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Autore: Yssis    30/03/2014    3 recensioni
Dall'Epilogo
-Ciao Yuuto. Com’è andata la giornata?-
-Tutto bene papà, grazie.-
“Pensa papà, se io non fossi tornato a casa oggi.
Avresti aspettato, cominciando ad agitarti, poi sarebbe arrivata la mamma e l’avresti accolta con un sorriso tirato, che non nasconde l’ansia.
Lei avrebbe subito chiesto di me; allora non avresti retto più e avresti detto che ero uscito per giocare con i ragazzi ma non ero rientrato all’orario stabilito, né avevo avvisato un possibile ritardo.
Allora avreste chiamato la polizia e sarebbero iniziate delle ricerche che non avrebbero portato a niente.
Io mi sarei dissolto nel nulla e non mi avresti più rivisto, mai più…
Però va
tutto bene papà, perché non è successo nulla e io sono qui, sono tornato a casa, adesso mi lavo e mi preparo per la serata.
La mamma ci racconterà del suo viaggio, e io parlerò della partita e della possibilità di iscrivermi al club di calcio anche alle scuole superiori.
Mangeremo tutti insieme, finirà anche l’estate ma io sono qui papà.
“Tutto bene, sono a casa. Grazie.”
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Jude/Yuuto, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15;  Inquietudine

Il pomeriggio passò quieto e in ombra.
Kidou stava seduto in panchina, torturandosi le manine livide e osservando Endou.
Endou, il ragazzo che aveva seguito senza esitazioni, con la promessa di un calcio e di un futuro… E pensava con che aggettivo concludere la frase.
Non “migliore”, no. Non era quello giusto.
Solo… Forse, solo “diverso”. Forse era stato quello, era stata solo curiosità, ricerca di qualcosa di nuovo, di diverso.
Eppure lì, in quel momento, mentre osservava Mamoru che con quel sorriso gaio organizzava la squadra e l’allenamento che stava svolgendo, rifletteva che a volte la vita è davvero strana.
“O meglio, che vita e vita… Sempre a parlar di vita e destino.
No, non è la vita, è quel filo teso e sottile e trasparente che lega insieme Kageyama e me.”
Si toccava le dita, con insistenza, massaggiando i polpastrelli, quasi a volerlo cercare questo filo, quasi a volerlo trovare. Per farci cosa esattamente non lo sapeva: se l’avesse trovato e strappato? Che sarebbe successo? Si sarebbe sentito bene? Si sarebbe fatto male? Si sarebbe liberato di quel groppo in gola che quasi non lo faceva respirare, rendendogli intorno l’aria afosa e acida?
Non lo sapeva. Però sarebbe stato interessante, trovarlo. Insomma, avrebbe avuto la conferma di quello che pensava, dopo tanti anni. Un filo legato al dito, una promessa da ricordare.
“-Papà! Chi è? Chi c’è?-
-Guarda un po’ chi è venuto a trovarti?-
-Ciao diavoletto.-
-Kageyama-san!”
A distanza di anni… - Quanti? Quanti anni erano passati? – avrebbe potuto ugualmente giurare che gli si erano illuminati gli occhi, a vedere la figura di Kageyama sull’uscio della sua nuova casa.
Quasi sentiva ancora le gote arrossarsi di colpo e iniziare a pizzicare.
“Ma no, forse non è il ricordo della gioia, forse è solo quest’acqua ghiacciata che cade dal cielo e che mi ricorda quanto sono freddo e solo, ora…”

