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Autore: Sissi Bennett    31/03/2014    8 recensioni
Bonnie McCullough ha diciassette anni, i capelli rosso fuoco, il viso a forma di cuore ed è sempre stata considerata da tutti la classica ragazza dalla porta accanto. Circondata da amiche più popolari e speciali di lei, non si è mai distinta tra la folla e nemmeno ha mai desiderato farlo. La sua esistenza in fondo è tranquilla e ha tutto quello che una ragazza possa desiderare, compreso un migliore amico premuroso, affettuoso e piuttosto figo: Stefan Salvatore. Tanto è legata a quest’ultimo quanto non sopporta il fratello, Damon. I due Salvatore hanno sempre avuto degli attriti, ma ultimamente le cose si sono fatte più tese: Stefan è riuscito a conquistare il cuore della bella Elena, la giovane per cui Damon ha sempre avuto un debole. Ma cosa succederebbe se la gemella di Elena, Katherine, ricomparisse a Fell’s Church dopo anni trascorsi a Parigi?
E se Bonnie, dopo un’estate in Spagna, tornasse più matura, più bella, più affascinante, insomma più donna e iniziasse ad attirare gli sguardi dei ragazzi? Damon continuerebbe a considerarla solo come la migliore amica di suo fratello o cercherebbe di aggiungere il suo nome alla sua già lunghissima lista di ragazze con cui è stato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Katherine | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore, Elena Gilbert/Stefan Salvatore
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Crazy Little Thing Called Love

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Capitolo ventitré: This is what it feels like

 

“The way you make me feel
You really turn me on
You knock me off of my feet
My lonely days are gone”
(The way you make me feel- Michael Jackson).

 

Sapevo esattamente quali sarebbero state le conseguenze di quel bacio, quello che non ero riuscita a dimenticare.

Primo: un immenso imbarazzo a ripensare a quel momento.

Secondo: un discreto fastidio per aver infine ceduto.

Terzo: totale confusione mentale, perché, nonostante cercassi in tutti i modi di convincermi che non mi fosse piaciuto, a malincuore dovevo ricredermi.

Quarto: completa incertezza sul da farsi.

Erano tutte domande vitali per la mia situazione emotiva. Ci pensavo notte e giorno, erano diventate la mia tortura.

Mi ero immaginata tutti gli scenari possibili. Avevo scomposto e analizzato quel problema come se si trattasse di un esperimento scientifico. Mai ero stata così razionale e accurata. Mi ero sforzata tantissimo per rimanere distaccata.

Normalmente tendevo a giudicare tutto con il cuore, ad agire come comandava il mio istinto, ma questa volta avevo davvero provato a evitarlo.

Forse non si era rivelato tutto inutile, ma quasi, per colpa di un dannato fattore che proprio non avevo calcolato: quel bacio mi aveva provocato uno scompenso ormonale da record.

Supposi che Damon si fosse guadagnato il titolo di seduttore più ambito per una valida ragione. Sapeva come usare le sue mani e la sua bocca, indubbiamente.

E nella mia poca esperienza, aveva di sicuro fatto centro.

La mia mente non era del tutto convinta, ma il mio corpo era stregato. Considerazione banale e piuttosto frustante, almeno per me che mi ero sempre vantata di essere l’unica a non aver mai trovato affascinante Damon Salvatore.

Prima o poi doveva succedere: nella vita di ogni ragazza arrivava il momento in cui i bisogni fisici si facevano sentire in maniera più forte di quelli razionali. Alla fine lo sviluppo aveva beccato anche me, in ritardo ma mi aveva comunque scovato.

Forse la stavo affrontando più tragicamente di quanto non fosse necessario. Insomma non ero ancora corsa da Damon come una disgraziata bisognosa di affetto e di carezze; per adesso mi limitavo a sognare quel bacio e le sensazioni che mi aveva donato.

Tralasciando strani sbalzi ormonali, non potevo negare che quel maledetto pallone gonfiato mi avesse scombussolato la vita più del necessario.

Era stato lento e scrupoloso, si era infilato nella mia testa senza nemmeno farsi notare e aveva cambiato tutta la mia prospettiva.

Avevo rifiutato Matt per lui. Era difficile, era assurdo, era imbarazzante, ma dovevo ammetterlo: avevo lasciato Matt perché non sentivo i brividi dell’attesa, perché non mi mancava, perché non suscitava in me abbastanza emozioni.

E tutto quello l’avevo sentito con Damon.

Non l’avevo voluto, non l’avevo chiesto. Le cose stavano così, però. Pure e semplici.

Forse iniziavo a capire l’irrazionalità del sentimento di cui avevo tanto letto e che non avevo mai sperimentato, men che meno compreso.

Un passo alla volta, comunque.

