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Autore: Aurore    02/04/2014    1 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 7
Capitolo 7
Chasing cars

If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?
I don't quite now
How to say
How I feel
Those three words
Are said so much
They're not enough
[...]
And all that I am
All that I ever was
Is here in your perfect eyes, they're all I can see.
Chasing cars, Snow Patrol¹



Tutto è cambiato, cambiato totalmente:
una tremenda bellezza è nata.
William Butler Yeats, Pasqua 1916



Mi svegliai all'improvviso. Aprii gli occhi per un istante, poi li richiusi subito. C'era un silenzio assoluto, a parte il cinguettio degli uccellini nel piccolo giardino del cottege; doveva essere troppo presto per alzarsi. Mi voltai sull'altro fianco, sperando di riaddormentarmi subito, ma c'era qualcosa di strano. Sentivo una presenza accanto a me. Spaventata, scattai a sedere nel letto e spalancai gli occhi. Due figure incombevano sul mio letto e per poco non cacciai un urlo da spaccare i timpani: erano i miei genitori.
«Buon compleanno!», esclamarono contemporaneamente.
Rimasi paralizzata dalla sorpresa e dal leggero spavento mentre mi avvolgevano con entusiasmo in una specie di abbraccio a tre. Ero ancora mezza addormentata e restai impalata per un attimo prima di ricambiare cautamente l'abbraccio.
«Grazie... Wow, mi avete colta di sorpresa», balbettai.
La mamma mi stampò un bacio sui capelli arruffati prima di tirarsi indietro, guardandomi con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Sembrava soddisfatta, come se stesse ammirando il capolavoro della sua esistenza.
«Ah, sì, scusa se ti abbiamo spaventata. Veniamo sempre a svegliarti il giorno del tuo compleanno e le tradizioni vanno rispettate».
«Da quanto tempo siete qui?», chiesi a mezza voce, ancora un po' confusa. Passai cautamente una mano tra i capelli, sistemando alcune ciocche in disordine dietro le orecchie. 
Bella accennò un sorriso. «Circa mezz'ora, più o meno. Non volevamo svegliarti troppo presto».
«Non avete proprio niente di meglio da fare per passare il tempo?», li stuzzicai, scoccandogli un'occhiata ironica.
«Ti prendi gioco dei tuoi genitori?», esclamò papà, ostentando un'aria incredula. «Molto bene, allora questi li porto via». Fece per alzarsi, tenendo sotto il braccio due pacchetti che non avevo notato. Regali!
«Aspetta! Ritiro tutto quello che ho detto!», esclamai precipitosamente.
Lui si fermò e mi lanciò uno sguardo indagatore, come per accertarsi che fossi seria. «Sicura?».
Annuii, sforzandomi di non ridere. «Promesso».
«Be', in questo caso...». Tornò a sedersi sul letto e mi porse un pacchetto rettangolare. «Prima quello della mamma».
Curiosa, lo presi e strappai la carta di un bel rosa antico con una stampa di fiori dai colori pastello. Scoprii una scatola di cuio blu contenente tre libri. A giudicare dall'aspetto s
embravano antichi. Quando ne estrassi uno e lessi il titolo e l'anno di pubblicazione, sgranai gli occhi.
«Una prima edizione di Cime tempestose! Non posso crederci, è fantastica!». Guardai la mamma, che continuava ad avere quel sorriso gongolante. «Avrai speso un occhio della testa!»
«Non pensarci, amore, è un'occasione speciale. Ti piace?».
Per tutta risposta la abbracciai con slancio, stringendo al massimo delle mie forze. Lei rise mentre mi accarezzava i capelli con le mani fredde, marmoree, eppure assurdamente dolci e premurose.
«Direi che è un sì», commentò a bassa voce.
«Okay, uno è andato», dissi quando ci separammo. Ero su di giri. Il clima festoso e frizzante mi aveva contagiata, e poi adoravo ricevere regali; era la parte migliore del mio compleanno. «Il prossimo».
