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Autore: May90    07/07/2008    2 recensioni
[Fiction a due voci] [Ben lontana dalla vicenda originale] [La mia prima fanfiction...^_^]
Capitolo 19 "Feelings And Desires" =
"Prese un altro sorso di vino e, una volta riappoggiato il bicchiere sul tavolo, si mise a giocare passando con finta non curanza l’indice smaltato di rosso sul bordo del calice. Un’altra scena di repertorio, ma sempre molto efficace, dovevo ammetterlo. - Fai bene a parlare di gatti. – riprese, senza mutare l’espressione rilassata, ma fissando intensamente quel gesto che fingeva essere spontaneo – In quanto felini, hanno molti istinti feroci insiti in loro e un innato desiderio di scoprire le cose di persona. Non si tirano mai indietro. Quando hanno uno scopo, poi, diventano implacabili. - - Quindi l’avresti presa come una sfida? Non voleva esserlo in ogni caso. – scrollai le spalle – Strano, comunque. Credevo che i gatti fossero soprattutto animali nobili, eleganti, amanti del benessere e della tranquillità. Non questi grandi avventurieri. – - Quando sono allo stato selvatico, finiscono per essere più simili alle tigri che ai cagnetti domestici. A meno che tu non mi stia paragonando ad un innocuo barboncino. – e alzò gli occhi affilati come lame sul mio volto. - Tu invece ti stai paragonando ad una tigre…? – commentai con una smorfia dubbiosa – E soprattutto, in che modo dovresti sembrare così selvatica? Vivi in una ricca dimora, partecipi spesso a serate mondane, hai sempre una perfetta manicure… -"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tyki Mikk
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

My dear Sister



“Si corre lo stesso rischio a credere troppo che a credere troppo poco.”
(D. Diderot)






I momenti precedenti alla scoperta della mia attitudine ai ruoli principali e all’incontro con il mio “impresario”, con quello strano essere che tutti chiamano Conte, li ricordo solo vagamente.

Da quello che ne so, ho sempre lavorato. Anche parecchio, con fatica e difficoltà, in ambienti impossibili, in condizioni disumane, ma con la forza di chi deve mangiare e può farlo solo con il sudore della fronte. Un bambino semplice e davvero infelice. Ma non certo un eroe o una vittima, solo un triste caso della sorte, pensavo.
Poi c’è uno spazio vuoto. Ricordassi almeno come ho incontrato Frank e Momo… Non ne ho idea… Ma credo che mi abbiano avvicinato un po’ per lo stesso motivo per cui io ho cercato di proteggere Iizu… Un bambino piccolo, solo e abbandonato a se stesso faceva tenerezza, credo… Soprattutto poi se non ha altro modo di sopravvivere che faticare in lavori umili e pesanti come quelli degli adulti…
La vita con loro divenne migliore. Ho degli ottimi ricordi di quei momenti di vera amicizia. Furono i miei amici i primi a farmi sentire una persona. Per questo associai a loro la mia sola famiglia.

Poi trovammo il piccolo Iizu… Loro dicevano che assomigliava moltissimo a me, solo che non aveva la mia stessa testa calda e fisico da minatore. Era piccolo, minuto e molto più debole di salute. Riuscimmo addirittura a non farlo più avvicinare al lavoro e alla fatica e cominciammo a mantenerlo con il nostro stipendio. Non ci pesava, anzi, ci appariva una vittoria: stavamo proteggendo un bimbo dalla sofferenza.
Quando pensavo alla mia situazione vedevo solo un uomo, quando guardavo Iizu vedevo qualcuno che meritava di essere difeso da quel mondo… A quei tempi ero ancora una persona vera…

Poi è di nuovo tutto vago. Solo un episodio spicca ancora tra tutti. Lo ricordo come se fosse ieri.

