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Autore: Genevieve De Cendres    27/03/2014    2 recensioni
[STORIA REVISIONATA E CORRETTA]
Seconda metà del 1800.
Evan, un giovane e promettente avvocato, decide di entrare nella bottega dell'orologiaio più antico e famoso della città spinto da una particolare curiosità, lì incontrerà Ael Torsten, ragazzo con il quale intreccerà un legame che va al di là della semplice amicizia, ma sarà conveniente per un uomo del suo rango, sempre sotto l'occhio scrutatore e critico della nobiltà dell'epoca? E Ael, spirito libero e irrequieto, riuscirà a non fuggire dall'uomo scegliendo il cuore al posto della ragione?
Dal testo:
"mentre le labbra dell’avvocato poggiavano sulle sue, gentili ma decise, in un bacio che volle assaporare fino all’ultimo istante, per poi scostarsi forse pentito per il suo gesto, mentre lo sguardo tornava duro, onde che si infrangono violente, che logorano e allontanano."
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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EPILOGO
 

 
 
Una volta rimasto solo in negozio Ael vi si era chiuso dentro, aveva tirato le tende oscurando le due grandi vetrine ed era corso al piano superiore per poi  gettarsi sul letto, con i denti che tremavano per la rabbia e scoppiando in un pianto nervoso. Si rigirò nel letto stendendosi sulla schiena e tornando con la mente alle parole dette ad Evan. Non le meritava, sapeva benissimo di aver calcato un po’ troppo la mano, ma sapeva benissimo che non avrebbe potuto fare altrimenti. Le cose in quegli ultimi tempi gli erano sfuggite di mano, avevano entrambi capito che non poteva essere una semplice amicizia, ma la cosa avrebbe provocato gravi danni ad entrambi, specialmente ad Evan; così quando aveva scoperto dei sentimenti di Valentine, Ael aveva davvero pensato che sarebbe stato meglio così, loro due insieme … nessuno avrebbe sospettato. Per quello che riguardava i suoi sentimenti aveva già trovato la soluzione, li avrebbe soffocati in un modo o nell’altro come era solito fare e prima o poi tutto sarebbe tornato come prima. Era quindi riuscito nel suo intento con quelle parole, lo aveva allontanato.
Sentì le palpebre farsi pesanti, responsabili la stanchezza e le lacrime e si lasciò cullare dolcemente dalle accoglienti braccia di Morfeo. Si sarebbe lasciato bendare gli occhi da una notte artificiale e vi sarebbe rimasto a lungo, svanendo nei suoi sogni.
 
 
 
Si risvegliò più stanco e nervoso di prima. Qualcosa non andava, era una sensazione che gli martellava testa e petto ed urlava, gli urlava nelle orecchie di stare attento, che qualcosa di doloroso da lì a breve gli sarebbe accaduto. Si mise a sedere sul letto lasciando ciondolare la testa, cercando di raccogliere i pensieri e ragionare sul da farsi. Non poteva dire di conoscerlo bene, ma per quel poco che sapeva, era certo che da lì a breve Evan sarebbe tornato, per parlare, per insultarlo, per rassicurarlo, ma sarebbe tornato ed Ael non aveva intenzione di farsi trovare. Sarebbe tornato a casa per qualche giorno, avrebbe sepolto l’orgoglio talmente in basso da farlo diventare un vago ricordo e avrebbe evitato Evan nel modo più efficace: sparendo.
Ma tornare sui suoi passi fu la cosa più difficile. Fu accolto con affetto da tutti in casa e quella forse fu la cosa più dolorosa, poteva per certo sentirsi un bastardo adesso, quando la madre lo aveva abbracciato cingendogli il collo, felice nonostante il viso di chi avesse pianto tanto negli ultimi giorni.
 Ael si guardò intorno in attesa di vedere il fratello avvicinarsi incollerito e sputargli addosso tutto il veleno di cui era capace, per poi cacciarlo di casa. Una casa che non meritava.  Noël entrò nel salone principale appena ricevuta la notizia, il viso era cereo ma nonostante tutto si poteva scorgere un accenno di sorriso, la barba di pochi giorni e i capelli arruffati. Sembra essere nel suo mondo, con lo sguardo vagamente perso e quella strana incertezza aleggiargli sul viso. Lo salutò con un  abbraccio come se non avessero mai discusso e Noël gli diede delicata pacca sulla spalla invitandolo a seguirlo nella biblioteca.
 
