Capitolo 15; Inquietudine
Il
pomeriggio passò quieto e in ombra.
Kidou stava seduto in panchina, torturandosi le manine livide e
osservando
Endou.
Endou, il ragazzo che aveva seguito senza esitazioni, con la promessa
di un
calcio e di un futuro… E pensava con che aggettivo
concludere la frase.
Non “migliore”, no. Non era quello giusto.
Solo… Forse, solo “diverso”. Forse era
stato quello, era stata solo curiosità,
ricerca di qualcosa di nuovo, di diverso.
Eppure lì, in quel momento, mentre osservava Mamoru che con
quel sorriso gaio
organizzava la squadra e l’allenamento che stava svolgendo,
rifletteva che a
volte la vita è davvero strana.
“O meglio, che vita e vita… Sempre a parlar di
vita e destino.
No, non è la vita, è quel filo teso e sottile e
trasparente che lega insieme
Kageyama e me.”
Si toccava le dita, con insistenza, massaggiando i polpastrelli, quasi
a
volerlo cercare questo filo, quasi a volerlo trovare. Per farci cosa
esattamente non lo sapeva: se l’avesse trovato e strappato?
Che sarebbe
successo? Si sarebbe sentito bene? Si sarebbe fatto male? Si sarebbe
liberato
di quel groppo in gola che quasi non lo faceva respirare, rendendogli
intorno l’aria
afosa e acida?
Non lo sapeva. Però sarebbe stato interessante, trovarlo.
Insomma, avrebbe avuto la conferma di quello che pensava, dopo tanti
anni. Un filo legato al dito, una promessa da
ricordare.
“-Papà! Chi è? Chi
c’è?-
-Guarda un po’ chi è venuto a trovarti?-
-Ciao diavoletto.-
-Kageyama-san!”
A distanza di anni… - Quanti?
Quanti anni
erano passati? – avrebbe potuto ugualmente giurare
che gli si erano
illuminati gli occhi, a vedere la figura di Kageyama
sull’uscio della sua nuova
casa.
Quasi sentiva ancora le gote arrossarsi di colpo e iniziare a pizzicare.
“Ma no, forse non è il ricordo della gioia, forse
è solo quest’acqua ghiacciata
che cade dal cielo e che mi ricorda quanto sono freddo e solo,
ora…”
Inutile,
non ci riusciva.
I ricordi più limpidi che riusciva a evocare erano i primi
momenti a casa
Kidou, e le visite di Kageyama… La
Teikoku,
e il preside che lo fermava nei corridoi
e gli diceva che la sua classe era dall’altra parte,
i primi approcci con
la squadra, e gli allenamenti di Kageyama…
Niente, non riusciva a toglierselo dalla testa. Ora che era lontano,
gli
sembrava ancora più nitido il ricordo, la presenza...
E provava a pensare ad altro, a pensare a Endou, e i ricordi
c’erano, certo…
Haruna, gli allenamenti, l’attacco alieno, Kudou, le prime
partite al Liocott,
l’Italia… L’Italia…
E qui c’era un punto strano.
Come quando vai a capo a metà della frase. Quando sai che
potresti ancora
scrivere qualcosa, e probabilmente qualcosa da scrivere ancora
c’è, ma proprio
non ti viene in mente nulla, e allora vai a capo, e lasci quello spazio
vuoto,
quello spazio in cui avrebbe potuto esserci scritto qualcosa, qualcosa
di
bello, di divertente, di triste, di commovente… Invece
c’è solo del bianco, del
bianco perché tu non sai cosa scrivere, non sai cosa fare.
E vai a capo, e poi ricominci a scrivere.
Però quello spazio bianco rimane sempre, e mentre ti fermi a
riflettere ti
colpisce per il suo vuoto, e rimpiangi di non averlo riempito quando
potevi
farlo.
Invece sei andato a capo.