Non avevo nessuna intenzione di buttarmi tra le braccia di Damon. Avevo bisogno di esserne sicura al cento per cento.

Non credevo che fosse una sbandata passeggera, ma era accaduto tutto troppo in fretta e troppo inaspettatamente. Mi ero ripromessa di evitare un sacco di situazioni in cui invece ero capitolata senza tante obiezioni.

Adesso era giunto il momento di chiedere aiuto. Era giunto il momento di affidarmi a mani più esperte, anche a costo di mandare all’aria la mia reputazione da santarellina.

Dovevo confessare.

Come tutti i miei buoni propositi, trovai anche questo più facile a dirsi che a farsi.

Avevo invitato le mie amiche a casa mia con la scusa di prendere un tè tutte insieme, dato che non ci vedevano da un po’ sole e solette.

Elena già sapeva tutto. Meredith e Caroline ne erano all’oscuro. Volevo che fossero presenti al completo cosicché non sarebbe stato necessario ripetere il misfatto. Una volta era più che sufficiente.

Ero decisa, quindi, a vuotare il sacco non appena le tre si fossero accomodate in salotto.

Ma Caroline era in ritardo come al solito e quando arrivò nemmeno si perse in convenevoli.

“Ragazze, è successa una cosa…non riesco neppure a dirla”.

Benvenuta nel club.

“Dovrei pentirmene ma non ci riesco”.

Mal comune mezzo gaudio.

Come previsto catalizzò l’attenzione su di sé e il mio piano andò a farsi friggere.

“Se si tratta di un acquisto sbagliato, mi alzo e me ne vado” la avvisò Meredith mentre soffiava sul suo tè bollente.

“Quello lo potrei restituire. Potrei rimediare” disse Caroline sconsolata.

“Che cos’hai combinato?” l’accontentò infine Elena.

“Ieri ero in piscina, stavo facendo qualche vasca così per allenarmi. Non mi piace granché nuotare, ma dicono che faccia bene ai muscoli e quindi…”.

“Anche Katherine ieri era in giro per la scuola per allenarsi” disse Elena “Se hai rischiato di affogarla, sappi che non te ne devi pentire. Hai la mia benedizione”.

“Non ho nemmeno visto Katherine” smentì Caroline “C’era Tyler, però”.

“Tyler Smallwood? A scuola dopo la fine delle lezioni? Intendi quel Tyler?” mi stranii io. In realtà non ero attentissima al discorso. Stavo pensando a come sganciare la bomba e a come trovare il coraggio di rivelare il mio segretuccio, nonostante Caroline avesse rovinato il momento perfetto. Non ci fece caso, perciò quando mi rispose “No, intendevo Matt”, non colsi il sarcasmo.

“Allora c’era Matt?” osservai, distratta.

“No, c’era Tyler” insistette lei, forse accortasi del mio poco interesse.

“Niente Matt?”.

Evidentemente Caroline decise di non darmi più ascolto e proseguì con il suo racconto. Ero l’unica a non seguirla con attenzione; le altre due la guardavano in attesa.

“Mi ha baciata”.

“Chi?” domandò Meredith. Aveva già capito ma voleva una conferma.

Io ero su tutt’altro pianeta e misi insieme i pezzi sbagliati di ciò che avevo ascoltato.

“Matt ti ha baciata?”. Non stavamo insieme, poteva fare quel che voleva, ma con una delle mie migliori amiche…

“Noooo” ribadì Caroline “Tyler”.

“Tyler ha baciato Matt?”.

Caroline sbuffò, giustamente innervosita. Mi prese il viso tra le mani e guardandomi negli occhi, scandì bene “Tyler-ha-baciato-me”.

Questa era bella. Quasi più bella della mia notiziona.

Improvvisamente non mi sentivo più colpevole.

Damon poteva anche essere uno stronzo patentato, ma Tyler era il re dei cretini. Insomma nella gara del bacio più imbarazzante, stupido vinceva su stronzo.

Tyler Smallwood era sempre stato un bulletto della peggior specie. Si atteggiava da granduomo, ma aveva il cervello di un topolino.

Le sue battute erano grezze e i suoi hobby si limitavano a donne e football. Almeno questo era quello che potevo dire per come lo conoscevo io. Non ci eravamo mai frequentati e faceva parte del gruppetto di Damon, ergo al liceo era complice dei suoi scherzi.

Non sembravo l’unica sconvolta in quella stanza: Elena aveva sgranato gli occhi e Meredith aveva una smorfia eloquente sulle labbra.

“Perché?” si scandalizzò.

“Non ho detto che ho ricambiato, ho detto che lui mi ha baciato” ribatté Caroline.

“L’hai mandato via quindi?” concluse Elena.