Iizu si era ammalato ma aveva cercato di nascondercelo, come al solito. Alla miniera era un periodaccio: dato che il padrone non aveva ancora trovato il giacimento che cercava, ci aveva dimezzato lo stipendio, già bassissimo. Eravamo di pessimo umore, ma non potevamo e non volevamo licenziarci, per paura di dover di nuovo girare a vuoto e aspettare di trovare un nuovo posto. Per questo probabilmente aveva ancora più paura a mostrarsi malato, o forse fummo noi ad essere troppo occupati a pensare al nostro sostentamento per accorgercene da soli.
Un giorno, però, quando suonarono per il pranzo, non lo trovammo. Andai al suo letto e cercai di svegliarlo. Continuai a scuoterlo, ma non reagiva in alcun modo. Aveva la febbre altissima e sembrava delirare.
Eravamo completamente nel panico. Noi avevamo solo una minuscola cassetta del pronto soccorso e nient’altro. In miniera non c’era di certo nessuno avesse medicine o qualcosa di utile per curare un bimbo. Dovevamo assolutamente cercare qualcuno in città, che per fortuna non distava molto.
Presi in braccio Iizu e mi allontanai di corsa. Gli altri volevano seguirmi ma li obbligai a restare: lasciando il mio posto all’improvviso avrei certo perso il lavoro, ma almeno loro sarebbero riusciti a guadagnare abbastanza per permetterci di sopravvivere.
Arrivato all’ospedale sperai di trovare un minimo di assistenza, ma mi guardarono storto e chiesero senza mezzi termini se potevo permettermi di pagare. Mi ribellai, sbraitai, mi offrii di fare tutto per ricambiare le attenzioni rivolte al piccolo. Nulla. Rabbioso, ma sempre più preoccupato ed agitato, bussai a tutte le case dei dintorni, ma nessuno mi offrì aiuto. Disperato, offeso, frustrato, con il mio amico che tremava vistosamente tra le mie braccia, arrivai fino ai confini della città. Quando mi trovai di fronte ad un edificio stranamente enorme, non mi feci domande, ma angosciato bussai con tutte le mie forze, a lungo. Il silenzio totale sembrava provenire dall’interno, ma continuai imperterrito, senza arrendermi.
Solo dopo molti minuti, si aprì un piccolo spioncino attraverso il quale due occhi verdi sospettosi si posarono su di me.
- Vi prego! – urlai nel panico – Vi prego, sta male! Aiutatemi! -
Ma subito, il piccolo foro si richiuse con uno schiocco.
Sapevo di non essere per nulla rassicurante per il mio aspetto povero e sciupato: i capelli mossi spettinati, pieni di polvere a coprirmi parte del viso, la carnagione pallida di chi lavora alla luce delle fiaccole, i vestiti sudati e laceri e gli occhiali finti, inventati un giorno per scherzo con due fondi di bottiglia ma che da allora tenevo sempre addosso, anche perché decisamente utili a proteggere gli occhi durante il lavoro. Però una cosa simile non potevano farla. Non potevo sopportare di ritrovarmi di nuovo una porta sbattuta in faccia. Come poteva non far pena a nessuno quel povero bambino malato? Come potevano ignorarci così?
- Ma che razza di persone siete!? Non vi vergognate!? Lo lasciate morire così, maledetti!? -
Il rumore delle mie urla coprirono lo sferragliare della serratura. Sulla soglia apparve una suora dal velo e dal lungo abito blu che senza dire una parola mi tolse di mano Iizu e mi fece il cenno velocissimo di entrare. Fece poi scattare in fretta e furia la chiave nella toppa e prese a correre senza fare alcun rumore per il lungo e scuro corridoio. Le stavo dietro a fatica, attento a non far scricchiolare le scarpe usurate sul pavimento di pietra. Giunti di fronte ad una anonima porta, mi fece entrare per primo, poi lanciò uno sguardo inquieto da una parte e dall’altra prima di richiudere l’uscio.
Ci trovavamo nella sua cella. Era spoglia, ma accuratamente pulita. Appoggiò il bambino sul suo letto e lo coprì con cura con tutte le coperte che riuscì a trovare. Poi tirò fuori la sua bacinella piena di acqua e un fazzoletto candido. Mi lanciò uno sguardo scuro e mi mise in mano il pezzo di stoffa, poi per la prima volta mi rivolse la parola, con asprezza: - Allora, volete darvi da fare!? Bagnatelo e passateglielo sul viso! –
Poi, con un sonoro sbuffo uscì velocemente dalla stanzetta. Io rimasi basito, ma feci come mi aveva ordinato. Iizu tremava ma la sua pelle scottava…
Dopo lunghi minuti, tornò trafelata, in mano vari barattoli di quelli che sembravano decotti, infusi e simili. La osservavo senza parlare. Si comportava come chi si trova suo malgrado a fare qualcosa che in realtà non vorrebbe, con irritazione. La cosa mi faceva arrabbiare moltissimo, ma dato che sembrava volesse aiutare Iizu mi trattenni e seguii le sue istruzioni.
- E’ chiaro!? Dovete fargli prendere questa medicina ogni tre ore! Bagnate la garza in continuazione! Tenetelo per bene al caldo! Non permettete che si scopra! Io sarò di ritorno tra parecchie ore, per cui cercate di ricordarvi tutto! E non potete assolutamente uscire dalla stanza, chiaro!? -
Ero sicuro che il mio sguardo tradisse il fastidio, ma mi sforzai di sfoderare il mio più convincente sorriso falso e biascicai un faticosissimo: - Si… Grazie… -
Lei sembrò placarsi per un attimo, poi immagino che notò la mia sceneggiata e la sua espressione tornò ostile. Uscì dalla porta senza aggiungere altro.