Inutile, non ci riusciva.
I ricordi più limpidi che riusciva a evocare erano i primi momenti a casa Kidou, e le visite di Kageyama… La Teikoku, e il preside che lo fermava nei corridoi e gli diceva che la sua classe era dall’altra parte, i primi approcci con la squadra, e gli allenamenti di Kageyama
Niente, non riusciva a toglierselo dalla testa. Ora che era lontano, gli sembrava ancora più nitido il ricordo, la presenza...
E provava a pensare ad altro, a pensare a Endou, e i ricordi c’erano, certo… Haruna, gli allenamenti, l’attacco alieno, Kudou, le prime partite al Liocott, l’Italia… L’Italia
E qui c’era un punto strano.
Come quando vai a capo a metà della frase. Quando sai che potresti ancora scrivere qualcosa, e probabilmente qualcosa da scrivere ancora c’è, ma proprio non ti viene in mente nulla, e allora vai a capo, e lasci quello spazio vuoto, quello spazio in cui avrebbe potuto esserci scritto qualcosa, qualcosa di bello, di divertente, di triste, di commovente… Invece c’è solo del bianco, del bianco perché tu non sai cosa scrivere, non sai cosa fare.
E vai a capo, e poi ricominci a scrivere.
Però quello spazio bianco rimane sempre, e mentre ti fermi a riflettere ti colpisce per il suo vuoto, e rimpiangi di non averlo riempito quando potevi farlo.
Invece sei andato a capo.

-Bene ragazzi, per oggi abbiamo finito!-
-Mi raccomando, continuate ad impegnarvi così e insieme riporteremo il vero calcio!-

La voce di Haruna e quella di Endou erano molto differenti fra loro: sua sorella, nonostante gli anni, aveva mantenuto un tono allegro e cristallino, e mentre trillava come un campanello con quella sua voce dolce, distribuendo asciugamani e bottigliette d’acqua, Yuuto quasi si sentiva chiamato in causa anche lui, perché infondo prima c’era lui su quel campo in cui avevano corso per ore dei ragazzini sconosciuti, che a detta della Resistenza portavano avanti lo “spirito della Raimon”.
Kidou a guardare quei ragazzi si sentiva strano: si sentiva come a guardare dei tipi qualunque che alla televisione commentano uno spettacolo che tu non hai visto. Come un festival, un concerto, un nuovo film. E tu stai lì, e ascolti i loro pareri senza avere uno straccio d’idea tua. Ecco, così si sentiva. Guardava quei ragazzi che dicevano di portare avanti i loro sogni e la loro gloria come se lui di sogni e gloria non ne avesse mai avuti.
Era strano, era davvero parecchio strano.
Aveva già sentito Hikaru parlare di questa storia, di questa “rivoluzione”, di questo “spirito della Raimon”… Ma ora che aveva passato un pomeriggio a guardarli, questi ragazzi, questi “spiriti guerrieri”, si sarebbe dovuto sentire orgoglioso, invece era solo confuso.
Non riusciva davvero a capire.

-Yuu-chan?? Che hai, ti sei imbambolato? Vieni Onii-chan, andiamo a casa!-
Kidou sbatté gli occhioni purpurei come se sua sorella fosse apparsa davanti a lui in quel momento. Come un’allucinazione, un sogno, uno specchio di qualche realtà distorta.
Mentre lei con un risolino lo prendeva in braccio, il piccolo pensò davvero, per uno, un solo istante, di essere finito dentro uno di quei spaziali e misteriosi buchi neri: era finito in una realtà alternativa, una concezione di esistenza diversa da quella che noi fin ora abbiamo creduto unica ed insostituibile.
Poi scrollò le spalle, aggrappandosi a quel seno fermo e caldo, a quel collo morbido e setoso, che quasi erano estranei, che quasi gli mettevano paura.
Era più normale essere presi per mano da Kageyama o abbandonarsi a quell’abbraccio sensuale e giovane di sua sorella che sembrava più una mamma?
“Un universo parallelo… Il mio scetticismo sta iniziando a venir meno, sull’argomento…”

