Crazy
Little Thing
Called Love
Capitolo
ventitré: This is what it feels like
“The way you make me feel
You really turn me on
You knock me off of my feet
My lonely days are gone”
(The way you make me feel-
Michael Jackson).
Sapevo
esattamente quali sarebbero state le conseguenze di quel bacio, quello
che non
ero riuscita a dimenticare.
Primo:
un
immenso imbarazzo a ripensare a quel momento.
Secondo:
un
discreto fastidio per aver infine ceduto.
Terzo:
totale
confusione mentale, perché, nonostante cercassi in tutti i
modi di convincermi
che non mi fosse piaciuto, a malincuore dovevo ricredermi.
Quarto:
completa incertezza sul da farsi.
Erano
tutte
domande vitali per la mia situazione emotiva. Ci pensavo notte e
giorno, erano
diventate la mia tortura.
Mi
ero
immaginata tutti gli scenari possibili. Avevo scomposto e analizzato
quel
problema come se si trattasse di un esperimento scientifico. Mai ero
stata così
razionale e accurata. Mi ero sforzata tantissimo per rimanere
distaccata.
Normalmente
tendevo a giudicare tutto con il cuore, ad agire come comandava il mio
istinto,
ma questa volta avevo davvero provato a evitarlo.
Forse
non si
era rivelato tutto inutile, ma quasi, per colpa di un dannato fattore
che
proprio non avevo calcolato: quel bacio mi aveva provocato uno
scompenso
ormonale da record.
Supposi
che Damon
si fosse guadagnato il titolo di seduttore più ambito per
una valida ragione.
Sapeva come usare le sue mani e la sua bocca, indubbiamente.
E
nella mia
poca esperienza, aveva di sicuro fatto centro.
La
mia mente
non era del tutto convinta, ma il mio corpo era stregato.
Considerazione banale
e piuttosto frustante, almeno per me che mi ero sempre vantata di
essere
l’unica a non aver mai trovato affascinante Damon Salvatore.
Prima
o poi
doveva succedere: nella vita di ogni ragazza arrivava il momento in cui
i
bisogni fisici si facevano sentire in maniera più forte di
quelli razionali.
Alla fine lo sviluppo aveva beccato anche me, in ritardo ma mi aveva
comunque
scovato.
Forse
la
stavo affrontando più tragicamente di quanto non fosse
necessario. Insomma non ero
ancora corsa da Damon come una disgraziata bisognosa di affetto e di
carezze;
per adesso mi limitavo a sognare quel bacio e le sensazioni che mi
aveva
donato.
Tralasciando
strani sbalzi ormonali, non potevo negare che quel maledetto pallone
gonfiato
mi avesse scombussolato la vita più del necessario.
Era
stato
lento e scrupoloso, si era infilato nella mia testa senza nemmeno farsi
notare
e aveva cambiato tutta la mia prospettiva.
Avevo
rifiutato Matt per lui. Era difficile, era assurdo, era imbarazzante,
ma dovevo
ammetterlo: avevo lasciato Matt perché non sentivo i brividi
dell’attesa,
perché non mi mancava, perché non suscitava in me
abbastanza emozioni.
E
tutto
quello l’avevo sentito con Damon.
Non
l’avevo
voluto, non l’avevo chiesto. Le cose stavano così,
però. Pure e semplici.
Forse
iniziavo a capire l’irrazionalità del sentimento
di cui avevo tanto letto e che
non avevo mai sperimentato, men che meno compreso.
Un
passo alla
volta, comunque.
Non
avevo
nessuna intenzione di buttarmi tra le braccia di Damon. Avevo bisogno
di
esserne sicura al cento per cento.
Non
credevo
che fosse una sbandata passeggera, ma era accaduto tutto troppo in
fretta e
troppo inaspettatamente. Mi ero ripromessa di evitare un sacco di
situazioni in
cui invece ero capitolata senza tante obiezioni.
Adesso
era
giunto il momento di chiedere aiuto. Era giunto il momento di affidarmi
a mani
più esperte, anche a costo di mandare all’aria la
mia reputazione da
santarellina.
Dovevo
confessare.
Come
tutti i
miei buoni propositi, trovai anche questo più facile a dirsi
che a farsi.
Avevo
invitato le mie amiche a casa mia con la scusa di prendere un
tè tutte insieme,
dato che non ci vedevano da un po’ sole e solette.
Elena
già
sapeva tutto. Meredith e Caroline ne erano all’oscuro. Volevo
che fossero
presenti al completo cosicché non sarebbe stato necessario
ripetere il
misfatto. Una volta era più che sufficiente.
Ero
decisa,
quindi, a vuotare il sacco non appena le tre si fossero accomodate in
salotto.
Ma
Caroline
era in ritardo come al solito e quando arrivò nemmeno si
perse in convenevoli.
“Ragazze,
è
successa una cosa…non riesco neppure a dirla”.