«Questo è da parte mia», disse papà, porgendomi una scatolina di velluto chiusa da un nastro. «Buon compleanno, Raggio di sole».
Quando la presi tra le dita, mi stupì l'incredibile morbidezza del velluto, come la pelle di un neonato. Sciolsi il nastro con cautela, sollevai il coperchio e comparve un piccolo cristallo a forma di goccia. Aveva mille sfaccettature e brillava con un'intensità impressionante alla luce chiara del mattino. Toccai con un dito la superficie dura e incredibilmente liscia e ne osservai i riflessi sulla mia pelle, incantata.
«Che cos'è?», sussurrai.
«Un diamante. Apparteneva ad Elizabeth, mia madre».
Guardai istintivamente il polso della mamma, dove attaccati ad un braccialetto d'argento dondolavano un piccolo lupo intagliato nel legno e un ciondolo simile al mio, ma a forma di cuore.
«Sì, anche quello era di tua nonna», rispose papà, anticipando la mia domanda. Mi sorrise. «
È già da un po' che volevo regalarti uno di questi ciondoli e adesso sei abbastanza grande per portare un gioiello».
Lo guardai e l'affetto puro, caldo, intenso che lessi nei suoi occhi ambrati mentre studiava il mio viso mi scaldò il cuore. Ma come avevo potuto dubitare di lui, anche solo per un istante?
«Grazie», sussurrai, felice. Avrei voluto dire qualcos'altro, affinchè capisse, ma naturalmente non ce n'era bisogno; conosceva i miei pensieri più profondamente di quanto li conoscessi io stessa e annuì appena, per rispondere silenziosamente alle mie parole inespresse.
La mamma ci osservava, curiosa. Forse aveva intuito che tra me e lui era avvenuta una delle nostre consuete comunicazioni silenziose, ma non commentò e non fece domande. «Allora, contenta?», esclamò con tono allegro.
Le sorrisi. «Tantissimo. E immagino che se avete rispettato le tradizioni fino in fondo, di là deve esserci una colazione speciale per me. Ho ragione?».
Lei alzò le spalle. «Uhm, chissà. Forse sì, forse no. Su, vestiti. Ti aspettiamo in cucina».
Uscirono dalla stanza tenendosi per mano. Feci un profondo respiro. Mi sarebbe piaciuto starmene a letto ancora un po', ma dovevo andare a scuola e Jacob sarebbe passato a prendermi in moto di lì a poco. Per fortuna, quella notte non avevo avuto incubi e il mio riposo era stato profondo e tranquillo. Scrollandomi di dosso le ultime tracce di sonnolenza, feci la doccia e quando tornai in camera per vestirmi sentii provenire dalla cucina chiacchiere e risate: Jake doveva essere arrivato. Mi preparai più rapidamente possibile, ansiosa di vederlo, e mi catapultai fuori dalla stanza come una palla di cannone.
In cucina, Edward parlava con Jacob, che era in piedi appoggiato al bancone, mentre Bella preparava una spremuta d'arancia che presumevo fosse destinata a me. Appena mi vide, Jake si illuminò.
«Ecco la signorina che compie gli anni», disse in tono canzonatorio e affettuoso. Aprì le braccia ed io corsi da lui, felice. «Buon compleanno, piccola», mi sussurrò nell'orecchio.
Mi strinsi a lui, sentendomi una bambina piccola che abbraccia un adulto. Ero così bassa e minuta rispetto al suo fisico imponente da licantropo.
«Grazie, Jake. Allora, ti sembro più grande?».
Si scostò appena, fingendo di esaminarmi, ma senza sciogliere l'abbraccio. «Eh, sì. Hai proprio l'aspetto di una che deve iniziare a preoccuparsi per la pensione».
Ridacchiai. «Vuoi smetterla di fare lo scemo? Ormai ho sedici anni e voglio essere trattata come un'adulta».
«Be', ufficialmente hai sedici anni, ma noi sappiamo benissimo che in realtà ne compi sei...».