**

Fuori era buio.
Dentro era buio.
Non riusciva a vedere altro che l’oscurità, Kageyama, seduto su quella poltrona da dove tutto era iniziato, e dove tutto finiva, adesso.
“E se stesse piangendo? E se gli venisse freddo? E se venisse di nuovo posseduto da un incubo? E se si perdesse? E se…”
-Zio! Zio mi senti?-
Kageyama si ritrovò a sbattere stupidamente le palpebre, confuso, davanti allo sguardo preoccupato di Hikaru. Non ne riusciva a combinare una giusta, ultimamente.
-Scusa.- riuscì solo a dire, troppo occupato a reprimere le lacrime per inventarsi una scusa decente.
Hikaru, il suo nipotino, gli sorrise debolmente, mettendosi accucciato fra le sue ginocchia. –Zio, ti sei accorto di quando siamo rientrati, io e Rushe?- chiese con tono dolce, delicato.
-No.-
Ne aveva abbastanza, delle bugie. E poi, anche volendo, non avrebbe saputo inventarsene neanche una convincente.
Hikaru sorrise di nuovo, ma anche i suoi occhi erano lucidi.
-Zio… So che non ne vuoi parlare, ed è giusto, se non vuoi non sei obbligato, però… Io volevo…-
-Non ha importanza. Davvero, sto bene.-
Di nuovo il ragazzino annuì, increspando le labbra.
Gli avevano sempre descritto suo zio come un uomo forte e carismatico in qualsiasi situazione, ma in quel momento gli sembrava solo una persona angustiata dalla preoccupazione e dai sensi di colpa.
Era più bello vederlo così, dopotutto; dava un’idea di umanità stravolgente… Però era anche triste, terribilmente triste.
A Hikaru vennero in mente quelle volte in cui da bambino piangeva perché i suoi genitori dovevano andarsene a causa del lavoro, e suo zio che riusciva sempre a distrarlo, a farlo sorridere di nuovo…
Se pensava a quante volte era stato capace di asciugare le sue lacrime: con un sorriso, una battuta, un pallone…!
E adesso che avrebbe voluto fare qualcosa lui, per suo zio, non aveva idea di come comportarsi.
Poi sorrise, perché probabilmente era l’unica cosa che in quel momento si sentiva di fare.
Sorrise, e abbracciò quel grande Kageyama Reiji che era tutto tranne che un uomo privo di sensibilità, come invece lo descrivevano gli altri, senza riflettere, senza conoscere.
-Vieni adesso, zio. Accendiamo la luce e prepariamo qualcosa da mangiare. Ti aiuto anch’io, va bene? –