Benvenuta
nel club.
“Dovrei
pentirmene ma non ci riesco”.
Mal
comune mezzo gaudio.
Come
previsto
catalizzò l’attenzione su di sé e il
mio piano andò a farsi friggere.
“Se
si tratta
di un acquisto sbagliato, mi alzo e me ne vado” la
avvisò Meredith mentre
soffiava sul suo tè bollente.
“Quello
lo
potrei restituire. Potrei rimediare” disse Caroline
sconsolata.
“Che
cos’hai
combinato?” l’accontentò infine Elena.
“Ieri
ero in
piscina, stavo facendo qualche vasca così per allenarmi. Non
mi piace granché
nuotare, ma dicono che faccia bene ai muscoli e
quindi…”.
“Anche
Katherine ieri era in giro per la scuola per allenarsi” disse
Elena “Se hai
rischiato di affogarla, sappi che non te ne devi pentire. Hai la mia
benedizione”.
“Non
ho
nemmeno visto Katherine” smentì Caroline
“C’era Tyler, però”.
“Tyler
Smallwood? A scuola dopo la fine delle lezioni? Intendi quel
Tyler?” mi stranii
io. In realtà non ero attentissima al discorso. Stavo
pensando a come sganciare
la bomba e a come trovare il coraggio di rivelare il mio segretuccio,
nonostante Caroline avesse rovinato il momento perfetto. Non ci fece
caso,
perciò quando mi rispose “No, intendevo
Matt”, non colsi il sarcasmo.
“Allora
c’era
Matt?” osservai, distratta.
“No,
c’era
Tyler” insistette lei, forse accortasi del mio poco interesse.
“Niente
Matt?”.
Evidentemente
Caroline decise di non darmi più ascolto e
proseguì con il suo racconto. Ero
l’unica a non seguirla con attenzione; le altre due la
guardavano in attesa.
“Mi
ha
baciata”.
“Chi?”
domandò Meredith. Aveva già capito ma voleva una
conferma.
Io
ero su
tutt’altro pianeta e misi insieme i pezzi sbagliati di
ciò che avevo ascoltato.
“Matt
ti ha
baciata?”. Non stavamo insieme, poteva fare quel che voleva,
ma con una delle
mie migliori amiche…
“Noooo”
ribadì Caroline “Tyler”.
“Tyler
ha
baciato Matt?”.
Caroline
sbuffò, giustamente innervosita. Mi prese il viso tra le
mani e guardandomi
negli occhi, scandì bene
“Tyler-ha-baciato-me”.
Questa
era
bella. Quasi più bella della mia notiziona.
Improvvisamente
non mi sentivo più colpevole.
Damon
poteva
anche essere uno stronzo patentato, ma Tyler era il re dei cretini.
Insomma
nella gara del bacio più imbarazzante, stupido vinceva su
stronzo.
Tyler
Smallwood era sempre stato un bulletto della peggior specie. Si
atteggiava da
granduomo, ma aveva il cervello di un topolino.
Le
sue
battute erano grezze e i suoi hobby si limitavano a donne e football.
Almeno
questo era quello che potevo dire per come lo conoscevo io. Non ci
eravamo mai
frequentati e faceva parte del gruppetto di Damon, ergo al liceo era
complice
dei suoi scherzi.
Non
sembravo
l’unica sconvolta in quella stanza: Elena aveva sgranato gli
occhi e Meredith
aveva una smorfia eloquente sulle labbra.
“Perché?”
si
scandalizzò.
“Non
ho detto
che ho ricambiato, ho detto che lui mi ha baciato”
ribatté Caroline.
“L’hai
mandato via quindi?” concluse Elena.
Caroline
abbassò la testa “No, mi sono lasciata baciare e
ho anche partecipato”.
“Allora
la
domanda resta: perché?” ribadì Meredith.
“Lo
so che è
rozzo e arrogante. Sostanzialmente è anche un
perditempo…che cosa vi devo dire…mi
ha aiutato un po’ con l’allenamento e poi abbiamo
fatto una pausa. Abbiamo
parlato della fine della scuola, dei nostri progetti, è
saltato fuori che non è
così stupido come pensavo, solo non ha voglia di
studiare”.
“Mi
sono
persa come in tutto ciò le vostre bocche si sono
unite” la punzecchiò Elena.
“Quando
mi ha
accompagnata alla macchina, è successo
lì”.
“E
ora?”.
“Mi
riterreste una persona orribile se volessi continuare a
frequentarlo?”.
“O
Care, no,
no” scosse la testa Meredith
“C’è chi ha fatto di peggio”.
Annuii,
d’accordo. Quello era il mio momento. La reazione sarebbe
stata attenuata dalla
novità di Caroline.
Se
lei era
riuscita ad ammettere quello di cui tutte noi ci saremmo vergognate,
allora
pure io potevo fare uno sforzo. Erano le mie migliore amiche, non mi
avrebbero
giudicato.
