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Autore: _Fedra_    27/03/2014    5 recensioni
Parigi, settembre 2013.
Durante una festa a tema, una ragazza dai lunghi capelli biondi abbigliata in maniera incredibilmente realistica fa la sua comparsa tra gli invitati. Sembra molto confusa e spaventata, come se non avesse la minima idea di dove si trovi.
Solo Rosalie Lamorlière, appena arrivata da Francoforte, riuscirà a capire che la giovane in realtà è molto più vecchia di quanto vuole far credere, forse addirittura di un paio di secoli.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bernard Chatelet, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 8
                     






 
Axel rimase in silenzio per qualche istante, desiderando con tutto se stesso di aver capito male.
Quella serata da incubo sembrava non avere mai fine.
“Dove sei?”, chiese a un certo punto.
“A casa mia”, rispose Oscar a bassa voce. “La ragazza è di là che dorme”.
“Che cosa è successo? Non l’avevi riaccompagnata a casa?”.
“Sono stata una stupida! Insomma, arriva una che farnetica di essere Maria Antonietta e di abitare a Versailles e io mi sono pure offerta di accompagnarla a casa!”.
“Non è accaduto quello che penso, vero?”.
“Non appena è scesa dalla macchina, si è fiondata subito addosso al cancello della reggia e ha tentato di forzarlo. Per poco una guardia notturna non ci arresta”.
“Porca miseria”.
“Lei ha fatto una scenata isterica che non ti dico e poi, mentre tornavamo in macchina, si è addormentata. Ho dovuto portarla a braccia fino in camera mia. Per fortuna è piccola e mingherlina, altrimenti non so come avrei fatto”.
“Quella ragazza sta davvero male, Oscar. Dovresti portarla all’ospedale”.
“Ѐ quello che ho pensato anch’io, solo che…”, Oscar restò in silenzio per qualche istante, come se stesse cercando le parole giuste. “C’è qualcosa in lei che mi dà l’idea che non sia completamente matta”.
“Che vuoi dire?”.
“Il modo in cui si comporta o come parla. Il fatto che il suo sentimento di paura sia così autentico. Insomma, è come se non avesse mai visto davvero il mondo di oggi”.
“Credo che ti sia fatta suggestionare”.
“Non credo, Axel. Conosci il mio livello di razionalità”.
“Cosa pensi di fare, allora?”.
“Volevo sentire il tuo parere, prima di portarla da un medico. Tu hai passato un anno intero tra l’archivio di Stato e Versailles e conosci la famiglia reale di Francia forse meglio dei tuoi stessi professori. Ci sarà qualcosa, un’informazione o una caratteristica che solo la vera Maria Antonietta può avere”.
“Mi stai dicendo che le credi?”, esclamò Axel sbalordito.
“Non correre troppo con le conclusioni. Voglio solo prendermi uno scrupolo, tutto qui. Sempre se sei d’accordo”.
Axel restò in silenzio, scostandosi una ciocca di capelli chiari che gli era scivolata davanti agli occhi.
Sin dal primo istante in cui aveva visto la ragazza, una fastidiosa pulce nell’orecchio non aveva mai cessato di tormentarlo.
Ora che anche Oscar stava giungendo alle stesse conclusioni, il dubbio si stava trasformando rapidamente in certezza, per quanto potesse essere assurda.
“Devo fare delle ricerche”, disse a un certo punto. “Ci possiamo risentire domattina?”.
“Va bene”, rispose Oscar.
“Non farla uscire di casa. E, soprattutto, non buttare nulla di quello che ha con sé”.
“Sarà fatto. Aspetto tue notizie, allora!”.
“Va bene, Oscar. Buonanotte”.
“’notte”.
Clic!
Axel restò imbambolato con il cellulare in mano, fissando lo schermo del computer con la vista che gli si appannava per il sonno.
Cercò per l’ennesima volta un’immagine di Maria Antonietta all’età di quindici anni, subendo nuovamente la terribile ondata di dubbi che lo stava tormentando ormai da ore.
La somiglianza con la ragazza del locale era sbalorditiva.
Era come averla di nuovo davanti agli occhi, sconvolta e spaventata.
Lottando contro le palpebre che si facevano sempre più pesanti, Axel digitò con la tastiera Maria Antonietta festa Madame Du Barry.
Aspettò qualche secondo, prendendo a sorseggiare la camomilla ormai tiepida mentre la pagina si caricava.
Un attimo dopo, il giovane fece un salto spettacolare sulla sedia, rovesciandosi addosso l’intero contenuto della tazza.
Sullo schermo campeggiava lo stesso identico abito rosso indossato dalla ragazza quella sera.
Sotto, un’iscrizione recitava innocentemente: Manifattura parigina, abito indossato da Maria Antonietta nel 1771.
 