-Bene
ragazzi, per oggi abbiamo finito!-
-Mi raccomando, continuate ad impegnarvi così e insieme
riporteremo il vero
calcio!-
La
voce di Haruna e quella di Endou erano molto differenti fra loro:
sua sorella, nonostante gli anni, aveva mantenuto un tono allegro e
cristallino, e mentre trillava come un campanello con quella sua voce
dolce,
distribuendo asciugamani e bottigliette d’acqua, Yuuto quasi
si sentiva
chiamato in causa anche lui, perché infondo prima
c’era lui su quel campo in
cui avevano corso per ore dei ragazzini sconosciuti, che a detta della
Resistenza portavano avanti lo “spirito della
Raimon”.
Kidou a guardare quei ragazzi si sentiva strano: si sentiva come a
guardare dei
tipi qualunque che alla televisione commentano uno spettacolo che tu
non hai
visto. Come un festival, un concerto, un nuovo film. E tu stai
lì, e ascolti i
loro pareri senza avere uno straccio d’idea tua. Ecco,
così si sentiva.
Guardava quei ragazzi che dicevano di portare avanti i loro sogni e la
loro
gloria come se lui di sogni e gloria non ne avesse mai avuti.
Era strano, era davvero parecchio strano.
Aveva già sentito Hikaru parlare di questa storia, di questa
“rivoluzione”, di
questo “spirito della Raimon”… Ma ora
che aveva passato un pomeriggio a
guardarli, questi ragazzi, questi “spiriti
guerrieri”, si sarebbe dovuto
sentire orgoglioso, invece era solo confuso.
Non riusciva davvero a capire.
-Yuu-chan??
Che hai, ti sei imbambolato? Vieni Onii-chan, andiamo a
casa!-
Kidou sbatté gli occhioni purpurei come se sua sorella fosse
apparsa davanti a
lui in quel momento. Come un’allucinazione, un sogno, uno
specchio di qualche
realtà distorta.
Mentre lei con un risolino lo prendeva in braccio, il piccolo
pensò davvero,
per uno, un solo istante, di essere finito dentro uno di quei spaziali
e
misteriosi buchi neri: era finito in una realtà alternativa,
una concezione di
esistenza diversa da quella che noi fin ora abbiamo creduto unica ed
insostituibile.
Poi scrollò le spalle, aggrappandosi a quel seno fermo e
caldo, a quel collo
morbido e setoso, che quasi erano estranei, che quasi gli mettevano
paura.
Era più normale essere presi per mano da Kageyama o
abbandonarsi a
quell’abbraccio sensuale e giovane di sua sorella che
sembrava più una mamma?
“Un universo parallelo… Il mio scetticismo sta
iniziando a venir meno,
sull’argomento…”
**
Fuori
era buio.
Dentro era buio.
Non riusciva a vedere altro che l’oscurità,
Kageyama, seduto su quella poltrona
da dove tutto era iniziato, e dove tutto finiva, adesso.
“E se stesse piangendo? E se gli venisse freddo? E se venisse
di nuovo
posseduto da un incubo? E se si perdesse? E se…”
-Zio! Zio mi senti?-
Kageyama si ritrovò a sbattere stupidamente le palpebre,
confuso, davanti allo
sguardo preoccupato di Hikaru. Non ne riusciva a combinare una giusta,
ultimamente.
-Scusa.- riuscì solo a dire, troppo occupato a reprimere le
lacrime per
inventarsi una scusa decente.
Hikaru, il suo nipotino, gli sorrise debolmente, mettendosi accucciato
fra le
sue ginocchia. –Zio, ti sei accorto di quando siamo
rientrati, io e Rushe?- chiese con tono dolce, delicato.
-No.-
Ne aveva abbastanza, delle bugie. E poi, anche volendo, non avrebbe
saputo inventarsene
neanche una convincente.
Hikaru sorrise di nuovo, ma anche i suoi occhi erano lucidi.