Caroline abbassò la testa “No, mi sono lasciata baciare e ho anche partecipato”.

“Allora la domanda resta: perché?” ribadì Meredith.

“Lo so che è rozzo e arrogante. Sostanzialmente è anche un perditempo…che cosa vi devo dire…mi ha aiutato un po’ con l’allenamento e poi abbiamo fatto una pausa. Abbiamo parlato della fine della scuola, dei nostri progetti, è saltato fuori che non è così stupido come pensavo, solo non ha voglia di studiare”.

“Mi sono persa come in tutto ciò le vostre bocche si sono unite” la punzecchiò Elena.

“Quando mi ha accompagnata alla macchina, è successo lì”.

“E ora?”.

“Mi riterreste una persona orribile se volessi continuare a frequentarlo?”.

“O Care, no, no” scosse la testa Meredith “C’è chi ha fatto di peggio”.

Annuii, d’accordo. Quello era il mio momento. La reazione sarebbe stata attenuata dalla novità di Caroline.

Se lei era riuscita ad ammettere quello di cui tutte noi ci saremmo vergognate, allora pure io potevo fare uno sforzo. Erano le mie migliore amiche, non mi avrebbero giudicato.

“Io ho una storia segreta con Alaric Saltzman” sparò a bruciapelo Meredith.

Questa volta toccò a Elena e a Caroline spalancare la mascella.

Io inveii mentalmente. Mi avevano battuta sul tempo per la seconda volta. Era forse un segno che avrei fatto meglio a tacere?

“Il nostro professore?” si accigliò Caroline.

Meredith confermò con un cenno della testa.

“No scusa, mi hai guardato come se avessi ucciso qualcuno e poi salta fuori che ti sbatti il prof di storia?”.

“Caroline!” esclamammo io e Elena per contenere la sua carica.

“O santo Cielo, se mi dici che non l’avete fatto, ti prendo a schiaffi. Figo com’è!” commentò con la sua solita profondità.

“L’ho tenuto segreto fino adesso perché…beh…perché è una cosa delicata, Alaric potrebbe andare nei casini e io potrei rimetterci Harvard. Onestamente non credevo che sarebbe durata. Mi rendo conto che è una pazzia”.

“Mere, non ti fidavi di noi? Avevi paura che ti avremmo giudicata?” si preoccupò Elena.

“C’è in mezzo un’altra persona. Mi sembrava di tradire la sua fiducia a parlarvene”.

“Non oso immaginare come sia stato non potere sfogarsi con qualcuno” s’intristì Caroline.

“Bonnie lo sapeva” svelò Meredith.

Adesso gli occhi erano puntati su di me. Per il motivo sbagliato. Grazie, Mere!

“Li ho beccati in flagrante, ecco perché lo so” ci tenni a presentare.

“La vita ti sorprende sempre” considerò Caroline “Mai avrei sognato che la razionalissima Meredith Sulez nascondeva un segreto più piccante del mio”.

“A questo proposito…” iniziò io, un po’ tentennante “In effetti vi ho invitato qui perché anche io ho una confessione da farvi” e scambiai un’occhiata con Elena.

Nemmeno lei conosceva gli ultimi risvolti, però rispetto alle altre aveva un’idea.

“Che cosa avrai mai combinato di tanto grave” sbuffò Caroline “Hai per caso un ripensamento su Matt?”.

“No” smentii “Ho baciato Damon Salvatore”.

Il gelo calò nella stanza. Elena era quella meno sorpresa, perché già era al corrente della situazione e se la rideva sotto i baffi, ma Mere e Caroline erano pietrificate.

Una aveva intrecciato una relazione clandestina con il suo insegnante, l’altra progettava di uscire con il re degli scimmioni e improvvisamente ero io sotto accusa.

“Mi sa che non ho capito bene” affermò Meredith “Anzi ne sono certa perché la mia amica Bonnie vorrebbe tirare Damon sotto con la macchina”.

“No, no…avete sentito benissimo” confermò Elena, compiaciuta come non mai “Anzi, mi sorprendo che ci abbiamo messo tanto”.

“Tu lo sapevi?” si sbalordì Caroline.

“L’ho scoperto ora, ma Damon mi ha raccontato del loro rapporto un po’ complicato”.

Rapporto? Siamo addirittura a un rapporto? Elena, perché non l’hai stroncato sul nascere?!” si indignò Caroline.

“Sono fatti l’una per l’altro” obiettò Elena.

“Stiamo parlando degli stessi Bonnie e Damon che conosco io?” si accigliò Meredith.

“Ehilà!” sventolai una mano per riportare un po’ di ordine “Sono ancora qui”.

“Da quant’è che va avanti questa storia?” mi chiese con tono quasi minaccioso Meredith.