«Ti odio, Jacob Black».
Lui alzò le spalle sorridendo con aria divertita, come per rassegnarsi all'inevitabile. «Mi farò perdonare con il mio regalo».
«Dipende dal regalo. Potrebbe non essere sufficiente, sai».
Sbuffai, facendo l'altezzosa, ma Jake mi attirò di nuovo a sè e fui costretta a cedere. La sua vicinanza fisica era una specie di droga: non era mai abbastanza, e più ne avevo, più la desideravo. Mentre mi aggrappavo alle sue spalle immense e forti, con la coda dell'occhio colsi un movimento nella stanza e di colpo rammentai che i miei genitori erano lì con noi e non lontani chilometri come mi era sembrato fino a un istante prima. All'improvviso essere stretta così a Jacob mi parve... fuori luogo. Mi allontanai piano da lui, avvertendo uno strano ma insopprimibile disagio, e sedetti a tavola, ansiosa di far scivolare via quel momento imbarazzante. Tenni lo sguardo basso per non incontrare gli occhi degli altri e a quel punto notai la torta: piccola, perfettamente rotonda, ricoperta di glassa rosa e con una scritta bianca nel centro che augurava "Buon compleanno".
«E questa?», esclamai, sorpresa.
La mamma mi sorrise, in piedi davanti a me. «Finalmente te ne sei accorta! L'abbiamo fatta io e papà».
«È bellissima. Ma non dormite proprio mai?». Le lanciai un'occhiata maliziosa, per prenderla in giro.
Edward si strinse nelle spalle. «Sai che ho un problema di insonnia da centoundici anni».
Jacob ed io scoppiammo in una sonora risata scambiandoci uno sguardo d'intesa.
«Be', ora ci sono io a farti compagnia», commentò la mamma.
«Siete una famiglia di svitati, Bells, lasciatelo dire», intervenne Jacob continuando a fissarmi con aria molto divertita ed io non riuscii a frenare un'altra risatina.
Lei rispose con un'occhiataccia mentre armeggiava con un coltello per tagliare la torta. «Tu bada a come parli o non avrai la tua parte», minacciò in tono di rimprovero.
Jake chiuse la bocca immediatamente. Mangiammo un paio di fette di torta a testa mentre Edward e Bella ci facevano compagnia chiacchierando del più e del meno. Ero rilassata e tranquilla, sparita ogni traccia di disagio, e mi godevo al massimo l'atmosfera festosa. Più tardi Jacob mi consegnò il suo regalo, un paio di orecchini d'argento a forma di cuore, decorati su un lato da una fila di minuscoli brillantini. Disse di averli visti nella vetrina di un gioielliere a Portland, dove era andato per comprare certi attrezzi da lavoro, e gli erano sembrati perfetti. Naturalmente aveva indovinato. Lo ringraziai con entusiasmo e gli mandai un bacio da lontano; meglio stargli alla larga per evitare altri momenti di imbarazzo.
«Allora... come hai dormito stanotte?», domandò lui all'improvviso, dopo un breve silenzio.
Mi colse di sorpresa, ma intuii dove voleva arrivare. «Niente incubi, se è questo che vuoi sapere», risposi con un sospiro. «Finalmente una notte di tregua», aggiunsi a voce più bassa. Nella settimana precedente i soliti brutti sogni su Alex mi avevano letteralmente perseguitata, togliendomi il sonno. Avevo il terrore di chiudere gli occhi, addormentarmi e rivivere quei momenti, e a volte trascorrevo intere notti in bianco, sforzandomi di restare sveglia. Non c'era da stupirsi se spesso sembravo uno zombie ubriaco e a scuola rischiavo di addormentarmi sul banco.
Jacob mi osservava attentamente, le braccia incrociate, l'aria seria. «Continui ad averli spesso?».
«Piuttosto spesso, sì».
Con la coda dell'occhio vidi i miei genitori guardarsi per un attimo, senza dire nulla.