“Io
ho una
storia segreta con Alaric Saltzman” sparò a
bruciapelo Meredith.
Questa
volta
toccò a Elena e a Caroline spalancare la mascella.
Io
inveii
mentalmente. Mi avevano battuta sul tempo per la seconda volta. Era
forse un
segno che avrei fatto meglio a tacere?
“Il
nostro
professore?” si accigliò Caroline.
Meredith
confermò
con un cenno della testa.
“No
scusa, mi
hai guardato come se avessi ucciso qualcuno e poi salta fuori che ti
sbatti il
prof di storia?”.
“Caroline!”
esclamammo io e Elena per contenere la sua carica.
“O
santo
Cielo, se mi dici che non l’avete fatto, ti prendo a
schiaffi. Figo com’è!”
commentò con la sua solita profondità.
“L’ho
tenuto
segreto fino adesso
perché…beh…perché
è una cosa delicata, Alaric potrebbe
andare nei casini e io potrei rimetterci Harvard. Onestamente non
credevo che
sarebbe durata. Mi rendo conto che è una pazzia”.
“Mere,
non ti
fidavi di noi? Avevi paura che ti avremmo giudicata?” si
preoccupò Elena.
“C’è
in mezzo
un’altra persona. Mi sembrava di tradire la sua fiducia a
parlarvene”.
“Non
oso
immaginare come sia stato non potere sfogarsi con qualcuno”
s’intristì
Caroline.
“Bonnie
lo
sapeva” svelò Meredith.
Adesso
gli
occhi erano puntati su di me. Per il motivo sbagliato. Grazie,
Mere!
“Li
ho
beccati in flagrante, ecco perché lo so” ci tenni
a presentare.
“La
vita ti
sorprende sempre” considerò Caroline
“Mai avrei sognato che la razionalissima
Meredith Sulez nascondeva un segreto più piccante del
mio”.
“A
questo
proposito…” iniziò io, un po’
tentennante “In effetti vi ho invitato qui perché
anche io ho una confessione da farvi” e scambiai
un’occhiata con Elena.
Nemmeno
lei
conosceva gli ultimi risvolti, però rispetto alle altre
aveva un’idea.
“Che
cosa
avrai mai combinato di tanto grave” sbuffò
Caroline “Hai per caso un
ripensamento su Matt?”.
“No”
smentii
“Ho baciato Damon Salvatore”.
Il
gelo calò
nella stanza. Elena era quella meno sorpresa, perché
già era al corrente della
situazione e se la rideva sotto i baffi, ma Mere e Caroline erano
pietrificate.
Una
aveva
intrecciato una relazione clandestina con il suo insegnante,
l’altra progettava
di uscire con il re degli scimmioni e improvvisamente ero io sotto
accusa.
“Mi
sa che
non ho capito bene” affermò Meredith
“Anzi ne sono certa perché la mia amica
Bonnie vorrebbe tirare Damon sotto con la macchina”.
“No,
no…avete
sentito benissimo” confermò Elena, compiaciuta
come non mai “Anzi, mi sorprendo
che ci abbiamo messo tanto”.
“Tu
lo
sapevi?” si sbalordì Caroline.
“L’ho
scoperto ora, ma Damon mi ha raccontato del loro rapporto un
po’ complicato”.
“Rapporto?
Siamo addirittura a un rapporto? Elena, perché non
l’hai stroncato sul
nascere?!” si indignò Caroline.
“Sono
fatti
l’una per l’altro” obiettò
Elena.
“Stiamo
parlando degli stessi Bonnie e Damon che conosco io?” si
accigliò Meredith.
“Ehilà!”
sventolai una mano per riportare un po’ di ordine
“Sono ancora qui”.
“Da
quant’è
che va avanti questa storia?” mi chiese con tono quasi
minaccioso Meredith.
“Non
lo so”
ammisi onestamente “Ora potrei dirti che è
incominciato verso settembre,
ottobre, ma non me n’ero accorta allora”.
“Settembre
o
ottobre?” ripeté Caroline “Ma non stavi
con Matt?”.
“Non
so dirti
il momento preciso. Abbiamo cominciato a parlare civilmente
all’inizio della
scuola e poi…sono successe un paio di cose”.
“Tipo?”.
“La
notte di
Halloween, il regalo di Stefan, il ballo al concorso di
Fell’s Church, la
rottura con Katherine, Klaus”.
“Dov’ero
io
in tutto questo tempo?” Meredith era sempre più
sconvolta.
“A
studiare
con il professore, suppongo” sogghignò
Elena.
“Chi
l’avrebbe mai detto che saresti stata proprio tu quella con
la vita
sentimentale più prevedibile” scherzò
Caroline “Di certo non avrei scommesso un
centesimo su queste due” e indicò Meredith e
Bonnie “E sto ancora decidendo se
sia peggio questa che sta infrangendo ogni regola della scuola o quella
che si
è presa una cotta per il figlio cattivo di
Lucifero”.