-Zio… So che non ne vuoi parlare, ed è giusto, se
non vuoi non sei obbligato,
però… Io volevo…-
-Non ha importanza. Davvero, sto bene.-
Di nuovo il ragazzino annuì, increspando le labbra.
Gli avevano sempre descritto suo zio come un uomo forte e carismatico
in
qualsiasi situazione, ma in quel momento gli sembrava solo una persona
angustiata dalla preoccupazione e dai sensi di colpa.
Era più bello vederlo
così, dopotutto; dava un’idea di
umanità stravolgente… Però era anche
triste,
terribilmente triste.
A Hikaru vennero in mente quelle volte in cui da bambino piangeva
perché i suoi
genitori dovevano andarsene a causa del lavoro, e suo zio che riusciva
sempre a
distrarlo, a farlo sorridere di nuovo…
Se pensava a quante volte era stato capace di asciugare le sue lacrime:
con un
sorriso, una battuta, un pallone…!
E adesso che avrebbe voluto fare qualcosa lui, per suo zio, non aveva
idea di
come comportarsi.
Poi sorrise, perché probabilmente era l’unica cosa
che in quel momento si
sentiva di fare.
Sorrise, e abbracciò quel grande Kageyama Reiji che era
tutto tranne che un
uomo privo di sensibilità, come invece lo descrivevano gli
altri, senza
riflettere, senza conoscere.
-Vieni adesso, zio. Accendiamo la luce e prepariamo qualcosa da
mangiare. Ti
aiuto anch’io, va bene? –
**
-Eccoti
qui! Finalmente soli!-
-Ehi ehi! Piano eh. Mi stavo quasi assopendo… E non mi
sballottare troppo
Endou! Non sono un peluche!-
-Sei paffutello e caldo proprio come un bambino, sai? Sei adorabile!-
-E perché, cosa ti sembravo? Una scimmia?!-
Otonashi e Endou camminavan lesti per le già buie strade di
Tokyo, passandosi
il piccolo Kidou di mano in mano, increduli e affascinati come del
resto c’era
da aspettarsi… Il piccolo però non sembrava molto
d’accordo sul fatto che i due
lo tormentassero con così tanta insistenza.
-Ditemi una cosa… E per favore mettetemi giù!-
-Kidou per carità! Hai delle gambe talmente tanto vessate
che non…-
-Ma che vessate e vessate… Questi sono graffi alle ginocchia
perché Hikaru mi
ha messo in porta, quando giocavano a calcio! Le mie gambe stanno
benissimo!-
-Hai giocato in porta Onii-chan?! Davvero?-
-Haruna… Ti prego. Da coetanei ancora ancora… Ma
non mi puoi chiamare
“fratellone” adesso! Potresti essere mia madre!-
-Oh! Sai che idea…? -
-Non ci pensare nemmeno. Piuttosto scappo di casa. -
-Perché, non pensi che potrei prendermi cura di te?-
-No, sei negata. -
-Ehi! Bada a come parli, nanerottolo!-
-Ah! Visto? Prima “onii-chan” e adesso
“nanerottolo”?! -
-Beh, ma sei mi fai arrabbiare colpa mia non è…!-
-Siete proprio fratelli, è innegabile.-
-QUALCUNO TI HA CHIESTO QUALCOSA?!?!-
-No no, per carità. Scusate, era tanto per dire…-
-Bene, taci Endou-kun che devo dare una lezione al mio
bambino…-
-Ehi ehi ehi! Lasciami stareeee!!-
-Ehm… Non vorrei disturbare ulteriormente, ma non potremmo
posticipare il tutto
a quando saremo a casa? Ci stanno guardando tutti…-
-Tsk! E che guardino…!- Haruna si ravvivò gli
capelli ondulati, socchiudendo
gli occhi con fare allusivo.