Lui annuì. «Tu sai qual è il mio parere. Smetti di pensarci e vedrai che se ne andranno».
Il suo sorriso riusciva sempre a rassicurarmi, ma in quel momento era come se avesse effetto solo a metà. Quando ripensavo a quella storia, un blocco di gelida paura mi invadeva lo stomaco, la paura che un giorno i miei incubi potessero diventare realtà. Scioglierlo non era affatto semplice. Abbassai lo sguardo sulla confezione del suo regalo, ancora aperta e poggiata sul tavolo, e osservai il luccichio allegro degli orecchini senza parlare.
«Sono assolutamente d'accordo», disse la mamma.
«Anche io», aggiunse papà in un cauto mormorio.
Alzai le spalle. «Tutti d'accordo, perfetto.
È inutile parlarne, siete la maggioranza», borbottai.
Edward si mosse leggermente, l'espressione preoccupata. «Tesoro, possiamo parlarne ancora, se vuoi. Ma crediamo che tu abbia soltanto bisogno di rilassarti un po' e smettere di pensare alle cose che potrebbero o non potrebbero succedere».
Quasi mi venne da ridere. «Rilassarmi», ripetei sottovoce, sospirando. Mi sembrava impossibile. Gli incubi su Alex non erano il mio unico problema, in quel momento. «
È strano che non abbia ancora iniziato a fare sogni spaventosi su Jas», aggiunsi, amaramente ironica.
«Non ti sembra di esagerare un po' con questa faccenda?», chiese Jacob, tranquillo.
«
È meglio che non ricominciamo a discuterne, io e te», borbottai, irritata, lanciandogli un'occhiata eloquente. In quei giorni ne avevamo parlato così tanto, spesso in toni accesi e litigiosi, che ormai l'argomento nauseava entrambi.
«Ma tu hai detto che Jas non ha capito nulla», disse la mamma.
«Certo che no, cosa vuoi che capisca? Forse pensa soltanto che Seth le stia dietro».
«Cosa dice di lui?».
«Oh, un sacco di cose. Dovresti sentirla», risposi in tono acido come limonata senza zucchero. «Ha fatto colpo, su questo non c'è dubbio».
Lei fece un sorrisino. «Davvero?».
«Eccome. Pare che Seth possieda tutte le qualità più migliori dell'universo e fin'ora non ce ne eravamo accorti: è carino, dolce, divertente, interessante... E chi più ne ha, più ne metta. Nomina un pregio qualunque: lui ce l'ha».
La sua espressione era sempre più divertita e tesa in un sorriso trattenuto, non avrei saputo dire se per la situazione in sè o per il mio atteggiamento; in effetti, il tono funereo con cui parlavo non avrebbe potuto essere più eloquente di così.
«Hanno parlato una sera ed è già cotta di lui? Caspita. So che Jas non è la persona più profonda del mondo, ma...».
«Cotta di lui?», sibilai, indignata. «Che cosa? Jas sta con Tom!».
Bella tornò seria di botto, così rapidamente che fu quasi comico. «Era una battuta, Renesmee», mormorò.
«Be', rivedi un po' il tuo senso dell'umorismo».
Scrollai la testa, profondamente infastidita, e lo sguardo mi cadde su mio padre. Mi stava fissando con una strana espressione, seria, concentrata, come se si sforzasse di capire qualcosa che gli sfuggiva.
«
È tardi. Dobbiamo andare», dissi all'improvviso. Scattai in piedi, ansiosa di sottrarmi al suo sguardo indagatore.
«Prendi le tue cose, ti aspetto fuori», rispose Jacob, e bevve l'ultimo sorso del suo caffè. Sembrava che non avesse notato nulla.
Mi diressi alla porta, ma prima di uscire mi voltai appena, spinta dall'impulso di osservare cosa succedeva alle mie spalle. I miei genitori si stavano scambiando un'occhiata che non riuscii a decifrare, ma mi sembrò che non promettesse nulla di buono.