***
 
Un leggero spiraglio di luce si fece largo tra le palpebre socchiuse di Maria Antonietta. L’arciduchessa si rigirò tra le lenzuola con un mugugno, stringendo il cuscino a sé come per proteggersi.
    –Ancora cinque minuti! – borbottò, aspettandosi di sentire la voce petulante della contessa di Noailles da un momento all’altro, ma ciò non accadde.
    Sbalordita, Maria Antonietta si costrinse ad aprire un occhio; poi l’altro. Per poco non cacciò un urlo. Quella non era la sua ricchissima camera di Versailles, tantomeno quella di Vienna. Non c’era traccia del suo seguito o dell’odiosa contessa di Noailles. Si trovava in una piccola stanza dalle pareti spoglie, con il pavimento ingombro di scatoloni pieni di oggetti. Aveva dormito in un letto semplice, privo di baldacchino, con le lenzuola che profumavano di pulito. L’unica nota di colore era il suo vestito rosso abbandonato su una tozza poltroncina di pelle.
    Calma, Antoine, calma, si disse la giovane cercando di controllare la testa che le girava. Evidentemente stai ancora sognando.
    In quel momento, la porta si aprì, rivelando il volto pallido e scarmigliato di Oscar. Due aloni violacei si aprivano al disotto degli occhi azzurri, come se la ragazza non avesse chiuso occhio per tutta la notte.
   –Ti sei svegliata, finalmente – disse accennando a un sorriso.
   –Dove mi trovo? – chiese Maria Antonietta in preda al panico.
   –A casa mia – rispose Oscar indicando le pareti. – Perdonami il disordine: ho appena traslocato.
   –Non capisco! Ieri sera ero a Versailles…
   L’altra levò gli occhi al cielo con fare sconsolato.
   –Ti ho dovuta portare di peso, dopo che hai tentato di forzare l’entrata della reggia e aggredito una guardia notturna – spiegò.
    –Ma io abito al castello!
    –Non è possibile. Nessuno vive più lì dentro da secoli. È diventato un museo.
    Maria Antonietta tacque all’istante, come se fosse stata colpita da uno schiaffo.
    –Come sarebbe a dire un museo? Quando è successo? Come è successo?
    Oscar sospirò.
    –Ti spiegherò tutto più tardi, quando arriverà Axel. Sta facendo delle ricerche per aiutarti.
    Ripensando al bel giovane che le aveva prestato soccorso la sera prima, l’arciduchessa si sentì avvampare.
    −Quindi mi credete? – domandò in tono speranzoso.
    −Non voglio espormi troppo presto. Certo, dal modo in cui ti comporti potresti essere benissimo Maria Antonietta, solo che l’averla qui davanti a me è una cosa troppo assurda per essere vera, capisci? Insomma, prova a metterti nei miei panni: come reagiresti se un giorno ti comparisse davanti un tizio che afferma di essere Carlo Magno?
    Maria Antonietta chinò il capo con fare comprensivo. – Se solo potessi provarvi la verità…
    −Per questo ho chiamato Axel: lui conosce te e la tua storia meglio di chiunque altro. Sono certa che insieme troverete una soluzione.
    −È molto generoso, il vostro amico.
    −Lo so, fin troppo – Oscar distolse lo sguardo per un attimo, come per scacciare un cupo pensiero che le aveva attraversato la mente in quel momento. – Allora, che ne dici di alzarti e venire a fare colazione?
    −Va bene.
    Maria Antonietta scivolò fuori dalle coperte, restando a piedi nudi sulla moquette in attesa che Oscar si occupasse di lei come avveniva a corte. Solo in quel momento, l’arciduchessa si rese conto di indossare una tuta da ginnastica grigia. Nel vedersi in abiti maschili, provò istintivamente un senso di vergogna.