**

-Eccoti qui! Finalmente soli!-
-Ehi ehi! Piano eh. Mi stavo quasi assopendo… E non mi sballottare troppo Endou! Non sono un peluche!-
-Sei paffutello e caldo proprio come un bambino, sai? Sei adorabile!-
-E perché, cosa ti sembravo? Una scimmia?!-
Otonashi e Endou camminavan lesti per le già buie strade di Tokyo, passandosi il piccolo Kidou di mano in mano, increduli e affascinati come del resto c’era da aspettarsi… Il piccolo però non sembrava molto d’accordo sul fatto che i due lo tormentassero con così tanta insistenza.
-Ditemi una cosa… E per favore mettetemi giù!-
-Kidou per carità! Hai delle gambe talmente tanto vessate che non…-
-Ma che vessate e vessate… Questi sono graffi alle ginocchia perché Hikaru mi ha messo in porta, quando giocavano a calcio! Le mie gambe stanno benissimo!-
-Hai giocato in porta Onii-chan?! Davvero?-
-Haruna… Ti prego. Da coetanei ancora ancora… Ma non mi puoi chiamare “fratellone” adesso! Potresti essere mia madre!-
-Oh! Sai che idea…? -
-Non ci pensare nemmeno. Piuttosto scappo di casa. -
-Perché, non pensi che potrei prendermi cura di te?-
-No, sei negata. -
-Ehi! Bada a come parli, nanerottolo!-
-Ah! Visto? Prima “onii-chan” e adesso “nanerottolo”?! -
-Beh, ma sei mi fai arrabbiare colpa mia non è…!-
-Siete proprio fratelli, è innegabile.-
-QUALCUNO TI HA CHIESTO QUALCOSA?!?!-
-No no, per carità. Scusate, era tanto per dire…-
-Bene, taci Endou-kun che devo dare una lezione al mio bambino…-
-Ehi ehi ehi! Lasciami stareeee!!-
-Ehm… Non vorrei disturbare ulteriormente, ma non potremmo posticipare il tutto a quando saremo a casa? Ci stanno guardando tutti…-
-Tsk! E che guardino…!- Haruna si ravvivò gli capelli ondulati, socchiudendo gli occhi con fare allusivo.
-Wow! Questa sì che è nuova… Endou che si preoccupa di cosa pensa la gente quando ci vede correre per la strada…-
-Ma non si possono fare paragoni del genere! Adesso sono cresciuto, un minimo di reputazione da mantenere ce l’ho anch’io…-
-Hikaru…! Kidou è forse l’unico che ancora mi considera una persona con una reputazione dignitosa! Cosa gli vai a raccontare?!- “
Il bambino ebbe per un attimo un capogiro, il suono delle risate in quel tavolo risuonarono nelle orecchie taglienti e incrinate.
La voce secca e provocante della sorella lo riportò alla realtà…
-Ptf! Lascia perdere… Che oggi per arrivare al campo abbiamo fatto ridere metà Tokyo!-
-Non è colpa mia se Natsumi non ci mollava! Io glielo avevo detto, che dovevamo andare, ma lei niente! Quando si fissa, non c’è verso di farla star tranquilla…-
-Ehi ehi! Calma calma calma. Non riesco a seguire… Una cosa per volta, per favore. Voi abitate nella stessa casa? E c’è anche Natsumi-san? Perché nessuno mi ha avvertito?! Dovevo prepararmi psicologicamente ad incontrare quella serpe di “delicata” fanciulla…! E perché non vi voleva far andare all’allenamento? Cosa voleva fare?-
Endou lo prese delicatamente dalle braccia di Haruna, e mentre lei ridacchiava e Yuuto osservava quegli occhi grandi e ghiacciati e le lunghe ciglia messe in evidenza dal mascara nero, gli scompigliò le ciocche intrecciate.
Kidou non si era mai sentito così a disagio, era una sensazione orribile… Endou che lo prendeva in braccio e gli scompigliava i capelli? Ma quando mai?!
-Oh no, non temere! – faceva intanto la voce di un uomo, un giovane uomo, con dei sogni a brillare negli occhi scuri e grandi, come sempre, come allora… Forse gli occhi di tutti erano l’unica cosa che rimaneva, del passato che lento gli sfumava nella mente come fuliggine impalpabile… – Haruna mi viene sempre a chiamare per andare agli allenamenti, e per strada ci mettiamo già d’accordo per schemi e tattiche d’allenamento, così una volta in campo si inizia subito a lavorare. Sono io che vivo con Natsumi, ci siamo sposati…-
-CHEEE?!?-

**

Rimase un attimo in piedi, quando tutto si fu quietato.
Aspettò che Hikaru salisse le scale fino a chiudersi in camera sua, e stette immerso nel silenzio serale.
Sospirò, lo sguardo perso nel vuoto.
Hikaru era stato dolcissimo con lui in quel frangente, l’aveva aiutato a riprendersi, almeno un poco, almeno per salutare Fideo e Rushe.
Sarebbe stato veramente brutto, e anche egoista, da parte sua, salutarli così sconvolto. Avevano cenato insieme, e poi avevano accompagnato i due italiani all’aeroporto.
“Allora ciao Oji-san!”
“Ciao Rushe. Ci risentiamo presto, promesso.”