Iizu migliorava a vista d’occhio. Ero davvero felice che le cose andassero meglio e sentivo anche una certa riconoscenza verso quella suora… In un certo senso…
Non ero mai stato un tipo religioso, per nulla. Strano per uno che veniva dal Portogallo, paese cattolico molto praticante. Onestamente, però, non avevo mai trovato alcuna soddisfazione nella pratica religiosa. Immaginavo che fosse una cosa totalmente vuota, priva di calore, irrazionale. Una buffonata, fatta apposta per mostrare agli altri come un trofeo la propria figurata virtù. Ecco un altro motivo per cui la “fede” non faceva per me: le entità religiose mi davano ai nervi. Forse era stata colpa di Fra Santiago, che ai tempi ci guardava dall’alto al basso ogni volta che per necessità ci recavamo da lui a chiedere un pezzo di pane. Oppure dalle figure ecclesiastiche che sventolavano ai quattro venti la gioia che deriva dalla carità e poi vivevano negli enormi palazzi senza neanche considerare gli sfortunati che chiedevano le elemosine vicino alle loro porte. Tutte falsità. Tutta apparenza. Tutta incuranza. Tutta idealizzazione inutile.
Lo stesso per la concezione del divino. Ero sempre stato scettico, più che dubbioso… Come poteva quell’entità suprema guardarci, eppure accettare ogni cosa che accadeva? Superstizione, stupida superstizione. In effetti potevo ritenermi un ateo, anche se non era certo il caso di andarlo a spiattellare in giro. E’ sempre stato pericoloso pensarla diversamente dagli altri…
L’idea di trovarmi quindi ad avere a che fare con una religiosa mi rendeva ancora più indigesta la situazione… Però bisognava riconoscerle la schiettezza di mostrare apertamente il proprio disgusto per noi, per i poveracci della situazione. Tuttavia, avrei preferito trovarmi di fronte una persona più simulatrice, ma anche più collaborativa… Avrei deciso di testa mia se sondare il suo animo e vedere la verità dietro il suo comportamento o accettare per gratitudine la sua squallida facciata misericordiosa… Mi rendeva molto difficile nascondere il mio astio…