 
 
 
-Stavo per venire da te al negozio, devo dirti una cosa importante … -
 
Disse sorridendo nervosamente il maggiore, gesticolava, ed Ael era certo che non avrebbe apprezzato il discorso. Seguì con lo sguardo Noël che si era avvicinato al grande camino della stanza, per poi poggiare la mano su di una vecchia poltrona rivestita di raso rosso.
 
-Ael, tu lo sapevi. Prima o poi… -
 
-Hai intenzione di dirlo ai nostri genitori?-
 
Lo interruppe bruscamente il ragazzo, lanciandogli un’occhiataccia; il fratello lo guardò con aria disorientata, le labbra leggermente aperte, poi scrollò la testa in segno di diniego e gli indicò la poltrona davanti alla sua. Ael fu colto dal timore che il problema di cui doveva parlargli il fratello riguardasse loro padre, si sedette in silenzio senza scollare il suo sguardo da quello di Noël, stanco e demoralizzato come mai lo aveva visto.
 
-Come sta nostro padre?-
 
Chiese il ragazzo ad occhi sbarrati, sull’orlo del baratro. Quella domanda fece sussultare il fratello che con mani tremanti stava versando in un basso bicchiere di cristallo, un liquido ambrato, invitante, per poi porgerlo ad Ael senza il coraggio di guardarlo in faccia, senza guardare in quegli occhi tanto limpidi e dolorosamente espressivi.
 
-Bevine un po’ …-
 
Gli suggerì, prima di trovare le parole adatte per proseguire. Ael obbedì, sapeva che probabilmente ne avrebbe avuto bisogno.
 
-Ael, nostro padre è tanto malato, tu lo sai … ho parlato col medico stamane.-
 
Fece una pausa, si passò una mano sul volto come per strappare via l’angoscia ed il dolore dipinti nel suo sguardo, poi continuò
 
-Non gli restano che pochi giorni.-
 
 
Per un momento Ael non sentì nulla. non pensò nulla, non provò nulla.
Poi la consapevolezza si fece spazio nella sua mente e nel suo cuore e le parole del fratello franarono su di lui come una valanga. Alzò lo sguardo verso Noël che lo guardava attento, pronto a correre verso di lui al primo accenno di lacrime.
 
-Quindi adesso che dovremmo fare?-
 
La voce del ragazzo era spezzata, l’altro si limitò a sedersi in modo scomposto sulla poltrona, indice e pollice sugli occhi forse per nascondere le sua lacrime in assenza di quelle di Ael.
 
-Non lo so … ma forse dovresti parlargli.-
 
Il più piccolo annuì, poi alzandosi dalla poltrona porse il bicchiere quasi pieno al fratello, incrociando i suoi occhi.
 
-Tieni. Forse ne hai più bisogno tu.-
 
 
 
La penombra avvolgeva la stanza, una sbiadita luce opalescente illuminava i contorni dei mobili e del letto, compreso il profilo regolare dell’uomo assopito. Ael fu travolto dai ricordi, di quando da piccolo entrava timoroso nella camera del padre, come se gli fosse proibito, come se fosse una stanza sacra, ed effettivamente erano rare le volte in cui gli era concesso, e il più delle volte il motivo era sempre il solito, entrare in camera dei genitori voleva dire ricevere una bella strigliata per qualche marachella scoperta. Adesso a distanza di quasi vent’anni gli sembrava di essere tornato bambino, ed entrava in quella camera con un senso di angoscia e insensata paura, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato, ed effettivamente questi sentimenti non erano del tutto fuori luogo: Ael se ne era andato da casa da molto tempo senza un apparente motivo, ma il motivo c’era, era solo particolarmente stupido … o almeno la sua famiglia lo avrebbe considerato tale, per questo non ne aveva mai fatto parola con loro, limitandosi ad andarsene. Ma andarsene non equivale al trascurare la famiglia, cosa che lui aveva fatto. Andarsene da casa non prevede il dimenticare la famiglia, evitando di andare a trovarla ogni tanto, specie se uno dei genitori è malato. Come spiegare ai genitori che la loro presenza, compresa quella del fratello lo rendeva inadeguato così tanto da rendere la loro esistenza opprimente? In qualsiasi modo invadevano i suoi spazi, non si era mai fermato a pensare che non era la sua famiglia ad invadere i suoi spazi ma che semplicemente i suoi spazi erano esageratamente vasti. Così era partito con il ritagliarsi delle camere tutte per se, in cui lasciava entrare di rado anche il personale – quando lui era all’interno perlomeno- al trasferirsi definitivamente quando la madre si era preoccupata e aveva cominciato a cercare un dialogo, nel modo dolce con cui solo lei riusciva a fare e fino a quando il fratello non si era preoccupato a modo suo. In modo forse un po’ troppo rude per Ael, che trovatosi alle strette era scappato. E adesso lo stava facendo di nuovo. Se ne rese conto, non era stupido. Era tornato nel posto dal quale era scappato per fuggire da un’altra persona. Scappava da un amore per poi fuggirne un altro.  E adesso si ritrovava a fissare il viso vecchio e stanco del padre, che nonostante l’età e la malattia manteneva quell’aria austera che spesso lo aveva intimorito. Guardare il padre per lui, era sempre stato come guardarsi in uno specchio e vedere la propria immagine nel futuro. Si somigliavano davvero tanto, ed era a conoscenza anche di  questo.
 