“Va
bene,
Bon, è il momento della verità. Spara”
mi incitò Meredith.
“E
io sono
pronta a correggere nel caso omettesse qualcosa” si
offrì Elena con un
sorrisino diabolico.
Caroline
posò
la tazza sul tavolino e si alzò dalla poltrona.
“Dove
stai
andando?” le chiesi.
“A
cercare
del vino. Se proprio devo stare ad ascoltarti mentre racconti di come
tu e
Damon siete diventati due piccioncini, allora ho bisogno di qualcosa di
forte”.
La
mattina
successiva iniziò peggio rispetto a tutte le altre.
Noi
abitanti
di Fell’s Church ci eravamo svegliati sotto la pioggia. Sotto
un dannatissimo
acquazzone per essere precisi.
La
simpatica
sveglia del cellulare sul comodino si era rifiutata di suonare. Mio
padre non
si era sprecato di venirmi a chiamare. Era uscito come tutte le mattine
mezz’ora prima dell’inizio delle lezioni.
Solitamente si fermava sempre ad
avvertire, ma quella mattina, l’unica in cui avrebbe dovuto
rompermi le balle,
aveva scelto di lasciarmi dormire tranquilla.
Quando
un
tuono si propagò nell’aria facendo tremare i
vetri, mi svegliai di soprassalto.
Capii subito che qualcosa non andava. L’ora lampeggiante in
rosso sul display
del lettore dvd me lo confermò. Otto e quarantacinque. Avevo
un quarto d’ora
per arrivare a scuola.
Cacchio.
Mi
tuffai
nell’armadio in cerca dei vestiti. La stanza era buia per via
della luce
plumbea che filtrava attraverso le tende pesanti e non feci molto caso
a ciò
che mi capitava in mano.
Buttai
i libri
nella borsa a tracolla e uscii dalla camera, mente m’infilavo
i pantaloni. Sbucai
nel garage, quasi trascinando la cartella con un piede. Aprii la
portiera della
macchina, la basculante si alzò e io partii a tutta birra.
Sembrava
che
tutti i semafori si fossero messi d’accordo per diventar
rossi alla vista della
mia macchina, per non parlare della quantità
d’imbecilli che incontrai lungo il
tragitto.
Erano
le nove
in punto quando parcheggiai l’auto davanti al Robert Lee High.
Non
ero
l’unica comunque ad essere arrivata in ritardo. Qualcun altro
si era attardato,
ma non di certo per non essersi svegliato in tempo. In cima alla
scalinata
principale, stavano parlando due ragazzi che non avevo mai visto.
Sembravano
più grandi di me, per questo ci feci caso e persi un
po’ di tempo a osservarli
nonostante il ritardo pazzesco. I due stavano ridendo di gusto e
nemmeno si
erano accorti della mia presenza.
La
testa
della donna si spostò leggermente di lato e finalmente
riuscii a riconoscere il
viso di lui: era Damon.
Quella
scena
mi riportò indietro di anni, quando Damon frequentava ancora
il liceo: mi
capitava spesso di trovarlo fuori dalla scuola, incurante delle
lezioni, ad
amoreggiare con la tipa di turno.
Era
senza
dubbio un bel ragazzo, forse uno dei più belli che avessi
mai visto in vita mia
ed era sempre circondato da una marmaglia di ragazze adoranti. Beccarlo
in
compagnia di qualcuno era all’ordine del giorno. Ci ero
abituata, non avrebbe
dovuto farmi un effetto così strano. Stavano solo parlando,
sebbene la distanza
tra i loro corpi non fosse molta.
Forse
per la
pioggia, forse per il ritardo, forse perché mi aveva baciato
solo due giorni
prima, vederli
insieme mi innervosì.
Mi
seccò
talmente tanto che, marciando spedita su le scale, pronta a rendere
nota la mia
presenza e farlo sentire un verme, non guardai dove mettevo i piedi e
scivolai
sull’ultimo gradino, capitolando in avanti. La mia cartella
cadde a terra,
insieme all’ombrello, e la pioggia mi colpì senza
pietà, come ultimo tocco di
quella immensa figura di cacca.
Avvertii
un
dolore lancinante nel punto in cui la gamba si era piegata nella caduta.
Damon
abbandonò
l’angolo protetto vicino al muro dove si era fermato a
parlare con quella donna
e mi raggiunse.
“Bonnie”
disse sorpreso, piegandosi su di me.
Fu
particolarmente seccante farsi aiutare da lui ad alzarsi, ma lo fu
ancor più
appoggiarsi al suo braccio nel tragitto verso l’infermeria.