-Wow! Questa sì che è nuova… Endou che
si preoccupa di cosa pensa la gente
quando ci vede correre per la strada…-
-Ma non si possono fare paragoni del genere! Adesso sono cresciuto, un
minimo
di reputazione da mantenere ce l’ho
anch’io…-
“-Hikaru…!
Kidou è forse l’unico che
ancora mi considera una persona con una reputazione dignitosa! Cosa gli
vai a
raccontare?!- “
Il bambino ebbe
per un attimo un
capogiro, il suono delle risate in quel tavolo risuonarono nelle
orecchie
taglienti e incrinate.
La voce secca e provocante della sorella lo riportò alla
realtà…
-Ptf! Lascia perdere… Che oggi per arrivare al campo abbiamo
fatto ridere metà
Tokyo!-
-Non è colpa mia se Natsumi non ci mollava! Io glielo avevo
detto, che dovevamo
andare, ma lei niente! Quando si fissa, non c’è
verso di farla star
tranquilla…-
-Ehi ehi! Calma calma calma. Non riesco a seguire… Una cosa
per volta, per
favore. Voi abitate nella stessa casa? E c’è anche
Natsumi-san? Perché nessuno
mi ha avvertito?! Dovevo prepararmi psicologicamente ad incontrare
quella serpe
di “delicata” fanciulla…! E
perché non vi voleva far andare all’allenamento?
Cosa voleva fare?-
Endou lo prese delicatamente dalle braccia di Haruna, e mentre lei
ridacchiava
e Yuuto osservava quegli occhi grandi e ghiacciati e le lunghe ciglia
messe in
evidenza dal mascara nero, gli scompigliò le ciocche
intrecciate.
Kidou non si era mai sentito così a disagio, era una
sensazione orribile… Endou
che lo prendeva in braccio e gli scompigliava i capelli? Ma quando mai?!
-Oh no, non temere! – faceva intanto la voce di un uomo, un giovane uomo, con dei sogni a
brillare negli occhi scuri e
grandi, come sempre, come allora… Forse
gli occhi di tutti erano l’unica cosa che rimaneva, del
passato che lento gli
sfumava nella mente come fuliggine impalpabile…
– Haruna mi viene sempre a
chiamare per andare agli allenamenti, e per strada ci mettiamo
già d’accordo
per schemi e tattiche d’allenamento, così una
volta in campo si inizia subito a
lavorare. Sono io che vivo con Natsumi, ci siamo sposati…-
-CHEEE?!?-
**
Rimase
un attimo in piedi, quando tutto si fu quietato.
Aspettò che Hikaru salisse le scale fino a chiudersi in
camera sua, e
stette immerso nel silenzio serale.
Sospirò, lo sguardo perso nel vuoto.
Hikaru era stato dolcissimo con lui in quel frangente,
l’aveva aiutato a
riprendersi, almeno un poco, almeno per salutare Fideo e Rushe.
Sarebbe stato
veramente brutto, e anche egoista, da parte sua, salutarli
così sconvolto.
Avevano cenato insieme, e poi avevano accompagnato i due italiani
all’aeroporto.
“Allora ciao Oji-san!”
“Ciao Rushe. Ci risentiamo presto, promesso.”
“Ciao
romanticone, mi mancherai un sacco!”
“C-Ciao Rushe… Torna
p-presto…”
“Il tempo di un bacio e sarò di nuovo qui con te,
d’accordo Hika?”
“D-D’accordo… Ti-Ti
aspetto…”
“A
presto!”
“Buon viaggio ragazzo mio. Continuate così, mi
raccomando.”
“Ciao!
Ciao zio! Ciao Hikaru! Vi scriverò presto!”
Durante
il viaggio di ritorno avevano ascoltato della musica alla
radio, nessuno dei due sentiva il bisogno di dire qualcosa.
Hikaru era subito andato a letto, senza farsi pregare, e adesso era
solo.
Di nuovo, solo, immerso in una notte senza stelle.
Sedette sulla poltrona vellutata senza pensare a nulla.