Quando tornò nella cella, mi allungò velocemente in mano un piatto di minestra e un pezzo di pane e chiuse accuratamente la porta a chiave.
- Quello è per il bambino. Il pane è per voi. – disse, secca.
Io rimasi interdetto su cosa dire. “Grazie?” “Non dovevate disturbarvi?” Non mi suonavano bene visto l’atteggiamento pesante che mi stava usando. Mi imposi di tacere e svegliai con delicatezza Iizu. Si strofinò gli occhi assonnato. Aveva ripreso un colorito abbastanza sano, ma aveva ancora un po’ di febbre.
- Hai voglia di mangiare un po’? -
Annuì piano.
Lo imboccai con il cucchiaio finché non mi disse basta.
- Sei sicuro…? -
- Si… Tu non mangi, Tyki? –
- Non ti preoccupare per me. Ho un bel panino che mi aspetta. Piuttosto, cerca di finire la minestra… Ti fa bene… -
- Non sforzatelo se non vuole. Quelle medicine danno problemi di digestione. Se ne ha abbastanza, non insistete se non volete che stia male. –
Solo in quel momento mi ricordai della sua presenza. Fino a quel momento era rimasta seduta per terra, in silenzio, nel lato opposto della stanza. Mi scrutava compunta e serissima.
Ricambiai il suo sguardo con un po’ di ostilità e riappoggiai il piatto sul comodino:
- Allora va bene così… -
- Si. Grazie, Tyki. Grazie, signora suora. –
Intravidi un mezzo sorriso, sul suo volto scuro, ma tornò immediatamente cupa.

Iizu si addormentò di nuovo molto in fretta.
Allora immersi di nuovo la garza nell’acqua e la rimisi al suo posto, per poi sedermi per terra poco lontano dal letto per mangiare quel po’ di pane. Restavo zitto per ignorare la presenza della giovane, che continuava a guardarmi. Ogni tanto anch’io alzavo gli occhi e incrociavo le sue iridi verdi che scrutavano ogni mio gesto. Mi dava l’impressione di un animale braccato da un cacciatore: schiacciato in un angolo, senza via d’uscita, che fissa con timore crescente colui che lo minaccia… Così era anche lei, appoggiata, o forse sarebbe meglio dire addossata, al muro, avvolta stretta in una coperta, inquieta nei confronti del casuale ospite… In questo non potevo darle torto. E poi stava anche cercando di mettersi a dormire per terra per lasciare il letto al mio piccolo amico malato. Dopo tutto non poteva essere cattiva…