Mi sarei fatta
tagliare la gamba piuttosto, ma erano circostanze estreme non avevo
davvero la
forza di saltellare fino all’infermeria per farmi controllare
la caviglia.
La
tipa ci
aveva seguito, con un’espressione preoccupata e con la mia
cartella in mano.
Era stata gentile, stava cercando di essere utile, ma io
l’avrei fulminata.
Fortunatamente
si tolse di torno in fretta, adducendo non so quale scusa. Doveva incontrare qualcuno, una
roba del genere. Non
m’importò.
Mi
assicurai
solo che lasciasse la mia cartella ai piedi del lettino ospedaliero e
poi la
fissai sparire oltre la porta. Non prima di aver ringraziato Damon di
averla
accompagnata con un sonoro bacio sulla guancia.
“Sei
diventato il Cicerone della scuola adesso?” commentai, il
tono volutamente
acido.
“Attenta,
uccellino, stai diventando verde” replicò.
“Non
sono
gelosa!” obiettai, quasi offesa.
“Adesso
ti si
allunga pure il naso” mi prese in giro, mentre mi aiutava a
issarmi sul lettino
in attesa dell’infermiera che era sparita
nell’altra sala. Tornò poco dopo e,
inforcati gli occhiali, esaminò attentamente la mia gamba.
La
tastò,
premendo forte sul punto che mi faceva male. Storsi il naso dal dolore.
Delicata
come un macigno!
“No,
non è
rotta, è solo una storta, però è
meglio se per i prossimi giorni usi queste!” e
mi mostrò un paio di stampelle, adagiate contro al muro
dietro di me.
“Sta
scherzando vero? No, senta non mi servono quelle, io cammino beniss
…” nel
parlare saltai giù dal lettino e atterrai su i due piedi.
Una fitta di dolore
risalì per la gamba infortunata e fui costretta a spostare
tutto il peso
sull’altra.
Damon
mi
sostenne per un braccio “Che ne dici di seguire gli ordini
per una volta?!”
propose con tono ironico.
Gli
lanciai
un’occhiata di fuoco. Se
mi fosse stato
possibile, gli avrei sferrato un calcio di quelli potenti.
Afferrai
arrabbiata le stampelle e, addossandomi a quelle, uscii in corridoio.
“Bonnie!
La
borsa!” mi rincorsi Damon.
Cercai
di
prenderla tenendo con una mano le due stampelle e allungando
l’altra, ma ciò
comportò solo la perdita dell’equilibrio e
rischiai di finire ancora a terra.
Damon
mi
agguantò appena in tempo e mi mise le mani attorno alla vita
per tenermi su
mentre mi ero aggrappata alla sua giacca in un gesto istintivo.
Ci
trovammo
così a fissarci dritti negli occhi, tremendamente vicini.
Furono attimi di
panico per me. Non mi ero mai sentita così in balia di
qualcuno come in quel
momento.
Osservai
il viso
di Damon avvicinarsi e avvertii la sua mano risalire per la mia schiena
fino a
toccare i miei capelli.
Io
attendevo
come un’ebete. Ma cosa attendevo esattamente? Un altro bacio?
Bonnie,
un po’ di forza di
volontà! M’impose
la mia coscienza.
Scostai
il
volto e balbettai “La b-borsa”.
Damon
si
riscosse da un sogno. Rimase qualche secondo stupito poi
parlò con voce bassa e
un po’ delusa “Te la porto io se vuoi”.
“No,
grazie.
Ce la faccio da sola”. Avevo riacquistato un po’
del mio coraggio e del mio
buon senso. Senza aggiungere altro,
proseguii, da sola e impacciata, per la mia strada con la
borsa a
tracolla in pericoloso bilico sulla mia spalla.
Gattina,
so che non puoi
rispondere perché sei a scuola, ma ho avuto
un’emergenza in ospedale e mi hanno
messo anche il turno di notte. Non mi va che tu stia a casa da sola con
quella
gamba malconcia. Ho parlato con Giuseppe: stasera andrai da i
Salvatore. Non
voglio sentire storie.
Quello
era il
messaggio che avevo trovato sul cellulare alla fine delle lezioni.
Onestamente
non so se mio padre lo facesse apposta o se fossi io quella beffata di
continuo
dalla sorte.
Casa
Salvatore era il posto da cui volevo stare il più lontano
possibile e il caro
papà mi ci spediva come cappuccetto rosso in bocca al lupo.
Lo
avevo
avvisato del mio incidente con la gamba e lo avevo convinto a non
venirmi a
prendere a scuola solo dopo avergli giurato di non essermi fatta
seriamente
male.
Ma
era
evidente che la sua preoccupazione non fosse svanita o non mi avrebbe
imposto
di trasferirmi da Stefan per la notte.
Da
una parte
ero tentata di ripiegare su una delle mie amiche, dall’altra
non me la sentivo
di allontanarmi troppo da casa.