****


«Finalmente un po' di sole, grazie al cielo! Non ne posso più di questa dannatissima pioggia. Darei la vita per tornare in California», esclamò Jas in tono appassionato e nostalgico.
Insieme a Danielle, stavamo trascorrendo l'intervallo all'aperto, sdraiate sui prati accanto alla mensa, approfittando del tempo caldo e soleggiato. Quasi tutti gli studenti della Forks High avevano avuto la stessa idea e intorno a noi c'era una gran calca di chiacchiere, risate, strilli, ragazzi che giocavano a fresbee e ragazze che prendevano il sole con le t-shirt e le camicette sollevate sulla pancia.
«Chissà com'è un posto dove non piove mai», mormorò Danielle, curiosa. Distesa sulla schiena, guardava il cielo azzurro chiaro con una mano sulla fronte per proteggere gli occhi dal sole. Accanto a lei giaceva, abbandonato, il libro di letteratura inglese, che aveva sfogliato con blando interesse fino a un attimo prima.
«Fantastico», rispose Jas con un sospiro. Tacque un secondo, poi girò appena la testa verso di me. «Ehi, la festa è all'aperto, vero? Sei certa che stasera non pioverà?».
Annuii distrattamente, guardando gli studenti che ciondolavano sull'erba sparsi qua e là, in coppie o a gruppetti. Mi chiedevo dove fosse Alex, quella mattina non ci eravamo ancora incontrati.
«Sì, tranquilla. Zia Alice me l'ha assicurato».
«E lei che ne sa?», indagò la mia amica, perplessa.
Accidenti. Sentii una piccola ondata di panico e cercai alla svelta un modo per rimediare. «Oh, be'... Lei... tutte le mattine controlla il meteo su Internet», buttai lì con fare tranquillo, augurandomi che ci cascasse.
Ci cascò. «Capisco», mormorò in risposta, evidentemente poco interessata. Raddrizzò la testa ed io tirai un sospiro di sollievo. «Siamo fortunate, allora. Staremo tranquillamente in giardino e la pettinatura che vorrei farmi reggerà. Questo clima schifoso è troppo stressante per i miei capelli», borbottò, seccata. Tese una mano all'indietro e si toccò la capigliatura bionda accuratamente stesa sull'erba, come per accertarsi che fosse ancora lì.
«Non sono mai stata ad una festa in giardino. Deve essere bellissimo», esclamò Danielle con aria sognante. La sua ingenua allegria mi faceva sempre sorridere.
«Certo. Gli adulti staranno in casa, tra il salotto e la biblioteca».
«Ci saranno molti adulti?».
«No, non molti. Mio nonno Charlie, qualche amico di famiglia... tutto qui».
Per un po' restammo in silenzio. Strizzai gli occhi al sole per guardare Caroline Johnson, a pochi metri di distanza da noi, che faceva la stupida con Toby Moore, la sua nuova fiamma. Lui era seduto sull'erba e Caroline fingeva di buttarglisi addosso, ridendo, finchè non caddero entrambi, l'una sull'altro. Caroline si avvinghiò a lui e iniziò a baciarlo con passione. Grazie al cielo Alex le era quasi uscito di mente. A volte ancora si divertiva a stuzzicarlo, come una cacciatrice che si rifiuta di mollare la preda di cui non riesce a trovare il punto debole, ma sapevo che non avrebbe mai rinunciato completamente a lui... Non mi avrebbe mai dato questa soddisfazione. La voce di Jas interruppe le mie riflessioni.
«Ci sarà anche Seth?».
Dubitai di aver sentito bene. «Come?».
«Seth. Verrà anche lui alla festa?».
La fissai senza rispondere, sgomenta. Potevo osservare bene il suo viso perchè lei era distesa sull'erba, mentre io ero seduta con le ginocchia piegate davanti a me e le braccia tese all'indietro, ed ero più in alto rispetto a lei. La sua espressione era incolore, come se stessimo parlando ancora del tempo. Chissà se fingeva o se in fondo davvero non le importava così tanto. Ma allora perchè chiedere?