Quando alla fine decisi di sdraiarmi per terra per prendere un po’ di sonno, mi resi conto di non riuscire a farlo. Era insopportabile sentirsi così osservati! Per quanto cercassi di pensare ad altro, di concentrarmi su qualcosa di diverso, sentivo quella sottile insofferenza e irritazione pungermi la pelle. Quando infine non ce la feci più, mi alzai in piedi, deciso ad affrontarla.
Non mi importava più nulla di essere scortese o irriconoscente. Volevo capire fino in fondo cosa accidenti aveva contro di me. Io sapevo bene perché non avevo alcuna fiducia in lei, in una suora. Ma lei non aveva alcun stramaledettissimo motivo di fare altrettanto! Aveva o no deciso di aiutarmi!? Poteva lasciarmi fuori! Piuttosto che aiutarmi e poi trattarmi in modo così dannatamente insopportabile!
In realtà, mi alzai e andai verso di lei perché non volevo svegliare Iizu parlandole da un capo all’altro della stanza. Non voleva certo essere un’aggressione. Per quanto non la stimassi granché, non le avrei mai torto un capello.
Eppure la sua reazione fu immediata e impaurita. Ero ancora lontano un paio di metri, ma lei si schiacciò al muro, si coprì il volto e la bocca con le mani trattenendo un grido. Uno strano tremore la sconvolse ed ebbi l’impressione di sentire anche qualche basso singhiozzo.
Allora non osai andare più vicino e mi sedetti in quel punto. La guardavo incuriosito, ormai, più che arrabbiato. Mi resi allora conto che avevo avuto ragione. Lei aveva paura di me.
- Perché? – la domanda mi sfuggì di bocca senza che me ne accorgessi.
Ci mise qualche momento a calmarsi. Attraverso le dita semi-aperte vide dove mi trovavo e credo valutò che fossi ancora a distanza di sicurezza. Si passò frettolosamente una mano sugli occhi e poi cercò di recuperare la sua compattezza. Non riuscì però a risultare di nuovo gelida quando mi chiese, piano: - Perché cosa…? –
Con un leggero sorriso feci un gesto plateale: - Perché tutto questo… Voi avete una paura incredibile di me e mi siete totalmente nemica e ostile. Eppure mi avete fatto entrare e avete aiutato Iizu. Perché? –
- Non avete capito un bel niente. -
- Come? Vorreste dirmi che non mi temete…? – con un sorriso sghembo mi sporsi solo leggermente verso di lei. La reazione fu immediata e tornò a schiacciarsi contro la parete.
- Appunto. –
- Io… non ho… paura di voi… -
- Beh, diciamo che oggi non lo dimostravate, ma ora si. Anche questo non mi è chiaro. –
Abbassò la testa per fissare il pavimento e il velo scivolò a coprirle il volto.
Io attesi una risposta invano per un po’. Poi decisi di porre una domanda diversa: - Dite un po’, si può sapere perché siete così insopportabile nei miei confronti…? –
- Insopportabile!? - l’ostilità era tornata a colorire la sua voce.
- Si esatto. –
- Avete il coraggio di dire una cosa simile!? Vi ho aiutato, no!? –
- Si si… - annuii vigorosamente – Ma come se vi fosse stato ordinato. Con irritazione. –
- Beh, certo! Non vi rendete conto in che guaio mi avete messa! –
Manteneva la voce bassa per non fare rumore, ma questo non danneggiava minimamente il tono delle parole.
Sfoderai la mia migliore gamma di sorrisi ironici per l’occasione: - Guai!? Che guai!? Ecco, il classico atteggiamento della gente di Chiesa! Fanno sempre le vittime in ogni occasione. Per quanto siano nel torto. –
- Non vi siete reso conto che questo è un convento di clausura, quando avete bussato!? -
Devo dire che quella frase mi lasciò un attimo confuso. Allora tutto tornava. Tuttavia, non mi era sufficiente: - E quindi!? Se c’è un poveraccio che rischia di morire lo lasciate per la strada!? Tanto predicare, tanto parlare, e poi… -
- Le mie sorelle se sapessero che voi, un uomo, passate la notte nella mia cella… Il fatto che accompagniate un bambino malato non cambierebbe nulla! Sarebbe la mia fine! -
- Certo! Perché è questa la cosa più importante! La vostra posizione! E della gente che ha bisogno di aiuto ve ne fregate! Sono le solite chiacchiere da preti! Si può sapere che razza di ragionamenti sono!? Sono queste le cose che vi ha insegnato QUEL VOSTRO DIO!? –
Lei sgranò gli occhi, allibita. Toccò a me allora abbassare lo sguardo, sapendo di aver parlato troppo.
Dopo qualche secondo di silenzio mi rivolse la parola, con un tono calmo e distaccato: - …Voi non siete cristiano…? –
La guardai vagamente indispettito e decisi di stuzzicarla fino in fondo: - Non credo neanche in Dio se è per questo. –
Mi studiò per un po’ ma senza più alcuna sorpresa o confusione, solo asprezza: - Quindi siete il classico individuo che crede di contare solo su se stesso… -
- Qualcosa in contrario…? -
- Trovo irrazionale credere di essere soli nell’Universo della creazione. –
- Siete una suora. E’ naturale. Sarebbe strano la pensaste come me. –
- Sarebbe naturale, invece, che portaste un po’ di rispetto all’Essere che vi ha donato la vita! –
- Sentite… -
- Come potete non percepire la sua grande forza?! –
- Non potreste provare ad essere un po’ più diplomatica!? –
- Non è questione di diplomazia ma di giustizia! –
- Se cercate di predicare con me non avete speranze, “santità”! –
- Lo vedo! Siete solo un arrogante blasfemo! –
- Non crediate di offendermi… Non mi importa un bel niente… -
- Bene! Allora continuate a vivere nella vostra disumanità! –
- …Amen… -
Fece un verso che assomigliava vagamente ad un ringhio e si richiuse nel suo sdegno.
Non riuscii a trattenere una risata: - Eppure vi battete come una leonessa! E dire che sembra davvero abbiate paura di me! –
- Non credete di essere speciale per questo! Io temo tutti gli esseri umani… -
- Come prego? -
Teneva gli occhi bassi a terra mentre parlava in un sussurro triste: - Ho una paura incontenibile delle altre persone, da sempre. Il fatto che aggredisca spesso verbalmente gli altri è una forma di autodifesa. Mi viene spontaneo e quando lo faccio riesco anche a dimenticarmi il mio senso di inferiorità. –
- C’è almeno una ragione per tutto questo? –
Astiosa: - No! Non c’è! –
Sospirai, sconfitto: - Allora va bene... –
Di nuovo i suoi occhi verdi si allargarono a dismisura: - Cosa? -
- Beh è decisamente controverso, ma spiega tutto. Non siete neanche voi a volervi rendere così antipatica, è una questione naturale. Quindi non ci metto più becco. -
Annuì, un po’ confusa e tacque.