-Padre ... –
 
 
Fu poco più di un sussurro.  Ael si sedette sul bordo del letto non staccando gli occhi dal viso malato e pallido dell’uomo. I capelli ancora folti erano così bianchi da ricordare la neve appena caduta, le sottili rughe ai lati degli occhi e agli angoli della bocca erano appena accennate. Si sentì nuovamente a casa, si ricordava quando da piccolo si intrufolava nel letto dei genitori, nel tentativo di non svegliare il padre che altrimenti si sarebbe arrabbiato, la madre sollevava la coperta e lui da sotto sbirciava il volto dei suoi genitori, chiedendosi se da grande sarebbe diventato come loro, sotto sotto sperandolo. Era così assorto nei suoi pensieri che non si accorse degli occhi del padre finalmente aperti e del fremito che aveva scosso le dita della sua mano destra.
 
-Sto sognando o quello che vedo è proprio Ael in procinto di piangere? Quale nostalgia…-
 
La voce dell’uomo era roca e affaticata
 
Il ragazzo sussultò e guardò con occhi sbarrati il padre, che ricambiò sorridendogli
 
-Cosa è quella faccia? Mi credevi già morto?-
 
Rise debolmente l’uomo
 
-Padre …-
 
E questa volta la aveva sentita anche lui la sua voce, rotta dai singhiozzi. Si era messo a piangere senza neanche accorgersene, come quando era poco più di un bambino, come aveva sempre fatto, solo che adesso lo nascondeva.  L’uomo sorrise cercando la mano del ragazzo che non perse tempo a stringerla.
 
-Ael, va tutto bene.-
 
Lo rassicurò  ricambiando la stretta come meglio poteva.
 
-No che non va bene!-
 
Sbottò il ragazzo facendo sospirare il padre.
 
-Va tutto bene, tu sei qui  e vorrei parlarti ancora un po’, come facevamo una volta.-
 
Concluse andando a guardare con i suoi occhi gelidi, quelli di Ael. Gli stessi occhi.
 
 
Non ci fu nessun “ti voglio bene”, non ne avevano bisogno. Nessun urlo straziato, nessuna accusa, nessuna commiserazione. Ci fu semplicemente un padre che invitò il figlio a stendersi al suo fianco, come faceva quando era piccolo, ci furono padre e figlio che dopo una lunga conversazione di addormentarono uno accanto all’altro. E quando Ael si svegliò, vide sul viso del padre la serenità, il profilo delineato da una sottile striscia di luce bianca, le ciglia adagiate sugli zigomi e gli occhi schiusi in un sogno da cui non si sarebbe mai svegliato.
 
 
 
 
 
Evan era tornato al negozio a dir poco furioso. Aveva riflettuto sugli atteggiamenti di Ael e si era reso conto di esser stato trattato come un pezzente, lo aveva umiliato gettando al vento qualsiasi tentativo di costruire un dialogo, esasperandolo e quando aveva perso la pazienza, Ael era riuscito a farlo sentire in colpa.
Quando vide il biglietto bussò comunque alla porta. Poteva scrivere di non essere reperibile tutte le volte che voleva, ma ci avrebbe messo la mano sul fuoco: Ael era all’interno del negozio. Ci volle un po’ prima che si calmasse e capisse che effettivamente il ragazzo non potesse trovarsi lì. Pensò di andare a casa di Ael ma si ricredette, niente gli dava la certezza di trovarlo lì. Quando il giorno dopo passò davanti al negozio per andare al lavoro, non fece caso al cartello su cui a grandi lettere era scritto: Chiuso per lutto. Tanto meno fece caso alla faccia di Valentine quando entrò nel suo ufficio. Effettivamente, da quando gli era saltato addosso, non lo aveva più degnato di attenzione.
 