Dopotutto
se
papà aveva parlato con Giuseppe significava che Giuseppe era
lì e per forza ci
doveva essere anche Stefan. Non sarei rimasta sola con Damon, potevo
stare
tranquilla.
Avevo
capito
che non potevo fidarmi di me stessa se era nella vicinanze. Odiavo
ammettere
una cosa del genere, mi faceva sentire debole e senza spina dorsale.
Quante
volte
avevo biasimato quelle ragazze che si lasciavano ammaliare da un bel
visino?
Io
ero molto
suscettibile al fascino maschile, ma nessuno mi aveva mai abbindolato.
Non ero
la classica ragazza che si perdeva dietro lo stronzo di turno, io avevo
sempre
cercato qualcuno che valesse davvero. L’aspetto fisico da
solo non bastava.
Ora,
invece,
mi ritrovavo a non avere più il controllo del mio corpo e
delle mie azioni. La
vicinanza di Damon mi stordiva completamente.
Il
che mi
lasciava perplessa come non mai dato che non mi era mai capitato prima.
Caroline
e
Meredith mi avevano avvisato di stare molto attenta. Superato lo shock
iniziale, si erano mostrate comprensive più di quanto mi
aspettassi e non
avevano nemmeno sprecato molto tempo a dar contro a Damon.
Certo,
non
erano saltate dalla gioia (Caroline in particolare), ma avevano cercato
di
rimanere il più neutrali possibili.
Meredith
era
preoccupata specialmente per il lato più da donnaiolo di
Damon, Caroline
attaccava, invece, il lato più cattivo.
Entrambe
concordavano sul fatto che quell’interesse fosse quanto meno
curioso. Ma come
avevo cambiato io parere, anche lui aveva tutto il diritto di
rivalutare
l’opinione che aveva di me. Perché dovevo avere
dei pregiudizi?
Perché
fidarsi è bene, non
fidarsi è meglio.
Se
di lui o di
me, questo era ancora da scoprire.
In
entrambi i
casi le mie due amiche mi avevano consigliato di tenere un
po’ le distanze.
Appurato
che,
nonostante avessi gli ormoni in subbuglio, il mio non fosse solamente
interesse
fisico, valeva davvero la pena mettersi in gioco? Oppure era meglio
ritirarsi
subito, prima di raggiungere il punto di non ritorno?
Al
contrario
di Mere e Care, Elena mi aveva suggerito senza tanti giri di parole di
godermi
il momento e non farmi troppe paranoie mentali.
Lei
sì che
aveva piena fiducia in Damon e tifava per noi due senza ritegno.
Così,
alla
fine, avevo deciso di seguire la sua idea, dopo
aver rifletto a lungo
sui pro e i contro. Conclusione?
Non ero
arrivata a nessuna conclusione.
Fortunatamente
non avevo in programma di restare da sola con Damon. Quella sera sarei
rimasta
attaccata a Stefan tutto il tempo e magari avrei pure trovato il
coraggio di
confessargli che avevo baciato suo fratello. E che l’avrei
rifatto volentieri,
molte altre volte.
Scossi
la
testa per scacciare quell’idea. Era così difficile
pensare lucidamente.
E
chi aprì la
porta?
“Uccellino,
ti aspettavo”.
Eccolo
lì, a
gongolare con il suo sorriso soddisfatto.
“Mi
aspettavi?” ripetei.
“Sì,
ho
accompagnato mio padre in ospedale e ho incontrato il tuo. Gli avevano
appena
comunicato che sarebbe dovuto rimanere anche per il turno di notte ed
era
preoccupato per la tua gamba. Così mi sono offerto di badare
a te. È già la
seconda volta, mi devi un favore”.
Occuparmi
di te. Mi sono offerto.
Ho accompagnato mio padre in ospedale.
“Scusa,
ma
Giuseppe non c’è quindi?” chiesi in
panico.
“No,
è in
ospedale per dei controlli. Lo vado a riprendere domani
mattina”.
Che
razza di
manipolatore!
“Mi
sono
stupito che tu abbia accettato” ammise “Stamattina
non hai voluto il mio aiuto”
mi rinfacciò.
Feci
scivolare lo zaino con le cose per la notte giù per la
spalle e glielo passai
in malo modo, poi mi appoggiai alle stampelle ed entrai, guardandomi in
giro.
“Dov’è
Stefan?” m’informai.
“Non
c’è. È
da Elena”.
“E
quando
torna?”.
“Boh,
penso
domani”.
A
quel punto
gelai sul posto. Scoppiai a ridere un secondo dopo: mi aveva fregata,
era solo
uno scherzo “Sii serio. Stefan non mi pianterebbe mai in
asso, soprattutto con
una gamba fuori uso”.
“Non
sa che
sei qui. Mi sono dimenticato di avvertirlo, mi è proprio
passato di mente”.