Mi sembrò di aver dormito poco o nulla quando venni svegliato da una campana. Non era ancora l’alba. La suora si alzò subito e senza esitazioni, come chi era abituato. Io, invece, ero distrutto.
- Che cos’è…? – chiesi durante un lungo sbadiglio.
- La campana del Mattutino. Devo andare a messa. –
Si lisciò leggermente l’abito e prese dal comodino un libretto.
- Perdonatemi, ma dovete proprio andare? -
Mi squadrò con rabbia: - Sentite un po’ voi, signor ateo… Capisco che per voi andare o non andare ad una messa… -
- No, non è per quello. – aggiunsi subito – Solo che non so quando si sveglierà e vorrei ci foste anche voi per controllarlo. -
- Voi tenete molto a quel bambino. – lo disse senza cambiare tono ma anche come se ne fosse profondamente stupita.
- Certamente. E’ un mio carissimo amico. –
- Credevo fosse vostro figlio… Anche se non vi chiamerebbe per nome… -
- No. –
- Ho capito. –
Mi fissò per qualche momento come se mi stesse rivalutando. La cosa, non so perché, mi fece piacere.
- Comunque tornerò all’ora di pranzo. Non so se riuscirò di nuovo a portarvi qualcosa da mangiare. -
- Non importa. –
- Vi prego di non fare rumore. Ora devo andare. Sono già in ritardo. – e uscì.

Ben due giorni passarono in quello strano modo. Con il tempo, la ragazza si faceva sempre meno ostile, ma non comunque propriamente gentile. La cosa, però, strano a dirsi, non mi offendeva più. Finalmente mi era chiaro ciò che era nascosto dietro quello strano comportamento.
Tuttavia un giorno non potei fare a meno di chiederle, cercando di far apparire la domanda il più naturale possibile, per quale ragione ci avesse aperto la porta nonostante rischiasse così tanto e d’altra parte non amasse minimamente gli esseri umani.
Ci pensò più seriamente di quanto avevo sperato. Pensavo mi avrebbe liquidato con un pallido “non lo so”.
Poi mi guardò molto intensamente, con i grandi occhi verdi che brillavano sulla sua pallida carnagione, e rispose: - Destino… -
- Come, prego…? – una parola simile non me l’aspettavo proprio.
- …Io la chiamo Provvidenza, ma voi vi sareste lamentato come al solito, così vi rendo accettabile il concetto… -
- Avete capito cosa intendo. Voglio dire, perché non un semplice caso? –
- Perché quel giorno dovevo andare a cantare nel coro, ma la notte stranamente non ero stata bene. Ero andata a preparare uno sciroppo e stavo giusto rientrando in camera quando sono passata davanti al portone e voi avete bussato. –
- Si, ma non avreste voluto e dovuto aprire. –
- Lo so. Però fui presa dalla curiosità e anche questo è decisamente anomalo. –
- Ma capita. -
- Si, certo. – si stava un po’ innervosendo, ma volevo smentire il suo fatalismo. Era troppo divertente contraddirla. – Però non mi interesso mai a nulla che esuli i miei doveri. Aprii lo spioncino solo per quello strano istinto. Quando vi vidi, pensai che dovevo esservi d’aiuto come potevo. E anche se mi irritava permettervi di entrare, vedere il bambino privo di conoscenza, mosse qualcosa… Non saprei cosa… –
- Istinto materno…? –
- Perché no…? – chiese con irritazione.
- Ed è tutto qui? –
- Vi sembra poco!? Tenete conto che io tengo anche una certa naturale distanza dalle mie sorelle! E invece nel vostro caso vi ho accolto nella mia cella! Questa per me è una ispirazione divina! Tanto più che avendo tirato fuori poco prima le cose utili per il mio lieve malessere non ho dovuto usare sotterfugi per entrare in erboristeria. Sembrava tutto costruito ad arte! –
- Sarà… -
Iizu ci guardava dal letto ridendo in silenzio. Io gli lanciavo ogni tanto sguardi complici, fino a che lei ci vide. Mi preparai ad una tremenda scenata e invece… Semplicemente mi guardò per un attimo con espressione indecifrabile e poi si girò verso Iizu indirizzandogli il primo e più bel sorriso che avessi mai visto.