“Non lo so” ammisi onestamente “Ora potrei dirti che è incominciato verso settembre, ottobre, ma non me n’ero accorta allora”.

“Settembre o ottobre?” ripeté Caroline “Ma non stavi con Matt?”.

“Non so dirti il momento preciso. Abbiamo cominciato a parlare civilmente all’inizio della scuola e poi…sono successe un paio di cose”.

“Tipo?”.

“La notte di Halloween, il regalo di Stefan, il ballo al concorso di Fell’s Church, la rottura con Katherine, Klaus”.

“Dov’ero io in tutto questo tempo?” Meredith era sempre più sconvolta.

“A studiare con il professore, suppongo” sogghignò Elena.

“Chi l’avrebbe mai detto che saresti stata proprio tu quella con la vita sentimentale più prevedibile” scherzò Caroline “Di certo non avrei scommesso un centesimo su queste due” e indicò Meredith e Bonnie “E sto ancora decidendo se sia peggio questa che sta infrangendo ogni regola della scuola o quella che si è presa una cotta per il figlio cattivo di Lucifero”.

“Va bene, Bon, è il momento della verità. Spara” mi incitò Meredith.

“E io sono pronta a correggere nel caso omettesse qualcosa” si offrì Elena con un sorrisino diabolico.

Caroline posò la tazza sul tavolino e si alzò dalla poltrona.

“Dove stai andando?” le chiesi.

“A cercare del vino. Se proprio devo stare ad ascoltarti mentre racconti di come tu e Damon siete diventati due piccioncini, allora ho bisogno di qualcosa di forte”.

 

La mattina successiva iniziò peggio rispetto a tutte le altre.

Noi abitanti di Fell’s Church ci eravamo svegliati sotto la pioggia. Sotto un dannatissimo acquazzone per essere precisi.

La simpatica sveglia del cellulare sul comodino si era rifiutata di suonare. Mio padre non si era sprecato di venirmi a chiamare. Era uscito come tutte le mattine mezz’ora prima dell’inizio delle lezioni. Solitamente si fermava sempre ad avvertire, ma quella mattina, l’unica in cui avrebbe dovuto rompermi le balle, aveva scelto di lasciarmi dormire tranquilla.

Quando un tuono si propagò nell’aria facendo tremare i vetri, mi svegliai di soprassalto. Capii subito che qualcosa non andava. L’ora lampeggiante in rosso sul display del lettore dvd me lo confermò. Otto e quarantacinque. Avevo un quarto d’ora per arrivare a scuola.

Cacchio.

Mi tuffai nell’armadio in cerca dei vestiti. La stanza era buia per via della luce plumbea che filtrava attraverso le tende pesanti e non feci molto caso a ciò che mi capitava in mano.

Buttai i libri nella borsa a tracolla e uscii dalla camera, mente m’infilavo i pantaloni. Sbucai nel garage, quasi trascinando la cartella con un piede. Aprii la portiera della macchina, la basculante si alzò e io partii a tutta birra.

Sembrava che tutti i semafori si fossero messi d’accordo per diventar rossi alla vista della mia macchina, per non parlare della quantità d’imbecilli che incontrai lungo il tragitto.

Erano le nove in punto quando parcheggiai l’auto davanti al Robert Lee High.

Non ero l’unica comunque ad essere arrivata in ritardo. Qualcun altro si era attardato, ma non di certo per non essersi svegliato in tempo. In cima alla scalinata principale, stavano parlando due ragazzi che non avevo mai visto. Sembravano più grandi di me, per questo ci feci caso e persi un po’ di tempo a osservarli nonostante il ritardo pazzesco. I due stavano ridendo di gusto e nemmeno si erano accorti della mia presenza.

La testa della donna si spostò leggermente di lato e finalmente riuscii a riconoscere il viso di lui: era Damon.

Quella scena mi riportò indietro di anni, quando Damon frequentava ancora il liceo: mi capitava spesso di trovarlo fuori dalla scuola, incurante delle lezioni, ad amoreggiare con la tipa di turno.

Era senza dubbio un bel ragazzo, forse uno dei più belli che avessi mai visto in vita mia ed era sempre circondato da una marmaglia di ragazze adoranti. Beccarlo in compagnia di qualcuno era all’ordine del giorno. Ci ero abituata, non avrebbe dovuto farmi un effetto così strano. Stavano solo parlando, sebbene la distanza tra i loro corpi non fosse molta.

Forse per la pioggia, forse per il ritardo, forse perché mi aveva baciato solo due giorni prima,  vederli insieme mi innervosì.