“Ciao romanticone, mi mancherai un sacco!”
“C-Ciao Rushe… Torna p-presto…”
“Il tempo di un bacio e sarò di nuovo qui con te, d’accordo Hika?”
“D-D’accordo… Ti-Ti aspetto…”

“A presto!”
“Buon viaggio ragazzo mio. Continuate così, mi raccomando.”

“Ciao! Ciao zio! Ciao Hikaru! Vi scriverò presto!”

Durante il viaggio di ritorno avevano ascoltato della musica alla radio, nessuno dei due sentiva il bisogno di dire qualcosa.
Hikaru era subito andato a letto, senza farsi pregare, e adesso era solo.
Di nuovo, solo, immerso in una notte senza stelle.
Sedette sulla poltrona vellutata senza pensare a nulla.
Accese la televisione. Squadrò lo schermo, tentò di concentrarsi su quelle immagini sfavillanti nel buio del salotto. Cambiò canale. Lanciò un'altra occhiata. Cambiò di nuovo.
“Non mi lasciare…”
Quel premere il pulsante e vedere quei puntini luminosi formare un’altra immagine, altre facce, era quasi diventato un movimento catatonico. Non riusciva a fare altro.
… Fa meno male quando sono con te…”
Altre voci qualunque, ad un volume talmente alto per coprire i sussurri di qualche giorno prima.
Altre facce qualunque, luminose e finte, per annebbiare nella mente quegli occhi commossi che continuava a vedere ovunque si voltasse…
“… Mi prendi in braccio, e il dolore non lo sento più…”
Kageyama si prese la testa fra le mani, le orecchie battevano dal dolore.
-E’ giusto così, è per il tuo bene… Starai meglio, senza di me. -
Lanciò uno sguardo terribile contro la presentatrice di un gioco televisivo. Poco ci mancò che non la incenerisse sul serio.
“E comunque mi sono sempre annoiato, a guardare la televisione.”
Prese il telecomando, e premette con forza il pulsante rosso.
Lo schermo si spense, e lui piombò nel buio.

**

-Oh! Bene, ho preso tutto?-
-Sì, tranquilla Natsumi-chan. Vieni a sederti con noi, dai! Ci fai mangiare da soli?-
-No no, arrivo arrivo!-
Natsumi Endou finalmente prese posto a tavola, dopo averci poggiato sopra qualsiasi, dico qualsiasi, tipologia di alimento. Sembrava che dovesse sfamare un esercito...
-Com’è ragazzi? Non ho esagerato con le salse, vero?-
-Oh assolutamente! E’ perfetta!-
-Uh, che sollievo!-
Le facce di Haruna e Mamoru erano contratte in smorfie adorabili, fatte su misura per compiacere la “donna di casa”. La Otonashi bevve un sorso d’acqua, buttando giù un boccone che altrimenti avrebbe rimesso, e dopo aver tossicchiato prese coraggio, infilandosi un altro boccone di cibo in bocca. Non era sicura di voler sapere esattamente quel che stava mangiando.
-Ma ditemi un po’, che fine ha fatto Yuuto?-
-Perché, non è qui con noi?- Esclamò Endou, ben contento di poter intervenire e sospendere, almeno per poco, la trangugiazione di quel “cibo”.
-No. – sorrise calma Haruna. – Appena siamo entrati mi ha detto che si sentiva stanco, così l’ho accompagnato di sopra, in camera. Ho fatto bene Natsumi?-
-Oh certo certo! Ci mancherebbe! Sarà stremato piccino, ha passato una giornataccia…-
-Sono sicuro che si riprenderà presto. – sorrise sereno Mamoru
-Lo spero davvero…-

