire lanciò uno sguardo significativo alla bottiglia ai piedi del divano. "Non puoi essere serio."


"No. Dioniso non mi aveva coinvolto così profondamente al tempo. Ero il Dio della Caccia. Il Raccolto. Tornei e cani e combattimenti e una vita sana e divertente." Ero anche il Dio della Virilità, ma non c'è bisogno che tu lo sappia. "Non so di preciso come iniziò. Ero giovane allora, mi piaceva fare quelle cose e incoraggiavo altri a farle." Scrollò le spalle. Era stato più facile lasciarli fare, non si stava lamentando. I giovani, bellissimi ragazzi che lo avevano seguito, ridendo selvaggi nei boschi. Avevano fatto banchetti, lì, avevano bevuto e si erano divertiti. Si chiese cosa avrebbe fatto Enjolras se fosse stato lì. Sarebbe rimasto nei villaggi di notte- per paura dell'immortale nella foresta- o sarebbe corso a cercarlo? Lo avrebbe visto come libertà piuttosto che pericolo? Si sarebbe unito a quelle creature luminose, avrebbe ballato con gli altri? Avrebbe ballato con lui?


Linee blu e verdi sorsero sulla sua gola, strisciando in basso, uscendo dalle sue maniche dove Enjolras poteva vederle. Erano bellissime in modo selvaggio: linee spesse di nodi celtici sovrapposti, intervallati da scene dei suddetti banchetti. Non battaglie, questa volta, ma i festeggiamenti che seguivano, svolti liberamente sulla sua pelle così che Enjolras potesse vedere. Potesse chiedere. Potesse arrossire, magari, e poi-


(qualcosa di feroce fece le fusa nel retro della testa di Parigi)


Enjolras ne toccò uno sul suo collo e Grantaire artigliò il divano per impedirsi di fare qualche follia.(era notte. E' un tuo cittadino, tuo da prendere. Portalo nella foresta. Guarda la sua pelle accendersi di luce di stelle e sangue).


"Ti stanno venendo più spesso," Enjolras notò con interesse. Grantaire si schiarì la gola.


"Ah. Sì. Ha. Ha. Divertente. E' stato- è stato tanto tempo fa. E' tutto nel mio passato. Nel mio passato." ripeté finché anche l'ultimo tatuaggio non fu scomparso. Enjolras era completamente perso. Grantaire continuò come se niente fosse successo. "Era una vita più semplice allora, non ti sarebbe piaciuta. Probabilmente mi avresti preferito quando iniziai a imparare la filosofia- dopo che i Romani se ne andarono."


"Rinunciasti alla Divinità?"


"Lo facemmo tutti." disse Grantaire, pensieroso. "Dopo un po', smetti di essere un bambino e realizzi che gli umani hanno più controllo su di te che tu su di loro. Non è come essere un Dio. Quindi adesso, in generale, osserviamo. Proteggiamo. E quando possiamo, insegniamo Non credo che si aspettino che abbiamo ruoli molto attivi al giorno d'oggi. C'è un motivo se la Bibbia parla di noi come Guardiani, sai."


"Creati nel settimo giorno, sì," disse Enjolras, nonostante non fosse particolarmente religioso. "Quindi Rouen non...?"


"Accese lui stesso la pira? No. Neanche Londra c'era. Aveva passato troppo tempo oltre i suoi confini e si era ammalata. Sono stati gli umani," la sua voce era amareggiata. "Non è quello che Rouen ha fatto; è quello che non è riuscito a fare. Ci sono alcune Città che prendono il concetto del "guardare e basta" un po' troppo seriamente. Si rifiutano di prendere parte a qualsiasi attività umana. Anche se diciamo di non farlo, è comunque flessibile, possiamo dare consigli. Sussurriamo nelle orecchie dei comandanti. Rouen non avrebbe potuto salvarla, ma avrebbe potuto chiedere un giorno in più, così che potessi raggiungerla in tempo. Avrebbe potuto chiedergli di non consegnarla agli Inglesi. Avrebbe potuto chiedergli di non venderla come una- avrebbe potuto fare qualcosa. E non se ne pentì neanche! Disse solo che era compito degli umani! Come riuscì a stare lì e dirmelo in faccia? Come riuscì a stare lì senza fare niente mentre le persone soffrivano e-"