Mi seccò talmente tanto che, marciando spedita su le scale, pronta a rendere nota la mia presenza e farlo sentire un verme, non guardai dove mettevo i piedi e scivolai sull’ultimo gradino, capitolando in avanti. La mia cartella cadde a terra, insieme all’ombrello, e la pioggia mi colpì senza pietà, come ultimo tocco di quella immensa figura di cacca.

Avvertii un dolore lancinante nel punto in cui la gamba si era piegata nella caduta.

Damon abbandonò l’angolo protetto vicino al muro dove si era fermato a parlare con quella donna e mi raggiunse.

 “Bonnie” disse sorpreso, piegandosi su di me.

Fu particolarmente seccante farsi aiutare da lui ad alzarsi, ma lo fu ancor più appoggiarsi al suo braccio nel tragitto verso l’infermeria. Mi sarei fatta tagliare la gamba piuttosto, ma erano circostanze estreme non avevo davvero la forza di saltellare fino all’infermeria per farmi controllare la caviglia.

La tipa ci aveva seguito, con un’espressione preoccupata e con la mia cartella in mano. Era stata gentile, stava cercando di essere utile, ma io l’avrei fulminata.

Fortunatamente si tolse di torno in fretta, adducendo non so quale scusa. Doveva  incontrare qualcuno, una roba del genere. Non m’importò.

Mi assicurai solo che lasciasse la mia cartella ai piedi del lettino ospedaliero e poi la fissai sparire oltre la porta. Non prima di aver ringraziato Damon di averla accompagnata con un sonoro bacio sulla guancia.

“Sei diventato il Cicerone della scuola adesso?” commentai, il tono volutamente acido.

“Attenta, uccellino, stai diventando verde” replicò.

“Non sono gelosa!” obiettai, quasi offesa.

“Adesso ti si allunga pure il naso” mi prese in giro, mentre mi aiutava a issarmi sul lettino in attesa dell’infermiera che era sparita nell’altra sala. Tornò poco dopo e, inforcati gli occhiali, esaminò attentamente la mia gamba.

La tastò, premendo forte sul punto che mi faceva male. Storsi il naso dal dolore.

Delicata come un macigno!

“No, non è rotta, è solo una storta, però è meglio se per i prossimi giorni usi queste!” e mi mostrò un paio di stampelle, adagiate contro al muro dietro di me.

“Sta scherzando vero? No, senta non mi servono quelle, io cammino beniss …” nel parlare saltai giù dal lettino e atterrai su i due piedi. Una fitta di dolore risalì per la gamba infortunata e fui costretta a spostare tutto il peso sull’altra.

Damon mi sostenne per un braccio “Che ne dici di seguire gli ordini per una volta?!” propose con tono ironico.

Gli lanciai un’occhiata di fuoco.  Se mi fosse stato possibile, gli avrei sferrato un calcio di quelli potenti.

Afferrai arrabbiata le stampelle e, addossandomi a quelle, uscii in corridoio.

“Bonnie! La borsa!” mi rincorsi Damon.

Cercai di prenderla tenendo con una mano le due stampelle e allungando l’altra, ma ciò comportò solo la perdita dell’equilibrio e rischiai di finire ancora a terra.

Damon mi agguantò appena in tempo e mi mise le mani attorno alla vita per tenermi su mentre mi ero aggrappata alla sua giacca in un gesto istintivo.

Ci trovammo così a fissarci dritti negli occhi, tremendamente vicini. Furono attimi di panico per me. Non mi ero mai sentita così in balia di qualcuno come in quel momento.

Osservai il viso di Damon avvicinarsi e avvertii la sua mano risalire per la mia schiena fino a toccare i miei capelli.

Io attendevo come un’ebete. Ma cosa attendevo esattamente? Un altro bacio?

Bonnie, un po’ di forza di volontà! M’impose la mia coscienza.

Scostai il volto e balbettai “La b-borsa”.

Damon si riscosse da un sogno. Rimase qualche secondo stupito poi parlò con voce bassa e un po’ delusa “Te la porto io se vuoi”.

“No, grazie. Ce la faccio da sola”. Avevo riacquistato un po’ del mio coraggio e del mio buon senso. Senza aggiungere altro,  proseguii, da sola e impacciata, per la mia strada con la borsa a tracolla in pericoloso bilico sulla mia spalla.

 

Gattina, so che non puoi rispondere perché sei a scuola, ma ho avuto un’emergenza in ospedale e mi hanno messo anche il turno di notte. Non mi va che tu stia a casa da sola con quella gamba malconcia. Ho parlato con Giuseppe: stasera andrai da i Salvatore. Non voglio sentire storie.

Quello era il messaggio che avevo trovato sul cellulare alla fine delle lezioni. Onestamente non so se mio padre lo facesse apposta o se fossi io quella beffata di continuo dalla sorte.