    −Ecco qua – disse Oscar deponendo ai piedi del letto un paio di jeans e una maglietta a maniche lunghe. −  Spero che ti vadano bene.
    −Ma sono da uomo! – osservò Maria Antonietta inorridendo.
    −Nel XXI secolo ci si veste così – replicò l’altra con un’alzata di spalle.
    In tutta risposta, l’arciduchessa rimase completamente imbambolata di fronte ai vestiti abbandonati sul letto. All’ennesima occhiata interrogativa e leggermente spazientita di Oscar, si sentì costretta ad abbandonare l’0rgoglio e a manifestare il problema.
    −Non so vestirmi da sola – disse tutto d’un fiato.
    −Prego?!
    −A Versailles non posso toccare nulla che mi appartenga. Ci pensano i miei servitori a lavarmi e vestirmi tutte le mattine.
    −Ah.
    −Però vi assicuro che è una cosa che io non sopporto. Vi lascio immaginare cosa provo ogni mattina, nuda davanti a una folla di sconosciuti. Mi sento trattata alla stregua di una bambola.
    In tutta risposta, Oscar le rivolse un largo sorriso carico di solidarietà.
    −Axel mi ha parlato di una cosa del genere – disse. – Io credo  che impazzirei a vivere così! Comunque, stai tranquilla: in questa casa non ci sono servitori e nessuno ti vedrà andare in giro nuda come se fossi un fenomeno da baraccone.
    −Vi ringrazio infinitamente per la vostra comprensione, Madamigella Oscar. Ecco, visto che non conosco i costumi di quest’epoca, avrei solo bisogno che mi aiutiate per questa volta. Prometto che da domani farò tutto da sola, a meno che non riesca a tornare a casa.
    −Non ti preoccupare – la rassicurò l’altra.
    Con la massima pazienza, Oscar l’aiutò a liberarsi della tuta e a infilarsi gli abiti puliti, spiegandole ciascun passaggio. Maria Antonietta ascoltava in silenzio, memorizzando ogni suo singolo gesto. Alla fine, la ragazza le pettinò i lunghi capelli biondi e glieli legò in una lunga coda vaporosa.
    −Ecco, adesso sembri proprio una ragazza della mia epoca – disse Oscar non appena fu pronta.
    Maria Antonietta non rispose. Continuava a fissare il suo riflesso nello specchio nascosto nell’anta dell’armadio, le labbra strette tra i denti. Aveva gli occhi lucidi, come se stesse per mettersi a piangere da un momento all’altro. A un cenno di Oscar, l’arciduchessa la seguì in cucina.
    −Cosa mangi di solito a colazione? – domandò la ragazza aprendo la credenza.
    −Non tanto, a dire il vero. Mi accontento di un bicchiere di latte – rispose lei sul vago.
    −Ma è da ieri sera che non mangi! Non vuoi assaggiare nemmeno una brioche?
    −Non ho fame.
    −Come vuoi.
    Oscar mise a scaldare un bricco di latte assieme alla caffettiera che aveva già preparato per lei. In pochi minuti, la colazione fu pronta e servita a tavola.
    −Puoi bere, se vuoi – disse la ragazza a un certo punto, notando che l’arciduchessa non aveva nemmeno toccato la sua tazza.
    −Perdonatemi, di solito a Versailles devo aspettare che finisca di mangiare mio marito, prima di servirmi a mia volta – si scusò lei.
    −Ma qui sei a casa mia e si può mangiare quanto e come si vuole, senza stare a sentire le stupide regole del galateo! – rispose Oscar ridendo.
    −Che strano mondo, quello in cui vivete. Non esistono né gerarchie né privilegi. Vi trattate tutti alla pari, come se foste uguali, senza alcuna distinzione di classe – osservò Maria Antonietta prendendo a sorseggiare il suo latte.