Nella stanza di sopra intanto, Kidou si guardava intorno.
Non era stanco per niente, semplicemente non aveva minimamente intenzione di mangiare qualcosa preparato da Natsumi: non aveva voglia di essere costretto a sottoporsi a una lavanda gastrica solo per compiacere una ragazza. O una donna. O, insomma, quello che era…!
La camera era molto diversa da quella di Hikaru, però non era male. Anzi, c’erano un sacco di cose interessanti… C’era un grande armadio, appoggiato alla parete davanti, un letto matrimoniale al centro e di lato delle tende pesanti, di un bordeaux intenso, a coprire le finestre e a rendere l’ambiente ancora più scuro. Evidente, dovevano assorbire molta luce…
Si avvicinò a quel punto, e scostandole si rese conto invece di quanto buio fosse già, fuori. I suoi occhi scarlatti si muovevano agitati, cercando di capire dove si trovasse, mentre si spingeva più in alto che poteva, sulle punte dei piedini.
Affaticato, si staccò dalla finestra e la sua attenzione fu catturata da diverse cornici appese alle pareti; c’erano delle riproduzioni di quadri famosi, dediche, ritratti, delle immagini satiriche di Endou e Natsumi… “Devono essere felici insieme… Già, d’altra parte si sono sposati…”
In fondo alla stanza, quasi nell’angolo, Kidou intravide un quadretto piccolo e piuttosto in alto. Vagò subito con lo sguardo sulle pareti della stanza, ma non trovò interruttori della luce. Si faceva sempre più buio là dentro, ma lui voleva vedere cosa raffigurasse l’ultima cornice…
Allora prese uno sgabello che stava vicino al letto, e con fatica lo spostò sotto il quadretto; ci si arrampicò sopra e staccò la cornice dal muro.
Ridiscese sul pavimento, scostò di nuovo le tende e un poco di luce illuminò opaca la superficie lucida del quadretto.

Era un dipinto ad olio, i colori erano caldi, molto accesi. Un bel tramonto sul mare, dei gabbiani che volavano stracciando sugli orli le nuvolette infiammate dal sole morente.
Kidou si sentì avvolgere da un capogiro, mentre si ostinava a tenere lo sguardo su quei colori brillanti. Piano piano questi iniziarono a sfumare nei suoi occhi rossi, d’un opaco come nessuno aveva mai visto: di rosso nel suo sguardo ormai c’era solo l’idea, il ricordo. L’utopia.
Affondò nel giallo, rosso e arancio del cielo e del mare in fiamme.
Fiamme… Fiamme…
Sentì l’ardore del fuoco avvolgerlo, mentre affogava nell’acqua.
Si sentiva lì, in quel preciso punto in cui il sole, caldo, caldissimo, si scioglieva nell’acqua bluastra del mare, buio, freddo, profondo
Si sentiva l’acqua alla gola, tutto avvolto dalle fiamme.
Caldo… Caldo… Acqua… Acqua…
D’un tratto il cielo e il mare scomparvero, ora c’era solo del verde.
Verde del campo di fiori. Del campo da calcio.
E c’era del blu. Il blu del cielo. Oh, che bel cielo blu… Blu delle divise.
Era tutto buio, tutto nero.
Nero… Nero… Freddo… Freddo…
Poi una luce, improvvisa. Lontana.
Lontano… Troppo lontano…
Gli altri, tutti, tutti gli altri, che si tuffavano nella luce.
Bello, bellissimo…
Lui rimaneva indietro.
Chiamava.
“Aiuto! Aiuto!”
Aveva male alle gambe.
Le gambe erano rotte, a pezzi. Raccoglieva i pezzi delle sue gambe, aveva paura di perderli per strada. Per strada…
Quant’è buia la strada…! Per raggiungere la luce, la strada, la strada…
Strisciava per terra, intorno a lui tutti correvano, tutti andavano. Verso la luce.
Lui strisciava lento, raccogliendo il suo corpo che cadeva a pezzi.
Pezzo per pezzo… Pazzo per pazzo… Pozzo per pozzo…
Un pozzo, sì. Quanto può essere buio e freddo e profondo un pozzo?
Però è anche calmo.
Non c’è più rumore, non corre più nessuno, qui nel pozzo.
Un pezzo di pozzo di un pazzo.
Un pazzo pozzo. Un pazzo nel pozzo. Un pozzo nel pazzo.
“Che differenza fa?
Tanto qui nessuno può sentire me che parla.
Me che grida.
Me che piange.
Me che
muore.”