Casa Salvatore era il posto da cui volevo stare il più lontano possibile e il caro papà mi ci spediva come cappuccetto rosso in bocca al lupo.

Lo avevo avvisato del mio incidente con la gamba e lo avevo convinto a non venirmi a prendere a scuola solo dopo avergli giurato di non essermi fatta seriamente male.

Ma era evidente che la sua preoccupazione non fosse svanita o non mi avrebbe imposto di trasferirmi da Stefan per la notte.

Da una parte ero tentata di ripiegare su una delle mie amiche, dall’altra non me la sentivo di allontanarmi troppo da casa.

Dopotutto se papà aveva parlato con Giuseppe significava che Giuseppe era lì e per forza ci doveva essere anche Stefan. Non sarei rimasta sola con Damon, potevo stare tranquilla.

Avevo capito che non potevo fidarmi di me stessa se era nella vicinanze. Odiavo ammettere una cosa del genere, mi faceva sentire debole e senza spina dorsale.

Quante volte avevo biasimato quelle ragazze che si lasciavano ammaliare da un bel visino?

Io ero molto suscettibile al fascino maschile, ma nessuno mi aveva mai abbindolato. Non ero la classica ragazza che si perdeva dietro lo stronzo di turno, io avevo sempre cercato qualcuno che valesse davvero. L’aspetto fisico da solo non bastava.

Ora, invece, mi ritrovavo a non avere più il controllo del mio corpo e delle mie azioni. La vicinanza di Damon mi stordiva completamente.

Il che mi lasciava perplessa come non mai dato che non mi era mai capitato prima.

Caroline e Meredith mi avevano avvisato di stare molto attenta. Superato lo shock iniziale, si erano mostrate comprensive più di quanto mi aspettassi e non avevano nemmeno sprecato molto tempo a dar contro a Damon.

Certo, non erano saltate dalla gioia (Caroline in particolare), ma avevano cercato di rimanere il più neutrali possibili.

Meredith era preoccupata specialmente per il lato più da donnaiolo di Damon, Caroline attaccava, invece, il lato più cattivo.

Entrambe concordavano sul fatto che quell’interesse fosse quanto meno curioso. Ma come avevo cambiato io parere, anche lui aveva tutto il diritto di rivalutare l’opinione che aveva di me. Perché dovevo avere dei pregiudizi?

Perché fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

Se di lui o di me, questo era ancora da scoprire.

In entrambi i casi le mie due amiche mi avevano consigliato di tenere un po’ le distanze.

Appurato che, nonostante avessi gli ormoni in subbuglio, il mio non fosse solamente interesse fisico, valeva davvero la pena mettersi in gioco? Oppure era meglio ritirarsi subito, prima di raggiungere il punto di non ritorno?

Al contrario di Mere e Care, Elena mi aveva suggerito senza tanti giri di parole di godermi il momento e non farmi troppe paranoie mentali.

Lei sì che aveva piena fiducia in Damon e tifava per noi due senza ritegno.

Così, alla fine, avevo deciso di seguire la sua idea, dopo aver rifletto a lungo sui pro e i contro.  Conclusione? Non ero arrivata a nessuna conclusione.

Fortunatamente non avevo in programma di restare da sola con Damon. Quella sera sarei rimasta attaccata a Stefan tutto il tempo e magari avrei pure trovato il coraggio di confessargli che avevo baciato suo fratello. E che l’avrei rifatto volentieri, molte altre volte.

Scossi la testa per scacciare quell’idea. Era così difficile pensare lucidamente.

E chi aprì la porta?

“Uccellino, ti aspettavo”.

Eccolo lì, a gongolare con il suo sorriso soddisfatto.

“Mi aspettavi?” ripetei.

“Sì, ho accompagnato mio padre in ospedale e ho incontrato il tuo. Gli avevano appena comunicato che sarebbe dovuto rimanere anche per il turno di notte ed era preoccupato per la tua gamba. Così mi sono offerto di badare a te. È già la seconda volta, mi devi un favore”.

Occuparmi di te. Mi sono offerto. Ho accompagnato mio padre in ospedale.

“Scusa, ma Giuseppe non c’è quindi?” chiesi in panico.

“No, è in ospedale per dei controlli. Lo vado a riprendere domani mattina”.

Che razza di manipolatore!

“Mi sono stupito che tu abbia accettato” ammise “Stamattina non hai voluto il mio aiuto” mi rinfacciò.

Feci scivolare lo zaino con le cose per la notte giù per la spalle e glielo passai in malo modo, poi mi appoggiai alle stampelle ed entrai, guardandomi in giro.

“Dov’è Stefan?” m’informai.

“Non c’è. È da Elena”.

“E quando torna?”.

“Boh, penso domani”.