Accese la televisione. Squadrò lo schermo, tentò
di concentrarsi su quelle
immagini sfavillanti nel buio del salotto. Cambiò canale.
Lanciò un'altra
occhiata. Cambiò di nuovo.
“Non
mi lasciare…”
Quel premere il pulsante e vedere quei puntini luminosi formare
un’altra
immagine, altre facce, era quasi
diventato un movimento catatonico. Non riusciva a fare altro.
“… Fa meno male quando
sono con te…”
Altre voci qualunque, ad un volume talmente alto per coprire i sussurri
di
qualche giorno prima.
Altre facce qualunque, luminose e finte, per annebbiare
nella mente quegli occhi commossi che continuava a vedere ovunque si
voltasse…
“… Mi prendi in braccio,
e il dolore non
lo sento più…”
Kageyama si prese la testa fra le mani, le orecchie battevano
dal dolore.
-E’ giusto così, è per il tuo
bene… Starai meglio, senza di me. -
Lanciò uno sguardo terribile contro la presentatrice di un
gioco televisivo.
Poco ci mancò che non la incenerisse sul serio.
“E comunque mi sono sempre annoiato, a guardare la
televisione.”
Prese il telecomando, e premette con forza il pulsante rosso.
Lo schermo si spense, e
lui piombò nel buio.
**
-Oh!
Bene, ho preso tutto?-
-Sì, tranquilla Natsumi-chan. Vieni a sederti con noi, dai!
Ci fai mangiare da
soli?-
-No no, arrivo arrivo!-
Natsumi Endou finalmente prese posto a tavola, dopo averci poggiato
sopra
qualsiasi, dico qualsiasi, tipologia di alimento. Sembrava che dovesse
sfamare
un esercito...
-Com’è ragazzi? Non ho esagerato con le salse,
vero?-
-Oh assolutamente! E’ perfetta!-
-Uh, che sollievo!-
Le facce di Haruna e Mamoru erano contratte in smorfie adorabili, fatte
su
misura per compiacere la “donna di casa”. La
Otonashi bevve un sorso d’acqua,
buttando giù un boccone che altrimenti avrebbe rimesso, e
dopo aver
tossicchiato prese coraggio, infilandosi un altro boccone di cibo in
bocca. Non
era sicura di voler sapere esattamente quel che stava mangiando.
-Ma ditemi un po’, che fine ha fatto Yuuto?-
-Perché, non è qui con noi?- Esclamò
Endou, ben contento di poter intervenire e
sospendere, almeno per poco, la trangugiazione di quel
“cibo”.
-No. – sorrise calma Haruna. – Appena siamo entrati
mi ha detto che si sentiva
stanco, così l’ho accompagnato di sopra, in
camera. Ho fatto bene Natsumi?-
-Oh certo certo! Ci mancherebbe! Sarà stremato piccino, ha
passato una
giornataccia…-
-Sono sicuro che si riprenderà presto. – sorrise
sereno Mamoru
-Lo spero davvero…-
Nella
stanza di sopra intanto, Kidou si guardava intorno.
Non era stanco per niente, semplicemente non aveva minimamente
intenzione di
mangiare qualcosa preparato da Natsumi: non aveva voglia di essere
costretto a
sottoporsi a una lavanda gastrica solo per compiacere una ragazza. O
una donna.
O, insomma, quello che era…!
La camera era molto diversa da quella di Hikaru, però non
era male. Anzi,
c’erano un sacco di cose interessanti…
C’era un grande armadio, appoggiato alla
parete davanti, un letto matrimoniale al centro e di lato delle tende
pesanti,
di un bordeaux intenso, a coprire le finestre e a rendere
l’ambiente ancora più
scuro. Evidente, dovevano assorbire molta luce…
Si avvicinò a quel punto, e scostandole si rese conto invece
di quanto buio
fosse già, fuori. I suoi occhi scarlatti si muovevano
agitati, cercando di
capire dove si trovasse, mentre si spingeva più in alto che
poteva, sulle punte
dei piedini.
