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Autore: cat_01_    01/04/2014    0 recensioni
Quanto può sopportare una persona prima di scoppiare? E come si può ricominciare? Queste sono le domande che Annabeth si pone nel buio della notte cullata dal rumore del vento che sbatte contro le finestre. "Sono sola" si ripete, ed è vero, Annabeth è sola, e come può reggere il cuore di una persona sola senza cadere sotto il peso del mondo?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3

Quando avevo appena 4 mesi di vita feci per la prima volta un sogno che mi perseguita tuttora. Sognai le voci. Mi avvertivano di non parlare con nessuno. Dicevano che parlare con gli altri era pericoloso e che le persone erano cattive. Tutte le sere dicevano la stessa cosa. A casa nessuno si preoccupava di me e, sebbene fossi così piccola, me lo ricordo benissimo. Mio padre lavorava tutto il giorno per poter comprare le medicine per mia madre che si era ammalata dopo avermi messa alla luce. Quelle voci nella mia testa erano l’unico segno di attenzione che mi riguardava da quando ero nata così decisi di ascoltare il loro consiglio. I miei zii e i miei parenti che si fecero vivi solo quando compii un anno si meravigliavano che ancora non parlassi e cercavano disperatamente di insegnarmi ma io non parlavo. Quando all’età di 14 anni tre mesi dopo il terzo compleanno di Sophie i miei genitori morirono in un incidente d’auto io ancora non parlavo. Pensavano tutti che fossi muta fino al giorno del funerale dei miei genitori quando urlai a squarciagola nel sonno. La cosa si ripeté per molti giorni. I miei parenti cercavano di farmi parlare dato che ne ero in grado ma avevo promesso di non parlare e non lo avrei fatto. Mi portarono da tre psicologi diversi ma mi fidavo molto di più delle voci che di loro quindi non parlai mai con nessuno di loro. Solo con Sophie decisi di essere sincera. Le raccontai delle voci e dei sogni e di quanto fossero convincenti, peccato che il fato volle che mia zia Cassandra (un’impicciona, vecchia arpia) stesse origliando la nostra conversazione e raccontò tutto alla parte di famiglia che più odio e che spesso non considero tale e allo psicologo da cui andavo in quel tempo. Fu lui a consigliare agli altri vecchi impiccioni di mandarmi alla Saint Louren’s House. Loro mi consideravano una pazza e non volevano avere niente a che fare con me o con mia sorella che aveva “gli stessi geni malati” così dopo tre settimalne in cui passavo dalla sala d’aspetto dello psicologo alla corte dei giudici con la mano stretta attorno al quella di Sophie fui spedita alla casa di cura assieme a mia sorella. Ormai sono 3 anni 8 mesi e 17 giorni che vivo qui ma ancora non mi sono abituata alla puzza di morte e alla nebbia di solitudine di questo posto attenuata solo dalla mano calda di mia sorella. Lo schermo degli occhiali torna ad essere nero e l’ultima cosa che penso è che avrei dovuto ascoltare le cose prima che una scossa data dai sensori mi faccia sprofondare nel sonno.

  
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