A quel punto gelai sul posto. Scoppiai a ridere un secondo dopo: mi aveva fregata, era solo uno scherzo “Sii serio. Stefan non mi pianterebbe mai in asso, soprattutto con una gamba fuori uso”.

“Non sa che sei qui. Mi sono dimenticato di avvertirlo, mi è proprio passato di mente”.

Mi resi conto con orrore di essere caduta in pieno nella sua trappola. Come una cretina.

Frenai l’istinto di sollevare una stampella e tirargliela in testa.

“Siamo io e te, qui, da soli” conclusi.

“Non fare quella faccia arrabbiata, Bon Bon, so perfettamente che è come un sogno che si avvera per te” mi stuzzicò.

“Più un incubo” replicai acida “Damon non ho bisogno della babysitter. È solo una storta”.

“Ricordi quando avevi la febbre e sei volata sul pavimento del mio bagno? Se ti dovesse succedere mentre sei da sola? Se ti dovessi rompere quella gamba?”.

“Non te ne frega nulla della mia caviglia. Tu volevi incastrarmi” lo accusai.

“Sempre questi paroloni” scherzò “Ho visto un’occasione e l’ho colta. Non venirmi a raccontare che non sei contenta, non ti crederei”.

Non ero contenta davvero. Avevo bisogno di più tempo per riflettere e per prendere le mie decisioni. Con quel gesto mi sembrava di non avere il controllo della situazione.

“Almeno c’è da mangiare? Sto morendo di fame” mugugnai. Avevo lo stomaco che pretendeva di essere riempito.

“La signora Flowers ci ha cucinato tutto il giorno quando ha saputo della tua gamba. C’è tanta di quella roba che potresti scoppiare”.

A fine cena stavo in effetti per esplodere. Non ricordavo l’ultima volta che avevo mangiato così bene. La signora Flowers era una cuoca eccezionale. Quando ero bambina volevo sempre restare a cena da Stefan solo per i piatti della sua governante.

Damon si dimostrò un perfetto uomo di casa e si occupò di ripulire tutto senza che io muovessi un dito. Con la mia gamba malmessa avrei avuto molte difficoltà a sistemare.

Avevo provato a stare in piedi senza stampelle, ma la mia caviglia bruciava tremendamente. Era peggiorata rispetto al mattino, probabilmente perché l’avevo stancata durante la giornata. Prima di andare a letto, avrei fatto meglio a prendere un antidolorifico.

“Fa ancora male?” s’interessò Damon.

“Un pochino” ammisi.

“Mi sorprende che ti sia presa solo una storta. Credevo ti fossi spaccata la testa quando sei caduta” disse.

“Mi sorprende che tu mi abbia perfino notata. Mi sembravi parecchio distratto”.

Lui sogghignò mentre riponeva l’ultimo piatto nella lavastoviglie “Mi eviti come la peste, però t’infastidisci quando l’attenzione non è tutta su di te” considerò.

“Questo non è vero!” obiettai “Non sono un’egocentrica”.

 “Oh, andiamo uccellino, di’ la verità: mi vuoi tutto per te” mi provocò.

“Smettila”.

“Non sopporti nemmeno che io parli con qualcun altro”.

“Smettila”.

“Hai fulminato quella povera ragazza”.

“Quello che fai nel tuo tempo libero con le tue povere ragazze non è affar mio. La mia era una semplice osservazione: eri talmente preso dalla vostra conversazione che non ti sei accorto di me fino a che non sono rotolata sul pavimento davanti a te. E se mi vedi infastidita forse dovresti chiederti se è giusto baciare una ragazza e poi provarci con un’altra due giorni dopo. Ma che cosa pretendo! Tu sei Damon Salvatore”.

“Già” mi fece eco, arrabbiato “Io sono un poco di buono”.

“Ti aspettavi un applauso?” mi accigliai “È così che speravi di convincermi?”.

“Non ho bisogno di convincere nessuno. E neppure mi scuserò per quello che hai visto”.

Ci rimasi di sasso. Lo avevo palesemente beccato con le mani nel sacco, era in torto marcio, eppure aveva ragione lui.

“Grazie, Damon, mi hai appena semplificato la vita”. Se quelle erano le premesse, tanto valeva non cominciare neanche.

Afferrai le mie stampelle e lasciai la cucina. Gradino dopo gradino, faticosamente raggiunsi il piano superiore e poi la stanza degli ospiti.

Indossai il pigiama e mi misi sotto alle coperte con il mio libro di lettura. Se Damon voleva comportarsi da bambino, non avevo nessun problema. Non avevo bisogno della sua compagnia.

“Sei la persona più irritante che conosca!” proruppe lui, entrando nella camera. Scostò le lenzuola che coprivano il mio corpo e si sedette in fondo al letto.