Affaticato, si staccò dalla finestra e la sua attenzione fu
catturata da
diverse cornici appese alle pareti; c’erano delle
riproduzioni di quadri
famosi, dediche, ritratti, delle immagini satiriche di Endou e
Natsumi… “Devono
essere felici insieme… Già, d’altra
parte si sono sposati…”
In fondo alla stanza, quasi nell’angolo, Kidou intravide un
quadretto piccolo e
piuttosto in alto. Vagò subito con lo sguardo sulle pareti
della stanza, ma non
trovò interruttori della luce. Si faceva sempre
più buio là dentro, ma lui
voleva vedere cosa raffigurasse l’ultima cornice…
Allora prese uno sgabello che stava vicino al letto, e con fatica lo
spostò
sotto il quadretto; ci si arrampicò sopra e
staccò la cornice dal muro.
Ridiscese sul pavimento, scostò di nuovo le tende e un poco
di luce illuminò
opaca la superficie lucida del quadretto.
Era
un dipinto ad olio, i colori erano caldi, molto accesi. Un bel
tramonto sul mare, dei gabbiani che volavano stracciando sugli orli le
nuvolette infiammate dal sole morente.
Kidou si sentì avvolgere da un capogiro, mentre si ostinava
a tenere lo sguardo
su quei colori brillanti. Piano piano questi iniziarono a sfumare nei
suoi occhi
rossi, d’un opaco come nessuno aveva mai visto: di rosso nel
suo sguardo ormai
c’era solo l’idea, il ricordo. L’utopia.
Affondò nel giallo, rosso e arancio del cielo e del mare in
fiamme.
Fiamme… Fiamme…
Sentì l’ardore del fuoco avvolgerlo,
mentre affogava nell’acqua.
Si sentiva lì, in quel preciso punto in cui il sole, caldo, caldissimo, si scioglieva
nell’acqua bluastra del mare, buio,
freddo, profondo…
Si sentiva l’acqua alla gola, tutto avvolto dalle fiamme.
Caldo… Caldo…
Acqua… Acqua…
D’un tratto il cielo e il mare scomparvero, ora
c’era solo del verde.
Verde del campo di fiori. Del campo da calcio.
E c’era del blu. Il blu del cielo. Oh,
che bel cielo blu… Blu delle divise.
Era tutto buio, tutto nero.
Nero… Nero…
Freddo… Freddo…
Poi una luce, improvvisa. Lontana.
Lontano… Troppo lontano…
Gli altri, tutti, tutti gli altri,
che si tuffavano nella luce.
Bello, bellissimo…
Lui rimaneva indietro.
Chiamava.
“Aiuto! Aiuto!”
Aveva male alle gambe.
Le gambe erano rotte, a pezzi. Raccoglieva i pezzi delle sue gambe,
aveva paura
di perderli per strada. Per strada…
Quant’è buia la strada…! Per
raggiungere la luce, la strada, la strada…
Strisciava per terra, intorno a lui tutti correvano, tutti
andavano. Verso
la luce.
Lui strisciava lento, raccogliendo il suo corpo che cadeva a pezzi.
Pezzo per pezzo… Pazzo per
pazzo… Pozzo
per pozzo…
Un pozzo, sì. Quanto può essere buio
e freddo e profondo
un pozzo?
Però è anche calmo.
Non c’è più rumore, non corre
più nessuno, qui nel pozzo.
Un pezzo di pozzo di un pazzo.
Un pazzo pozzo. Un pazzo nel pozzo. Un pozzo nel pazzo.
“Che differenza fa?
Tanto qui nessuno può sentire me che parla.
Me che grida.
Me che piange.
Me che muore.”
*Angolino della paura*
Beneeee…
Buondì minna-san! <3
(?)