Mi
resi conto
con orrore di essere caduta in pieno nella sua trappola. Come una
cretina.
Frenai
l’istinto di sollevare una stampella e tirargliela in testa.
“Siamo
io e
te, qui, da soli” conclusi.
“Non
fare
quella faccia arrabbiata, Bon Bon, so perfettamente che è
come un sogno che si
avvera per te” mi stuzzicò.
“Più
un
incubo” replicai acida “Damon non ho bisogno della
babysitter. È solo una
storta”.
“Ricordi
quando
avevi la febbre e sei volata sul pavimento del mio bagno? Se ti dovesse
succedere mentre sei da sola? Se ti dovessi rompere quella
gamba?”.
“Non
te ne
frega nulla della mia caviglia. Tu volevi incastrarmi” lo
accusai.
“Sempre
questi paroloni” scherzò “Ho visto
un’occasione e l’ho colta. Non venirmi a
raccontare che non sei contenta, non ti crederei”.
Non
ero
contenta davvero. Avevo bisogno di più tempo per riflettere
e per prendere le
mie decisioni. Con quel gesto mi sembrava di non avere il controllo
della
situazione.
“Almeno
c’è
da mangiare? Sto morendo di fame” mugugnai. Avevo lo stomaco
che pretendeva di
essere riempito.
“La
signora
Flowers ci ha cucinato tutto il giorno quando ha saputo della tua
gamba. C’è
tanta di quella roba che potresti scoppiare”.
A
fine cena
stavo in effetti per esplodere. Non ricordavo l’ultima volta
che avevo mangiato
così bene. La signora Flowers era una cuoca eccezionale.
Quando ero bambina
volevo sempre restare a cena da Stefan solo per i piatti della sua
governante.
Damon
si
dimostrò un perfetto uomo di casa e si occupò di
ripulire tutto senza che io
muovessi un dito. Con la mia gamba malmessa avrei avuto molte
difficoltà a sistemare.
Avevo
provato
a stare in piedi senza stampelle, ma la mia caviglia bruciava
tremendamente.
Era peggiorata rispetto al mattino, probabilmente perché
l’avevo stancata
durante la giornata. Prima di andare a letto, avrei fatto meglio a
prendere un
antidolorifico.
“Fa
ancora
male?” s’interessò Damon.
“Un
pochino”
ammisi.
“Mi
sorprende
che ti sia presa solo una storta. Credevo ti fossi spaccata la testa
quando sei
caduta” disse.
“Mi
sorprende
che tu mi abbia perfino notata. Mi sembravi parecchio
distratto”.
Lui
sogghignò
mentre riponeva l’ultimo piatto nella lavastoviglie
“Mi eviti come la peste,
però t’infastidisci quando l’attenzione
non è tutta su di te” considerò.
“Questo
non è
vero!” obiettai “Non sono
un’egocentrica”.
“Oh, andiamo
uccellino, di’ la verità: mi vuoi
tutto per te” mi provocò.
“Smettila”.
“Non
sopporti
nemmeno che io parli con qualcun altro”.
“Smettila”.
“Hai
fulminato quella povera ragazza”.
“Quello
che
fai nel tuo tempo libero con le tue povere ragazze non è
affar mio. La mia era
una semplice osservazione: eri talmente preso dalla vostra
conversazione che
non ti sei accorto di me fino a che non sono rotolata sul pavimento
davanti a
te. E se mi vedi infastidita forse dovresti chiederti se è
giusto baciare una
ragazza e poi provarci con un’altra due giorni dopo. Ma che
cosa pretendo! Tu
sei Damon Salvatore”.
“Già”
mi fece
eco, arrabbiato “Io sono un poco di buono”.
“Ti
aspettavi
un applauso?” mi accigliai “È
così che speravi di convincermi?”.
“Non
ho
bisogno di convincere nessuno. E neppure mi scuserò per
quello che hai visto”.
Ci
rimasi di
sasso. Lo avevo palesemente beccato con le mani nel sacco, era in torto
marcio,
eppure aveva ragione lui.
“Grazie,
Damon, mi hai appena semplificato la vita”. Se quelle erano
le premesse, tanto
valeva non cominciare neanche.
Afferrai
le
mie stampelle e lasciai la cucina. Gradino dopo gradino, faticosamente
raggiunsi il piano superiore e poi la stanza degli ospiti.
Indossai
il
pigiama e mi misi sotto alle coperte con il mio libro di lettura. Se
Damon
voleva comportarsi da bambino, non avevo nessun problema. Non avevo
bisogno
della sua compagnia.
“Sei
la
persona più irritante che conosca!” proruppe lui,
entrando nella camera. Scostò
le lenzuola che coprivano il mio corpo e si sedette in fondo al letto.
Ritirai
le
ginocchia al petto, spaurita e incerta.