Ritirai le ginocchia al petto, spaurita e incerta.

Con una mano, agguantò una delle mie gambe, quella dolorante, e la esaminò: si era gonfiata un po’ e aveva un grosso livido dove avevo picchiato contro al gradino.

Solo in quel momento mi accorsi che Damon aveva in mano il tubetto di una pomata. Ne spremette un po’ sulla mia pelle e iniziò a massaggiarla.

“Questa la usava sempre la signora Flowers quando mi facevo male da piccolo. Attenuerà un po’ il gonfiore” mi spiegò.

Ero immobile. Le dita sulla mia pelle erano delicate e piacevoli e avrei potuto addormentarmi sotto il tocco di quelle carezze.

“Era la sorella di Alaric quella che era con me oggi. Sono andato a prenderla in stazione. Non si vedono da tempo e lei voleva fargli una sorpresa, così mi ha chiamato e mi ha chiesto di accompagnarla a scuola. E prima che ti vengano strane idee, convive con il suo fidanzato da tre anni e a ottobre si sposano”.

Lo guardai mortificata. Tanto rumore per dimostrare che non ero più una bambina frignona e alla prima prova mi comportavo esattamente come tale.

Come avrei desiderato nascondermi sotto al letto in quel momento.

“Tu mi odi, vero?” domandò a bruciapelo.

Aspettai a rispondere. No, non lo odiavo.

Ma se non era odio quello che provavo, che cos’era?

“Non ti biasimo. Mi sono sempre comportato male con te e con quelli che ti stanno a cuore. Ho dato il peggio di me”.

“Penso di non averti mai capito”, le parole mi uscirono dalla bocca prima che potessi fermarle “Io vedo il buono nelle persone, ogni volta, ma con te è stato difficile”.

“Perché sono uno stronzo”.

“Perché non ho voluto” confessai “Non ho voluto trovare del buono in te. Non lo so, Damon, forse mi hai sempre messo paura…”.

“Paura?”.

“Sì, paura. Non osavo avvicinarmi per paura. Mi facevi sentire piccola così…prima”.

“E adesso?”.

“Adesso mi spaventi ancora di più. Adesso so che ciò del buono in te, l’ho visto e ho paura di non poter più farne a meno” mi morsi un labbro imbarazzata.

Le dita di Damon risalirono lentamente verso il ginocchio “Non devi aver paura, uccellino. Sei l’unica che può dirlo. Ogni volta che ti guardo, mi sale una dannata voglia di prendermi cura di te”.

“Allora perché non mi hai detto subito che quella era la sorella di Alaric?”.

Strisciò sul materasso per avvicinarsi. Le sue mani avevano abbandonato la mia gamba e stringevano la mia vita attraverso la maglietta.

“Volevo che ti sentissi come me” soffiò sul mio volto. Baciò lentamente una guancia “Che ti sentissi come quando ti vedevo con Matt” e poi baciò la mia fronte “E con Klaus” e poi baciò la pelle vicino all’orecchio.

“In che senso vorresti prenderti cura di me?” lo sfidai, mentre chiudevo gli occhi, dopo aver scacciato ogni obiezione che la mia mente aveva formulato.

“In tutti i sensi” sussurrò veloce, prima di impossessarsi delle mie labbra.

Scivolai all’indietro, contro al cuscino. Le sue dita si fecero spazio sotto la maglietta del mio pigiama e la mia gamba, quella sana, s’intrufolò tra le sue, mentre le mie mani finivano tra i suoi capelli tirandolo sempre più vicino a me.

Non mi era mai capitato niente del genere e seguivo l’istinto. Sicuramente stavo mostrando il lato più impacciato di tutta la mia inesperienza, ma Damon non parve curarsene. Lui era il mago, lui conduceva i giochi. Io ero solo una piccola allieva.

Un’allieva curiosa e disposta a imparare ogni cosa.

Ogni sensazione.

Ogni tocco.

Ogni sospiro.

 

Il mio spazio:

Oggi non mi dilungo nei commenti perché ho poco tempo, ma dovevo assolutamente aggiornare.

Direi che in questo capitolo abbiamo fatto dei passi da gigante. È tutto incentrato sul punto di vista di Bonnie perché volevo darvi un’idea sulla confusione che le gira in testa.

Confusione che tutt’ora persiste e che si farà sentire ancora nel prossimo capitolo. Come vedete, questi due a gesti sono dei fenomeni, a parole un po’ meno e devono ancora spiegarsi per bene.

Vi ringrazio tantissimo per il seguito che ottiene questa storia capitolo dopo capitolo.

Vi adoro alla follia!

Stasera risponderò alle vostre recensioni!

Buon pomeriggio!

Fran;)

  
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