«Vuoi dire Seth Clearwater?», balbettai. «Il mio amico?».
«Quanti altri Seth conosciamo, Renesmee?».
Deglutii e distolsi lo sguardo da lei, tornando a fissare Caroline e Toby e pensando che se quei due avessero continuato a strofinarsi l'uno sull'altra in quel modo, tra poco gli avrei suggerito di prendere una stanza da qualche parte.
«Sì, ci sarà», risposi in tono secco.
Temevo che continuasse a parlarne, ma proprio in quel momento un'ombra in movimento sull'erba si avvicinò al nostro gruppo. Era Tom, che ci raggiunse camminando a grandi falcate.
«Ehi, ragazze!», esclamò. «Buon compleanno, Renesmee!».
Si chinò per stringermi in un abbraccio affettuoso.
«Grazie, Tom».
«Allora, stasera ci sarà baldoria a casa tua, giusto?».
«Una baldoria mai vista prima», confermai, sorridendo.
«Ottimo. Sgancerò qualcosa a Matt per avere rifornimenti».
Matt era suo cugino e aveva appena compiuto ventun'anni; Tom lo sfruttava come gancio per avere un po' di alcolici da portare alle feste.
Scossi la testa. «Spiacente, Tommy: tutta la mia famiglia sarà in casa».
La sua faccia delusa fu così divertente che mi scappò da ridere. «Dannazione», borbottò, accigliato. Si buttò a terra accanto a Jas e le scoccò un bacio sulle labbra, così rapido da coglierla di sorpresa.
«Tom, sta' attento ai capelli!», protestò lei, divincolandosi un poco, ma poi sorrise, lo abbracciò e ricambiò il bacio.
Distratta da quella scena, non mi accorsi che qualcun altro si avvicinava; una folata di vento improvvisa mi portò il suo odore di lavanda, dolce e familiare, e capii all'istante che era lui. Prima che potessi voltarmi Alex si inginocchiò sull'erba, alle mie spalle, e mi circondò piano con le braccia.
«Buon compleanno, Scheggia», mi sussurrò all'orecchio, la voce roca e seducente. Con le labbra mi sfiorò l'attaccatura del collo, una piccola porzione di pelle lasciata scoperta dal maglioncino d'angora bianco a maniche corte che indossavo. Rabbrividii come se avessi freddo e sollevai la mano per accarezzargli il viso, avvicinandolo al mio.
«Grazie», risposi, sorridendo. I suoi occhi erano incantevoli osservati così da vicino. «Finalmente ti sei deciso a fare il tuo dovere di fidanzato. Ti aspetto da ore».
«Andiamo, Scheggia... È risaputo che l'attesa del piacere è essa stessa il piacere²», protestò, ammiccando con aria furba.
«Sempre così modesto! Non esagerare, mi raccomando, non vorrei mai che ti sottovalutassi troppo».
Rise mentre mi sfiorava la punta del naso con una mano. «Fortuna che ci sei tu a tenermi con i piedi per terra».
«Già, meno male».
«Ehi, ragazzi», disse Tom all'improvviso, interrompendoci, «noi andiamo: devo parlare con la professoressa Hughes e Jas viene con me».
Entrambi si stavano alzando e Jas era impegnata a spazzolare via dal jeans qualche filo d'erba.
«Perchè devi parlare con la Hughes?» indagò Danielle.
Tom fece una smorfia. «Ho preso una D al test di trigonometria della settimana scorsa, voglio capire come posso corromperla per non essere bocciato, quest'anno».
«Vengo con voi», disse Danielle. Si alzò a sua volta, sbadigliando, e raccolse le sue cose.
«Posso suggerirti di assoldare un gigolò e mandarglielo a casa in regalo?», intervenne Alex, rivolto a Tom. «Ho la netta impressione che le farebbe piacere».