    −Non è esattamente così. Le distinzioni di classe ci sono eccome, solo che negli ultimi secoli certi aspetti si sono un tantino ammorbiditi. Diciamo che le cose sono un po’ migliorate, rispetto al Settecento. La vita è più lunga e più agiata, questo sì. E anche i rapporti interpersonali sono più tranquilli.
    −Mi domando come si sia potuti arrivare a questo. Insomma, mi piace!
    −Biscotto al cioccolato? – si affrettò a cambiare argomento Oscar, porgendole una confezione dai colori sgargianti.
    Se questa è la vera Maria Antonietta, meglio che non faccia troppe domande a riguardo, pensò inorridendo.
    −Ma sì, giusto uno – disse nel mentre l’altra, afferrando un biscotto e cacciandoselo in bocca. – Dicevo, mi piace molto la vostra epoca.
    −Ha dei lati positivi e negativi, come tutte – rispose Oscar.
    −Anche le donne sono più libere di un tempo. Insomma, vedo che voi vivete da sola e lavorate come maestra senza che nessuno vi reputi una cattiva persona. E per di più non siete vincolata dal matrimonio.
    −Per fortuna, nella mia epoca sposarsi e avere figli non rientra più tra le priorità.
    −Però così non avete più tempo per l’amore.
    −L’amore è diverso dal matrimonio. Ci si può amare anche senza essere sposati.
    −Ai miei tempi era uno scandalo.
    −Allora sono doppiamente contenta di essere nata adesso.
    −Quanti anni avete, Oscar?
    −Venti.
    −Sembrate molto più giovane.
    −Davvero? Grazie! E tu?
    −Quindici.
    −Sembri più grande.
    −Davvero? Mi lusingate: a palazzo dicono tutti che sono molto infantile.
    −Allora dovresti presentargli qualche adolescente di oggi. Credo che impazzirebbero.
    Maria Antonietta si lasciò sfuggire una risata.
    −Certo che sposarsi a quindici anni deve essere atroce – osservò Oscar posando sul tavolo la tazzina vuota.
    −Io non ho neanche visto mio marito prima del matrimonio – rispose l’arciduchessa. – Vivendo in due Paesi diversi, non si è potuto fare altrimenti. Alla cerimonia di fidanzamento, Luigi è stato sostituito da mio fratello.
    −Roba da matti! Certo che ancora oggi può capitare che le famiglie cerchino di combinare i matrimoni, ma per fortuna uno può sempre girare i tacchi e dire di no.
    −A voi è successo?
    −Oh, sì! Era la festa dei miei diciotto anni. Mia madre ha provato a farmi fidanzare con il figlio di un amico di famiglia, un imprenditore pieno di soldi. Un ragazzetto carino, per carità, ma era un deficiente come ne girano pochi! Io ho cominciato a uscirci così, per curiosità, ma quando alla terza sera lui si è messo in ginocchio nel bel mezzo del ristorante giapponese per chiedermi di diventare la sua donna…be’, caro mio, mi ha fatto piacere, ma tra noi non può funzionare!
    −E cosa avete fatto? – domandò Maria Antonietta sgranando gli occhi.
    −Cosa potevo fare? Me ne sono andata, lasciandolo lì come un salame – rispose Oscar ridendo a quel ricordo. – Certo, i miei genitori mi hanno tenuto il muso per una settimana, ma non potevano pretendere che sprecassi la mia vita con uno come lui.
    −I vostri genitori sono persone importanti?
    −Diciamo che sono nobile di nascita. Però io ho deciso di intraprendere una strada diversa. Oggi mi è concesso.
    −Vi stimo, Oscar – commentò Maria Antonietta con lo sguardo carico di ammirazione.
    Man mano che i minuti passavano, l’arciduchessa si rendeva conto che l’essere capitati in quel mondo al contrario non era stata poi una così grande disgrazia. In fondo, non aveva forse desiderato ardentemente di fuggire dalla prigione dorata in cui era stata rinchiusa per mesi?
 