Con
una mano,
agguantò una delle mie gambe, quella dolorante, e la
esaminò: si era gonfiata
un po’ e aveva un grosso livido dove avevo picchiato contro
al gradino.
Solo
in quel
momento mi accorsi che Damon aveva in mano il tubetto di una pomata. Ne
spremette un po’ sulla mia pelle e iniziò a
massaggiarla.
“Questa
la
usava sempre la signora Flowers quando mi facevo male da piccolo.
Attenuerà un
po’ il gonfiore” mi spiegò.
Ero
immobile.
Le dita sulla mia pelle erano delicate e piacevoli e avrei potuto
addormentarmi
sotto il tocco di quelle carezze.
“Era
la
sorella di Alaric quella che era con me oggi. Sono andato a prenderla
in
stazione. Non si vedono da tempo e lei voleva fargli una sorpresa,
così mi ha
chiamato e mi ha chiesto di accompagnarla a scuola. E prima che ti
vengano
strane idee, convive con il suo fidanzato da tre anni e a ottobre si
sposano”.
Lo
guardai
mortificata. Tanto rumore per dimostrare che non ero più una
bambina frignona e
alla prima prova mi comportavo esattamente come tale.
Come
avrei
desiderato nascondermi sotto al letto in quel momento.
“Tu
mi odi,
vero?” domandò a bruciapelo.
Aspettai
a
rispondere. No, non lo odiavo.
Ma
se non era
odio quello che provavo, che cos’era?
“Non
ti
biasimo. Mi sono sempre comportato male con te e con quelli che ti
stanno a
cuore. Ho dato il peggio di me”.
“Penso
di non
averti mai capito”, le parole mi uscirono dalla bocca prima
che potessi
fermarle “Io vedo il buono nelle persone, ogni volta, ma con
te è stato difficile”.
“Perché
sono
uno stronzo”.
“Perché
non
ho voluto” confessai “Non ho voluto trovare del
buono in te. Non lo so, Damon,
forse mi hai sempre messo paura…”.
“Paura?”.
“Sì,
paura. Non
osavo avvicinarmi per paura. Mi facevi sentire piccola
così…prima”.
“E
adesso?”.
“Adesso
mi
spaventi ancora di più. Adesso so che ciò del
buono in te, l’ho visto e ho
paura di non poter più farne a meno” mi morsi un
labbro imbarazzata.
Le
dita di
Damon risalirono lentamente verso il ginocchio “Non devi aver
paura, uccellino.
Sei l’unica che può dirlo. Ogni volta che ti
guardo, mi sale una dannata voglia
di prendermi cura di te”.
“Allora
perché
non mi hai detto subito che quella era la sorella di Alaric?”.
Strisciò
sul
materasso per avvicinarsi. Le sue mani avevano abbandonato la mia gamba
e
stringevano la mia vita attraverso la maglietta.
“Volevo
che
ti sentissi come me” soffiò sul mio volto.
Baciò lentamente una guancia “Che ti
sentissi come quando ti vedevo con Matt” e poi
baciò la mia fronte “E con Klaus”
e poi baciò la pelle vicino all’orecchio.
“In
che senso
vorresti prenderti cura di me?” lo sfidai, mentre chiudevo
gli occhi, dopo aver
scacciato ogni obiezione che la mia mente aveva formulato.
“In
tutti i
sensi” sussurrò veloce, prima di impossessarsi
delle mie labbra.
Scivolai
all’indietro,
contro al cuscino. Le sue dita si fecero spazio sotto la maglietta del
mio
pigiama e la mia gamba, quella sana, s’intrufolò
tra le sue, mentre le mie mani
finivano tra i suoi capelli tirandolo sempre più vicino a me.
Non
mi era
mai capitato niente del genere e seguivo l’istinto.
Sicuramente stavo mostrando
il lato più impacciato di tutta la mia inesperienza, ma
Damon non parve
curarsene. Lui era il mago, lui conduceva i giochi. Io ero solo una
piccola
allieva.
Un’allieva
curiosa e disposta a imparare ogni cosa.
Ogni
sensazione.
Ogni
tocco.
Ogni
sospiro.
Il
mio spazio:
Oggi
non mi
dilungo nei commenti perché ho poco tempo, ma dovevo
assolutamente aggiornare.
Direi
che in
questo capitolo abbiamo fatto dei passi da gigante. È tutto
incentrato sul
punto di vista di Bonnie perché volevo darvi
un’idea sulla confusione che le
gira in testa.
Confusione
che
tutt’ora persiste e che si farà sentire ancora nel
prossimo capitolo. Come vedete,
questi due a gesti sono dei fenomeni, a parole un po’ meno e
devono ancora
spiegarsi per bene.
Vi
ringrazio
tantissimo per il seguito che ottiene questa storia capitolo dopo
capitolo.
Vi
adoro alla
follia!
Stasera
risponderò
alle vostre recensioni!
Buon
pomeriggio!
Fran;)