Jas scoppiò a ridere di gusto, seguita da Danielle. Tom rispose con un'imprecazione, presumibilmente indirizzata proprio alla Hughes.
«Se avessi i soldi lo farei», brontolò. Afferrò la mano di Jas. «Andiamo».
Si allontanarono camminando vicini, tutti e tre, lentamente. Sentii Jas mormorare qualcosa e colsi la parola "gigolò"; lei e Danielle ridacchiarono di nuovo mentre Tom scuoteva la testa.
«Le tue battute sono cattivissime, lo sai, vero?», dissi ad Alex. «Povera professoressa Hughes, non è colpa sua se in giovane età si è lasciata conquistare dalla matematica al punto da non prestare più attenzione al resto del genere umano. E ai propri vestiti. E ai propri capelli».
Mi voltai verso di lui con un sorriso ironico sulle labbra e mi accorsi che aveva messa qualcosa sulle mie ginocchia: un pacco di forma rettangolare, avvolto in una semplice carta bianca.
«E questo?».
Alex ghignò. «
È per farmi perdonare l'attesa. Ti assicuro che ne valeva la pena».
Un altro regalo! Sentii un impeto di entusiasmo. «Be', verificheremo subito».
Tolsi in fretta la carta, curiosa ed impaziente come una bambina, e scoprii una cartellina trasparente che racchiudeva qualcosa di bianco. Un cartoncino? No, era un foglio da disegno. Un foglio su cui era raffigurato un volto di profilo. Il volto di una ragazza leggermente chino in avanti. Aveva tratti delicati e armoniosi, il naso appena all'insù, le labbra lievemente dischiuse, e un'espressione strana: il suo sguardo era lì, fissato sulla carta, eppure sembrava che stesse viaggiando chissà dove, perso in un altro mondo o in molti altri mondi. Il disegno era realizzato a carboncino,
tracciato da una mano leggera, ricco di ombre e sfumature, e sembrava quasi vivo, come se stesse pulsando. Mi ci volle un minuto per capire.
«Questa sono io», dissi con un filo di voce, senza staccare gli occhi dal disegno.
«Però, che intuito», commentò Alex, come al solito patologicamente incapace di restare serio troppo a lungo. «Qualche giorno fa sei venuta a casa mia e abbiamo il pomeriggio insieme. Tu eri distesa sul mio letto a leggere, mentre io ero alla scrivania e teoricamente avrei dovuto studiare... Ma gli occhi continuavano a cadermi su di te. E avevi un'espressione così affascinante... Ce l'hai sempre quando leggi. Avevo una matita e un foglio bianco e prima che me ne rendessi conto ti stavo disegnando. Poi sei andata via, ma ho continuato a lavorarci su e sono passato al carboncino. Alla fine è uscito fuori un piccolo capolavoro, come vedi, così ho pensato che sarebbe stato uno spreco lasciarlo chiuso in un cassetto».
Lo ascoltavo in silenzio. Avrei voluto dire qualcosa, ringraziarlo, ma non ci riuscivo. Continuavo a percorrere con lo sguardo le linee che disegnavano il mio volto, immaginando Alex con la matita in mano e quell'espressione concentrata che aveva sempre quando disegnava, intento a lanciare un'occhiata furtiva verso di me e a far scorrere piano la matita sul foglio, perchè io non me ne accorgessi. C'era qualcosa di così incredibilmente bello nel ritratto, nella curva delicata del collo, nelle piccole pieghe delle labbra, nelle morbide onde dei capelli che mi incorniciavano il viso, da lasciarmi senza fiato. Era così che lui mi vedeva?
Probabilmente rimasi in silenziosa contemplazione per un bel pezzo, ma la pazienza non era certo il pregio più grande del mio ragazzo.
«Allora? Che ne pensi?», mi incalzò.
Lo guardai e la sua espressione traboccante di curiosità mi fece sorridere. «
È perfetto», mormorai. «Perfetto. Grazie».
I suoi occhi blu lampeggiarono di entusiasmo. «Doti eccezionali per una bellezza eccezionale», commentò scrollando le spalle con aria trionfante.