***
 
Erano anni che Axel non andava più a casa di Oscar.
L’ultima volta era stato quando la ragazza viveva ancora nella villa dei genitori, a pochi passi dalla reggia di Versailles.
Appassionato di storia sin da piccolo, l’allora adolescente Axel era rimasto letteralmente incantato di fronte al piccolo museo in cui viveva la sua amica e compagna di scuola: non vi era infatti stanza priva di stampe, arazzi, dipinti e sculture provenienti dalle più illustri scuole d’arte europee tra il Rinascimento e il primo Ottocento.
Nei lunghi pomeriggi trascorsi a studiare insieme, il ragazzo non faceva altro che esplorare la villa da cima a fondo, alla scoperta dei tesori nascosti al suo interno.
Per poche ore al giorno, gli sembrava davvero di essere uno dei reali di Francia di cui era tanto appassionato.
La sua amicizia con Oscar si era purtroppo incrinata durante gli ultimi anni di liceo, quando la ragazza aveva iniziato a mostrare un certo interesse verso di lui.
All’inizio, Axel non si era sentito di ferirla e aveva continuato a fare finta di niente, fino a quando non era saltata fuori Nicole.
Da allora, non c’era stato giorno in cui non litigassero.
Oscar diventava sempre più gelosa e possessiva e per un periodo aveva rinunciato persino alla scherma.
Alla fine, dopo che la situazione era diventata intollerabile per entrambi, i due avevano deciso di tagliare definitivamente i rapporti.
Solo dopo un tempo lunghissimo, quando Oscar aveva finalmente metabolizzato i sentimenti non corrisposti di Axel, il giovane aveva potuto finalmente tornare a rivolgerle la parola come se niente fosse accaduto.
In fondo, si conoscevano da anni e la loro amicizia non poteva naufragare in quel modo.
D’altro canto, Axel sapeva perfettamente che quella testona di Oscar non sarebbe rimasta sola a lungo, a meno che non avesse continuato a ignorare i sentimenti che André, il terzo elemento del gruppo, covava verso di lei da tempo immemore.
Io mi chiedo perché quella ragazza deve sempre complicare tutto, pensò Axel mentre chiudeva la portiera della sua auto e si avviava verso il portone del palazzo in cui l’amica si era trasferita da poco.
Sapere Oscar dentro quella specie di casermone di periferia dopo averla vista circondata da ogni agio gli provocò un’involontaria fitta al cuore.
Cercò l’unico pulsante del citofono senza nome e suonò.
“Chi è?”, gracchiò la voce di Oscar pochi istanti dopo.
“Axel”, rispose lui.
“Terzo piano a destra”.
Il giovane si sfilò gli occhiali da sole ed entrò nel pianerottolo semibuio.
Subito venne investito da un potente odore di vecchiume e varecchina appena passata sui pavimenti.
Evitò con cura il vecchio ascensore scassato e salì rapidamente le scale fino ad arrivare a destinazione.
Oscar lo stava aspettando sul pianerottolo.
“Ciao”, lo salutò stampandogli due baci sulle guance.
“Lei dov’è?”, domandò Axel.
“In cucina. Per ora, sta reagendo bene. Trovato qualcosa?”.
“Dopo pranzo. Hai un computer a portata di mano?”.
“Tutto quello che vuoi”.
I due fecero ingresso in cucina, dove li attendeva Maria Antonietta, compostamente seduta a tavola.
Non appena l’arciduchessa vide Axel entrare nella piccola stanza, i suoi grandi occhi azzurri furono percorsi da un bagliore, mentre il cuore prendeva a martellarle furiosamente contro le costole.
“Buongiorno, signor Fersen”, lo salutò levandosi in piedi e accennando a un inchino.
“È un piacere rivederti, Madame”, rispose lui sfiorandole d’istinto il palmo della mano con le labbra.
Subito, l’intera stanza parve raggelarsi.
Resosi conto di quello che aveva appena fatto, Axel levò il capo di scatto, incontrando gli occhi sgranati di Maria Antonietta, le cui guance avevano di colpo assunto una tonalità scarlatta.
Vergognandosi come un cane, il giovane abbassò d’istinto lo sguardo sulle piastrelle del pavimento.
“Questa gliela dico, a Nicole!”, scherzò Oscar in tono malizioso. “Avanti, perché non vi sedete? Oggi si cucina all’italiana!”.
Axel e Maria Antonietta si accomodarono ai due estremi del tavolo, entrambi troppo imbarazzati per parlare.
Oscar li raggiunse reggendo in mano un’enorme pentola ricolma di spaghetti al ragù, una specialità che aveva appreso a casa di André, dal momento che suo padre era di origini piemontesi.
“Sicura di non aver mai visto Axel in giro per Versailles, Marie?”, domandò Oscar sedendosi accanto a lei.
“No. Non l’ho mai sentito nominare prima di ieri sera”, rispose lei, di colpo concentrata sul suo piatto.
“Strano, perché è omonimo del conte Axel Von Fersen, noto come l’amante di Maria Antonietta”, proseguì l’altra implacabile.
A quelle parole, per poco Axel non si soffocò con uno spaghetto, mentre Maria Antonietta fece letteralmente un balzo sulla sedia.
“Che cosa dite?!”, esclamò la ragazza in preda al panico. “No, non è possibile! Vi posso assicurare che io ho ricevuto un’educazione cattolica inflessibile! Non tradirei mai Luigi, mai!”.