Prendete un
respiro profondo e
affilate i coltelli. Immagino che ce l’avrete a morte con me,
e come
biasimarvi? Anch’io sono un po’ arrabbiata, sto
facendo soffrire tutti in modo
spropositato… *^*
Ah beh. Sono cose che capitano. *la freddano*
Uhè uhè! Un attimo, please. ^^” Abbiate
la decenza di lasciarmi spiegare, poi
sarete liberi di farmi quello che più desiderate opportuno
v.v
Prima di tutto… Diciamo che è un capitolo
particolarissimo, pieno di
riflessioni e manifestazioni di mancanza profonde.
Volevo fare due o tre punti, tanto per avere le cose chiare in
testa…
Prima fra tutti, quel paragone che ho fatto con la sensazione
d’angoscia che
prova Kidou e quella provata da noi quando andiamo a capo. (?) Mi rendo
conto
che quel pezzo, preso da solo, è a se stante, come dire, ha
significato
compiuto, se però si considera solo la nostra condizione di
autori. Se invece
si trasferisce il paragone sulla figura di Yuuto… Allora
voglio vedere chi è
che è così bravo da capire da cosa è
causato questo stato d’animo.
Vi do una traccia, dai: Yuuto dice che si sente come se, mentre
scriveva -
faceva un percorso… - ad un certo punto non sapeva
più come continuare, non si
sentiva più in grado di continuare, e allora ha cambiato
idea, ha ricominciato
a scrivere su un'altra riga, andando a capo. Cercando di dimenticare
quello che
stava scrivendo prima, per non soffrire più. La sofferenza
però lo tormentava
sempre quando si fermava a riflettere, a pensare, e sentiva pesare
addosso
quello “spazio bianco” - quel vuoto… -
che lui non ha voluto o saputo riempire.
Lui è andato a capo, si è voluto lasciare tutto
alle spalle, e quello spazio
bianco è stato riempito da qualcun altro, che non
è lui, perché lui è andato a
capo.
Adesso chi è così bravo da dirmi quando ha
cominciato ad avvertire questo stato
d’animo e perché è tormentato da esso?
Suvvia, conosco delle persone che
avrebbero dovuto spiegarmi questo paragone senza bisogno del mio aiuto,
comunque chi mi spiegherò ciò…
Avrà la mia gratitudine (?) Cosa ci può essere
di meglio?? Come premio di consolazione tutti riceveranno una banana
(?) uou
Ora andiamo oltre.
Kageyama in questo capitolo è umanissimo e disperato, ma
d’altra parte questa
separazione mi ha permesso di scrivere questi pezzi: se Yuuto fosse
rimasto
sempre in questa casa, non avrei potuto raccontare il loro legame in
questo
modo romantico e struggente!! *la freddano x2 (?)*
Mi state facendo fuori un po’ troppe volte! Le mie vite mi
servono, eh!
>.<
Hikaru… Aaaawwww!! <3<3 Non ditemi che solo io
l’ho trovato dolcissimo tanto
che mi sono messa a piangere, ché altrimenti vi freddo io v.v
Insomma… Yay! E’ un amore, punto. <3
E’ un personaggio che sa amare, in
tutti i sensi. Se non l’avesse inventato la Level-5 dovevamo
inventarcelo noi,
un personaggio così. v.v
Penso
che sia chiaro a tutti, comunque mentre guardava la televisione
sono tornate in mente a Reiji le parole di Yuuto del capitolo 4
^^”
E… Vabbeh, le scene a casa di Endou non mi ci sono
soffermata tanto ché
sinceramente me ne importa poco. v.v Li odio tutti (?)
perché hanno separato
brutalmente i miei due cuccioli (?) >.< E questa
è una cosa che non
tollero, anche se alla fine la long la scrivo io, quindi dovrei
prendermela
solo con me stessa (?) *^* Ma è più bello
prendersela con gli altri. v.v
MaH! Penso che stiate strepitando dalla voglia di capire qualcosa
dell’incubo
di Yuuto, gnègnè.