*Angolino della paura*

Beneeee…
Buondì minna-san! <3
(?)

Prendete un respiro profondo e affilate i coltelli. Immagino che ce l’avrete a morte con me, e come biasimarvi? Anch’io sono un po’ arrabbiata, sto facendo soffrire tutti in modo spropositato… *^*
Ah beh. Sono cose che capitano. *la freddano*
Uhè uhè! Un attimo, please. ^^” Abbiate la decenza di lasciarmi spiegare, poi sarete liberi di farmi quello che più desiderate opportuno v.v
Prima di tutto… Diciamo che è un capitolo particolarissimo, pieno di riflessioni e manifestazioni di mancanza profonde.
Volevo fare due o tre punti, tanto per avere le cose chiare in testa…
Prima fra tutti, quel paragone che ho fatto con la sensazione d’angoscia che prova Kidou e quella provata da noi quando andiamo a capo. (?) Mi rendo conto che quel pezzo, preso da solo, è a se stante, come dire, ha significato compiuto, se però si considera solo la nostra condizione di autori. Se invece si trasferisce il paragone sulla figura di Yuuto… Allora voglio vedere chi è che è così bravo da capire da cosa è causato questo stato d’animo.
Vi do una traccia, dai: Yuuto dice che si sente come se, mentre scriveva - faceva un percorso… - ad un certo punto non sapeva più come continuare, non si sentiva più in grado di continuare, e allora ha cambiato idea, ha ricominciato a scrivere su un'altra riga, andando a capo. Cercando di dimenticare quello che stava scrivendo prima, per non soffrire più. La sofferenza però lo tormentava sempre quando si fermava a riflettere, a pensare, e sentiva pesare addosso quello “spazio bianco” - quel vuoto… - che lui non ha voluto o saputo riempire. Lui è andato a capo, si è voluto lasciare tutto alle spalle, e quello spazio bianco è stato riempito da qualcun altro, che non è lui, perché lui è andato a capo.
Adesso chi è così bravo da dirmi quando ha cominciato ad avvertire questo stato d’animo e perché è tormentato da esso? Suvvia, conosco delle persone che avrebbero dovuto spiegarmi questo paragone senza bisogno del mio aiuto, comunque chi mi spiegherò ciò… Avrà la mia gratitudine (?) Cosa ci può essere di meglio?? Come premio di consolazione tutti riceveranno una banana (?) uou
Ora andiamo oltre.
Kageyama in questo capitolo è umanissimo e disperato, ma d’altra parte questa separazione mi ha permesso di scrivere questi pezzi: se Yuuto fosse rimasto sempre in questa casa, non avrei potuto raccontare il loro legame in questo modo romantico e struggente!! *la freddano x2 (?)*
Mi state facendo fuori un po’ troppe volte! Le mie vite mi servono, eh! >.<
Hikaru… Aaaawwww!! <3<3 Non ditemi che solo io l’ho trovato dolcissimo tanto che mi sono messa a piangere, ché altrimenti vi freddo io v.v
Insomma… Yay! E’ un amore, punto. <3 E’ un personaggio che sa amare, in tutti i sensi. Se non l’avesse inventato la Level-5 dovevamo inventarcelo noi, un personaggio così. v.v
Penso che sia chiaro a tutti, comunque mentre guardava la televisione sono tornate in mente a Reiji le parole di Yuuto del capitolo 4 ^^”
E… Vabbeh, le scene a casa di Endou non mi ci sono soffermata tanto ché sinceramente me ne importa poco. v.v Li odio tutti (?) perché hanno separato brutalmente i miei due cuccioli (?) >.< E questa è una cosa che non tollero, anche se alla fine la long la scrivo io, quindi dovrei prendermela solo con me stessa (?) *^* Ma è più bello prendersela con gli altri. v.v