“Forse ora, ma cosa accadrà col tempo? Le cronache parlano di un grande amore…”.
“Possiamo cambiare argomento, per favore?”, intervenne Axel pulendosi la bocca con un tovagliolo.
Oscar gli lanciò un’occhiata velenosa.
Nonostante si fossero riappacificati da tempo, la ragazza non riusciva a trattenersi dall’impulso di stuzzicarlo ogni volta che le si presentava l’occasione.
“Non volete sapere che cosa ho scoperto?”, chiese il giovane, che negli ultimi istanti aveva assunto un preoccupante color terriccio.
“Dicci quello che sai”, rispose Oscar.
Suo malgrado, Maria Antonietta si protese verso di lui, avida di sapere come e quando sarebbe potuta ritornare a casa.
“Ieri notte ho fatto delle ricerche su Internet e ho scoperto delle cose interessanti. Innanzitutto il vestito. A meno che non si tratti di una copia ben congegnata, l’abito rosso di ieri sera è identico a uno conservato proprio nel Dipartimento di Storia della mia università, creato apposta per una festa in onore della contessa Du Barry”, spiegò Fersen.
“Non è una prova sufficiente”, intervenne Oscar. “Ci vorrebbe qualcosa di più incisivo, che solo la vera Maria Antonietta può avere”.
“Solo una cosa può provare che questa ragazza sia la vera Maria Antonietta d’Asburgo”, rispose Axel, fissando l’arciduchessa dritta negli occhi. “Mi servono solo un foglio di carta e una penna a gel. E un computer con una connessione a Internet”.
Senza battere ciglio, Oscar scattò fuori dalla stanza, rientrando con tutto il necessario tra le braccia.
“Bene, Marie”, disse Axel porgendole il foglio e la penna. “Potresti farci la tua firma?”.
“La mia firma?”, domandò lei perplessa.
“Ma certo! Come ho fatto a non pensarci?”, esclamò Oscar battendosi la fronte con la mano.
“Nessuno, nemmeno il falsario più esperto, è mai riuscito a riprodurre l’inimitabile firma di Maria Antonietta. Questa è la prova che dici la verità, per quanto assurda possa essere”.
L’arciduchessa deglutì, tremando da capo a piedi; poi, con estrema lentezza, prese la penna che Axel le porgeva e l’abbassò sul foglio.
Nel mentre, il giovane accese il computer.
La ragazza prese a scrivere lentamente con tratti spessi e incerti, la lingua tra i denti.
Nonostante avesse ormai quindici anni, la sua reticenza agli studi le pesava ora più che mai.
Se solo avesse imparato a leggere e scrivere come si deve, invece di sgattaiolare sempre via dalla sua istitutrice a Vienna, forse in quel momento non avrebbe avuto tutti quei problemi a comporre il suo nome.
Sembrava che ogni lettera dovesse essere incisa nel marmo, invece che tracciata su un foglio.
La penna sembrava pesare come un macigno tra le sue dita sudate.
Marie…Antoine…
No, me lo sono scordato di nuovo!, pensò l’arciduchessa troppo tardi, rendendosi conto di aver scritto “Antoine” invece che “Antoinette”.
Davvero non voleva liberarsi del suo nomignolo austriaco?
Subito si precipitò a correggere, ma ormai il danno era fatto: la penna le tremò tra le mani e in men che non si dica sul foglio campeggiò un’enorme macchia di inchiostro che imbrattava le ultime tre lettere del suo nome.
“NON CI POSSO CREDERE!”, esclamò Axel esterrefatto.
“Mi dispiace, ho sbaffato anche questa volta! Sono proprio un disastro”, commentò Maria Antonietta desolata.
“Non ti preoccupare, è proprio quello che speravo che accadesse”, spiegò Axel girando lo schermo del PC verso di lei.
Con sommo sbalordimento di tutti, sul monitor campeggiava una firma perfettamente identica a quella che aveva appena tracciato l’arciduchessa davanti ai loro occhi, con tanto di macchia d’inchiostro che univa con maldestra complicità le ultime tre lettere del nome “Antoinette”.


 

 
N. B. La foto è tratta dal film della Coppola, ma sappiate che la la firma con la macchia esiste davvero, in quanto all'età di quindici anni Maria Antonietta non sapeva ancora scrivere bene il suo nome per intero. Eh, sì, a quell'epoca erano un po' ignoranti ;)


Salve, gente!
Spero che questo capitolo non sia stato scritto in maniera eccessivamente atroce, visto che è stata steso per intero nella sala d'aspetto di una stazione. Che volete farci, ora che l'università è ricominciata il tempo per scrivere è diventato veramente poco!

Ringrazio tutti voi per la passione con cui state seguendo questa mia piccola follia. Non immaginate neanche la gioia che si può provare nel sapere che ci sono persone che sono rimaste colpite dalla vicenda, facendola propria. In qualche modo, state restituendo a questo scritto una vita impensabile in altre circostanze. Siete fantastici!

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook per seguire tutti gli aggiornamenti. Facciamola crescere! 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

A giovedì prossimo :)

F.

 
 
 
 

 
   
 
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