Un trifoglio
speciale
Fissava la
vetrina, come
ipnotizzato da quei manichini candidi e scolpiti perfettamente. I
passanti
camminavano freneticamente, come se avessero la presunzione di superare
la
velocità massima consentita ad ognuno. Non volgevano neanche
uno sguardo a
quell’uomo vestito di nero.
Somigliava ad
un’ombra o forse
erano le ombre a somigliare a lui. Restava in piedi davanti a quella
vetrina
decorata che illuminava il marciapiede cupo.
L’uomo
ne sembrava completamente
preso, sbatteva a fatica le palpebre, ma non si avvicinava,
né si allontanava
da essa. Restava immobile con i piedi ben piantati a terra, mentre la
gente gli
camminava attorno, come se fosse un normale lampione.
Forse era solo
ciò che sembrava, un
lampione innocuo, ma lui non illuminava le notti prive di stelle, le
lasciava
solamente nella loro oscurità più assoluta.
Era sempre stato
l’uomo
sconosciuto, aveva rubato migliaia e migliaia di personalità
differenti, ma
nessuno sapeva veramente chi fosse.
Era un angolo
impolverato della
società, qualcosa che il mondo non aveva mai considerato,
perché era ciò che
quel perenne anonimo aveva sempre desiderato, rimanere sullo sfondo in
qualsiasi scena.
Lui era tutti e
nessuno, assumeva
qualsiasi personalità, sempre e comunque.
Se ogni
identità umana era
considerata unica e rara, come un quadrifoglio in un prato di trifogli,
lui era
uno di quei trifogli, tanto evidente quanto invisibile e insignificante.
Passavano i
minuti e lui non faceva
cenno di riprendere la corsa “al più
rapido” con quell’enorme quantità di
passanti che sfocavano il paesaggio con il loro movimento sfrenato.
Niente
è come sembra, nemmeno se si
tengono gli occhi puntati su una vetrina che sembra non abbia nulla da
raccontare.
Quell’uomo
con il cappotto nero non
stava fissando i manichini, ma solamente il riflesso che,
inevitabilmente, il
vetro aveva la capacità di proiettare, e quello che lui si
era trovato ad
osservare per la prima volta. Se stesso.
Era terrorizzato
da quell’uomo
immobile con il cappotto nero e il suo sguardo era a dir poco
agghiacciante.
Attendeva che l’immagine divenisse meno limpida, per poi
svanire nel nulla, ma,
niente, quell’uomo riflesso nella vetrina non muoveva un
muscolo.
La
verità affiorava ogni secondo di
più ed era inutile negare l’evidenza,
l’unica identità che non sapeva
interpretare era la sua stessa persona, ormai diventata tanto
invisibile da
confondersi con il resto dell’umanità.
Viveva,
respirava, dormiva, ma chi
era quell’uomo senza nome dal cappotto nero e i modi garbati?
Non riusciva a
ricordarlo, l’ossessione e l’invidia verso gli
altri avevano consumato i suoi
ricordi e la sua anima era stata divorata da quella fissazione nel non
volersi
accettare.
Ora gli rimaneva
solo quel corpo
senza nome, quella mente vuota e quell’anima divisa in
milioni e milioni di
frammenti diversi.
“Mi
scusi, si sente bene?”
La voce della
ragazzina lo scosse
da quel vortice di disperazione, riempiendo finalmente quel silenzio
irreale.
Per la prima
volta dopo minuti si
mosse e si voltò verso la ragazzina dallo sguardo innocente.
“Ehm…
si, credo di si” rispose un
po’ incerto.
“Posso
chiederle qual è il suo
nome?” domandò la ragazzina accennando un ingenuo
e dolcissimo sorriso.
All’uomo
senza nome prese il
panico, non avrebbe utilizzato un nome che non gli appartenesse, ma
cosa gli
apparteneva veramente?
“Io…
mi… mi chiamo Nessuno”
balbettò con l’insicurezza stampata
nell’espressione del volto.
“Buon
Natale Nessuno!” gridò la dolce
ragazzina e, senza pensarci troppo, strinse forte Nessuno.
Lui non
ricambiò l’abbraccio,
rimanendo troppo stupito per potersi muovere, anche se ogni cellula del
suo
corpo gli avrebbe ordinato di gridare con tutta l’energia che
possedeva.
La ragazzina lo
guardò ancora una
volta e bastò quello per fargli riaccendere la speranza di
poter ancora
recuperare la sua esistenza.
Fu
così che quel trifoglio divenne
qualcosa di unico e speciale.
All’improvviso
candidi fiocchi di
neve cominciarono a precipitare leggeri a terra. Nessuno sorrise,
guardò ancora
quella vetrina e si sentii libero per la prima volta. Non
c’era più riflesso di
sé che lo potesse bloccare ora, lui era ciò che
era e non aveva bisogno
d’altro. Non vedeva l’ora di dimostrare se stesso
al mondo.
Prese a correre
schivando tutti i
passanti verso una meta non del tutto precisa, ma non gli importava.
Sarebbe bastato solo un po’ d’amore, perché l’amore non fa eccezioni e regala a tutti una seconda possibilità.
Note
dell'autrice: Ciao a tutti, spero che questa piccola storia vi sia
piaciuta e se vi va lasciate una piccola recensione per dirmi cosa ne
pensate! Avevo scritto questa storia per un concorso, ma poi ho deciso
di non parteciparvi, perché non ero molto convinta della
qualità di quello che avevo prodotto... perciò
sarei molto felice di ricevere un vostro parere! Alla prossima, Iris