All'improvviso si ricordò dove fosse. Enjolras lo stava fissando, gli occhi spalancati e scuri. Probabilmente non aveva mai sentito Grantaire parlare così prima di allora. Grantaire non aveva sentito se stesso parlare così da quando- da quando- (il suo cavallo era coperto di schiuma e ansimava ma lui continuava a spronarlo- doveva raggiungere Jeanne in tempo- fosse dannato il suo Re per non aver fatto nulla- l'avrebbe salvata lui stesso- cavalcò e cavalcò finché il suo cavallo non stava per crollare- al di là della collina- giusto in tempo per vedere le fiamme consumarla).


Era stato un cinico per così tanto tempo, l'improvviso scoppio di parole che si ricordava dire quando era giovane aveva sorpreso perfino lui. Grantaire si sforzò di sorridere. "Ma sentimi. Penserai che sono un completo ipocrita."


Enjolras non lo negò. I suoi occhi erano così scuri che gli rimaneva un solo, sottile anello di blu. "Non ti avevo mai sentito parlare così prima d'ora."


"Ti sorprende che fossi un idealista un tempo?"


"Non riesco ad immaginarti tale." Era onesto, ma Grantaire sentì comunque una fitta.


"Oh sì, molto più di voi. Ero estremamente giovane e innocente. Mi avresti amato." Trattenne il fiato. Aveva detto troppo, aveva detto la cosa sbagliata e aveva rovinato tutto. "Mi disp-" ma la scusa morì sulle sue labbra quando Enjolras si sporse e gli sfiorò il volto.


"No." La sua espressione era indecifrabile, i suoi occhi determinati.


(e alla fine, uno fa un passo fuori tempo)


"Vuoi parlarmi delle tue cicatrici?"





Note delle traduttrici

Il motivo per cui abbiamo deciso di portare questa storia su EFP é semplice: Paris Burning é un capolavoro che va al di là della semplice fanfiction, é un worldbuilding spettacolare che tutti dovrebbero leggere, anche al di là del fandom di Les Misérables. Entrambe l'abbiamo letta, ci abbiamo pianto lacrime amare, l'abbiamo adorata, e abbiamo deciso di provare a tradurla. Non eguaglieremo mai lo stile dell'autrice, della nostra R (si firma così davvero e afferma che sia solo una fortunata coincidenza), e anzi, se potete, andate anche a leggere l'originale. Noi qui abbiamo il nostro piccolo tentativo

Giusto per fare un po' di luce (nel caso io, piuma, non fossi l'unica ignorante a non sapere cosa diamine c'entri Rouen con Parigi):  Rouen, allora chiamata Ratumacos, nel 900 circa, era la capitale di una vasta regione chiamata Vexin, situata nella bassa valle della Senna. Parigi faceva parte di questa regione, deduco dunque che sia per questo che considera Rouen sua madre.  (Deduco, ma non sono certa. Non prendetemi troppo sul serio)

Per questo capitolo, la traduzione é di piuma_rosaEbianca e il betaggio di barricadeuse, Abbiamo deciso di alternarci un po', per dividerci il lavoro. Per qualsiasi domanda, o annotazione, anche tecnica, non esitate a chiederci. E se avete qualcosa che vi incuriosisce sulle Città, sentitevi liberi di lasciare un messaggio privato.

Abbiamo deciso di pubblicare un capitolo a settimana: ci siamo già portate avanti per non avere problemi o ritardi, quindi possiamo dire con sicurezza che d'ora in poi il giovedì sarà il giorno di Paris Burning. E quindi il giorno dei feels. Ci rivediamo il 3 aprile.

Ringraziamo chi ha commentato e messo Paris Burning tra preferiti e seguiti: continuate a crescere e ad avvicinarvi anche all'originale, cosa di cui siamo contentissime (e anche dopo aver letto quel capolavoro riuscite ancora a farci dei complimenti, siete meravigliosi)

The Cities are still burning,
al prossimo capitolo,
b + c.


  
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