Quindi quindi… Allora, inizialmente Kidou ha preso questo
quadro, e i colori
caldi hanno avuti un effetto drammatico su di lui, trasportandolo
lontano nel
suo inconscio oscuro e tormentato. Qui ha visto del verde, del blu e
del buio
seguito da una luce.
Allora… Torniamo sempre allo stesso punto, ovvero al momento
in cui ha perso
Kageyama. La partita, il campo verde, le uniformi sia della nazionale
giapponese che di quella italiana che sono blu, e il cielo che Kageyama
ha
guardato prima di essere investito. Blu è anche il colore
degli occhi di Fideo,
gnè~
Poi, la luce. Beh, il concetto è facile: lui è
caduto dentro una luce (il
portale) e si è trovato da solo, al buio. Sapeva che tutti
gli altri, fuori da
lì, fuori da lui, sono rimasti nella luce e hanno continuato
a inseguirla,
mentre lui, dolorante e ferito, è stato costretto a rimanere
nel buio a lungo.
Finché è riuscito ad uscire – vi
ricordate, il secondo capitolo? ^^” – e con le
gambe martoriate camminava lungo la strada buia.
Poi ho parlato di un pozzo, neh? Beh, semplicemente ha funzionato
così: Yuuto
per la prima volta durante il suo incubo si è mosso, si
è come buttato giù
dalla finestra – infatti dice di sentire dolore alle gambe,
probabilmente si è
ferito – e ha cominciato a camminare lungo questa strada
buia, fino a quando
non è caduto dentro una fossa, un burrone, un pozzo. -Devo
ancora pensarci ^^”-
Qui si è sentito insanguinato e solo, e in preda
all’incubo perde i sensi
convinto di star morendo.
Ovviamente non morirà, eh. Ci manca solo. ~
Arriverà
la fanteria in suo soccorso! (inutile dire chi si metterà in
moto per
primo, vero?? *ç* Amorriiii!! Non vedo l’ora che
si riabbraccino!! <3<3 –
sono un caso perso, ignoratemi. -.-“)
Probabilmente
qualcuno protesterà perché Haruna e Endou sono
descritti come
degli esseri orribili e cattivi che volevano solo il male di Yuuto
portandolo
via da Kageyama: in realtà la questione è
più complicata. Vedete, non è che
Kidou non vuole bene a sua sorella o a Mamoru, per carità,
è solo che è piccolo
e come abbiamo visto nei capitoli prima ha alcuni ricordi un
po’ discordanti:
per questo ha bisogno di un appiglio sicuro, che è Kageyama,
perché quando lui
aveva sei anni pensava sì ad Haruna, ma il suo punto di
riferimento era il
Comandante. Inoltre nel capitolo prima, quando si sono salutati, non so
quanti
di voi ci abbiano fatto caso, ma Yuuto ha detto una cosa interessante:
“Ma tu
sei sempre stato grande! (…)”
Kageyama
è sempre stato “adulto” è
sempre stato una figura di riferimento,
mentre Haruna è la sua sorellina, e Endou è un
suo coetaneo… E’ molto difficile
per lui aggrapparsi ad Haruna “che quasi sembra una
mamma” che a Kageyama,
perché in qualche modo lui è sempre stato adulto.
Capito? No,
perché non vorrei mai che qualcuno - non faccio
nomi *^* - mi venga a dire che ho espresso troppo
esplicitamente il mio disinteresse nei confronti della sorella di Yuuto
^^” Mnh~
Bene bene, non
mi pare ci sia altro.
A voi la
parola e…
“Fu
vera vittoria? Ai posteri l’ardua sentenza.” ~
Alias: Ditemi se merito
davvero la pena di morte, e ricordatevi che vi voglio bene!
*//*”
Baci baci,
Sissy
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