-Evan. –
 
L’avvocato ignorò la voce dell’amico e si mise a frugare tra le sue carte, sedendosi alla scrivania.
 
-Come sta Ael? Immagino sia distrutto.-
 
Evan sospirò e fulminò il collega con uno sguardo.
 
-Di cosa stai parlando? Teoricamente te le ha suonate. Dovresti essere tu quello distrutto.-
 
Valentine rimase in silenzio per qualche secondo. Aveva capito che l’amico non era venuto a conoscenza della morte del padre del ragazzo, così dopo aver pesato bene alle parole con le quali spiegarglielo, gli si avvicinò.
 
-Evan, il padre di Ael è morto due giorni fa, il funerale dovrebbe essere oggi.-
 
L’uomo ci mise un po’ a mettere a fuoco la situazione, poi sentì un tuffo al cuore e si alzò dalla sedia così velocemente da rovesciarla, uno sguardo al collega ed era già fuori dal suo studio.
Corse così velocemente che pensò quasi che i suoi polmoni stessero per scoppiare, bruciavano quasi quanto la gola riarsa. Una volta arrivato davanti alla chiesa e trovandola vuota, capì di essere arrivato troppo tardi. Si dovette ricredere però quando passando accanto al cimitero, quasi per scrupolo, vide tra la folla vestita di nero un giovane uomo, spaventosamente magro e con i capelli dello stesso colore dell’avorio, proprio come quelli di Ael.
Capì subito chi fosse, e con calma e passo felpato si avvicinò al gruppo di persone riunite davanti alla lapide e il terriccio fresco. Più si avvicinava e più aveva la tentazione di correre verso il ragazzo, afferrarlo per un braccio e attirarlo a sé, coprendogli gli occhi con una mano e appoggiandogli la testa al suo petto; rassicurarlo come meglio poteva, dirgli che non lo avrebbe mai abbandonato, perché la perdita di un padre sa essere devastante e la perdita di un’altra persona, cara o meno, sarebbe stata di troppo. Invece non ebbe il coraggio di avvicinarsi. Lo aspettò poco più indietro, in attesa che la celebrazione finisse e che tutti se ne fossero andati, meno lui. Sapeva che lui sarebbe andato via per ultimo. Così vide la folla diradarsi poco a poco, compresa la madre di Ael, sorretta dal fratello e dalla sua futura sposina, disperata ed emaciata. Non si avvicinò neanche quando Ael rimase da solo, gli diede il tempo di liberarsi, di piangere –come effettivamente fece- disperarsi, sfogarsi, perché sarebbe stato ingiusto privarlo di questo bisogno come era ingiusto spiarlo, perché sapeva che quel ragazzino testardo, quel giovane uomo, non si sarebbe mai fatto vedere da nessuno così. Neanche da lui.
Evan pensava che una volta accortosi di lui, Ael si sarebbe infuriato, invece il ragazzo si limitò a guardarlo, uno sguardo stanco ma mai spento, sembrava quasi come se fosse a conoscenza della sua presenza e che semplicemente avesse finto di non accorgersene, per poi avvicinarsi.
Gli cinse la vita con un abbraccio e appoggiò la fronte sul suo petto.
 
-Tu non te ne andrai, vero?-
 
La voce di Ael gli giunse ovattata, flebile
 
-No.-
 
Rispose semplicemente Evan, accarezzandogli i capelli con una mano mentre con l’altro braccio lo stringeva a sé ancora di più.
 
-Io non me ne andrò a meno che non sia tu a chiederlo.-
 

 
 
 



 NDA:
E siamo giunti così alla fine! (ancora una volta, per qualcuno)
Ringrazio del tempo dedicato a questa storia, spero che sia stata apprezzata sia da chi l'aveva già letta in passato, sia da chi l'ha letta per la prima volta adesso, inutile dirvi che sto già lavorando al seguito X°D spero di aver sistemato alcuni erroracci madornali, spesso leggendo la prima stesura mi sono chiesta se davvero l'avessi scritta io >_< detto questo vi saluto, grazie ancora per il vostro tempo!

Gene!

 
 
 
 
 
  
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