Tolse di mezzo il disegno per poggiarlo sull'erba con attenzione, poi si sedette e si allungò in modo da sistemare la testa sul mio grembo. Gli accarezzai piano i capelli, pensierosa. Restammo in silenzio tanto a lungo, occhi negli occhi, che a un certo punto mi sembrò di perdermi in quell'azzurro luminoso e sconfinato, ma era infinitamente bello perdersi così. Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, in quel giorno lontano durante la lezione di geografia del signor Redmont. Lo stesso sguardo che era il particolare più orrendamente realistico nei miei incubi. Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Una morsa di paura mi strinse lo stomaco come una mano d'acciaio e le mie dita si bloccarono tra i capelli di Alex. Distolsi gli occhi dai suoi e guardai lontano, osservando la vegetazione fitta che circondava la scuola, gli studenti allungati sul prato a godersi il sole, Toby Moore che cercava di insinuare le mani sotto la maglietta di Caroline mentre lei strillava e si tirava indietro con ostentata, falsa ritrosia. Mi parve che il sole fosse meno caldo sulla pelle, al punto che avvertii un brivido freddo lungo la schiena e le braccia.
«Alex, io ti proteggerò sempre. Sempre, a qualunque prezzo. Te lo prometto», bisbigliai all'improvviso, con voce appena udibile.
Alex percepì che qualcosa era cambiato. Sentii il suo corpo irrigidirsi mentre mi fissava con la fronte aggrottata. Un angolo della sua bocca si sollevò leggermente, come se volesse sforzarsi di sorridere.
«E così ci scambiamo i ruoli? Tu sei il cavaliere e io la damigella?», scherzò.
Non riuscii a rispondere. Mi resi conto all'improvviso di quanto profondamente credessi in ciò che avevo appena detto. Avrei voluto gridarlo al mondo intero. Mai, mai avrei lasciato che gli accadesse qualcosa.
«Sei seria», osservò dopo un lungo silenzio.
Abbassai lo sguardo. «Tu sei una cosa seria», risposi senza un briciolo di ironia.
Lui mi fissava intensamente, l'espressione concentrata. Rifletteva su qualcosa.
«Renesmee?», disse all'improvviso, rompendo il silenzio.
«Sì?».
Altra pausa. Corrugò la fronte, un gesto che faceva sempre quando qualcosa occupava con prepotenza i suoi pensieri. Lo conoscevo così bene che sarei stata capace di tracciare una mappa delle sue espressioni ad occhi chiusi. Era sul punto di dire qualcosa di importante, lo sentivo. Ma dopo avermi guardato con quell'aria concentrata ancora per un attimo, fece un sospiro lieve, come se avesse lasciato volare
via in quel sospiro le parole che avrebbe voluto dirmi.
«Niente».






Note.
1. Link.
2. Citazione di 
Gotthold Lessing.








Spazio autrice.

Salve! Innanzitutto vi chiedo scusa per aver saltato l'aggiornamento della settimana scorsa, ma ero troppo impegnata con lo studio e varie faccende universitarie per dedicare il tempo necessario alla rilettura e alla correzione del capitolo. Spero che tutte abbiate letto gli avvisi, tra facebook e la mia pagina qui su Efp.
Stavolta nessun papiro xd, non c'è moltissimo da dire su questo capitolo. Più che la trama, sono i sentimenti e i pensieri dei personaggi che subiscono un'evoluzione. Forse vi sarà chiaro cosa succede, forse ancora no, ma preferisco non dire troppo qui nello spazio autrice, perchè magari c'è qualcuna che non vuole anticipazioni nè chiarimenti e vuole aspettare di leggere per scoprire cosa succede. Quindi se avete domande, dubbi, perplessità etc., o se volete semplicemente approfondire alcune cose, aspetto le vostre recensioni ^^.
Un abbraccio e un bacione! 

   
 
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