MaH! Penso che stiate strepitando dalla voglia di capire qualcosa dell’incubo di Yuuto, gnègnè.
Quindi quindi… Allora, inizialmente Kidou ha preso questo quadro, e i colori caldi hanno avuti un effetto drammatico su di lui, trasportandolo lontano nel suo inconscio oscuro e tormentato. Qui ha visto del verde, del blu e del buio seguito da una luce.
Allora… Torniamo sempre allo stesso punto, ovvero al momento in cui ha perso Kageyama. La partita, il campo verde, le uniformi sia della nazionale giapponese che di quella italiana che sono blu, e il cielo che Kageyama ha guardato prima di essere investito. Blu è anche il colore degli occhi di Fideo, gnè~
Poi, la luce. Beh, il concetto è facile: lui è caduto dentro una luce (il portale) e si è trovato da solo, al buio. Sapeva che tutti gli altri, fuori da lì, fuori da lui, sono rimasti nella luce e hanno continuato a inseguirla, mentre lui, dolorante e ferito, è stato costretto a rimanere nel buio a lungo. Finché è riuscito ad uscire – vi ricordate, il secondo capitolo? ^^” – e con le gambe martoriate camminava lungo la strada buia.
Poi ho parlato di un pozzo, neh? Beh, semplicemente ha funzionato così: Yuuto per la prima volta durante il suo incubo si è mosso, si è come buttato giù dalla finestra – infatti dice di sentire dolore alle gambe, probabilmente si è ferito – e ha cominciato a camminare lungo questa strada buia, fino a quando non è caduto dentro una fossa, un burrone, un pozzo. -Devo ancora pensarci ^^”- Qui si è sentito insanguinato e solo, e in preda all’incubo perde i sensi convinto di star morendo.
Ovviamente non morirà, eh. Ci manca solo.
~
Arriverà la fanteria in suo soccorso! (inutile dire chi si metterà in moto per primo, vero?? *ç* Amorriiii!! Non vedo l’ora che si riabbraccino!! <3<3 – sono un caso perso, ignoratemi. -.-“)
Probabilmente qualcuno protesterà perché Haruna e Endou sono descritti come degli esseri orribili e cattivi che volevano solo il male di Yuuto portandolo via da Kageyama: in realtà la questione è più complicata. Vedete, non è che Kidou non vuole bene a sua sorella o a Mamoru, per carità, è solo che è piccolo e come abbiamo visto nei capitoli prima ha alcuni ricordi un po’ discordanti: per questo ha bisogno di un appiglio sicuro, che è Kageyama, perché quando lui aveva sei anni pensava sì ad Haruna, ma il suo punto di riferimento era il Comandante. Inoltre nel capitolo prima, quando si sono salutati, non so quanti di voi ci abbiano fatto caso, ma Yuuto ha detto una cosa interessante: “Ma tu sei sempre stato grande! (…)”
Kageyama è sempre stato “adulto” è sempre stato una figura di riferimento, mentre Haruna è la sua sorellina, e Endou è un suo coetaneo… E’ molto difficile per lui aggrapparsi ad Haruna “che quasi sembra una mamma” che a Kageyama, perché in qualche modo lui è sempre stato adulto.
Capito? No, perché non vorrei mai che qualcuno -  non faccio nomi *^* -  mi venga a dire che ho espresso troppo esplicitamente il mio disinteresse nei confronti della sorella di Yuuto ^^” Mnh~
Bene bene, non mi pare ci sia altro.
A voi la parola e…
“Fu vera vittoria? Ai posteri l’ardua sentenza.” ~ Alias: Ditemi se merito davvero la pena di morte, e ricordatevi che vi voglio bene! *//*”
Baci baci,
Sissy <3<3

  
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