Era la notte del terzo giorno di permanenza al convento quando uscimmo in silenzio dalla cella della suora e ci fiondammo verso la silenziosa ala principale. Aprì il portone con estrema delicatezza. Io e il mio amico eravamo pronti a scattare fuori per evitare che il rumore richiamasse qualcuno, ma lei ci fermò e ci mise in mano due gigantesche pagnotte a testa.
- Ma… - tentai di biascicare.
- Nessun problema. Sono la mia scorta personale. –
- Beh, ma vi abbiamo già portato via il cibo dal piatto per tre giorni… -
Mi guardò un po’ stupita. Credeva che non avessi capito che in quei giorni io e Iizu ci eravamo divisi la maggior parte del suo pranzo e della sua cena.
Abbassò lo sguardo: - Non ha importanza. Questi sono un regalo. –
Non aggiunse niente e si piegò verso il bambino: - Cerca di stare bene… -
- Si! Grazie, signora suora! – e le schioccò un bacio sulla guancia.
Rimasi colpito dal gesto perché Iizu non era solito alle smancerie, ma mai quanto lei, che divenne rossissima e riuscì solo a rivolgergli una leggera carezza.
Aprì il portone e noi due uscimmo.
Solo a quel punto mi girai e le porsi la mano.
Lei la guardò, indecisa. Mi ricordai allora dei suoi problemi di rapporto con gli altri, anche se avevo agito così convinto che li avesse, almeno in parte, superati. Ritirai la mano e mi accontentai di dirle, sinceramente questa volta: - Grazie davvero per tutto quello che avete fatto per Iizu… e per me. Forse non diventerò mai un cristiano, ma mi ricorderò delle vostre parole. In fondo è un compromesso. –
Sorrise gentilmente e fu lei questa volta ad allungare la mano: - Grazie a voi, Tyki. Grazie a voi ora ho un po’ meno paura. Vi sono riconoscente, a voi e a Iizu. –
Dopo averla stretta con calore, ci allontanammo di qualche metro e le rivolgemmo entrambi un cenno di saluto mentre stava per accostare la porta che si chiuse poi con un leggero tonfo.

- Tyki… -
- Umh. –
- Non le hai neanche chiesto come si chiamava. –
Sbattei gli occhi. Aveva ragione.
- Be’, pazienza. Tanto il mondo è piccolo e la gente si rincontra prima o poi. -
Lo dissi senza pensarci, anche se interiormente non ci credevo minimamente. Lei aveva consacrato la vita al suo Dio, non sarebbe mai e poi mai uscita da quel convento, quindi non avrei mai potuto rincontrarla.
Non credevo al Destino, né tanto meno alla Provvidenza. Un giorno me ne sarei ricreduto…

  
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